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Giuseppe Riefolo

Psichiatria prossima

Bollati Boringhieri, Torino, 2001

 

Sono passati oltre venticinque anni dalla riforma dell’assistenza psichiatrica pubblica, e i servizi di salute mentale si trovano oggi nella condizione di esplicitare e definire i propri modelli d’intervento.

Tale definizione dovrebbe riproporre a livello operativo lo spirito della riforma senza collusioni ideologiche, e dovrebbe anche confrontarsi con il processo di aziendalizzazione in atto nella sanità del nostro paese.

In questo contesto ogni occasione di riflessione e di confronto per chi opera in campo psichiatrico, rappresenta uno stimolo a focalizzare aspetti teorici e operativi utili per una puntualizzazione delle funzioni assistenziali e terapeutiche dei servizi psichiatrici pubblici.

Con il libro "Psichiatria prossima" Giuseppe Refolo ci propone una serie di aspetti significativi del lavoro clinico dei servizi, analizzati secondo una modalità che ricerca un costante collegamento tra gli elementi teorici e il piano clinico dell’intervento. Gli argomenti spaziano dall’ambito del contesto operativo (come nel caso del capitolo relativo all’"intervento psicologico nei contesti urbani disagiati"), ad aspetti più interni dei servizi (come nei capitoli sulla "funzione di accoglienza", sul "processo di saturazione nei servizi" e sulle "cosiddette psicoterapie"), per arrivare agli aspetti più strettamente collegati alla condizione del paziente (come nei capitoli relativi al "paziente che non collabora" e quello sui "campi dell’emergenza e dell’urgenza").

Dalla lettura del libro emerge un quadro sufficientemente rappresentativo della dimensione del lavoro nei servizi psichiatrici territoriali.

Emergono anche una serie di elementi che attraversano trasversalmente i vari capitoli quasi a svolgere una funzione di perno.

Un primo elemento riguarda il considerare la condizione in cui si opera come uno degli elementi di realtà, rispetto al quale attivare le capacità creative del gruppo di lavoro o del singolo operatore. Questo assetto, che si pone in alternativa ad atteggiamenti di delega o di contrapposizione, viene proposto relativamente al problema della "saturazione dei servizi" con il richiamo al concetto di "autopoiesi" inteso come "capacità di produrre, trasformare e distruggere i propri componenti così da costituirsi come unità e da riformare la rete di processi che li hanno prodotti".

Lo stesso elemento si ripropone, in altri termini, nel considerare gli interventi nei contesti urbani disagiati in cui certi aspetti regressivi della vita di borgata vengono riconosciuti nella loro potenzialità di sostegno alle funzioni dell’io o alla coesione del sé dei pazienti.

Un secondo elemento riguarda l’uso del concetto di setting come strumento di lettura e come punto di osservazione della relazione. Questa prospettiva ci permette, secondo Riefolo, di considerare il comportamento dei "pazienti che non collaborano" come l’unico modo, per loro possibile, di collaborare e come una delle loro possibili forme di comunicazione. Fa riflettere quanto, nelle "cosiddette psicoterapie", l’importanza più che all’aderenza a tecniche specifiche, venga attribuita ad altri aspetti. Un primo aspetto riguarda la ricerca di un’autenticità da parte dell’operatore a "costituire un ambiente vitale" nella relazione.

Un secondo riguarda il rispetto della posizione attiva che il paziente ci propone con la sua "disponibilità, più o meno conscia, a modificare i livelli di organizzazione della sua economia interna". Questi contributi da parte dell’operatore e da parte del paziente concorrono, insieme alla compatibilità e alle risorse del servizio, a configurare quel "campo di coerenza" che, sempre secondo Refolo, costituisce il presupposto alle definizione di un setting. Potremmo parlare qui di un "setting originale", intendendo con questo termine non ad un setting unico o nuovo, ma ad un setting originato a partire dagli elementi in gioco nell’assetto di cura specifico e quindi coerente con le peculiarità di un servizio pubblico territoriale.

Un terzo elemento riguarda la "presenza" dell’operatore intesa come strumento di per sé attivo dell’intervento. Riefolo sembra considerarla particolarmente significativa nelle situazioni di "emergenza" con le correlate implicazioni verso il contesto e verso i possibili esiti.

Meno chiaro appare, nelle argomentazioni proposte, il relegare sullo sfondo la "presenza" nelle situazioni di urgenza. E’ come se il ruolo svolto dalla "tempestività" nell’urgenza, debba farci rinunciare all’utilità di una "presenza". Forse il problema sorge dal fatto che dovremmo ripensare la "presenza" stessa in termini di "originalità" e di coerenza con il tipo di assetto richiesto dall’urgenza.

Nel suo insieme la ricca articolazione dei richiami teorici nel libro sembra riuscire progressivamente a delineare una funzione della psichiatria in cui le prospettive di cambiamento dei parametri sociali lasciano spazio ad un impegno nella ricerca di "occasioni" di cura.

Anche i limiti connessi alla dimensione istituzionale del lavoro riescono ad apparire non tanto in una visione deficitaria, ma come una specificità di cui riuscire a far uso nella clinica.

In fondo è proprio la matura e cosciente accettazione del limite l’elemento rilevante nell’assetto di lavoro che viene proposto da Giuseppe Riefolo. Un’accettazione del limite che, rifacendosi ad una cultura psicoanalitica, non collude con la rassegnazione o il disimpegno, ma rappresenta un ancoraggio e una vitalizzazione nella realtà, verso una concreta prospettiva di cura.

Rinaldo De Sanctis

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