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Quando si rappresenta la profondità.
Note sul rapporto tra madre e figlio nel Giudizio della Sistina
.
Romolo Rossi, Maria Gulì

Articolo pubblicato su Carta sul GIORNALE ITALIANO DI PSICOPATOLOGIA

Parole chiave: Rapporto madre-figlio — Cappella Sistina

Key words: Mother-child relationship — Sixtine Chapel

Riassunto
Si prende occasione dalla straordinaria rappresentazione del rapporto madre-figlio nel Giudizio Universale della Cappella Sistina, passando attraverso alcune considerazioni sull’opera e la vita di Michelangelo, per annotare il problema della difficoltà del vissuto di abbandono materno e della ricerca del padre sostitutivo.

Summary
Through some considerations about the extraordinary setting, in the Sixtine Chapel, of mother-child relationship, and some observations on the biography and the ……pieces of Michelangelo, some aspects of the feeling of maternal abandonement and the research of a substitutive father are emphasized.


Vorremmo dire la nostra opinione su un particolarissimo rapporto madre-figlio: quello che risulta dall’atteggiamento di Maria nei confronti del figlio nel Giudizio della Sistina. Forse, come direbbe sdegnosamente Parmenide, abbiamo l’opinione facile. L’aver studiato il problema non toglie che non senta che si tratta assolutamente solo di un’opinione, ma ci sentiamo protetti da Freud nei confronti del severo cipiglio dell’Eleate, dalla sua nota che chiunque si pone di fronte ad un capolavoro dice una cosa diversa da quella che avevano detto gli altri (saggio su Mosè).
Abbiamo chiamato il Giudizio Universale il Giudizio della Sistina perché è nella Sistina, e giustamente oggi si ritorna e si dà particolare importanza ai contesti.
E perché ci collochiamo con quanti pensano che la Sistina sia dominata dalla figura di Giona. Giona è non solo l’esempio più eclatante dello scorcio michelangiolesco (che sottrae alle condizioni di veduta prospettica in favore di una veduta più chiara, come dicono i dotti critici). Secondo la didascalia associata alla figura del Giona di Michelangelo presso 1`Ashmolean Museum dell'Università di Oxford, "God allows the youthful Jonah, the seer of Nineveh whom he rescued from the belly of the whale within three days - the time between Christ's death and his resurrection, - to challenge him in his bold makedness, the figure mocks every law of composition and perspective. Michelangelo conceived Jonah as an Old Testament Prometheus touched by grace and presents us with a solution to the riddle of good and evil. An artist, himself a rebellious Titan, proffers a solutionn that spells deliverance in what may be the grandest piece of dialectical theology ever stated in terms of art. The rebellious Prophet, whom God would not have otherwise, looks up directly at his self begetting and affirming Maker. In his expression, scorn and rebellion are giving piace to joy, delight, love and filial response, and the ecstatic contemplation of God. The monster of the sea, the calabash tree of the texts, and the turbulent genii form an animated background, unusually bucolic and idyllic for Michelangelo.

Giona, ricordiamo, inviato da Dio a convertire Ninive, fugge e si imbarca su una nave nella direzione opposta - Gettato in mare dall'equipaggio, viene inghiottito da un grosso pesce - Si pente, invoca Dio e viene risputato sulla spiaggia - Va a Ninive, minaccia la punizione divina e Ninive si converte - Si ribella a Dio per la di lui pazienza e compassione, dice di voler morire e si apparta in luogo desertico per osservarne la risposta - Dio fa nascere un ricino (calabash) per proteggere Giona con l'ombra - Il giorno dopo Dio manda un verme che fa seccare il ricino - Giona si ribella - "Tu ti affliggi per un ricino che non hai fatto crescere tu, e io non dovrei aver compassione per persone che non sanno distinguere la mano destra dalla sinistra?" è la risposta di Dio.
Per entrare in medias res, (dopo tanto tempo!) se Giona è la chiave di lettura, il Giudizio è relativo a quanti si arrogano il diritto di giudicare. In realtà la mano alzata del Cristo indica Giona, mentre il suo sguardo è rivolto ai santi, nuovi possibili giudici morali ... Uno di essi, S. Bartolomeo, è appunto l'Aretino che ha in mano la pelle di Michelangelo.
Il riproporsi di Cristo come richiamo alla salvezza, "love and filial response", dopo l'esperienza del suo grido nell'ora della morte trasforma la linea del suo torso e braccio alzato in un'ansa dove sembra che Maria si voglia precipitare (o rifugiare), a ripetere un particolare abbraccio figlio-madre. I critici accostano la figura di Giona al tondo Doni dal punto di vista stilistico salvo inversione del personaggio e della torsione. Qui l'incontro è tra figlio e padre.
Maria che in un disegno preparatorio del Giudizio vediamo china, proprio in ginocchio, di fronte al figlio a pregarlo evidentemente di misericordia, nella versione finale sembra invece rifugiarsi sotto l'ala misericordiosa, certo anche misericordiosamente severa, del Figlio, in un combaciarsi di linee, o interazione di margini che ricordano il rapporto del bambino con la madre di cui parla Winnicott (La sede dell'esperienza culturale). Il rapporto si è rovesciato. E' ora la madre ad aver bisogno della muscolosa virilità del figlio che sostiene la frustrazione o proprio le ferite che vengono esibite.
Il quadro di riferimento in cui possiamo collocare questo affresco di relazione a due in un contesto di rapporti è quello delle identificazioni incrociate madre-figlio che presenta Winnicott. Vi sono contesti in cui all'impotenza infantile e all'attesa del gesto di avvicinamento della madre da parte del figlio, può corrispondere un ben più disperato senso di impotenza della madre e non certo una fiducia ma un'angosciosa speranza da parte della madre che questa impotenza venga riconosciuta - non disprezzata o condannata dal figlio.
Ci sembra che qui la madre, nel gesto del Cristo che indica Giona, senta la possibilità di un simile riavvicinamento del figlio a sé, identificandosi con i tanti peccatori. Che cosa è riuscita a fare di fronte alle sofferenze del figlio?
Vi è da una parte l'ambiente culturale di Michelangelo, quello neoplatonico fiorentino della sua adolescenza che lo struttura, e che vede il creato come emanazione dal Dio-Uno che poi all'Uno ritorna in un processo exitus-reditus - e si potrebbe interpretare in questa luce il Giudizio come influenzato dall'umanesimo cristiano. Vi è dall'altra parte la sua realtà familiare (quale conosciamo dai documenti) ove di unità ve n'era molto poca se non quella che avrebbe voluto imporre il padre. Questa realtà familiare era certo la fonte delle passioni più accese, da cui le altre, politiche e religiose potevano derivare. Sappiamo che Michelangelo era il secondo di cinque fratelli maschi e che fu affidato ad una balia di Settignano quando aveva un mese e fino a due anni. Non si trattava certo di un abbandono, perché i genitori vivevano a Firenze e avevano un podere a Settignano che frequentavano. Ma certo fu un allontanamento precoce da inserirsi in una storia di ulteriori tre gravidanze che la madre, Francesca Neri, ebbe tra la nascita di lui, 1475, e il 1481, quando morì.
Il reditus cui sentiva bisogno Michelangelo era quello di un volto e di braccia che gli facessero sentire la "pietà" : conosciamo il suo capolavoro di scultura, la Pietà di S. Pietro del 1498, conosciamo anche i suoi versi, certo non altrettanto belli, frutto di studi letterari a cui il padre lo avrebbe voluto indirizzare e a suo tempo, prima dell'incontro con il circolo di Lorenzo de' Medici, da lui rifiutati:

D'un oggetto leggiadro e pellegrino,
d'un fonte di pietà nasce 'l mie male (16)

Dal primo pianto all'ultimo sospiro,

al qual son già vicino,
chi contrasse gia mai sì fier destino

com'io da sì lucente e fera stella?

Non dico iniqua o fella,

che 'l me sana di fore,
s'aver disdegno ne troncasse amore;

ma più, se più la miro,

promette al mio martiro

dolce pietà, con dispietato core.

O desiato ardore! (119)

……………[M1]

S'i' fussi stato ne' prim'anni accorto
del fuoco, allor di fuor, che m'arde or dentro,
per men mal, non che spento,
ma privo are' dell'alma il debil core

……………………….

ma sol n'ha colpa il nostro prim'errore.
Alma infelice, se nelle prim'ore
alcun s'è mal difeso,
nell'ultim' arde e muore
del primo foco acceso. (253)

 
Eppure, per quamto riguarda le sue sculture che propriamente si riferiscono alla maternità, si insiste giustamente sempre sulla disattenzione di Maria nei confronti del piccolo figlio. Si tratta di una disattenzione particolare. In realtà il bimbo, sempre nudo e chiaramente senza alcun bisogno di copertura, appare completamente a suo agio per la disponibilità fisica che gli offre la mamma. Se ha fame il seno è a sua completa disposizione (Madonna delle Scale, Madonna della Cappella Medicea), se cerca il contatto fisico con la madre lei lo tiene e se è stanco le si può sedere in grembo (tondo Pitti, Madonna di Bruges), ma nella durata di ciascuno di questi gesti la madre non ha nessun ruolo, possono venire a cessare quando lui voglia senza alcun trattenimento da parte di lei che anzi è attenta ad altro, un libro, soprattutto altri bannbini. Si guarda bene dal circondarlo col braccio anche quando succhia il seno così che non si nota nel bimbo una pulsione all'allontanamento in quanto questo risulta naturale. Sembra che Maria offra al figlio quello di cui egli ha desiderio o bisogno, l'oggetto soggettivo, e insieme l'immagine oggettiva di sé come madre che lo dovrà lasciare per altro, sia un impegno, sia la morte, siano altri bambini. Mai che alimenti l'illusione di avere in lui il proprio piccolo dio, il suo vitello d'oro. Nella Madonna delle Scale il bimbo ha tranquillamente un braccino in posizione distorta, nel tondo Pitti si impadronisce del libro della mamma compiaciuto di farne un leggio di appoggio per sè, e sempre appare spensierato, libero, gioioso.
Solo l'intrusione attiva di un altro bambino, San Giovannino (nel tondo Taddei), che fa vedere a Maria un uccellino, spaventa il piccolo. Forse è appunto per l'intrusione dei fratelli, e del padre come fratello, che Michelangelo esige pietà. Forse è vero che nell’espressione assorta di Maria traspare la pietà.
Liebert R. e altri hanno discusso del rischio di sottovalutare l'importanza dell'abbandono materno, e della rabbia derivata, che lo avrebbero portato a cercar calore in figure maschili, o viceversa l'importanza del rapporto sadomasochista erotizzato con il padre che picchiò Michelangelo, come racconta il Condivi, per la sua passione per la scultura.
Certo Michelangelo voleva far parte di "rari e semidei", come dice nel componimento 254, ma proprio per questo si sente chiamato ad assumere lui stesso il volto della pietà, ad accettare i fratelli, come voleva la madre, condannando il se stesso Golia: "Amor volge le chiavi - e apre a' iusti il petto di costei ... , e là mi tira, già stanco e vil, fra' rari e semidei". Per essere giusto deve abbandonare il suo giudizio di giustizia, il suo orgoglio di fatiche e tormenti, aprendo il paradiso, il petto di costei, a quanti come il presunto dannato del Giudizio che giganteggia accovacciato in primo piano pregano di chiudere un occhio. Che rimandi a questo dannato il sogno di Freud? Dannati saranno solo gli implacabili giudici, né si capirebbe in altro modo la sinergia di angeli e demoni nel ricacciare chi non può essere tirato su non già da un rosario, ma da una corona di fratelli.

Forse perché d'altrui pietà mi vegna,

perchè dell'altrui colpe più non rida,
nel mio proprio valor, senz'altra guida,

caduta è l'alma che fu già si degna.

(66)


La possibilità di trovare una figura maschile capace di pietà con cui potersi identificare, penso sia stato il vero problema di Michelangelo, il motivo dell'attrazione che sentiva per il Cavalieri, capace di rispondere con sobria dedizione a bisogni di lui, e la radice della sua ricerca della teologia del cielo aperto che si rifaceva ad Erasmo che nel 24 componeva il trattatello De immensa Dei Misericordia

Veggio nel tuo bel viso, signor mio,
quel che narrar mal puossi in questa vita:
1`anima, della carne ancor vestita,
con esso è già più volte ascesa a Dio.
……………………………………..
A quel pietoso fonte, onde siam tutti
s'assembra ogni beltà che qui si vede... (83)

 
 
Amor che sprezza ogni altra meraviglia,
per mia salute vuol ch'i cerchi e brami
voi, sole, solo
E chi da voi si parte,
occhi, mie vita, non ha luce poi,
che `l ciel non è dove non siate voi (81)

Pare che proprio il Cavalieri sia stato preso come modello del Cristo del Giudizio.
Ci pare che del rapporto con il padre ed i fratelli M. abbia prospettato queste possibili soluzioni:

1) annullamento del figlio in nome del padre (disegni di Fetonte, Tizio, Ganimede)

2) collusione fraterna con pasto cannibalico di padre e madre (il bellissimo Baccanale dei putti)

3) ricupero delle componenti materne di un padre capace di pietà (Giona e Giudizio), e quindi capace di sostenere come Nicodemo la stessa madre. Ma per questo è necessaria la figura di un padre materno, e Michelangelo ha spezzato la statua di Nicodemo quando gli è morto Urbino.
Certo il Cristo, giudice dei giudici, appare più sofferto di Gloria. Ma questo affresco rappresentava l'ultimo atto dell'immane lavoro sulla volta della Sistina, condotto in una posizione arcuata a cui pensiamo si riferisca la scritta di M. Davide con fa fionda (o fromba) e io con l'arco. Michelangelo dopo tante lotte con Giulio II poteva pensare di essere ora guardato da lui come Giona guarda il suo Dio.
Ma il Della Rovere, era morto subito dopo lasciando posto ad uno dei figli di Lorenzo (Leone X) che tanto dovevano essere invidiosi di lui per il rapporto con il padre. Ricordiamo la storia della statua di neve. Tutto il processo di maturazione già compiuto sarebbe ora stato compiuto una seconda volta, e perfino con il problema dei marmi (questa volta per la facciata di S. Lorenzo).
Comunque, difficile (terribile, forse) e struggente questo rapporto figlio madre: forse la più estrema delle rappresentazioni Winnicottiane.

 
 
Freud S. (1913): Il Mosè di Michelangelo. Opere di S.F., Vol. 7, pg. 299-328, Boringhieri, Torino, 1966.
Freud S. (1899): L’interpretazione dei sogni. Opere di S.F., Vol. 3, Boringhieri, Torino, 1966.
Liebert R.: Michelangelo. A psychoanalytic study of his life and images. New Haven, 1983.

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