Il lavoro tratta della terapia psicoanalitica di tre bambini affetti da tre diverse forme di Autismo Infantile. Si mette in evidenza come a quadri clinici diversi corrispondano Stereotipie di tipo e significato diversi e livelli di sviluppo della Relazione Oggettuale anch'essi diversi. Le modalità pur diversificate con cui vengono affrontate le Stereotipie presentano una unica finalità: attivare o riattivare la funzione alfa quale presupposto per la nascita della vita psichica del bambino. Viene in particolare sostenuta l'ipotesi che nell'Autismo Incapsulato l'Oggetto, assieme a tutte le pulsioni e turbolenze emotive ad esso riferite, in seguito al crollo autistico venga occultato dal bambino stesso attraverso le stereotipie, per proteggerlo e mantenerlo in vita. Si evidenzia come, restituendo valore emotivo alle sensazioni che il bambino si procura con le stereotipie, si possa favorire il riemergere dell'oggetto, e come in seguito, restituendo valore emotivo alle parole che inizia ad usare sotto forma di "insalata di parole", si possa favorire il percorso verso la il registro della Simbolizzazione.
This paper is about an analytic psychotherapy of three little patients affected by three different kinds of autism. It underlines how different patients show different patterns of stereotypies at meaning and at object relationship level. Clinical work about stereotypies, in such different patients, has the same goal: activate or reactivate the alfa function in order to give birth to psychic life in the child. Its particularly hypothesized that, when we have an autistic shell, the object as well as its affective drives, after the autistic breakdown, are hidden by the child itself, by means of stereotypies, in order to protect and to assure itself as little as possible of psychic life. Its also stressed haw any restoration of affective meaning to the sensations (that the autistic child provokes to itself by means of stereotypies) and of emotional value to words (which these children begin to use in an uncoordinated way) can promote the emerging of the object as a whole opening a pathway towards symbolization.
Dopo percorsi lunghissimi irti di imprevisti e difficoltà un personaggio sta cadendo in una buca. Al. si allontana dal gioco, viene a sdraiarsi pancia sotto su un grosso cubo di gommapiuma che sta accanto a me, e con tono ed espressione estremamente sofferta come rivivendo un dolore antico dice:" Sento il rumore del mondo che si rompe!"
Con queste parole Al., bambino autistico, a 9 anni al 5° anno di terapia psicoanalitica a 3 anni dalla comparsa del linguaggio, riesce a rappresentare l' angoscia vissuta nella fase del crollo autistico, avvenuta intorno ai 6 mesi, col sopraggiungere di angosce per lui troppo dolorose e devastanti da sopportare.
Le angosce vissute dal piccolo Al. sono quelle descritte da Tustin: "L'angoscia di precipitare nel vuoto, nel senza nome" allorquando si verifica "una rottura traumatica di uno stato di anormale prolungamento di unità adesiva con la madre" (Tustin 1994). L'Autismo per Tustin è una forma di "protezione" che si esprime attraverso la messa in atto di manovre autistiche allo scopo di evitare di "precipitare nel vuoto e nel senza nome"
"per preservare l'anima immortale" di fronte a terrori "senza nome" (Bion 1962b).
Il percorso, che precede la comparsa della capacità di rappresentare le angosce attraverso le parole, è lungo e faticoso, in quanto il bambino autistico quando giunge a noi è in preda alle stereotipie, non parla, non gioca e non si relaziona.
Il bambino autistico però già nelle prime sedute di consultazione, con la stranezza dei suoi comportamenti l'apparente lontananza emotiva e l'assenza di parole, è in grado di suscitare in noi attenzione estrema: come se percepissimo subito di dover guardare ben oltre l'apparenza di quello che ci mostra. E poi subito, mentre si attarda nelle sue stereotipie, vien spontaneo chiedersi: "con quali sensazioni", ed in qualche caso già "con quali abbozzi di immagini si sta intrattenendo?"
Se ci soffermiamo con l'attenzione, riusciamo a cogliere le sensazioni che il bambino autistico si procura con i suoi comportamenti particolari. Esse ci consentono di fare ipotesi sul livello di sviluppo della relazione oggettuale presente nel bambino, fornendoci così indicazioni sul livello di gravità della forma di Autismo.
In questo lavoro cerco di dimostrare come a quadri clinici diversi corrispondano stereotipie di tipo e significato diversi e livelli di sviluppo della relazione oggettuale diversi. Cerco di mettere in evidenza i cambiamenti cui va incontro la Tecnica soprattutto nelle prime fasi della psicoterapia, come si possono affrontare le Stereotipie, come favorire la (ri)comparsa dell'oggetto, l'insorgere del linguaggio e infine il percorso verso il registro della Simbolizzazione.
QUADRI CLINICI
M. (5 anni) seduto, quasi afflosciato sul divano, lo sguardo perso nel vuoto scuote la testa facendo sbattere i lunghi capelli a caschetto ora su una guancia ora sull'altra in un movimento incessante. Spesso fa oscillare la matita fra due dita, facendola battere ritmicamente sul dorso delle stesse. Sembrano drammaticamente le uniche sensazioni che è in grado procurarsi per sentirsi, per sentire di esistere. Ogni tanto si ferma, lo sguardo fisso nel vuoto, poi fa oscillare la testa sul collo, socchiudendo gli occhi, in un movimento più dolce come di ninnamento del capo: sembra procurarsi la sensazione di un piacere antico, un piacere primordiale vissuto nella vita intrauterina.
Il procurarsi sensazioni fisiche come unica possibilità di sentire di esistere fisicamente, il suo attardarsi in sensazioni primordiali quali il galleggiamento, il suo atteggiamento fisico prevalentemente afflosciato, ed elementi significativi della sua storia fanno pensare ad una forma di Autismo grave, ("Bambino Liquefatto"), nel quale si può ipotizzare un deficit di "preconcezioni" (Bion 1962a) alla nascita. Nel racconto della propria gravidanza la mamma (con caratteristiche di personalità di tipo fortemente ossessivo ed tendente alla depressione) trasmette un senso di scarsa
consapevolezza per ciò che stava avvenendo nel proprio corpo, di indistinzione fra il proprio corpo
e ciò che stava crescendo dentro di esso, una povertà di pensieri e fantasie rivolti al bambino portato
in grembo, poco immaginabile, una volta nato, come un bambino con una propria individualità (colpisce la descrizione del parto di M. fatta dalla mamma: "mi sembrava solo di defecare"). M. viene descritto dai genitori come un bambino poco vitale già alla nascita, che in seguito non parlerà né manifesterà desiderio di relazionarsi; inoltre riferiscono di una situazione di crollo psichico avvenuta intorno ai due anni in seguito ad un assenza temporanea del papà, delle due figure genitoriali il più affettivo e accogliente : il bambino batte la testa contro il muro, piange disperatamente per ore e manifesta difficoltà estrema ad addormentarsi. Dopo questo episodio M. diventa ancora più assente, meno vitale ed inizia a mettere in atto le strategie autistiche descritte. La situazione traumatica sembra avere solo slatentizzato in modo drammatico una situazione anormale già preesistente, in cui il bambino sembrava vivere immerso in un "anormale prolungamento dell'unità adesiva con la madre" (Tustin 1994)..."La madre depressa ha difficoltà a separarsi dal feto vissuto come una consolazione per una sensazione interna di solitudine". Avrà quindi difficoltà ad aiutare il bambino nell'esperienza della separazione che la nascita comporta (Ciccone Lhopital "La nascita alla vita psichica" 1994).
Si può ipotizzare che un bambino poco immaginato durante la gravidanza possa nascere con un deficit di "preconcezioni" (bambino poco vitale alla nascita), le quali inoltre trovando nella mamma scarsa disponibilità emotiva (funzione alfa carente) non possono essere trasformate in emozioni e successivamente in concezioni (Bion 1962a), passaggio obbligato per uno sviluppo affettivo e cognitivo normale? In questi bambini affetti da grave forma di Autismo ("bambini liquefatti") la relazione oggettuale sembra non aver avuto modo di nascere (nell'atteggiamento di M. e nelle sensazioni che trasmette si percepisce infatti l'assenza dell'oggetto). Come se non fosse mai stato possibile l'incontro con l'oggetto capace di emozionarsi, che potesse attraverso le proprie emozioni dare un senso alle sue forse troppo fragili sensazioni e pulsioni vitali. Il bambino allora può sentirsi spinto a restare immerso nelle proprie sensazioni, e a riprodurle coattivamente per sentire di esistere.
Al. (3 1/2 anni, attualmente 12) con movimenti sostenuti molto tonici va su e giù lungo una parete della stanza guardandola con la coda dell'occhio, oppure sdraiato a terra a pancia sotto rotea velocemente facendo perno sulla pancia, o sempre sdraiato a terra fermo a pancia sotto fa roteare sul pavimento vorticosamente davanti ai propri occhi qualsiasi oggetto anche cubico. Mi colpiscono subito la tonicità dei suoi movimenti e la concentrazione di tutto se stesso sull'oggetto che fa roteare.
Con il movimento vorticoso del proprio corpo sembra procurarsi la sensazione di tenersi insieme, di tenere insieme le parti in cui si sente frammentato, e contemporaneamente di sentirsi avvolto da qualcosa di molto forte, duro che lo fa sentire impenetrabile da tutto ciò che viene dall'esterno, vissuto come pericoloso invasivo e destrutturante. Quando ripetutamente fa roteare vorticosamente un oggetto davanti ai propri occhi sembra volerlo tenere assolutamente sotto il proprio controllo e quindi in suo possesso, come se quell'oggetto in suo completo dominio potesse procurargli una sensazione tranquillizzante per lui molto importante.
La mamma di Al. trascorre la gravidanza ed anche i primi mesi di vita di Al. affannandosi nell'assistenza di entrambi i suoceri ammalati, spinta dal bisogno di dimostrare la propria disponibilità al marito, il quale, avendo vissuto un'infanzia difficile con genitori molto conflittuali e con lui molto svalutanti, dal matrimonio sembra richiedere un risarcimento. E' quindi molto esigente e di scarso sostegno per la coppia e per la mamma in attesa. La mamma, donna sicuramente dalle molte risorse, si occupa di tutti in solitudine, Al. compreso (l'accudimento, l'ittero alto alla nascita, le frequenti otiti..). Possiamo ipotizzare quindi come la relazione con Al., che sono certa essersi sviluppata, solo a momenti possa essere stata completa ed appagante. Ai 5 mesi di Al., la nonna materna, alla quale la mamma ha iniziato ad affidare Al. per riprendere a lavorare, si ammala di tumore. Al. spesso verrà lasciato solo in una stanza con la porta chiusa, perché la nonna nella stanza accanto sta male a causa della chemioterapia. Da quest'epoca ha inizio l'isolamento di Al. e il ricorso alle stereotipie descritte.
Il tipo di stereotipie e le sensazioni, che con esse si autoprocura, e che trasmette così intensamente, l'atteggiamento fisico molto tonico e la sua storia fanno pensare ad una situazione di Autismo Incapsulato (Bambino Tonico).
In particolare vorrei soffermarmi sul significato possibile dell'uso stereotipato che Al. fa dell'oggetto. Con i movimenti vorticosi continui che impone a qualsiasi oggetto anche cubico, che osserva con molta concentrazione, Al. mantiene sotto il proprio controllo l'oggetto (che chiaramente non ha valore per le sue caratteristiche) e in tal modo si assicura della sua permanenza. Sembra essere la sensazione del possesso assoluto dell'oggetto a procurargli un senso di tranquillità e sicurezza, che potrebbe non essere molto diverso dalla piacevole sensazione di esistenza vitale, di appartenenza appagante, provata nell'iniziale relazione con la madre. E in tale sensazione tranquillizzante molto intensa penso possano essere presenti abbozzi di immagini della iniziale relazione primaria. Si deduce che la relazione oggettuale prima del crollo autistico fosse avviata e si stesse sviluppando.
Dall'esperienza di psicoterapia con i bambini (Al. e Sv.) affetti da Autismo Incapsulato mi sembra di poter riconoscere che nel bambino che vive il crollo autistico e che ricorre all'incapsulamento, l'oggetto (che esiste in lui in quanto la relazione primaria con la madre è stata sufficientemente buona), che con il crollo autistico probabilmente va incontro a frammentazione, viene nascosto, occultato dal bambino stesso nelle stereotipie, come avvolto dalla funzione protettiva di quest'ultime, al fine di preservarlo. Nell'oggetto, che fa roteare vorticosamente, che tiene quindi gelosamente sotto il proprio controllo, Al. penso cerchi di proteggere e quindi mantenere in vita molto tenacemente l'immagine di quell'iniziale relazione primaria e quindi l'oggetto, assieme a tutte le pulsioni ed emozioni ad esso riferite. Qui si inserisce la funzione del terapeuta perché il bambino affetto da autismo incapsulato in un qualche modo quindi mantiene dentro di sé il desiderio vitale di far riemergere l'oggetto occultato, ma non ne ha la capacità sia perché il terrore causato dalle angosce (l'angoscia che l'oggetto scompaia ), che deve fronteggiare è molto forte sia perché l'iniziale oggetto con il crollo autistico può aver perso molta della sua integrità e quindi della sua forza vitale. Penso che la psicoterapia molto possa fare per favorire il riemergere dell'abbozzo d'oggetto frammentato e la sua ricomposizione.
Sv. (4 anni, attualmente 8) bambino affetto da Autismo Incapsulato. Ne parlo solo nel paragrafo sul linguaggio.
An. (4 anni, attualmente 7) saltella per la stanza in punta di piedi sbattendo le braccia sollevate e le mani come una farfalla, lo sguardo un po' verso l'alto e l'espressione come di ricerca di qualcosa, forse una sensazione piacevole, dentro di sé; poi si ferma ed emettendo lievi suoni impercettibili fissa qualcosa nel vuoto con un'espressione trasognata, assorto forse in una qualche immagine o abbozzo di immagine della primaria relazione con la madre. Già nelle prime sedute di Osservazione mi colpì un comportamento particolare: ogni tanto An., dopo questi momenti di estasi si metteva sdraiato a terra a pancia sotto ad osservare da molto vicino le scarpe della mamma con lo sguardo catturato, a momenti visibilmente di piacere talvolta di eccitazione, per arrivare poi finalmente a toccarle. Può facilmente passare poi a pizzicare la caviglia o il dorso del piede della mamma sempre con espressione di piacere, a momenti di eccitazione.
An. è isolato, presenta stereotipie (saltella sfarfalla) come gli altri. Il suo saltarellare e sfarfallare gli serve per estraniarsi dall'esterno e concentrarsi su una qualche sensazione, immagine piacevole (forse in contatto con le parti buone dell'oggetto). Ma quando si ferma a guardare catturato nel vuoto, questa immagine sembra trasformarsi in qualcosa che via via sempre più lo eccita. Sembra gradualmente entrare in contatto e perdersi in un oggetto molto invischiante, un oggetto parziale sadico che lo spinge a graffiare e pizzicare. La mamma di An., alla quale poco prima della gravidanza muore il padre affetto da sindrome maniaco depressiva, affronta la gravidanza con molta angoscia ma completamente negata, che non le permetterà di essere con An. in un rapporto più accogliente. Il padre non desidera che le nonne siano presenti in casa, per cui la mamma, alle prese con l'insonnia estenuante di An., non si sente né aiutata e tanto meno contenuta. Prima dei sei mesi, epoca in cui An. regredisce in seguito allinsorgenza di una forma depressiva della mamma, per la quale il bambino viene lasciato molto solo, il rapporto con quest'ultima sembra essere stato caratterizzato da contatti fisici prevalentemente eccitanti. L'eccitazione sembra essere stato nel loro rapporto il sostituto del piacere più naturale e soddisfacente derivante da un rapporto accogliente ed affettuoso.
Le impressioni, che già alle prime osservazioni An. mi trasmette, e la sua storia mi fanno pensare ad un bambino affetto da uno Stato Autistico "con reazioni difensive invischiate confusionali" (Tustin 1990). In An. non è tanto evidente l'occultamento dell'oggetto quanto la regressione e fissazione a quella relazione primaria con qualità prevalentemente sadiche. La relazione oggettuale con l'oggetto intero si è solo in minima parte sviluppata. Nella terapia quindi avrò a che fare con un oggetto parziale sadico molto potente, che si opporrà con forza alla nascita di una nuova relazione dalle qualità più favorevoli.
GENESI DELL'AUTISMO.
Tustin (1994 ) definisce l'Autismo "una reazione protettiva che si sviluppa per affrontare la tensione associata alla rottura traumatica di uno stato di anormale prolungamento di unità adesiva con la madre". Secondo tale concezione l'Autismo è quindi un disturbo che si articola in due fasi: la fase di anormale prolungamento dell'unità duale con la madre e la fase della rottura traumatica di tale unità. Secondo Tustin, nella prima fase, l'essere immerso e confuso in tale situazione di unità adesiva, in "un unico flusso straripante di sensazioni con la madre" non permette la normale elaborazione delle sensazioni del bambino.
La situazione di "unità adesiva" prolungata penso sia determinata dall'incontro fra un bambino con particolari fragilità ed una qualche carenza ambientale, quale l'impossibilità da parte della madre (per motivi diversi nei tre diversi casi) di accedere alla propria capacità di reverie (Bion 1962b) o di usare in modo soddisfacente di tale sua capacità, per attivare attraverso di essa quella funzione così fondamentale per la nascita della vita psichica del bambino che è la funzione alfa (Bion 1962b). Il flusso di sensazioni non vengono quindi trasformate attraverso la funzione alfa in emozioni e successivamente in concetti.
Quando in seguito (seconda fase) sopraggiunge una qualche situazione traumatica, ad es. una precoce separazione, che non riesce ad essere concettualizzata, così drammatica da comportare la "rottura traumatica dello stato di anormale prolungamento di unità adesiva con la madre", il bambino percepisce una lacerazione fisica attraverso la quale irrompe "il terrore di precipitare nel vuoto e nel senza nome" (Tustin 1994). Per Tustin si tratta di terrori legati alla consapevolezza di possedere un corpo e quindi di poter essere feriti, terrori atavici presenti nella mente umana allo stato di "preconcezioni" (Bion 1962a) di un pericolo indistinto, aventi la funzione di preservare la vita dell'individuo. Allora il bambino, per difendersi dall'irrompere di tali angosce, ricorre al meccanismo di incapsulamento, che lo rinchiude nelle sensazioni del suo corpo, una sorta di atto riflesso tipico della specie per "preservare l'anima immortale" di fronte ai terrori "senza nome" (Bion 1962b).
Penso sia anche importante interrogarsi circa il destino di tutte "le pulsioni e turbolenze emotive" (Houzel 2003), proprie del bambino verso l'oggetto, al sopraggiungere della situazione traumatica che comporta la perdita dell'unità adesiva. Alla luce della mia esperienza ritengo che esse vengano occultate assieme all'oggetto e mantenute sotto controllo attraverso le manovre autistiche, mantenendo inalterata la propria forza.
LA TECNICA
La tecnica nella terapia psicoanalitica dell'Autismo e degli Stati Autistici, almeno in una prima lunga fase, subisce cambiamenti significativi.
La psicoterapia dell'Autismo e degli Stati Autistici si rivolge non alla risoluzione di un conflitto, ma affronta "il mancato sviluppo" o il deficit delle funzioni mentali legato ad un senso di identità molto precario o del tutto assente. Bisogna considerare inoltre che nei pazienti affetti da Autismo o da Stati autistici la capacità di simbolizzazione è se non inesistente fortemente incompiuta. L'interpretazione quindi che procede per analogie e metafore e che presuppone da parte del bambino la capacità di fantasmatizzazione non ha quindi senso. Inoltre in questi bambini anche il senso di identità è quasi inesistente per cui le interpretazioni di relazioni oggettuali verrebbero vissute solo come intrusioni violente e potrebbero sviluppare angoscia.
Le interpretazioni di relazioni oggettuali inizieranno ad essere usate quando il bambino avrà raggiunto un senso minimo di identità e inizierà a riconoscersi nei suoi pensieri e nelle sue azioni, e si troverà ad es. ad avere a che fare con un conflitto o tra istinti ( ad es. la rabbia, l'aggressività, quale proiezione del senso di persecutorietà vissuto nella situazione traumatica) o istanze ( ad es. quelle relative alla rivalità edipica).
Per lungo tempo l'interpretazione quindi non ha motivo di essere, ma il setting analitico interno alla mente del terapeuta permette di dare alla tecnica una molteplicità di risorse impreviste, adatte a quello che si presenta nell'istante della seduta.
Penso far parte della Tecnica il lavoro svolto con le persone con le quali il bambino autistico ha i suoi rapporti più significativi, cioè Genitori, Insegnanti ed Educatori. Tale lavoro è fondamentale per la riuscita del progetto terapeutico sul bambino, di cui la psicoterapia rappresenta solo una parte. La psicoterapia ha senso se anche nelle altre situazioni in cui vive il bambino esiste nei suoi confronti un atteggiamento di attenzione, interesse ed aspettativa. Penso sia importante trasmettere al bambino il nostro desiderio di raggiungerlo, di accoglierlo, la nostra curiosità, il nostro atteggiamento propositivo ma rispettoso delle sue angosce.
Gli incontri di discussione con insegnanti ed educatori sono incentrati principalmente sulla comprensione del significato dei comportamenti del bambino (ad es. le stereotipie), o di particolarità che accompagnano i suoi cambiamenti (ad es. quando inizia l'uso del linguaggio sotto forma di "insalata di parole"). Riuscire a coglierne il significato aiuta a trovare modalità idonee ad accoglierli.
I Genitori sono seguiti sia con incontri per la coppia genitoriale, sia nel Gruppo per Genitori dei Bambini Autistici. I genitori hanno un ruolo attivo nel gruppo, che è inteso come "un luogo dove pensare insieme le difficoltà". Difficoltà relative al bambino (ad es. trovare un senso ai comportamenti particolari del bambino), difficoltà relative al loro essere genitori di un bambino autistico, ed in seguito difficoltà individuali, che possono ostacolare l'evoluzione del bambino, e che in parte possono essere state alla base del Disturbo Autistico ("Disturbo dell'Intersoggettività" -A. Alvarez- 2002). Riuscire a cogliere il significato dei comportamenti particolari del bambino, e quindi renderli pensabili, aiuta il genitore, contenuto dal gruppo impegnato in tale funzione, a trovare le modalità più idonee ad accoglierli ed affrontarli e ad attivare nel rapporto con il bambino risorse fino ad allora bloccate. La possibilità inoltre di apprendere dall'esperienza altrui e il sentirsi contenuto dal gruppo può aiutare il genitore in difficoltà a trasformazioni insperate.
LE STEREOTIPIE E LA TECNICA
CHE COSA SIGNIFICA "ENTRARE NELLE STEREOTIPIE". QUALE LA FINALITA.
I cambiamenti della tecnica si evidenziano subito distintamente nel momento in cui entriamo in contatto con le stereotipie del bambino.
Per Stereotipia si intende la condotta ripetitiva di atteggiamenti, gesti e parole, messi in atto dal bambino allo scopo di procurarsi sensazioni che hanno su di lui un effetto tranquillizzante.
All'inizio della psicoterapia di un bambino autistico sono soprattutto le stereotipie a dominare la scena. L'intensità dell'angoscia sottostante si percepisce dall'intensità delle stereotipie.
Di fronte ad un bambino autistico in preda alle stereotipie il terapeuta si trova a compiere una scelta difficile ma ineludibile, quella cioè di "entrare nelle stereotipie" del bambino.
Che cosa significa "entrare nelle stereotipie" del bambino autistico? Penso che ciò che riusciamo a comprendere delle stereotipie e quindi a tradurre in parole gesti ed espressioni dipenda moltissimo da quanto riusciamo a sentire nel contatto con il bambino, da quanto riusciamo a provare delle sue sensazioni. Il realizzare quanto sia importante l'attenzione emotiva e quindi mentale che siamo disposti ad offrire al bambino penso sia fondamentale.
Entrare in contatto emotivo con le sensazioni che i bambini autistici si procurano con le stereotipie, ci permette di cogliere il significato emotivo profondo che si cela in quest'ultime (ad es. il bisogno di rendersi impenetrabile - per evitare di andare in pezzi -..). Ciò che a questo punto andiamo a svolgere riguarda la "funzione alfa" (Bion1962b). Essa è quella funzione che attraverso la "capacità di reverie"(Bion1962b) accoglie le impressioni sensoriali e le emozioni provenienti dal bambino per restituirgliele meno penose, più accettabili, perché trasformate dalle nostre emozioni. Bisogna però considerare che il bambino autistico non proietta le sue sensazioni angosciose, ma anzi le tiene celate dentro le stereotipie. E' necessario quindi, attraverso il riconoscimento del significato emotivo delle sensazioni che si procura con le stereotipie, aiutare il bambino a lasciar emergere gradualmente il suo bisogno di proteggersi da qualcosa di penoso, di insopportabile. Solo a questo punto potremo sperare di aver attivato o riattivato la funzione alfa.
Ho cercato di descrivere come a quadri clinici diversi corrispondano stereotipie di tipo e significato diversi e livelli di sviluppo della relazione oggettuale diversi. Di conseguenza anche le modalità di affrontare le stereotipie saranno in parte diverse, ma avranno tutte una stessa finalità: attivare o riattivare la funzione alfa quale presupposto fondamentale per la nascita della vita psichica del bambino.
Al. (autismo incapsulato 3 anni e mezzo). Quando a terra facendo perno sulla pancia gira velocemente su se stesso, dandosi spinte molto forti, avvicinandomi solo un poco e con tono pacato, ma espressivo: "Giri, giri veloce! Ti tieni stretto!
Tutto insieme!
Forse ti fa piacere sentirti tutto unito e ti senti forte
duro.. che nessuno, nemmeno io, può arrivare vicino a te!". Oppure quando sdraiato a terra, fermo, fa girare vorticosamente davanti ai propri occhi qualsiasi oggetto della scatola dei giochi, senza sosta: " Lo fai girare, girare tanto!.. Anche quando si ferma lo fai girare ancora!.. È sempre lì davanti ai tuoi occhi!.. Non se ne va mai!.. Questo sì ti fa piacere!".
Uso un linguaggio molto semplice e molto concreto, cerco di arricchirlo quanto più mi è possibile con toni della voce atteggiamenti espressioni e gesti, che meglio gli possano far percepire il mio sentire le sue sensazioni, il mio cogliere un senso un'emozione nella sua stereotipia.
Per lungo tempo Al. sembra non ascoltarmi, io resisto al suo apparente disinteresse e ciò sembra rassicurarlo: ogni tanto infatti succede che si ferma, appoggia su di me per un attimo uno sguardo sospeso enigmatico, che altro non lascia trasparire, e poi riprende le sue stereotipie. Allora ai miei commenti aggiungo qualcosa che riguarda maggiormente le sue angosce: "Giri giri, ti tieni stretto, ti tieni tutto stretto! Così ti senti meglio come si sente un bambino in braccio alla mamma! Sì perché un bambino se non si sente tenuto stretto ha paura!" Oppure quando fa roteare un oggetto: "Lo fai girare girare! E' sempre nei tuoi occhi! Perché fa male quando qualcosa che fa piacere se ne va, non c'è più!". Così dopo un lungo periodo, in cui ho l'impressione di aver creato come una sorta di cordone contenitivo intorno ai suoi movimenti stereotipati, succede spesso, soprattutto dopo mie descrizioni e "notazioni" (Bion 1963), che Al. interrompe ad es. i suoi movimenti lungo il muro, si ferma per un minuto, l'espressione passa dall'assente al concentrato su qualcosa che sta nella sua mente: forse stanno comparendo abbozzi di immagini della primaria relazione oggettuale (protoconcezione dell'oggetto). Provo un senso di grande sollievo. Sembra che l'esperienza dell'essersi sentito così a lungo contenuto nella modalità descritta (funzione alfa) gli consenta finalmente di passare dall'autosensorialità ad abbozzi di immagini della relazione oggettuale primaria, sperimentata nei primi mesi di vita. Subito dopo A. inizia, come vedremo, a richiedere che io faccia i contorni degli animali feroci, e della sua mano, per passare poi a disegnare spontaneamente. La funzione alfa nella relazione terapeutica sembra quindi riattivata.
Molto diverse appaiono le stereotipie di M. (grave forma di Autismo - "bambino liquefatto", 5 anni). Quando M. seduto un po' afflosciato, lo sguardo perso nel vuoto scuote la testa facendo sbattere i lunghi capelli sul viso, oppure fa oscillare fra le dita la matita, io seduta su una sedia poco distante da lui dico:"Quei capelli che battono e battono ancora sulla tua faccia che piacere ti fanno!".. " La matita che picchia e picchia ancora sulle dita la senti.. la senti ancora..! e ti fa piacere!". Quando fa oscillare la testa sul collo in un movimento più dolce di ninnamento: "Ti piace dondolare la testa ! è una ninna nanna!"(penso riconosca il suono di questa parola). M. inizialmente sembra non accorgersi nemmeno della mia presenza. Questa esclusione massiccia sembra corrispondere al suo bisogno di essere lasciato indisturbato nella totale immersione nelle sensazioni che si procura. Man mano però in un qualche modo lascia capire di attendersi i miei interventi. Ma ho l'impressione che li attenda per conglobarli, riducendoli a sensazioni (la musicalità della voce ad es.), da aggiungere alle proprie. Man mano abbandona le stereotipie più pesanti quelle in cui scuote il capo incessantemente, ogni tanto si spinge anche a guardarmi per un attimo, ed inizia ad emettere suoni sillabici, che io accolgo mostrando gioia e stupore: "Questa è la tua voce!.. vuoi farmela sentire!.." Poi con espressione abbastanza vivace , ma solo "passandomi sopra" ogni tanto con lo sguardo, inizia a dire qualche abbozzo di parola: "uci!.. uci!", indicando i lampioni della strada, "ole!.. ole!..", indicando verso il cielo. C'è un tono di fretta nelle sue parole. Io: "Le luci , il sole ti piace vederli sempre! sempre nello stesso posto". M. aggiunge con tono quasi incalzante: "poi..poi..?!". "Vuoi sapere cosa succede dopo: il sole va via ma poi ritorna, le luci fra poco si accendono, poi si spengono e poi di nuovo si accendono! Anch'io dopo vado a casa, ma poi domani sono di nuovo qua". "Uci.. ole...poi.. poi..!" vengono ora ripetuti, scuotendo il capo, decine di volte senza interesse come in una cantilena, svuotata di ogni emozione e significato: c'è solo il piacere il sollievo dell'autosensorialità, che l'ecolalia comporta. L'iniziale barlume di interesse per le luci il sole sembra nasca dal suo bisogno di rassicurarsi della loro permanenza. Le mie parole sembrano non sufficienti, ed allora An. si "aggrappa" all'ecolalia (Haag G. 1984). Il suo insistere nella richiesta: "poi..poi..!?" diventa ora finalizzato a farmi ripetere la risposta più volte, in tal modo, mentre le mie parole vengono probabilmente ridotte a semplici sensazioni sonore, ha l'impressione rassicurante di controllare anche me. Dico che ripete ripete quelle parole perché così gli sembra che restino sempre dentro di lui, non se ne vanno mai, ma M. si perde subito in un "uci.. uci..! poi..poi..poi!" ecolalico ancora più insistente. Sembra essergli precluso ogni minimo passaggio dalla "concretezza" delle sensazioni, che si autoprocura con l'ecolalia, cioè l'illusione che tutto resti immutato come quelle sillabe eguali a se stesse, all'emozione che l'ecolalia nasconde (cioè il suo bisogno che tutto resti immutato), passaggio indispensabile per potersi sentire contenuto dalle mie parole, e presupposto per poter riattivare la funzione alfa. Il suo scivolare inesorabile nel non senso dell'ecolalia sembra qualcosa che cattura M., come una forte angoscia (che tutto scompaia si dissolva), che lo sommerge e che porta via con sé tutto.
An. (4anni e mezzo, attualmente7). Stato Autistico "con reazioni difensive invischiate confusionale"(Tustin 1990). An. saltella per la stanza con espressione di ricerca di qualcosa dentro di sé. Mi muovo un poco verso di lui, e aiutandomi con la mimica del volto e con gesti commento: "An. saltelli, saltelli tutto solo come un uccellino che saltella alla ricerca di qualcosa! Cerchi, cerchi qualcosa che ti fa stare bene!" Quando poi si ferma a guardare nel vuoto con aria trasognata un qualcosa che è nella sua mente, commento: "An. ti sembra di vedere qualche cosa che ti fa piacere". A questo punto capita spesso che An. passa a ricercare il contatto con la scarpa, per giungere poi a pizzicare, che cerco di fermare. Il suo salterellare come alla ricerca di qualcosa dentro di sé mi sembra nascere dal naturale bisogno delloggetto accogliente, (forse in quel momento è in contatto con le qualità accoglienti dell'oggetto che in parte penso siano state presenti nella relazione con la mamma), ma quando si ferma a guardare nel vuoto con lo sguardo trasognato e vi si attarda, sembra scivolare lentamente in contatto con le qualità eccitanti e sadiche delloggetto, che lo intrappolano, spingendolo poi all'atto del pizzicare. Questa sequenza di comportamenti, che si ripete più volte ad ogni seduta, penso sia una sorta di aggrappamento a quelloggetto eccitante e sadico conosciuto in quella prima fase della relazione con la madre, a cui è avvenuta la regressione e la fissazione di tutte le sue risorse vitali. L'aggrappamento alla fusionalità gli permette di continuare a sentirsi in contatto con il proprio oggetto (parziale), ed anche di mantenerlo in vita. E molto difficile richiamare An. da tale aggrappamento, in quanto il piacere perverso che trae dalle situazioni di fusionalità lo spinge a crearne delle nuove, in un circolo vizioso che si autoalimenta. Il suo vivere solo dentro immagini di fusionalità non permette l'accesso ad altre sensazioni e spinte vitali. Sento An. così dentro solo a percezioni sensoriali per lui così catturanti che per dare avvio alla funzione alfa penso sia necessario forzare queste sue resistenze, "rivolgendosi alla propria creatività e mettendola in gioco" come dice Athanassieu (2004), lo stesso concetto in Alvarez (2002). Così quando An. inizia a mostrare interesse per i fogli e i pennarelli e per tracciare timide righe mette la mia mano sulla sua, io sono ben lieta di tenergliela. Lo aiuto a disegnare una stella e poi gli dico mostrandogli meraviglia stupore e contentezza che è proprio bella. An. con espressione del volto piacevolmente stupita per la nuova emozione vuole farne altre. Attivare la funzione alfa significa ad es., in questo caso, offrire al bambino la possibilità di sperimentare sensazioni fisiche nuove (la sensazione di sentirsi contenuto dalla mia mano che accoglie la sua) ed emozioni nuove: la mia partecipazione emotiva stimola la sua emozione (per il disegno della stella), che viene accolta da me e restituita ancora più distinta chiara e rafforzata.
In situazioni come quella del disegno a due mani il rischio di favorire la sua tendenza a scivolare nella fusionalità è certo presente. Succede infatti che An. a volte allenta la presa sul pennarello e con un sorriso furbo tenta di pizzicarmi al braccio, che non permetto. Penso sia comunque molto importante offrire situazioni relazionali come quella descritta perché la sua tendenza a trasformare tutto in fusionalità, in sensazioni a lui ben più note e tranquillizzanti, penso non abbia il potere di annullare completamente la nuova esperienza. Infatti in me prevale l'immagine di An, che cerca di concentrarsi sul disegno come supportato dalla sensazione di contenimento della mia mano e dall'emozione che sembra prenderlo ogni qual volta riesce nel disegno e quando coglie la mia emozione di fronte al suo disegno. Entrare in situazioni a rischio di fusionalità mi è sembrato un percorso obbligato, per poter raggiungere il bambino.
Sempre con la medesima finalità, nei momenti in cui An. seduto sul tappetone più volte mette fuori dalla scatola a caso alcuni pezzi di costruzioni e poi li rimette dentro confusamente, sempre senza guardarli, seduta su una seggiolina accanto al tappetone, mi viene da richiamare la sua attenzione (canalizzare la sua attenzione su sensazioni nuove, maggiormente distinte, su una me che riesce a distinguere, a contenere e a costruire) sui pezzetti di costruzioni, sulle loro forme sui loro colori diversi, poi costruisco sulla mia mano con due pezzetti una casa piccola e con altri due una casa più grande. An. per molto tempo tenta di ostacolare i miei tentativi di costruzione. Un giorno con mio grande stupore An., che sembra quasi risvegliatosi, passa a versarmi in grembo tutto il contenuto della scatola delle costruzioni, poi li ritira giù, poi li rimette sulle mie gambe e avanti così con espressione sicuramente più vitale. Sembra con il suo mettere e togliere provare se il contenitore non scompare, se continua ad esistere. Dopo sembra soprattutto preoccupato che restino tutte sulle mie gambe. Dico che certo gliele tengo tutte, e con le braccia e le mani creo una sorta di barriera intorno alle costruzioni. Poi gliene porgo alcune. Lui le prende poi nuovamente le rimette sulle mie gambe. Prende il tetto piccolo e guardandomi appena e con grande fatica articolatoria dice: "etto" e poi "picco!" e poi "ande!", ed inizia a fare tentativi di costruzioni. Sembra forse iniziare a percepire che può esistere un contenitore che può contenere e restituire qualcosa di utilizzabile. Accolgo queste sue prime parole con enfasi. In seguito An.. costruisce sulla mia mano prima una casetta piccola poi unaltra più grande, a cui scambia di seguito più volte il tetto. Pur nella sua realtà interna ancora molto invischiata nell'adesività, An. sembra iniziare a fare dei tentativi di distinzione. Accolgo con entusiasmo questa sua prima costruzione e mi sembra di cogliere sul volto di An. unespressione nuova, quella di una gioia nuova.
RIEMERGE LOGGETTO OCCULTATO, COME FAVORIRE LA SUA RICOMPOSIZIONE
Al. dopo il lungo periodo occupato da intense stereotipie (quasi due anni) accompagnate dai miei innumerevoli commenti e in seguito "notazioni", mi fa capire che desidera che io faccia i contorni di alcuni animali feroci e in seguito della sua mano. Io raccolgo linvito e disegno dicendo: " Così la tua mano sta dentro a questa linea! Ti piace sentire un contorno intorno alla tua mano!".( E forse se possono essere contenute anche le sue parti aggressive - gli animali feroci). Penso che Al abbia fatto suo il senso di contenimento attorno a tutti i suoi movimenti, che ho cercato di trasmettergli, ed ora sembra richiederlo a livello più simbolico. Dopo non molto fa il suo primo disegno. Penso che il lungo lavoro di partecipazione di restituzione di emozioni e di senso alle sensazioni, che si procurava attraverso le stereotipie di movimento, abbia permesso ad Al. di giungere alla rappresentazione grafica delle sue parti frammentate dentro la sua testa (I disegno). Gli dico che disegna come si sente lui dentro, e che sente anche la presenza di qualcosa (di diverso dal suo movimento) che sta fuori di lui, che lo può tenere insieme, dentro di sé, come la lavatrice, forse come una persona che pensa a lui. Nei disegni successivi (II disegno) le patri frammentate scompaiono, lasciano posto ad un volto meglio definito, come se quei pezzetti si fossero ricomposti, il tutto allinterno di un contenitore, la lavatrice. Penso che questo disegno abbia segnato un punto di arrivo importante: il suo potersi sentire, anche se momentaneo, intero, quindi in contatto con un oggetto intero. Forse l'oggetto occultato sta riemergendo. Il suo disegnare, preceduto e seguito da stereotipie di movimento, avviene in completo isolamento, apparentemente almeno, se alza lo sguardo mi passa attraverso. Io comunque commento con partecipazione che desidera mostrare come si sente ora, non con la sensazione di tanti pezzettini dentro la testa, ma con una testa tutta intera, e che la sua testa intera ha bisogno di stare dentro a qualche cosa, forse dentro a qualcuno che pensa a lui, forse dentro ai miei pensieri. L'interpretazione penso aiuti a rafforzare il suo sentirsi ricomposto, intero.
Nella situazione di M. il bisogno estremo di mantenersi immerso nelle sensazioni rassicuranti prodotte dalle stereotipie e dall'ecolalia rende molto difficile svolgere quella funzione di raccordo, così fondamentale, fra sensazione ed emozione (presupposto per riattivare la funzione alfa), perché l'accesso a quest'ultima sembra impedito. Non si tratta quindi di aiutare l'oggetto a riemergere, perché non è ancora introiettato; si tratta di aiutare M. ad avvicinarsi alla possibilità di provare emozioni all'interno di una relazione. Ritengo a questo punto (eravamo nel 96 e M. aveva sette anni) necessario intervenire attivamente con qualcosa in grado di produrre sue emozioni. Sento come di doverlo "richiamare alla vita", come dice H. Alvarez nel "Compagno vivo" (1993). Così introduco il gioco del racconto. Prendendo spunto da semplici sue parole come "lavatice" (vuol sapere se nello studio c'è la lavatrice), che, se io colgo dicendo che a lui fa piacere immaginare questo posto eguale identico a casa sua, si perde in una cantilena stereotipata, mostrando interesse dico che la lavatrice è rotta e chiedo se vuole aggiustarla, risponde "Voio..Voio..!" Chiedo con che cosa verrà da me, risponde "acchina!"
Chiedo che cosa usa "ite!" (cacciavite) che cosaltro porta con sé, "ello" "inze!" M., sollecitato da mie domande precise tese ad arricchire il racconto, cerca di rispondere, in ultimo fa il gesto di usare il cacciavite e poi il gesto del cestello che gira. Questo racconto sembra interessarlo, segue con partecipazione, sorride, ha lo sguardo illuminato, porta finalmente una sua emozione: lemozione per un "gioco" fatto insieme, al quale non segue il solito scivolare nella stereotipia. Giochi di racconti simili a questo vengono inventati via via, e talvolta è M. ad offrirne intenzionalmente lo spunto.
A proposito dellattenzione che possiamo essere in grado di offrire mi sono trovata a fare considerazioni che mi hanno dato un senso di speranza. Mi sono accorta che le volte in cui riesco nel gioco del racconto a tenere un buon livello di attenzione emotiva costante, l'attenzione di M. e la sua capacità di provare emozioni aumenta considerevolmente. Diversamente cè un appiattimento ed un suo scivolare nelle stereotipie. Ciò mi ha permesso di cogliere maggiormente lestrema sensibilità di M., intesa come capacità di sentire le mie emozioni ed anche di rispondere con proprie emozioni. In questi momenti con M. ho avuto la sensazione molto chiara di come la comunicazione, fatta anche di espressioni del volto di gesti, fosse sorprendentemente possibile ed avvenisse da inconscio ad inconscio. E di questo periodo, in cui M. evidentemente trae da questo nostro stare insieme un piacere più soddisfacente di quello che gli deriva dalle stereotipie, alla fine di ogni seduta il suo sorprendente accorato: "voio tare qua! voio tare qua! voio tare n te!" (pronunciate socchiudendo gli occhi e portando il capo all'indietro per lo sforzo anche articolatorio che ciò gli comporta), finalmente un'espressione piena di emozioni e di significati. Con M. quindi riesco solamente a permettergli la nuova esperienza di provare emozioni condivise all'interno di una relazione e di riconoscerle come tali.
Sono io però che ogni volta do linfa vitale, che tengo viva la sua emozione anche durante il gioco. Inoltre il gioco, che non è un vero gioco perché manca di profondità, di tridimensionalità, resta abbastanza simile a se stesso. Ho però la possibilità di rendermi conto che comunque esiste una sua parte capace di provare intensamente emozioni, anche se elementari, che non può non corrispondere ad una sua energia vitale altrettanto intensa, che ha preso un percorso distorto già dallinizio.
La terapia di M. si è poi interrotta. Viene da concludere che se nei bambini affetti da Autismo grave la capacità di provare emozioni esiste, pur nascosta sotto stereotipie massicce, come esiste in M., e sembra procurargli intenso piacere, bisognerebbe allinizio della vita poterla aiutare a svilupparsi, anche se molto assopita, aiutando la relazione madre bambino, quando le risorse vitali del bambino, anche se fragili, non sono state ancora messe tutte al servizio dellautosensorialità. Penso infatti che all'età in cui M. è giunto alla psicoterapia (ai 5 anni) e con strategie autistiche così saldamente strutturate, da bloccare ogni possibilità di accesso alla relazione, la psicoterapia possa essere di scarsa utilità.
Queste situazioni di gioco lo hanno forse aiutato a pervenire alla capacità di verbalizzare in modo molto essenziale bisogni e desideri altrettanto elementari.
An
Su un grande foglio è rappresentata una fattoria in tutte le sue parti, An. le nomina con gioia crescente, ben diversa dal piacere che con sorriso furbo accompagna i suoi pizzichi. Un giorno, dopo aver indicato e nominato con soddisfazione la finestra della casa della fattoria, saltella e indicandola dice con gioia: " Si-nora!.. Si-nora finetra!.. Si-nora finetra!". "Signora finestra!?
Dici che cè una signora come me là dentro! Dici che è un po come se io fossi là dentro!?" Sono sorpresa ed emozionata. Mi dico, subito dopo, che forse è solo un'equazione simbolica (Segal 1957), ma poi penso che quelle finestre possano rappresentare i miei occhi che lo continuano a guardare e che danno espressione ai suoi sentimenti. E poi la casa che lui immagina con dentro una persona sembra finalmente uno spazio con dentro un oggetto più completo dalle qualità migliori. An. sembra gradire sempre più questo nuovo tipo di gioia, che sembra anche un po stupirlo.
Recentemente An. ha disegnato un piccolo pallino, che riempie di colore con molta concentrazione e cura. Si sofferma molto su di esso, un piccolo An. nuovo, che sta nascendo. Ne fa altri simili con molta concentrazione calma, alcuni hanno un filino che li fa assomigliare a dei palloncini. Finalmente è un disegno tutto su. I pallini sembrano rappresentare i suoi nuovi iniziali punti fissi (nuovi oggetti introiettati -elementi alfa) e i palloncini forse le sue parti che tendono ancora verso la fusionalità. Poi improvvisamente scarabocchia con rabbia sul disegno, e con espressione quasi dispiaciuta, tenta di pizzicarmi. "An. hai paura che se disegni tutto da solo questi bei pallini io allora non sto più vicino a te, ti lascio solo?" Sembra che iniziare a staccarsi dalla fusionalità renda in certi momenti ancora più forte la sua angoscia di trovarsi solo, per cui attraverso il pizzico ritorna nella fusionalità. Si alza dal tavolo e passandomi davanti mi lancia in grembo Topolino di peluche (un suo gioco di quando era piccolo che la mamma aveva portato allinizio della terapia), guardandomi con espressione forte, richiedente. Va al tappetone, vi si sdraia, e da lì mi osserva attentamente. Sembra interessato a sapere io che cosa ne faccio di Topolino, di An. piccolo, di An. nuovo (i suoi pallini), come si può convivere con queste parti nuove. "Ma io lo tengo in braccio, lo cullo e gli do le carezze.. mica lo pizzico! Non lo tratto male come hai fatto tu con il tuo disegno!" e nel mentre accarezzo la testa di Topolino. An. mi guarda interessatissimo e stupito. Sembra che stia timidamente emergendo l'oggetto, che però è ancora esposto alle incursioni dell'oggetto sadico. Poco tempo dopo An. costruisce una torre un ponte delle case, che io accolgo dicendo che mi vuol mostrare un An. nuovo che sa costruire. An. socchiude gli occhi volge il capo appena un po' di lato, si chiude con un dito un orecchio, il tutto con un accenno di sorriso che esprime consapevolezza trattenuta per ciò che sta accadendo in quell'attimo, come se capisse che costruendo liberamente ha fatto qualcosa che lo smaschera: può rinunciare alla fusionalità e far uso dell'oggetto. In quell'attimo ho chiara la percezione che sta emergendo, sulla traccia della nuova relazione, un oggetto nuovo, vitale, libero dalle immagini di fusionalità. Permangono comunque momenti, soprattutto dopo contatti emotivi intensi come quello descritto, in cui An. si alza e va ad es. a sfiorare il muro con il palmo della mano e per un attimo sembra intrattenersi con qualche immagine di fusionalità. Sono situazioni che però possono finalmente essere interpretate all'interno della relazione terapeutica come una difesa, come se il suo rivolgersi ad un'immagine, che pensa sempre disponibile, lo potesse difendere dal timore che io e le nuove introiezioni possiamo svanire. Anche a casa e a scuola An. sembra iniziare ad far uso delle nuove introiezioni. A scuola accetta di più le attività molto semplici proposte e talvolta entra, senza farsene troppo accorgere, in qualche gioco di movimento dei compagni. I genitori riferiscono di frasi pertinenti dette all'improvviso, come sfuggite al controllo: "mangio tonno", oppure "ho visto coccinella!". I genitori e le insegnanti dicono che in questi momenti "è meglio non elogiarlo molto! Altrimenti torna in dietro!".
LINGUAGGIO
Che cosa favorisce la sua comparsa. Sue caratteristiche iniziali. Come accogliere il linguaggio sotto forma di "insalata di parole"
Quando il bambino autistico inizia ad abbandonare la corazza protettrice delle stereotipie, perché siamo riusciti a restituire valore emotivo alle sensazioni che si autoprocura attraverso di esse, inizia a crearsi nella sua mente uno spazio interno dentro cui si depositano le nuove introiezioni, gli elementi alfa, di cui il bambino può cominciare a far uso. A questo punto il desiderio di mettersi in contatto con gli altri anche attraverso le parole sembra iniziare a prevalere, anche se con discontinuità, sul bisogno di estraniarsi dall'esterno.
Vorrei fare una riflessione sul linguaggio delle cassette usato, in una forma definita "insalata di parole", da molti bambini affetti da Autismo Incapsulato, quando iniziano a provare il desiderio di parlare. Evidentemente guardare le cassette risponde ad alcune esigenze del bambino autistico. Partiamo dal presupposto che il bambino affetto da Autismo Incapsulato occulta il suo oggetto, cui tiene moltissimo, per proteggerlo dallesterno che teme a dismisura, tanto che da esso si isola e si estranea, e consideriamo che proprio perché ama il suo oggetto ed è molto interessato ai sentimenti ad esso riferiti, continua a desiderarlo, anche se è costretto a tenerlo occultato. Ricordiamo che anche tutte "le pulsioni, le turbolenze emozionali" (D. Houzel 2003) riferite all'oggetto vengono occultate e controllate attraverso le stereotipie, ma restano vive dentro il bambino. Quindi se nella realtà esterna esiste una qualche situazione che parli di sentimenti in modo tale però da non coinvolgerlo in prima persona, in quanto relazionarsi per lui significherebbe mettere in grave pericolo il suo oggetto occultato, il bambino autistico è ben contento. Il televisore è un interlocutore discreto: non si rivolge mai direttamente a noi ed è completamente sotto il nostro controllo per via del telecomando. Che cosa può sperare di meglio in questa fase il bambino autistico? E' probabile che almeno inizialmente non comprenda il racconto, nemmeno singole porzioni, ma penso colga la coloritura emotiva di quei racconti. Ne è attratto e ricerca quei volti, quelle espressioni che esprimono sentimenti. Non a caso tutti i bambini prediligono le cassette dei vecchi cartoni di Walt Disney perché sono sicuramente più umani, i sentimenti semplici e meglio espressi. Quindi su una loro traccia interna, nelle espressioni dei personaggi il bambino autistico ritrova le sue pulsioni i suoi sentimenti. Guardando e riguardando gli stessi cartoni le parole gli restano impresse per la coloritura emotiva che coglie nellespressione dei personaggi (il supporto visivo è importantissimo). Così prende ad usare queste parole, che per lui hanno ciascuna un valore emotivo, mettendole assieme apparentemente in modo confuso: "l'insalata di parole". In questa fase come si può favorire la comparsa del linguaggio, che rappresenta una tappa importante nei processi verso la simbolizzazione? Qual' è la funzione del terapeuta? Riporto un esempio nella terapia di Sv., (8 anni e mezzo) affetto da Autismo Incapsulato, attualmente nella fase del linguaggio sotto forma di "insalata di parole".
All'inizio emette solo suoni duri mentre si muove per la stanza tenendo fra le mani molti animali. Io dico con meraviglia che mi fa sentire la sua voce, che vuole parlare e che gli animali gli tengono compagnia. Dopo alcuni mesi (S. ha 8 anni e mezzo, da 3 in terapia) mentre cammina in tondo per la stanza inizia a pronunciare parole l'una di seguito all'altra: "Ragazzi compagnia! 14 venerdì! Pallone gonfiato!.. Vogliamo smettere di discutere! Siamo pazzi!"
"Si è fatto male?!.. Accidenti! colpa mia! bricconcello!" "Scuola aperta, scuola chiusa! Picchiarello, lampada magica! Pippo alla campagna! Mondo animali! Brutto canide idiota!" quest'ultimo detto con tono di simpatica prepotenza. E' difficile trovare un senso che si mantenga, allora cerco di cogliere anche dall'intonazione di Sv. la coloritura emotiva almeno di alcune delle sue parole, ed affidando molto alla mimica e alla gestualità la comunicazione dell'emozione, dico: "Ai ragazzi piace stare in compagnia!" "Pallone gonfiato a chi!?" accentuando con la mimica l'espressione benevolmente indispettita di chi si sente messo in causa. "Da fastidio sentire tanto discutere!".. "Qualcuno si è fatto male? Sei preoccupato? Perché colpa tua? Perché bricconcelo?"..."Quante parole conosci! Anche i titoli delle cassette!" "Ci saranno i compagni a scuola ad aspettarti!? " "Brutto canide idiota a chi?!" In certi momenti nelle parole di Sv. è presente un tono di simpatica spavalderia: sembra proprio che voglia uscire con prepotenza con le sue parole, con me che sente parlare da tanto tempo! Cerco in questo modo di cogliere e rinforzare il valore emotivo delle sue parole, che Sv., sulla scorta di tracce interne di suoi sentimenti, ha colto nell'espressione dei personaggi dei cartoni. Per rendere definitivamente sue le parole, che rappresentano tali sentimenti, Sv. ha bisogno che esse vengano accolte con altrettanta emozione all'interno della relazione (funzione alfa). Cogliere i sentimenti che il bambino con quelle parole desidera esprimere, e restituirglieli con parole, o anche solo con la mimica, resi più evidenti e rafforzati dalle nostre emozioni, aiuta il bambino a fare ancora più sue quelle parole. In tal modo si favorisce anche il percorso verso il registro della simbolizzazione. In seguito muovendosi sempre per la stanza, guardandomi ogni tanto, e dando alle sue parole un'intonazione vagamente di racconto: "Veramente casa mia videocassette, finalmente magia casa mia videocassette! Allora casa mia campane ragazzo nuvole. Compagnia cuccioli della giungla! Nuvole, compagnia coraggiosa, compagnia facendo. Allora meraviglia casa mia videocassette! Compagnia, nuvole cervello, assieme musica! Finalmente casa mia meraviglia cuccioli della giungla!" Nell' "insalata di parole" si inizia a percepire la comunicazione più evidente di propri sentimenti
Io: "Come stai bene a casa tua in compagnia! Ci sono le videocassette, tutti i tuoi cuccioli di peluche! E se ti viene qualche pensiero triste, le nuvole, la compagnia, tutti insieme lo fanno passare!". Di ritorno dalle vacanze estive Sv. entra tenendosi un dito stretto e piagnucolando Io: "oh poverino, ti fa male!" Sv.: "Bua! Accidenti! meraviglia casa mia! Sto facendo il possibile! Meteo(= tempo) fine! Non è possibile!" "Lascia perdere Sv!" gli dice il pugno davanti al viso. Nel mentre gira per la stanza ma si rivolge anche a me. Schiaccia il piede di Pluto sotto la gamba del tavolino "tutto bene Pluto? Smettila pallone gonfiato!" con voci diverse. "La stagione fresca è finita!" Poi mi schiaccia un dito del piede! Io fingendo sorpresa: " ah mi vuoi far provare come sei stato male senza di me durante le vacanze! E se non me ne accorgo subito sono un pallone gonfiato!" "In-do-vi-na-to!" Mi prende per la caviglia dicendo: "mi dichiaro in arresto!"(sbaglia i pronomi, ma l'intenzione è chiarissima) e mi tira come per portarmi via. Poi nuovamente piagnucolando per il dito: "Ci vediamo domani!?" dice con tono un po' automatico come a negare l'ammissione del desiderio.
E' evidente come le frasi delle cassette, alle quali inizia ad aggiungere liberamente altre parole, vengono ora usate per esprimere sentimenti nei miei confronti all'interno della relazione.
Penso sia riduttivo considerare "l'insalata di parole" solo come una "seconda pelle" (Bich 1968), con cui il bambino si difenderebbe. Questo succede forse in certi momenti quando, dopo un contatto emotivo nella relazione per lui troppo prolungato, il bambino prova il bisogno di riposarsi un po'; allora può succedere che usi "l'insalata di parole" con minore valenza comunicativa, e più in senso difensivo. E' importante invece chiedersi che cosa succede se quelle parole che il bambino comincia a desiderare di usare non vengono raccolte da qualcuno che restituisca loro valore emotivo. E' questa una situazione in cui il lavoro di collaborazione con genitori insegnanti ed educatori risulta molto utile. Se riusciamo a far loro cogliere il significato di tale linguaggio, cioè perché il bambino "sceglie" questo linguaggio, a che cosa gli serve, e quindi come esso può evolvere, troveranno da soli il modo più idoneo per accoglierlo.
Al., che ha ora quasi sei anni, inizia a parlare anche lui in modo peculiare, con alcune caratteristiche diverse da Sv. Allinizio sono suoni sillabe, poi più sillabe, il tutto in modo piuttosto concitato mentre continua a muoversi su e giù per la stanza, senza mai guardarmi o rivolgersi a me. Poi parole di cassette, del "Libro della giungla" e soprattutto di "Dumbo" di Walt Disney. A volte sono giuste a volte distorte. Ma Al. è soprattutto interessato alla ripetizione corretta di lunghe frasi di cassette. Comincia usando parole di una frase della cassetta in modo confuso, non si distingue il soggetto dalloggetto, alcune parole sono distorte, poi riinizia da capo la stessa sequenza, poi di nuovo una grande confusione, poi di nuovo dallinizio per arrivare sempre più vicino alla sequenza corretta. E come se fosse tutto teso alla ricerca di qualcosa di preciso dentro di sé. Ho come l'impressione che stia seguendo una qualche traccia interna di una sua emozione e che voglia esprimerla con quella sequenza, vista e rivista decine di volte. Il tutto con grande sforzo di concentrazione, mentre si muove per la stanza avanti ed indietro senza guardarmi. Io sottolineo molto il fatto che riesce a dire delle parole, che vengono proprio da lui e che me le fa sentire come lui sente le mie. Succede che dopo innumerevoli tentativi, decine e decine, in cui dice una parola in più poi sbaglia e allora ricomincia da capo, riesce a mettere insieme una lunga frase corretta della cassetta di Dumbo. Sono tentativi, da cui si comprende che le parole di quella sequenza non hanno per lui ciascuna un preciso significato, e sofferti perché vuole arrivare a dire (ripetere a memoria) quella lunga frase difficile e con lintonazione del cartone: "Signore e signori, avete visto limpossibile compiuto sotto i vostri occhi! Sette giganti della giungla, ognuno dei quali pesa non un grammo di meno di due tonnellate, far la piramide. Ed ora vi presento il più piccolo elefante del mondo, che scatterà da questa pedana con un salto fino al vertice della piramide, dove agiterà la sua bandierina per un gran finale! Signore e signori vi presento: Dumbo!!" Io dico che è molto bravo!.. che mi ha voluto mostrare qualcosa di molto bello che ha dentro di sé, a cui tiene moltissimo. Dico che vuole presentare Dumbo, ma anche se stesso capace di fare una cosa meravigliosa: dire quella lunga frase (è soprattutto la presentazione che sembra interessarlo, la parte precedente è solo come un rullare di tamburi). Sembra presentare il suo oggetto, qualcosa di molto bello che sente dentro di sé, il suo amore per l'oggetto ( Dumbo voleva riuscire a volare per liberare la mamma imprigionata a causa delle orecchie anomale di Dumbo), ma anche i suoi sentimenti aggressivi verso di esso, in quanto Dumbo nel suo tentativo fallito di volare fa crollare tutto il circo. La mia interpretazione, che sottolinea l'emozione del presentare se stesso -l'oggetto-, penso possa favorire l'emergere di quest'ultimo ed anche la sua ricomposizione. La frantumazione dell'oggetto è evidente nella presenza di un linguaggio (ad eccezione delle frasi di cassette ripetute) a questo momento ancora fortemente frammentato. Al. a questo punto tende a ripetere alcune volte di seguito la frase. Gli dico che ripete ripete la frase perché vuole che resti dentro di lui, che teme che possa scomparire, crollare come il tendone del circo. Il ripetere la frase sembra un gioco fra il contatto con l'oggetto che emoziona moltissimo ed il bisogno poi di controllarlo per non perderlo per rassicurarsi della sua esistenza e permanenza (per tenere sotto controllo l'angoscia che scompaia, ma anche i propri intensi sentimenti, anche quelli aggressivi, nei confronti dell'oggetto). Segue poi la ripetizione solo della parte finale della frase che diventa quasi ecolalica. A questo punto succede forse che Al. non riesce più a controllare quella frase per l'intensità dei sentimenti che racchiude e che evoca in lui, ed allora ricorre all'ecolalia che gli dà l'impressione di controllarla a condizione però di svuotarla dei suoi sentimenti. La presenza di sentimenti aggressivi ("violenza pulsionale, turbolenza emotiva" -D. Houzel-2003 ) nei confronti dell'oggetto si manifestano in modo evidente quando in mezzo a parole confuse in più occasioni dice con chiarezza: "Togliti dai piedi brutto assassino!" (le elefantesse a Dumbo). Io: "Le elefantesse arrabbiate cacciano via Dumbo!.. Dumbo avrà pensato di aver combinato un grosso guaio! Voleva riuscire a volare ed invece è andato a scontrare, così è crollato tutto il tendone del circo! Chissà com'è preoccupato!" Al. sembra dire che si sente un assasino e forse desidera vedere come reagisco di fronte a questi suoi sentimenti, se sono come le elefantesse arrabbiate, che lo cacciano, oppure come la mamma di Dumbo, che lo aspetta dalle sbarre per consolarlo! Riprendendo il contenuto della cassetta cerco così di avvicinare Al. ai propri sentimenti, sia a quelli di amore per l'oggetto (la presentazione di se stesso-dell'oggetto-) sia a quelli aggressivi (la "catastrofe" causata da Dumbo). In tal modo gli suggerisco anche l'immagine di una me che non resta così rovinosamente travolta come le elefantesse dai suoi sentimenti aggressivi, che anzi li contiene.
Al. predilige alcune frasi, come quelle di Dumbo. Le fa precedere e seguire da stereotipie di movimento, come se all'inizio dovesse controllare l'emozione per il riicontro con l'oggetto e dopo l'emozione per averlo mostrato attraverso la frase della cassetta.
Intanto Al. a scuola inizia a leggere, un po' in automatico, apparentemente senza cogliere il senso.
Sono di questo stesso periodo (I elementare) i bei disegni dei Corvi (disegni III e IV), tratti anch'essi dalla cassetta di Dumbo. Ne fa una serie, almeno una ventina. Disegna senza mai rivolgersi a me o guardarmi, preceduti e seguiti da stereotipie di movimento come per le frasi delle cassette. Sono disegni molto belli ed espressivi che mi colpiscono ed anche mi lasciano perplessa per lo sfasamento fra la ricchezza del contenuto e la modalità completamente distaccata dalla relazione con cui vengono prodotti, fra la raffinata capacità di rappresentazione grafica e la quasi assente minima capacità di verbalizzazione spontanea sia in terapia che nelle altre situazioni. E' come se fosse tutto concentrato su se stesso e sul disegno e non esistesse null'altro attorno a sé. Come se ogni volta si concentrasse su un fotogramma interno per lui evidentemente molto significativo che trova espressione nei personaggi dei cartoni.
Esiste un personaggio centrale, che solo in seguito compare anche con la testa, posto fra due corvi, uno dei quali ha un grossissimo becco con il quale a volte sospinge il personaggio centrale, a volte invece sembra trovare in esso un ostacolo. Dall'altro lato del personaggio centrale c'è un secondo corvo che a volte ha un'espressione perplessa a volte sembra sospinto anch'esso. Sembrano essere presenti temi edipici con la sovrapposizione di vissuti di prepotenza quasi fisica del primo corvo sul secondo, che il personaggio centrale si trova ad ostacolare, come se il bambino che si pone nel mezzo dovesse fronteggiare anche la prepotenza del padre sulla madre. Io mi limito a descrivere e a fare semplici "notazioni" sui sentimenti dei vari personaggi, soprattutto di quello centrale con il quale Al. penso si identifica. Mi sembra che per Al. sia un modo, nuovamente mediato dalle immagini delle cassette, di avvicinarsi a contenuti difficili che diversamente non riuscirebbe a rappresentare. Al disegno fa quasi sempre seguire una stereotipia di movimento, in cui si perde, ma che lascia ormai meglio trasparire l'intenzione di difendersi, distogliendosi, dall'emozione troppo forte espressa nel disegno.
VERSO IL REGISTRO DELLA SIMBOLIZZAZIONE
Quando il bambino autistico inizia a rappresentare con parole o disegni proprie sensazione ed emozioni, possiamo finalmente pensare che la strada verso il registro della simbolizzazione è tracciata.
Sv., inizia ad usare parole delle cassette, cui aggiunge liberamente altre parole, per esprimere proprie sensazioni ed emozioni, ed usa già da subito il linguaggio per porsi in relazione con me. In tal modo sembra avviarsi verso il registro della simbolizzazione. Credo che anche Al. si muova in questa direzione. I suoi bei disegni dei Corvi di Dumbo esprimono sue sensazioni e sentimenti anche intensi. Ma per la modalità con cui disegna, mantenendosi isolato nel suo mondo, penso si crei l'illusione di riuscire a mantenere celati e quindi sotto controllo quei sentimenti. Inoltre Al. usa le frasi delle cassette, con le quali esprime certo suoi intensi sentimenti, ma in modo ermetico, senza mai entrare in relazione con me, anzi mantenendosi con l'attenzione in un suo mondo. Non procede poi gradualmente verso un uso più libero di quelle parole a cui aggiungerne nuove, ed il linguaggio spontaneo, nelle minime forme in cui è presente, è talmente frammentato da risultare incomprensibile. Sembra esserci qualcosa che ostacola con molta forza l'acquisizione del linguaggio Penso in questa fase essere l'intensità dei sentimenti ("pulsioni, turbolenze emotive"- Houzel 2002) del bambino verso l'oggetto ed il bisogno di tenerli sotto controllo a rendere il linguaggio frammentato e ad ostacolare la possibilità di mettersi in relazione con gli altri.
Al. frequenta la II elementare. In seguito ad una situazione drammaticamente espulsiva che si crea a scuola nei suoi confronti Al. sembra regredire. Abbandona i bei disegni ed il linguaggio delle cassette. Solo dopo due mesi la situazione si normalizza ed Al. si tranquillizza, ma sembra aver ancor più di prima bisogno di controllare l'angoscia che l'oggetto scompaia, ma anche l'intensità dei suoi sentimenti. Al. trova ora riparo in disegni di giochini del game boy (si tratta solo di linee rigide, pallini, e quadratini), ed in abbozzi di parole e poi di frasi sconclusionate riguardanti quel giochino, L'animazione del gioco, che si ripete ossessivamente, con il relativo "racconto" è concitato ed incalzante, come lo erano le sue stereotipie. Sembra muoversi fra il desiderio di arrivare alloggetto e il bisogno, ancora più esasperato di prima, di tenerlo sotto controllo, assieme ai propri sentimenti verso l'oggetto. Cerco di entrare in questi suoi giochini, mostrando interesse chiedendo che cosa succede, lo invito a spiegarmi. Non mi lascia entrare facilmente, ma a tratti la sua attività diventa meno concitata e mi spiega in modo caotico che cosa succede se schiaccia questo o quel tasto. Io seguo attentamente le sue spiegazioni confusissime. Sembra lasciarmi un po più accanto a lui purché io schiacci i tasti giusti, gli dimostri cioè di voler stare accanto a lui dentro a questi giochini ossessivi, dentro il suo controllo esasperato e quindi vicina all'angoscia e ai sentimenti che il controllo nasconde. Solo ogni tanto sento di poter fare qualche considerazione e "notazione" ad es. sul perché quel personaggio va avanti e indietro lungo il percorso del giochino (l'Al. che continua a fare questi giochini): "Forse ha paura di fermarsi, ha paura che se si ferma con qualcuno, questi poi lo possa lasciare solo! Chissà che fatica! Forse sarà anche arrabbiato per non riuscire a fermarsi con qualcuno!". Così succede che, dopo essergli stata accanto per mesi in questi suoi racconti caotici riguardanti il game boy, le frasi iniziano ad aver un senso, sono maggiormente strutturate, cè un po di coerenza. La partecipazione emotiva, il restituire significato emotivo alle forme di controllo, che mette in atto, ed il contenimento dei suoi sentimenti aggressivi sembrano nuovamente aiutarlo. Dopo alcuni mesi, Al. ha ora otto anni e mezzo, ripropone ancora temi del game boy, ma per esprimere contenuti che ben più direttamente lo riguardano. "Sì perché io voglio restare nel mondo del game boy!.. Poi se si scarica io lo butto a terra, gli salto addosso e lo rompo. Poi compro quello rosso, quello verde nel negozio di Priarugia, in quello di corso Sardegna! E se si scaricano rompo anche quelli e i giochini!!". Dico che vorrebbe che io ci fossi sempre e tutta per lui, altrimenti si sente calpestato, buttato via ed allora gli viene molta voglia di calpestare tutto. Al.: "Sì perché quando mamma e papà sono stati in municipio quando sono venuti a casa, io ero finto, non esisto!.. E poi la mamma è fuori e poi torna e quando torna il papà, loro sono seduti assieme e io sono finto, non esisto e allora sono finto!", dice con tono agitato arrabbiato, ma che esprime anche dispiacere per il sentirsi escluso. Dico che se immagina la mamma vicino al papà lui si sente finto, come se non esistesse più. Dice che ora desidera disegnare Vaiolent (il personaggio di un giochino). Disegna un minigolf con percorsi buche, e su un percorso una porta chiusa con dietro un grosso bidone della spazzatura e Vaiolent poco prima della porta. Ho la sensazione che quella porta del disegno di Vaiolent non sia solo la porta della stanza di mamma e papà oltre la quale si è sentito escluso, ma anche la porta (della casa della nonna malata) oltre la quale si è sentito "cadere", la porta che nei suoi vissuti fantasmatici ha segnato definitivamente la traumatica separazione dalla mamma. La seduta successiva Al. dopo essersi intrattenuto a lungo, mentre va su e giù per la stanza, con suoni assordanti che sembrano servirgli a darsi forza, si ferma prende il disegno di Vaiolent indica percorsi lunghissimi. Vaiolent li percorre tutti più volte, si imbatte in sempre crescenti difficoltà, in innumerevoli imprevisti, poi Al. si ferma ad osservare a lungo le buche disegnante su un percorso, pensieroso con espressione sempre più sofferente. Si alza dal tavolo e viene al cubo morbido che sta vicino a me, vi si mette sopra a pancia sotto con la testa a penzoloni rivolta verso langolo, si dondola emettendo suoni duri. Poi si ferma resta in silenzio per un poco, che a me sembra un tempo lunghissimo e densissimo di emozione, poi dice: "Sento il rumore del mondo che si rompe!" con tono molto sofferto. Sento dentro di me molto forte la sensazione di qualcosa che improvvisamente cede, e di qualcosa che precipita in un silenzio assordante. Al. si siede sul cubo, mi guarda e nei suoi occhi nella sua mente sembrano scorrere delle immagini. Dico che ha provato la sensazione di cadere nel vuoto, come in un buco, e come questa sensazione terribile gli abbia fatto sentire che allora tutto si rompeva, che il mondo si rompeva!
Gli faccio notare che è venuto vicino a me e si è messo su quel morbido cubo! Forse sente che ora cè qualcosa di morbido che può sorreggerlo, su cui puoi contare! La seduta successiva Al. prende per la prima volta la mamma e il neonato dei personaggi della famiglia, mette il neonato in braccio alla mamma e la fa camminare sul bordo del tavolo lentamente come per evitare il pericolo di cadere. Dico che si sente sorretto, ma che forse cè sempre un senso di pericolo dentro di lui. Sembra dire che quel buco, il vuoto, è ancora un pericolo, ma se c'è qualcuno che lo sorregge forse si può affrontare questa grande paura. Dopo non molto tempo Al. un giorno entra nella stanza e come spesso fa emette suoni sostenuti mentre va su e giù per la stanza, poi si ferma si sdraia sul tappetone le braccia intorno alla testa con espressione assorta su qualcosa e dice: "Hai voluto tu aprire quella porta!" non si comprende bene se parla a se stesso o a me, forse a tutte due. E di lì inizia una lunga rappresentazione (dell'angoscia di cosa può trovarsi nel vuoto), che durerà numerose sedute, aggiungendo ogni volta particolari, in cui parla del grande topo di Minske (personaggio di un cartone ) intento a battagliare con la grossa porta di una stanza (la porta della nostra stanza), oltre la quale stanno centinaia di gattini che potrebbero aggredirlo. Vorrebbe aprirla, in altri momenti no, è combattuto. Un grosso tronco puntato contro la porta la tiene chiusa. Così a volte il grande topo tiene puntato quel tronco, a volte invece compie grosse fatiche smuovendo cinghie ruote e simili per rimuoverlo, a volte lo usa per colpire la porta, per sfondarla. Io partecipo facendo considerazioni "notazioni" sulla voracità di quei gattini, sulla preoccupazione e rabbia del grande topo di Minske. Sembra desiderare vedere che cosa cè dietro quella porta oltre la quale gli è sembrato di cadere, vedere tutte le sensazioni terribili da cui si è sentito aggredito. Assieme al grande topo di Minske cè un altro grosso topo tutto di legno, che sembra tanto essere lAl. che si rendeva tutto duro impenetrabile con le stereotipie di movimento. Finalmente la porta viene aperta abbastanza allimprovviso. La scena prima affollatissima all'improvviso ora appare sgombra. Il grande topo di Minske o meglio Al. sembra sollevato. Sono quasi io più stupita, tanto da chiedergli: "E allora Al. i gattini!?" "Eh! Chiara, sono andati via!!" "E il compagno di legno del grande topo di Minske!?" "Eh!.. Non cè più, Chiara!". L'angoscia è svanita e le stereotipie non hanno più motivo di essere. Le cose non andranno direttamente così, ma l'essere riuscito a mettere in parole l'angoscia "del senza nome" e l'angoscia per quello che nel vuoto si può trovare, quest'ultima anche attraverso una drammatizzazione (che ha una funzione catartica e aiuta a mettere ordine nel caos dei sentimenti), è un primo passo per poterla meglio affrontare ogni volta che si riproporrà in terapia ad es. per situazioni completamente nuove della sua vita, che lo spaventano, o ogni volta che io colgo un sentimento fino ad allora non manifesto o una sua difesa fino ad allora non affrontata, che sembra non accettare facilmente.
Da questo momento Al., che ha 9 anni, entra in un rapporto di transfert molto evidente e la terapia assume caratteristiche più note. Va ancora un po' su e giù per la stanza emettendo suoni duri, ma è assolutamente in contatto. Parla ancora di percorsi e di porte, ma ora si tratta apertamente della porta della stanza di mamma e papà. "Sì Mario Bros entra nella stanza dove prende una zuccata, e poi cè una faccetta che se le va addosso lui esce di un altro colore, lui esce bello!.. Nella stanza si prendono delle zuccate, ma nella stanza ci sono tante monete doro!" Dico che ha la sensazione di avere aperto la porta della nostra stanza, del nostro rapporto, di essere finalmente entrato in rapporto con me, e che immagina che qua dentro ci siano tante cose preziose da scoprire, ma teme anche che si possano prendere delle zuccate! Al.: "Eh sì! Bisogna stare attenti che non ci sia luomo con il cappello a punta! Perché punge! Fa male!" Dico che teme che qualcuno si arrabbi se noi due qua nella stanza ci parliamo. Entra anche in contatto con la propria aggressività legata alla rivalità edipica. Un giorno prende un foglio, vi accosta un pennarello lo fa subito rimbalzare indietro e dice: "Se tocca il foglio, muore!". Al con un tratto leggerissimo e usando solo pochi tratti (lui che è bravissimo nel disegnare) disegna un grosso riquadro, che dice essere una casa, con dentro un personaggio, il boss che abita tutti i piani della casa. Aggiunge a lato in basso un piccolo boss e poco distante un qualcosa che dice essere un "attrezzo per svaligiare le gioiellerie!". Dico che teme che se disegna qualcosa di suo, e non i soliti disegnini dei giochi elettronici, se parla del suo desiderio di rubare i gioielli del grande boss, le cose più preziose del papà, la mamma, possa succedere qualcosa di grave, e che forse vuol vedere io come reagisco di fronte a questi suoi sentimenti. Lasciare emergere questi sentimenti di aggressività legati alla rivalità edipica sembra aprire laccesso ad altri sentimenti: l' aggressività conseguente il senso di persecutorietà vissuto al crollo autistico, l'aggressività conseguente allessersi sentito "buttato via" da parte del papà, che proiettava su di lui tutta la sua intolleranza per le proprie parti infantili, a loro volta rifiutate. Al. attraverso l'identificazione proiettiva getta su di me con prepotenza il suo sentirsi svalutato dal padre, i suoi vissuti per l'intolleranza e la prepotenza del padre nei suoi confronti, il suo sentirsi un bambino "storico" (che fa storie), il suo sentirsi messo a tacere
A casa diventa aggressivo con la mamma, alla quale sembra rimproverare di non averlo protetto dall'angoscia di allora ("Sì perché volevo essere un bambino con la faccia rotonda!!" risponde urlando alla mamma, che nella stanza d'attesa gli sta chiedendo perché mai tenta di alzare le mani su di lei), ma anche dalla prepotenza violenta del papà. Teme ancora il padre. Solo molto più tardi riuscirà a verbalizzare la sua aggressività nei suoi confronti ("quando mi sposerò, lui sarà già soppressato!"). Diventa anche molto possessivo nei confronti della mamma, come se volesse recuperare il "mal tolto": dorme solo se lei gli è accanto, spesso nella posizione schiena-pancia (un guscio morbido), riuscendo in tal modo anche a spodestare il papà. L'apprendimento è discreto: è intuitivo in matematica ed inizia ad esprimersi abbastanza coerentemente, anche se là dove non possiede un vocabolo inserisce un neologismo. Non cerca i compagni, sembra sentirsi ancora molto diverso.
Al ha 11 anni e mezzo. La psicoterapia prosegue, la persecutorietà dei suoi vissuti sembra diminuire. Ma il bisogno di controllare è ancora molto forte. Al si isola ancora in qualche simulazione di giochino del game boy, escludendomi. Ma se lo richiamo riesco facilmente a riavere la sua attenzione. Il suo isolarsi appare sempre più un modo per escludermi. Questo ci permette di analizzare la sua rabbia per l'oggetto che può scomparire. Un giorno (ai 10 anni e mezzo) Al. porta il suo primo sogno. "Sai ho sognato che ero tutto legato da una corda.. e c'era I. (l'educatore) lì vicino a me! Io cercavo di liberarmi dalla corda (e fa il gesto di liberarsi con fatica mentre si protende verso l'educatore), e finalmente ci riuscivo!
Eh sì! I. mi diceva: Se il signore ti mette la corda, io ti lascio lì e me ne vado! Io non volevo restare solo sull'autobus! Così cercavo di liberarmi!" Chiedo chi era il signore. Al.: " Sì! Se il controllore ti lega io ti lascio lì!" Finalmente sembra iniziare a percepire quanto fare il "controllore" di se stesso (i giochini nei quali si perde lo legano come le corde) lo metta a rischio di restare solo. Iniziare a prendere consapevolezza della propria aggressività verso l'oggetto sembra permettergli di provare il timore di perderlo.
Dopo il periodo caratterizzato dalla massiccia proiezione su di me di suoi vissuti persecutori molto intensi Al. inizia a manifestare nei miei confronti sentimenti di preoccupazione, teme di non ritrovarmi dopo il fine settimana. Progetta di farmi un regalo bellissimo, dicendo "che me lo merito". In famiglia la situazione è molto migliorata anche per merito dei cambiamenti che il papà con molta volontà è stato capace di compiere. Al. attualmente frequenta la II media con discreto profitto, ma non riesce ancora ad avere completa fiducia nelle sue capacità (è peraltro molto intelligente), per cui tenta di sottrarsi a richieste secondo lui troppo impegnative. Inizia anche a socializzare con i compagni anche per merito del lavoro di mediazione svolto dagli educatori del centro socio educativo che frequenta.
CONCLUSIONE
Nella psicoterapia di Al. penso di aver imparato a riconoscere che nell' Autismo Incapsulato non solo l'angoscia che l'oggetto scompaia ma anche " le pulsioni e le turbolenze emotive" del bambino verso l'oggetto svolgono un ruolo determinante nell'ostacolare il riemergere dell'oggetto e in seguito l'emergere del linguaggio. Per cui è importante riuscire ad analizzarle non appena questo si rende possibile.
Nel lungo e faticoso percorso del bambino autistico dall'autosensorialità verso il registro della simbolizzazione sembra comunque fondamentale l'incontro con una mente, ma anche una persona, disponibile a mettersi in contatto con le sensazioni che il bambino si procura, per iniziare ad attivare o riattivare la funzione alfa, presupposto fondamentale per la nascita della vita psichica.
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Chiara Buscaglia, Neuropsichiatra dell'età evolutiva, Membro Ordinario A.I.P.P.I.
Unità Operativa Assistenza Consultoriale ASL 3 Genovese.
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