L'uso di se stessi e delle proprie emozioni nel Di Alessandro Bonetti e Luigi Pavan Premessa Nel Centro Diurno era particolarmente sentita lesigenza da parte degli infermieri e del personale sanitario di una attività formativa al fine di migliorare la relazione tra operatori e pazienti e degli operatori tra loro. È una constatazione comune che il tipo di relazione tra operatori e pazienti o tra operatori stessi è modificabile in ragione dello stile di comunicazione che intercorre tra le persone coinvolte nellatto comunicativo. La stessa manifestazione psicopatologica di un paziente si modifica, aggravandosi o attenuandosi, in presenza di un tipo di intervento piuttosto che di un altro (LAI 1973). A seguito di tali considerazioni si è proceduto ad elaborare assieme al personale interessato un progetto complessivo che si proponeva i seguenti obiettivi: a) aggiornamento delle conoscenze teorico-cliniche; b) recupero delle motivazioni professionali; c) addestramento alla acquisizione di metodiche adeguate per la "gestione" delle relazioni interpersonali, attraverso la capacità di cogliere i segnali emotivi contenuti nelle comunicazioni e la capacità di gestire gli stati emotivi avvertiti dal personale nei confronti del paziente. Per quanto riguarda i primi due obiettivi del programma, escluso il ricorso alla teorizzazione tradizionale, abbiamo scelto uno schema teorico di riferimento più pragmatico, quale il sistema di classificazione dei comportamenti dei pazienti psichiatrici dello Psychiatric Institute of Washington. Trattasi di schede di classificazione dei diversi comportamenti, graduati secondo un indice di gravità, a cui dovrebbero corrispondere adeguati interventi di nursing, elaborate dal Dipartimento dei Servizi di nursing dello stesso Istituto (1981). Esse riguardano diverse are e di osservazione: 1) la gestione delle attività della vita quotidiana; 2) i problemi di incolumità circa i rischi impulsivi, autodistruttivi e di suicidio; 3) i problemi di sicurezza del paziente; 4) il funzionamento della psiche in riferimento ad alcuni parametri (attenzione, orientamento, eccitazione motoria, tono dellumore, processi di pensiero); 5) i problemi di apprendimento dei pazienti; 6) la gestione dei problemi di ordine medico; 7) la gestione dei comportamenti disturbanti.
Un tale approccio cognitivo-comportamentistico alla patologia del paziente rispondeva alla esigenza dei nostri infermieri e degli altri operatori psichiatrici per uniformare i criteri di osservazione ed il rilievo dei fenomeni psicopatologici. Inoltre esso rappresentava una specie di "linee guida", sul piano comportamentale, per i tipi di risposta, coerenti ai comportamenti osservati, da offrire nelle singole situazioni. A nostro avviso però lapplicazione tout-court di tale modello operativo avrebbe indotto nel singolo operatore un atteggiamento di osservatore distaccato nella sua relazione con il paziente. Siamo invece convinti dellimportanza delle implicazioni emotive nelle relazioni interpersonali e particolarmente con i pazienti, anche e soprattutto con quelli psicotici. Perciò siamo stati attenti a fare in modo che gli operatori, pur addestrandosi ad una attenta osservazione dei comportamenti dei pazienti, diventassero anche degli osservatori partecipi per poter cogliere attraverso il riconoscimento delle proprie emozioni, durante gli scambi relazionali, i bisogni ed i significati più profondi di quei comportamenti. Per tale ragione abbiamo elaborato e proposto un training per gli operatori stessi per lacquisizione di metodiche adeguate a gestire relazioni che fossero significative nellindividuazione dei bisogni, espressi attraverso le manifestazioni psicopatologiche, e atte a favorire risposte più corrette e complete di quelle proposte nelle schede. Per tale ragione abbiamo modificato lassetto della scheda inserendo tra il rilievo del comportamento disturbante e la risposta delloperatore, larea dello spazio formativo.
Gli elementi di base su cui fondare il training erano quelli già proposti anche da Gnocchi ed al. (1993), di: a) essere in grado di cogliere con chiara consapevolezza i segnali emotivi contenuti nelle comunicazioni dei pazienti b) essere in grado di saper gestire lo stato emotivo nei confronti del paziente, decidendo se comunicargliene o meno lesistenza, sulla base della consapevolezza dei motivi su cui fondare tale scelta. Lacquisizione di una tale capacità rappresentava a nostro avviso un vero salto di qualità professionale delle prestazioni delloperatore, che passava da un m modello empirico di intervento ad uno professionalmente motivato. Metodologia di lavoro. Assunto come strumento di lavoro luso in linea di massima delle schede di osservazione e di intervento del The Psychiatric Institut of Washington, in un primo tempo ci siamo impegnati a cercare il loro grado di adattabilità alla nostra situazione operati va. Abbiamo compiuto una scelta delle schede, tenendo presente due obiettivi: 1º focalizzare lattenzione sui fenomeni clinici di più frequente rilievo nel nostro ambito lavorativo; 2º semplificare il numero delle schede, in base ai rilievi clinici di più frequente riscontro (di cui al punto 1º) per poter arrivare a compilarle, in ordine ai singoli pazienti in osservazione. A conclusione dellanalisi di tali aspetti abbiamo ritenuto come prioritari: a) i problemi clinici relativi allincolumità del paziente e degli operatori,quindi alle manifestazioni comportamentali di natura aggressiva e sessuali; b) i problemi relativi alla gestione degli aspetti medico-internistici; c) e d) in fine quelli riguardanti la gestione dei disturbi della sfera affettiva e di alcuni processi di pensiero. Il tutto quindi sintetizzato in quattro schede di osservazione e di interventi. In un secondo tempo abbiamo introdotto quale elemento didattico nuovo luso di alcuni video-tape della Didattica-Video per proporre alla discussione problemi clinici specifici che si prestavano ad incontri di discussione. Trattasi di temi riguardanti la segretezza delloperatore psichiatrico, il trattamento da parte degli infermieri di pazienti che pongono particolari problemi, la utilità di saper apprendere dal paziente, la gestione degli atteggiamenti violenti ecc. La discussione intorno a tali argoment i ha consentito ai nostri infermieri di confrontarsi tra loro, di riconoscere la inevitabile presenza delle loro reazioni emotive, di comprendere la sovradeterminazione di certi comportamenti disturbati dei pazienti. Il coinvolgimento emotivo era diventato un elemento importante per linfermiere nella comprensione del significato di un certo comportamento e quindi anche una guida per orientare il tipo di intervento possibile. Maggiore era il coinvolgimento nella relazione più alto diventava il rischio di un coinvolgimento eccessivo. Quali conduttori del gruppo ci sentivamo in dovere di tutelare gli infermieri e gli altri operatori da questo rischio ed abbiamo pertanto scelto un supervisore del training che stavamo effettuando e lutilizzo di tecniche di formazione che aiutassero i partecipanti a gestire in modo adeguato il loro coinvolgimento emotivo nelle relazioni con i pazienti e con i colleghi di lavoro. Una delle tecniche che si è dimostrata di utilità a questo scopo è stata quella dello psicodramma tra operatori. Lo Psicodramma nella formazione degli operatori Tralasceremo una rivisitazione della letteratura scientifica, ormai vasta, su questo argomento e ci limiteremo ad alcune considerazioni facendo riferimento ai contributi di G.P. Lai (1973) e di F. Di Cori (1982). Lo psicodramma, creato originariamente da Moreno, si basa sui principi di spontaneità, di fiducia nellesperienza correttiva e sulla possibilità di fornire una esperienza di apprendimento. Esso fornisce ad una persona la possibilità di apprendere sul piano professionale, addestrandosi a rappresentare spontaneamente diversi ruoli di lavoro. Il gioco dei ruoli utilizza dello psicodramma i cinque mezzi fondamentali e alcuni degli strumenti principali. Tra i primi ricordiamo luso della scena, o spazio riservato alla rappresentazione espressiva, la presenza del protagonista che pone il suo problema relazionale, il direttore del gioco, cui competono le funzioni di regista-conduttore, gli "Io-ausiliari" o assistenti del gioco, la cui funzione è di intervenire per rappresentare questa o quella parte suggerita dalla situazione e il pubblico che con lascolto e le reazioni struttura lincontro del protagonista con gli altri e con se stesso. Gli strumenti del gioco dei ruoli sono quelli dello psicodramma e cioè la rappresentazione di una situazione relazionale, il soliloquio, il doppio, lo specchio, la inversione dei ruoli. Il setting materiale è rappresentato da unampia sala con sedie poste lungo le pareti ed il centro della sala vuoto. Ad un capo della sala un tecnico aziona una video-camera per offrire la possibilità di rivedere e riascoltare le situazioni proposte. La seduta dura in genere 45 minuti e può comprendere due, tre o più rappresentazioni distinte. La trama del gioco si basa prevalentemente su fatti accaduti, e può riferirsi ad una situazione tra uno o più operatori ed un paziente o può coinvolgere un intero gruppo di operatori. Esempio nº 1 Descriviamo un esempio circa un disturbo comportamentale da inquadrare nel 4º grado delle schede di classificazione dei pazienti con alterazioni dei processi di pensiero. R. è una donna, di 57 anni, con disturbo psicotico cronico. Manifesta crisi aggressive saltuarie, sostenute da fenomeni allucinatori uditivi, dispercezioni somatiche ed una ideazione delirante a contenuto persecutorio. Essa ha accettato di partecipare, nel Centro diurno di riabilitazione, ad una recitazione della fiaba di Cappuccetto rosso, con un gruppo di altre pazienti e tre operatori. Durante lincontro di preparazione R. si è mostrata molto attiva nel dare le sue spiegazioni sul significato della favola. Sostiene che il lupo rappresenta la morte e che la storia di Cappuccetto ripete gli eventi della vita. In sostanza Cappuccetto rosso sarebbe limmagine di ognuno di noi che attraversa il bosco della vita ed alla fine incontra la morte che lo fa sparire. La discussione per questo modo di interpretare il senso della favola è stata molto animata da parte del gruppo ed R. ha sostenuto con fermezza il proprio punto di vista. In occasione del secondo incontro del gruppo essa non si è presentata al Centro. Si è fatta andare a prendere, a causa di un presunto malessere, al terzo incontro. Arrivata al Centro R. si mostrava seria ed irrequieta. Nel gruppo si era seduta vicino allinfermiera, che la segue più da vicino. Subito dopo linizio della discussione essa ha cominciato a manifestare inquietudine, lamentava nausea, senso di vomito e paura di svenire. Linfermiera lha allora accompagnata in unaltra stanza un po in penombra, così che il gruppo potesse continuare il proprio lavoro. Fatta stendere la paziente su una poltrona, linfermiera ha cercato di comprendere le ragioni di tali disturbi. È risultato che la paziente diceva di sentirsi troppo coinvolta emotivamente nella storia di Cappuccetto rosso. Non riusciva ad indicare cosa lavesse più turbata. Messasi sdraiata su una poltrona la paziente ha chiuso gli occhi pregando linfermiera di non andarsene. Questa ha cercato di trovare qualche discorso per distrarre la paziente, ma dopo poche battute la stessa è caduta in un sonno profondo. Linfermiera, rimasta a vegliarla, è stata colpita dalla profondità del sonno; un attimo prima la paziente sembrava preda ad unansia incontenibile ed ora stava dormendo. Trascorsi 15 o 20 minuti di sonno la paziente, quasi percependo la presenza dellinfermiera vicina a lei, senza aprire gli occhi le chiese una giacca per coprirsi perché aveva freddo. Poco dopo, svegliandosi, chiedeva se in caso di caduta a terra essa sarebbe stata in grado di rialzarsi. Linfermiera la rassicurò che le sarebbe comunque stata vicina. Quasi subito dopo la paziente si alzava dalla poltrona e chiedeva di tornare nel gruppo a lavorare intorno alla favola da recitare. A quel punto tutte le paure sembravano scomparse. Lirrequietezza, la nausea, il senso di vomito, la sensazione di svenire erano svaniti dopo lintervento dellinfermiera, la quale, a sua volta, voleva capire assieme al gruppo degli operatori del Centro il significato di quanto era avvenuto tra lei e la paziente. Ad un comportamento disturbato, che poteva riferirsi alla gestione dei problemi medico-internistici, oppure ad un alterato esame di realtà aveva corrisposto un intervento che aveva ripristinato lequilibrio, ma loperatore ed i colleghi erano intenzionati a non fermarsi alla fenomenologia, ma comprenderne meglio la dinamica relazionale. Nel gioco dei ruoli sono state allora riprodotte due scene. In una linfermiera impersonava la paziente mentre altri operatori facevano, in sovrapposizione, il ruolo dellinfermiera ed il suo doppio, e si introduceva anche la figura di un medico. In una seconda scena si proponeva di riprendere la recitazione della fiaba e la paura espressa dalla paziente nei confronti della ineluttabilità della morte. Quasi tutti gli operatori/attori erano concordi nellinterpretare i disturbi somatici come strumentali ad una richiesta di aiuto. Qualcuno ha sentito la necessità di proporre, come variante, lintervento di un medico nel tentativo di delegare "ad uno più preparato" la soluzione del problema. Nel gioco dei ruoli è risultato lo sforzo della paziente di ottenere, con il suo atteggiamento, un controllo della sua situazione interiore, che aveva timore le sfuggisse di mano. Il suo insistere sulla inevitabilità della morte era stato vissuto dagli operatori anche come paura della morte, in quanto separazione dalle persone che abitualmente le danno protezione e cure. Il comportamento dellinfermiera, passivamente attivo, è sembrato lelemento rassicurante sul quale ha fatto leva il cambiamento della paziente, in quanto le ha permesso di riprendere il proprio senso di sicurezza e di controllo, tanto da consentirle di tornare nel gruppo. A questo punto ci sembra opportuno un commento tecnico sulla evoluzione dellepisodio e sulla modalità di gestione dei bisogni di un paziente e così regredito ed in stato di panico. A questo proposito H. Searles (1979) osserva che i pazienti gravemente regrediti, che hanno perso la capacità di sperimentare se stessi e il mondo circostante in modo maturo e differenziato, inducono molto spesso nelle persone che vivono intorno a loro, una regressione altrettanto profonda. I casi gravi di schizofrenia comportano infatti, secondo Searles, una de-differenziazione nellesperienza percettiva del paziente, così profonda che le componenti animate e inanimate, umane e non umane del suo mondo, non sono più distinte in quanto tali. Egli può sperimentare se stesso come un oggetto meccanico guidato da forze non umane; può avere la sensazione di essere una creatura vivente, ma non umana, e così via. Lesperienza soggettiva inanimata e non umana, sia che venga considerata come una difesa contro lintensa ambivalenza prodotta nel paziente dalla lotta per vivere come persona in mezzo ad altre persone (Searles), sia che venga vista sempre come difesa e come meccanismo di mantenimento per stabilire la omeostasi affetto-tensione (Mahler,1968), richiede negli operatori, come afferma Zapparoli (1979) la capacità emotiva di tollerare lesclusione in cui li pone il narcisismo patologico del paziente e di svolgere, loro stessi, la funzione di "oggetto inanimato", con le sensazioni di isolamento, di ansia, di impotenza che tali esperienze comportano. Tornando allesempio di R., si è ritenuto che leffetto di rassicurazione e di stabilizzazione ottenuto con lintervento della operatrice/infermiera fosse dovuto al significato del suo comportamento, che ha risposto al bisogno della paziente di poter disporre di un oggetto inanimato. Questa funzione di totale passività al controllo della paziente ha ridato a questa il sentimento di sicurezza conseguente alla sensazione di poter controllare sia il mondo esterno (rappresentato dalloperatrice) sia quello interiore, dei suoi sentimenti. Esempio nº 2 Consideriamo un altro comportamento disturbato da ascrivere al quadro IV delle schede sui rischi di impulsività e su quelle dei disturbi dei processi di pensiero. Una paziente A., di 50 anni, affetta da psicosi cronica, con ideazione delirante, fenomeni allucinatori e saltuarie crisi aggressive era stata inserita in un gruppo riabilitativo presso il Centro Diurno. Un giorno, poco dopo larrivo al Centro, A. ha avuto una caduta a terra, come si trattasse di svenimento, ed ha dovuto essere portata di peso, da due operatori, su un letto in una stanza adiacente. A. è stata soccorsa da una infermiera che ha provveduto a misurarle la pressione arteriosa, risultata nella norma. La stessa infermiera ha cercato allora di indagare cosa potesse essere accaduto. La paziente diceva di essersi sentita male dopo aver mangiato a pranzo. Aveva paura che il cibo le avesse fatto male; si sentiva la pancia in subbuglio. linfermiera nellosservarla aveva limpressione che laddome fosse globoso, enorme. Però la paziente non accusava alcun dolore, né spontaneo, né toccandola. Linfermiera che conosceva da anni la paziente, si è sentita di chiederle se il malessere fosse dovuto al contenuto di qualche allucinazione. La paziente affermava che una voce di donna (quella di una dottoressa che anni prima laveva curata) le stava dicendo che lei era brutta e non sarebbe mai guarita. Mentre si stava svolgendo questo dialogo linfermiera notava che A., pur mostrandosi sempre tesa, era disponibile e contenta di parlare. Mentre continuavano a parlare tra loro linfermiera ha proposto di praticare ad A. un massaggio ai piedi che sarebbe stato un rimedio per il malessere che lamentava. Passò così circa mezzora. Al termine del massaggio la paziente ha chiesto allinfermiera che laccompagnasse in bagno, offrendole la mano quasi fosse una bambina. Mentre stava per urinare ha chiesto che linfermiera restasse con lei e questa aveva la sensazione che A. non finisse mai di fare pipì. La paziente sembrava comunque essere tornata tranquilla. Il gruppo stava preparando da mangiare e la paziente si è seduta a tavola con gli altri mangiando volentieri e quando è stata lora di lasciar e il Centro la paziente lamentava ancora di star male, avvertendo un senso di nausea. Linfermiera è stata un poi con lei e poi A. se nè andata. Per i due giorni successivi linfermiera è stata assente dal Centro perché aveva partecipato ad un corso di aggiornamento. I due giorni seguenti al suo rientro la paziente non si è presentata al Centro rimanendo nella Comunità protetta dove risiede. La sera del secondo giorno di assenza linfermiera è andata a trovare A., trovandola seduta, isolata da tutti e con la testa bassa. La paziente ha detto, a monosillabi, di non sentirsi bene. Nellintento di rassicurarla linfermiera lha invitata a non preoccuparsi di tornare al Centro e che poteva restare nella Comunità. Il mattino seguente nuova visita ad A. Questa però mostrava di volere evitare ogni persona. Anche linfermiera sentiva una difficoltà ad avvicinarsi. A. stava seduta ed isolata, finché linfermiera, forzando il proprio disagio le si è avvicinata. A. si è allora alzata muovendosi "come al rallentatore" e andando addosso con tutto il suo corpo allinfermiera. Questa è rimasta impalata, immobile, non riuscendo ad organizzare alcuna difesa. Avvertiva forte il proprio disagio e leggeva nello sguardo inespressivo e vuoto della paziente la sua rabbia. "A. calmati, non cè bisogno di arrivare a tanto, parliamone!" sono state le uniche parole che è riuscita a proferire, ma la paziente la teneva tra le braccia, avvolgendola in una forte stretta e pigliandole i capelli. linfermiera ricordava alla fine che sentiva la stretta della paziente in modo contrastante non riuscendo a capire se volesse stritolarla o proteggerla. Ancora le è uscita una frase "Se non mi vuoi vicino, basta che tu m e lo dica". Durante tutta lazione A. non ha detto una parola. Poi ha lentamente allentato la stretta e linfermiera se ne è andata con un sentimento di delusione, paura e anche di affetto verso A. che laveva aggredita. Lesempio descritto è volutamente dettagliato al fine di mettere a fuoco il comportamento delloperatore in rapporto a quello aggressivo della paziente. Su questo punto infatti si è puntata la discussione del gruppo nel tentativo di comprendere il significato del gesto aggressivo e le modalità difensive delloperatore. I temi della discussione, durante il warming-up, per la scelta dei ruoli da mettere in gioco avevano, già da soli, favorito una abreazione di sentimenti diversi. Alcuni operatori erano spinti a comprendere il comportamento della paziente, altri quello dellinfermiera. Alcuni propendevano a focalizzare lattenzione sullepisodio del massaggio ai piedi, altri a quello della aggressione. Alcuni sostenevano limportanza delleccitazione sessuale, altri quella della separazione, altri ancora propendevano a considerare laggressione come una scarica tout-court, indipendente dagli episodi relazionali. Evidentemente limmedesimazione degli operatori era altalenante, ora con la paziente, ora con linfermiera, ciascuna vissuta ora come persecutrice, ora come vittima. Alla fine sulla scorta delle descrizioni dellinfermiera (piacere nel massaggio ai piedi, bisogno di urinare della paziente alla fine, accettazione e volontà di cibarsi, contrasto nella stretta aggressiva tra desiderio di proteggere e di stritolare) si è giunti a proporre delle scene finalizzate a comprendere i rapporti tra erotismo e aggressività. Susseguenti nel tempo si sono così succedute le scene di aggressione con inversione del ruolo per linfermiera, il suo doppio ecc., ed altre scene improvvisate, che ruotavano intorno ai temi amore e odio (scena tra genitore e figlio), odio e separazione (innamorati che si lasciano). Le drammatizzazioni dei diversi episodi creati dal gruppo degli operatori hanno permesso a questi di riconoscere molti aspetti, abitualmente trascurati, dei comportamenti aggressivi dei pazienti. La vasta gamma dei sentimenti e bisogni che muovono lo psicotico ad usare laggressività hanno spaziato dai desideri distruttivi, a quelli di difesa, fino a considerare laggressività in taluni casi nel suo significato positivo. In ogni caso è emerso, in particolare, la necessità delloperatore di garantirsi una base di sicurezza per non trovarsi a subire passivamente il comportamento del paziente. Gli elementi fatti emergere dagli operatori durante la discussione sui significati della drammatizzazione, ci hanno motivato ad alcuni approfondimenti sul piano teorico-clinico circa laggressività dei pazienti psicotici. In particolare abbiamo indagato le possibili funzioni vicarie di soddisfazioni libidiche dellaggressività; il significato positivo dellaggressività del paziente ed infine il problema delle difese messe in atto dagli operatori per proteggersi dallaggressività dei pazienti. Un primo rilievo clinico si riferisce alla possibilità che i comportamenti aggressivi possano vicariare una soddisfazione libidica. Il disimpasto pulsionale, caratteristico secondo Freud (1923), degli stati psicotici quindi la mancata integrazione tra le due pulsioni, erotica e aggressiva, può consentire che laggressività svolga la funzione vicaria della libido, nel qual caso il meccanismo psichico che la sostiene è "Ti odio, perché ti amo". M. Mahler (1968) ha studiato ed analizzato queste funzioni vicarie dellaggressività nelle psicosi infantili ed ha descritto esempi dove azioni autoaggressive avevano lo scopo di definire i confini del proprio corpo e/o di investire di carica libidica i confini dellIo corporeo. In un precedente studio (Bonetti 1982) ho descritto questa funzione vicaria come modalità difensiva nei confronti del piacere, o possibile sostituto del piacere stesso, come si verifica nelle forme dellagire perverso. Circa la funzione positiva dellaggressività è opportuno rifarsi agli studi di H. Hartman, E. Kris e R.M. Loewenstein (1949) i quali hanno descritto sul piano teorico gli aspetti positivi dellaggressività ai fini della costruzione dellIo del soggetto. M. Mahler (1968), in modo più attento al significato clinico dei comportamenti aggressivi ha descritto, nei bambini psicotici, la paura del reinghiottimento che li spingeva a forme violente di lotta. Dello stesso parere era H. Searles (1975) che rilevava come le crisi aggressive favorissero in certi soggetti la differenziazione fra individuo ed oggetto primario (la madre) permettendo di superare la distanza emotiva della relazione doggetto, soprattutto quando essa veniva avvertita come insormontabile. Lultimo rilievo clinico riguarda i comportamenti aggressivi considerati dalla parte del personale curante, che è chiamato a gestirli. È in sostanza il problema delle difese che vengono messe in atto per proteggersi nei loro confronti, sia sul versante esterno, del pericolo reale, che sul versante interno del pericolo pulsionale, indotto od evocato dal comportamento aggressivo del paziente. Come ricorda F. Fromm Reichmann (1950) dire che il personale o lo psichiatra debbano saper sopportare gli scoppi di ostilità del paziente, nelle parole e nei fatti, non significa affatto che essi debbano permettere al paziente la libertà di esprimere a suo capriccio i propri impulsi ostili. Nel caso di minaccia o di vera violenza agita, è giusto che infermieri e psichiatri dichiarino fermamente di non voler esserne oggetto. Nellatto aggressivo è quindi opportuno che si riesca a porsi su un piano difensivo di sicurezza, dal quale poi si può instaurare un dialogo con il paziente. Mettere in atto una contro-azione che contrasti lazione del paziente. Prima di analizzare il comportamento occorre avere acquisito un livello di sicurezza. Per cui il livello di pericolosità del comportamento del paziente è rapportabile anche alle possibilità di difesa dellinfermiere. Infatti più ci si sente sicuri e protetti, meno si vive laggressione come pericolosa. Inoltre la interferenza aggressiva dellinfermiere, messa in atto allo scopo di contenere quella del paziente, perde il carattere di aggressività per assumere quella di aiuto. Per di più, come scrive Zapparoli (1971), impedisce al paziente di poter diventare un omicida. In conclusione quindi, come abbiamo visto nellesempio della paziente A., gli elementi da prendere in considerazione sono fondamentalmente due: il soggetto aggressivo e loggetto permissivo. Ognuno dei due sviluppa meccanismi difensivi inconsci evocati dallo stato di eccitamento pulsionale attivato dalla situazione aggressiva stessa. È fondamentale sul piano operativo introdurre nel rapporto tra soggetto aggressivo ed oggetto permissivo lelemento della successione temporale. Le contro-azioni atte a contrastare le azioni del paziente non hanno solo il significato di proteggere linfermiere dal pericolo, ma impedendo la scarica aggressiva immediata, introducono la possibilità di un suo differimento. Si crea cioè la possibilità di far funzionare il pensiero prima dellazione. Conclusione Dallanalisi di questi due esempi, tra i tanti descritti nel diario degli infermieri, si evince la ricchezza di materiale clinico che caratterizza il lavoro infermieristico. Già la descrizione delle situazioni cliniche, da parte degli infermieri, dimostra la acutezza di osservazione raggiunta nel percorso formativo di questi ultimi tre anni. Allosservazione ha fatto seguito, come nello schema da noi indicato, il lavoro di rielaborazione attraverso il gruppo di discussione e luso del gioco dei ruoli. Tale attività formativa oltre a consentire una gestione più corretta dei comportamenti dei pazienti, ha anche attivato una più fine osservazione circa i cambiamenti che si susseguivano nelle manifestazioni psicopatologiche dei pazienti. La approfondita conoscenza delle modalità relazionali dei pazienti ha permesso ai singoli operatori psichiatrici (infermieri e altri operatori del Centro) di riconoscere le proprie reazioni emotive ai loro comportamenti e la gestione di tali emozioni, mediata da un attento lavoro in gruppo che ha evitato leccessivo coinvolgimento degli operatori nelle diverse situazioni. Infine i dati clinici emersi durante il lavoro di formazione ha offerto anche a noi conduttori oltre a una grande quantità di materiale clinico da studiare e comprendere, anche il piacere di una attività che ha assunto spesso il carattere di gioco, piuttosto che di una attività pedagogica. Un lavoro che ci ha formati formando. |
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