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Ritengo che la mia riflessione sul percorso del Vaso di Pandora si collochi propriamente in una dimensione etica, assegnando a questo termine il senso che propone Ricoeur (opponendolo a morale): ovvero "ciò che è stimato buono" rispetto a "ciò che si impone come obbligatorio" In questa prospettiva la legittimazione alla coerenza d'identità della nostra rivista andrebbe rintracciata nell'aver perseguito, come tendenza, una concezione della sofferenza psichica che non rinunci al progetto di inserirla, per quanto arduo possa apparire, in una "storia della vita", in una Lebenswelt che insegua le forme e i (possibili?) significati della psicopatologia.

La proposta della rivista continua ad essere quella di "stimare buono" il dialogo sull'uomo, che è poi non abbandonare il tentativo ermeneutico in un momento, come quello attuale, in cui è assai forte la suggestione (pur nella sua aridità semplificativa) di una scienza psichiatrica ancorata esclusivamente alle turbe del biologico e intenzionata a ridurre la complessità e tenebrosità dell'espressione della sofferenza a disordini neurotrasmettoríali.

Usando il termine ermeneutica voglio significare appunto che le letture proposte dalla nostra rivista si continuano a caratterizzare per l'impegno ad orientare ciò che è osservato, narrato e discusso, nella direzione dell’interpretazione del suo significato umano.

Vorrei aggiungere che, nel momento in cui continuiamo a promuovere la psichiatria non solo come scienza della natura, Naturwissenschaften, ma insieme e soprattutto scienza dello spirito, Geisteswissenschaften, a mio parere anche scegliamo di restituirci all'aspetto tragico della condizione umana, così come l'esserci con i nostri pazientí inevitabilmente invita.

Ascoltiamo il poeta:

Inquieti soffiano a vortice ancora come nel Caos,

Nella razza in fermento i desideri,

E selvaggia e desolata e gelida

Per le ansie, la vita dei miseri è sempre.

(Hölderlin)

Tragico che accettiamo di affrontare, quando, immersi nelle complesse vicende con i nostri pazienti ci forziamo, mossi da "mirabile, collerica curiosità" (Hölderlin sta qui descrivendo la spinta di Edipo alla ricerca del sapere) sulle tracce dell'apparente irrintracciabilitá del senso perduto, in un percorso che certo non ci protegge dal ritrovamento in noi stessi (Edipo ingenuo, coraggioso, stolto e colpevole) delle forme frammentate, disperse e disperdenti del disperato terrore di frantumazione, della raggelata rinuncia ad ogni emozione che l'esserci con loro, con i nostri pazienti introduce in noi.

Evitando, in questo nostro impegno che la consuetudine dei termini, allora spogliati dalle emozioni, li trasformi in stereotipie annullanti le vibrazioni degli affetti.

Subcoscienti terrori nell'immagine ricorrente.

Esplorare le viscere o le tombe o i sogni; tutti questi son consueti

Passatempi e droghe e rubriche nei giornali

(TS. Eliot)

Tragico che, collocato nei contributi pubblicati, raggiunge quella ostensibilità che consente all'autore e al lettore l'accesso alla dimensione del dialogo.

Mi sono convinto che l'affrontare in tale modo il tema tragico possa funzionare (nel nostro inconscio) nella direzione dei rituale ateniese del pharmakos, ovvero come agente di purificazione, di lenimento di quel male psichico che ci spinge a scrivere.

Ovvero concepisco la stesura di una pubblicazione psichiatrica che mantenga l'impegno etico, così come l'ho definito, (anche) come un tentativo di affrontare attraverso l'attività di fantasia-pensiero il disagio creato dalla "assenza della cosa " (no-thing di Bion), intesa come assenza di significati esaustivi di risultati onniscentemente prevedibili nello svolgimento della nostra professione.

Allora la conferma dell’identità qualitativa della nostra rivista si evincerebbe dell’uso del legame +K bioniano assunto a categoria unificante i nostri contributi.

Opposto alla categoria del —K, del not understanding6, della non comprensione, del rifiuto (difensivo) ad affrontare con la dimensione che Green definisce la presenza di un pensiero del negativo.

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