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Vorrei partire da una considerazione empirica in tema di conflitti. Se A e B si trovano nellesigenza di acquisire x, e x è indivisibile e non può essere contemporaneamente disponibile ad entrambi, oppure se C necessita di x e y, e questi siano incompatibili; o ancora se D ama e contemporaneamente odia z, in tutti questi casi saremmo oggettivamente in presenza di una situazione conflittuale; ma non necessariamente, da un punto di vista soggettivo, di un conflitto. Quanto meno non ancora, giacché questo dipende dalle modalità di elaborazione del dato da parte del o dei soggetti. A e B vogliono x: è presumibile che uno dei due dovrà affrontare una frustrazione e un lutto. C vuole x e y incompatibili: anche C si troverà di fronte una frustrazione e un lutto, così come anche D dovrà elaborare la situazione conflittuale fra i suoi opposti sentimenti per z.
Melanie Klein, descrivendo la vita affettiva originaria del bambino, distingue due modalità fondamentali di assetto psichico e di relazione con loggetto: la posizione schizo-paranoide e la posizione depressiva. La prima, fondata sulla scissione delloggetto in oggetto buono e oggetto cattivo, tende a proiettare tutto il bene assoluto nelloggetto buono, e tutto il male assoluto nelloggetto cattivo. Questa posizione è caratterizzata dal sentimento di angoscia persecutoria, nel terrore che loggetto cattivo venga a distruggere il sé.
Scrive la Klein (1935) "Nei miei scritti precedenti avevo avanzato lidea...che il bambino nei suoi primi mesi di vita provi delle angosce paranoidi, raffrontandole a un seno cattivo che si rifiuta e che è percepito come un persecutore interno ed esterno. Questa relazione con oggetti parziali [...] è la ragione del tipo di relazione fantastica e irreale che il bambino ha a questepoca con tutti gli oggetti che lo circondano, con tutte le diverse parti del proprio corpo, con le persone e le cose che gli stanno intorno e che egli percepisce in maniera estremamente confusa."
Laccesso alla posizione depressiva vede invece il progressivo abbandono dei meccanismi di scissione e la conseguente integrazione delloggetto, il riconoscimento cioè di un solo oggetto che può essere buono e al contempo cattivo.
Ne deriva la consapevolezza di avere attaccatto loggetto buono stesso e quindi langoscia non più di essere distrutto dalloggetto cattivo ma, al contrario, di aver distrutto loiggetto buono (angoscia depressiva).
Scrive ancora la Klein "[In questo periodo] si produce un cambiamento nellatteggiamento emozionale del bambino nei confronti della madre. La fissazione libidica al seno cede il posto ai sentimenti che il bambino prova per la madre in quanto persona. Così il bambino prova tanto i sentimenti amorosi quanto quelli distruttivi nei confronti di un unico e solo oggetto, e ciò provoca in lui una serie di conflitti profondi che lo turbano violentemente."
La posizione depressiva porterà, nel successivo sviluppo, a desideri riparatori nei confronti delloggetto ormai integrato e al superamento, se tutto va bene, delle angosce più primitive.
Così sommariamente accennati, questi processi affettivi sono stati individuati e descritti con riferimento alla primissima infanzia, nel rapporto del bambino dapprima con gli oggetti parziali primariamente il seno -, poi con loggetto totale. Ma è certamente palese quanto questi assetti mentali pertengano altresì alla vita degli individui, dei gruppi, delle istituzioni, e quanto spesso ci accada di osservare come la posizione schizo-paranoide sia difficile da abbandonare.
Come scrive Giuseppe Di Chiara (1998) "...universalismo e particolarismo, lingue e dialetti, stati regressivi delle mente e stati evolutivi danno luogo a diverse costellazioni del mentale, nellindividuo e nel gruppo, secondo che lo stato psichico sia quello della posizione depressiva nella quale si realizzano le integrazioni possibili o quello della posizione schizo-paranoide, nella quale le integrazioni si interrompono e i legami si spezzano. Allora è ricco e vitale luniversalismo che sa contenere i particolarismi, i regionalismi, mentre è povero e rigido quello che li esclude e contrasta. E più ricca la personalità matura che sa dare spazio al suo infantile, ed è povera quella che, incapace di integrare adeguatamente linfantile, lo rimuove." (pag. 39)
Ritorniamo ora ad A, B, C, D in situazioni conflittuali. Lassetto mentale del soggetto, a seconda del prevalere di meccanismi paranoidi e schizoidi ovvero di elaborazioni depressive, determinerà il verificarsi o meno di un conflitto, interpersonale o intrapsichico.
In altre parole, per avvicinare la psicodinamica di un conflitto occorre individuare la presenza e le caratteristiche delle istanze affettive entro le quali la situazione conflittuale oggettivamente si pone. Nellassetto che abbiamo descritto come paranoide-schizoide (loggetto primario è stato scisso), tutto il male viene esportato in uno degli oggetti preservando tutto il bene nellaltro oggetto: loggetto nemico è cattivo, sadico, ci attacca continuamente, siamo terrorizzati dalla sua distruttività. Loggetto persecutore contiene le proiezioni del nostro odio e della nostra distruttività, per questo viviamo nel terrore della sua vendetta. Per inciso, possiamo distinguere loggetto persecutore, che pertiene al mondo fantasmatico, dalloggetto ostile, che può pertenere al mondo reale. Eventualmente, anzi, loggetto vissuto come persecutore nella fantasia può talvolta divenire per ciò stesso realmente ostile, come avviene frequentemente in situazioni paranoidi.
In questa situazione, quindi, la sofferenza e il dolore non vengono elaborati in sé, ma riportati alloggetto persecutore che ne viene considerato la causa: ciò che Fornari (1970) ha descritto come elaborazione paranoica del lutto: "Quando infatti in una tribù primitiva muore una persona, tale morte non viene riconosciuto come il risultato di forze naturali, ma viene sentita come prodotto di un maleficio. La sede del maleficio è fantasticata essere nella tribù confinante: la morte cioè viene da oltre frontiera. Tutta la tribù allora, in virtù della solidarietà del sangue, per esportare il lutto al di fuori, muove guerra alla tribù confinante, sentita come la causa della morte-influenza malefica." (p.68 sg)
Agli albori della posizione depressiva nasce, con la riunificazione delloggetto, dapprima onnipresente nelle sue vesti scisse di buono o cattivo, la percezione dellassenza. Da questa primitiva dolorosa percezione di un oggetto integro e assente nasce il pensiero; nasce come rappresentazione, come segno di ciò che sta per qualcosa che non è più presente; nasce quindi il segno del dolore.
Per questo nella conoscenza è insita una certa tonalità emotiva dolorosa, il desiderio stesso di sapere, che esprime la tensione del soggetto verso qualcosa chegli non possiede. Bion (1962) individua in questa tensione emotiva il legame K (Knowledge), definito come la relazione fra un soggetto che cerca di conoscere un oggetto e un oggetto che si presta ad essere conosciuto. Non essendo pensabile una relazione oggettuale priva di contenuti emotivi, né unesperienza emotiva avulsa da una relazione, Bion propone di isolare, accanto a K, altre due emozioni fondamentali, che chiamiamo "amore" (L) e "odio" (H). Queste saranno presenti, in varie modalità, nelle diverse emozioni che hanno un nome nel nostro universo semiotico.
La costellazione edipica rinnova nellarco della sua evoluzione lintesa situazione conflittuale fra desiderio e divieto (o fra desiderio e impossibilità): per questo la rinunzia alla realizzazione delledipo costituisce la necessaria condizione per lo sviluppo della mente.
Scrive Gilda De Simone (2002), nel suo recentissimo e illuminante libro Le famiglie di Edipo: "Possiamo quindi immaginare il tramonto del complesso edipico come distanziamento dalla compulsività e dalla pulsione di impossessamento. Anche ammettendo la pulsione del bambino nel senso freudiano, vero è che il bambino non avrebbe comunque i mezzi per soddisfarla [...]. Allora il tramonto del complesso edipico non sarebbe dovuto allangoscia di castrazione (come in Freud), ma langoscia di castrazione nascerebbe dal percepire il desiderio edipico come compito impossibile." (p.35)
La tensione di Edipo verso la conoscenza della propria identità esprime il drammatico conflitto della storia mentale dellhomo sapiens. Cito ancora Gilda De Simone "Freud [...] fece del mito di Edipo lasse portante della struttura psichica nelluomo: un mito che si dimostra interpretabile in numerose varianti e mostra infinite sfaccettature per la comprensione dei fatti psichici. Possiamo quindi continuare a parlare in termini edipici, io credo, privilegiando una lettura in chiave di conflitto per la conoscenza e lidentità."(p.71)
In sintonia, mi sembra, con il pensiero della De Simone, sono anche le considerazioni di Conforto (2003) sul tema del mito edipico "La narrazione mitologica è più ampia, dalla colpevole ascesi verso quella verità che lindovino Tiresia ammonisce di non perseguire al prologo dellintera tragedia, rappresentato dal nome di Edipo (oidipos: dal piede gonfio), che Giocasta passa sotto silenzio, provocato dal padre Laio quando gli legò i piedi abbandonandolo sulla montagna. Il percorso tragico che il piccolo delluomo trova inscritto nel proprio inconscio può allora essere guidato non solo da ciò che egli desidera (incestuosamente), ma, inevitabilmente, essere influenzato anche da quel quanto dodio e di desiderio di cui i genitori, con tonalità e intensità pur assai diverse, sono portatori nei suoi confronti. In questa più complessa lettura lEdipo... può essere si fonda su una differenza di sessi e di generazioni e si anima nel suo svolgersi a cavallo tra desideri libidici, gelosie mortifere, angosce punitive e catastrofi agoniche."
Quando, per un complesso insieme di concause, si verifica un arresto di crescita mentale, e meccanismi di fissazione o regressivi segnano un incaglio nellevoluzione psichica, talché non viene sortita lelaborazione e il superamento della posizione schizo-paranoide (assetti prevalentemente psicotici) né lallontanamento dalledipo (assetti prevalentemente nevrotici), di fronte ad una situazione conflittuale la mente del soggetto non potrà beneficiare di quel lavoro depressivo che gli consentirebbe di valutare travolto da H e da L, e dai meccanismi di scissione e proiezione che abbiamo descritto più sopra. Avverrà allora, fra A e B che vogliono x, lattacco distruttivo, secondo un principio mors tua vita mea, e non ci sarà spazio per una ricerca ulteriore. Né per C che vuole contemporaneamente x e y sarà diverso il destino: non sopportando la frustrazione e il lutto conseguenti ad una scelta, C rimarrà prigioniero dellangoscia di una situazione irrisolta. Non diversamente da D che, incapace di tollerare lambivalenza, perpetuerà una relazione alterna, spesso violenta e sadomasochistica, con loggetto del suo amore-possesso e del suo odio.
Osservavo più sopra come le modalità infantili si ritrovino spesso nel mondo anagraficamente adulto, e come queste stesse modalità altrettanto spesso permeino la vita dei gruppi e delle istituzioni. Unevoluzione maturativi ha però differenti vicissitudini negli individui rispetto a quanto accade nei gruppi. Leggiamo ancora Fornari (1970) "Mentre infatti nella vita degli individui laltro (sotto forma di presenza materna originaria) arriva, dopo una prima fase paranoidea a costituirsi come fondante del Sé, al contrario, nella vita dei gruppi , laltro gruppo si costituisce esclusivamente sul piano paranoideo come originariamente distruttivo nei confronti del proprio gruppo. La vita dei gruppi rimane cioè a livello psicotico paranoideo (manicheismo dei gruppi). Poiché da un punto di vista psicanalitico ha un senso parlare di un altro gruppo o di un proprio gruppo solo in quanto si estendono ai gruppi qualità che hanno un senso solo nellesperienza del singolo individuo (per cui ciò che chiamiamo gruppo non è altro che unesperienza relazionale dellindividuo), è indubbio che dal momento in cui laltro, a livello di esperienze di gruppo, anziché costituirsi come una condizione per la salvezza del Sé, si costituisce come una condizione di minaccia per il Sé, gli individui esprimono nel gruppo una propria disponibilità paranoie, che però viene occultata come tale in quanto viene condivisa collettivamente da tutti gli individui del gruppo. I gruppi così conoscono la necessità di amore per il proprio gruppo , cioè lamore narcisistico. Limpossibilità di amore per laltro (situazione tipicamente psicotica) viene perciò vissuta dagli individui nellesperienza del gruppo, ma ancora una volta essa non è vissuta come psicotica, in quanto tale modalità non è condivisa da tutti." (p.149 sg)
Conseguentemente " Nella costituzione del gruppo la condizione paranoidea si evidenzia attraverso la deflessione, allesterno del gruppo, delle intenzionalità distruttive degli individui appartenenti al gruppo. In tal modo la coesione di un gruppo diventa proporzionale allesistenza di un nemico al quale vengono rivolte alle tendenze distruttive che, se non deflesse, renderebbero precaria la coesione del gruppo. La deflessione sul nemico del sadismo degli individui di un determinato gruppo che, nei casi in cui manchi un nemico esterno sul quale deflettere gli impulsi distruttivi, esso deve crearsi un nemico allinterno di sé, sotto forma di sadismo verso le minoranze (p.70)
La follia condivisa non è dunque percepita. Essa costituisce spesso il tentativo di risposta difensiva di fronte ad angosce profonde che pervadono lindividuo come il gruppo; difese impotenti, come le scissioni e le proiezioni sopra descritte, come la negazione onnipotente e in genere tutte le difese maniacali. Il tema della colpa ha un ruolo centrale, sia ove essa viene negata, sia dove venga onnipotentemente assunta. Luniverso infantile della colpa persecutoria sbarra quindi il cammino verso lassetto adulto della responsabilità che, a differenza della colpa, guarda al presente e al futuro, tende alla riparazione e alla cura delloggetto damore. Rimando su questo tema al chiaro ed esauriente volume di R. Speziale-Bagliacca, Colpa (1997).
Linvidia, che per molti versi è stata considerata il motore del mondo, svolge sempre una funzione essenziale nellaffettività, individuale e collettiva. Il suo rapporto con la distruttività è ben chiaro: non sia dato a me, purché sia tolto a te. E spesso è questo lapparente vessillo di una pretesa giustizia distributiva che maschera, nel segno fiducioso e bonario di uneguaglianza, linvidia mina che vaga nelle profondità delle anime. Linvidia non consente di accedere ad un oggetto buono, interno o esterno, poiché esso è proprio perciò immediatamente maleficato dalle difese contro la sofferenza dallinvidia stessa provocata (si dice giustamente infatti "soffrire dinvidia"), difese fra le quali la svalutazione e il disprezzo nei confronti delloggetto invidiato sono le più comuni. In molti conflitti, intrapsichici, o fra individui, o fra gruppi, linvidia è per lo più negata, consciamente o inconsciamente. Ma anche quando è completamente inconscia, è spesso evidenziata dallemergere di assetti difensivi psicotici.
Riassumendo su questo tema il pensiero della Klein, Hanna Segal (1979) chiarisce " Poiché produce pena e angoscia, linvidia eccessiva mette in moto anche potenti difese che interferiscono con la graduale evoluzione dalla posizione schizo-paranoide alla posizione depressiva. Se linvidia è forte durante la posizione schizo-paranoide, la proiezione aumenta, loggetto è degradato e linvidia è proiettata nelloggetto degradato. Per questa ragione le angosce paranoici aumentano. Per difendersi da questo stato di cose, si intensifica la scissione e ci si serve di una idealizzazione eccessiva per ostacolare la persecuzione. [
] Poiché leccessiva idealizzazione fa crescere linvidia, stabilendo così un circolo vizioso, loggetto idealizzato si può facilmente mutare in un oggetto portatore di odio e persecuzione. (p.135 sg)
Sul piano delle relazioni fra individui e fra gruppi, un elemento caratteristico dei conflitti può essere riconducibile a quella che Fornari (1970) ha denominato militarizzazione della verità, per cui "una determinata evidenza, anziché essere esplicitata ed affermata per la verità che contiene, viene adoperata per sparare sulla verità emergente da unaltra evidenza" (p.212) "Il processo di militarizzazione della conoscenza trova la sua espressione storica, a livello di vita di gruppi, nelle ideologie [
] Ogni ideologia infatti si fonda su un particolare tipo di rapporto di natura essenzialmente manichea con una determinata verità, che viene assunta a livello di oggetto parziale. Tipico di ogni ideologia è il processo di idealizzazione per cui una verità parziale viene assolutizzata. Il processo di idealizzazione a sua volta viene impiegato per nascondere la propria aggressività verso il proprio oggetto damore (nel caso dellideologia, la propria verità).Loccultamento della propria aggressività verso la propria ideologia coincide in questo caso con la necessità di alienarla mettendola in unaltra ideologia, che è sentita come distruttiva nei riguardi della propria e che perciò viene combattuta nellillusione che ciò significhi amare la propria. [
] Lesperienza ideologizzata di verità è cioè sostenuta essa stessa da un processo di bellicizzazione della verità, per cui più che condurre alla guerra è essa stessa una prassi bellica, vissuta sul terreno conoscitivo.(ib.)
Abbiamo parlato di gruppi come la famiglia, listituzione, lo stato, gli insiemi di Stati oppure altri sottogruppi trasversali, insomma quanti vogliamo immaginarne o riscontrarne nellesperienza quotidiana. Più da vicino, vediamo come la famiglia, almeno nellassetto pertinente alla cultura occidentale, costituisca spesso il contenitore, per lo più inadeguato, delle più esasperate e violente tensioni distruttive; come lassetto dello stato democratico viva nellestremo e continuo rischio di deperibilità, come in generale listituzione viva nella costante tendenza a divenire psicotica.
Tutto ciò inerisce a quelle che Di Chiara nel suo esemplare libro Sindromi psicosociali (1999) definisce "Come sindromi psicosociali quei comportamenti collettivi generatori di disagi immediati o futuri evidenziabili o ragionevolmente prevedibili, senza che, per questo, tali comportamenti cessino di avere luogo, pur non esistendo per essi motivazioni non rimuovibili. Essi corrispondono ad angosce consistenti e condivise dalla collettività, le cui origini reali sono inconsce. (p.3 sg)
Ci siamo riferiti, in generale, a tutti quei processi emotivi e a quelle istanze preconosce o inconsce che fanno sì che situazioni oggettivamente o anche soltanto virtualmente conflittuali realizzino nellesperienza reale dei conflitti anche potenzialmente catastrofici per lindividuo o per il gruppo. E perché il gruppo il grande gruppo, segnatamente raggiunga gli alti livelli di meccanismi scissionali tali da produrre le risultanze catastrofiche cui storicamente abbiamo assistito ed assistiamo, "è necessario un coinvolgimento progressivo di gruppi sempre più vasti di persone: ciò avviene dopo un certo tempo: bisogna che si costituisca una cultura con quelle caratteristiche" (ib., p.21; cors. mio)
Credo che a questo proposito sia pertinente citare lapologo dei bugiardi, così come lo propone Bion (1973) " I bugiardi diedero prova di coraggio e di precisione nella loro opposizione agli scienziati che con le loro dottrine perniciose minacciavano di privare le loro vittime di ogni minima possibilità di autoinganno e di lasciarle senza la minima protezione naturale necessaria affinché la loro salute mentale fosse preservata dallimpatto con la verità. Alcuni, pur conoscendo i rischi che correvano, rinunciarono alla propria vita in difesa delle bugie, di modo che il debole ed il dubitoso fossero convinti della verità delle proposizioni anche più assurde. Non è esagerato dire che la razza umana deve la propria salvezza a quella piccola schiera di dotati bugiardi disposti, anche di fronte a fatti incontrovertibili, a conservare la verità delle loro falsità. Persino la morte fu negata e furono utilizzate le più ingegnose argomentazioni per appoggiare proposizioni evidentemente ridicole [
]. Le loro vite e le vite dei loro seguaci furono dedite allelaborazione di sistemi di grande complessità e bellezza nei quali la struttura logica era conservata dallesercizio di un intelletto potente e di un ragionare infallibile. Per contro, i deboli procedimenti per mezzo dei quali gli scienziati tentarono più e più volte di convalidare le loro ipotesi resero facile ai bugiardi mostrare la falsità delle pretese di questi villani rifatti, sì da rinviare, se non impedire, il diffondersi di verità che avrebbero potuto avere il solo effetto di indurre un senso di disperazione e vacuità nei bugiardi e nei loro beneficiari." (p.137)
E così commenta Di Chiara (1999) " Lapologo dei bugiardi [
] vuole sottolineare la rivolta del gruppo contro coloro che indicano la realtà e la verità, e come questi siano fieramente avversati; il gruppo si appoggia ai bugiardi, che illudono, pur di sottrarsi allevidenza che loro viene offerta dagli uomini di scienza: perché con levidenza si fa strada anche langoscia. I bugiardi con la loro capacità di negare la realtà diventano gli eroi del gruppo." (p.95)
Veniamo ora a considerare un altro vertice da cui possiamo guardare alle situazioni conflittuali, e cioè quello relativo al conflitto fra codici affettivi. La scelta, da parte di Fornari, al termine "codice" è in un certo senso comprensiva sia del rimando semiotico (Sebeok 1960; Jakobson 1963), sia di una pertinenza semantica attinente allaspetto genetico e sia ancora di pertinenza classematica afferente al discorso normativo. Intendiamo con codici affettivi quellinsieme di competenze e modalità di relazione che pervengono specificamente ai personaggi essenziali della famiglia: la madre, il padre, il bambino e i fratelli: e parliamo quindi di un codice materno, di un codice paterno, infantile, fraterno. Il codice materno, fondato sullappartenenza e virtualmente sulluguaglianza (tutti i figli sono uguali), e il codice paterno, fondato invece sulla competenza di ognuno, devono essere, idealmente, integrati e complementari. Nella famiglia corrispondente allIdeale dellIo, lintegrazione e la complementarietà dei codici sarà la condizione necessaria capace di costituire, nellevoluzione del mondo interno dellindividuo, la sua buona famiglia interna.
Nella patologia delle relazioni affettive assistiamo per contro, anziché alla complementarietà dei codici, alla loro esasperazione e di conseguenza alla loro inesorabile conflittualità. Consideriamo la patologia dei codici genitoriali: lestremizzazione patologica del codice paterno potrà realizzarsi in un messaggio di rigida e assoluta responsabilizzazione (riassumibile schematicamente in un imperativo assoluto: "devi arrangiarti!"), così come lesasperazione e legemonia del codice materno altrettanto schematicamente potrà condurre ad unassoluta sostituzione deresponsabilizzante e ad una dedizione sacrificale. In queste situazioni è naturale che crescano e si amplifichino virulente alleanze perverse, di genitore-figli contro laltro genitore, terreni ove spesso la triangolazione edipica, lungi dallevolvere verso un percorso di maturazione, tenderà ad eternarsi e ad inibire completamente le possibilità di crescita.
Naturalmente non cè chi non veda, come si suol dire, quanto questi paradigmi famigliari e segnatamente i due codici genitoriali - valgano a descrivere anche ambiti sociali e istituzionali: da una parte la patologia dellistituzione metaforicamente "materna", di tipo collettivistico, oblativo e livellante, potrà condurre alla deresponsabilizzazione e alla mortiferazione dellautonoma iniziativa e della creatività del singolo o del sottogruppo; dallaltra la patologia dellistituzione metaforicamente "paterna", di tipo liberalistico, ove sia esasperato lassioma suae quisque faber est fortunae, potrà portare ad una delegazione di responsabilità da parte dellistituzione e così negare al singolo o al sottogruppo laiuto di cui avrebbe bisogno e cui avrebbe diritto.
Siamo partiti da una convenzionale distinzione fra situazione conflittuale e conflitto, e potremmo anche dire, sempre convenzionalmente fra contrasto e conflitto. Potremmo isolare, arbitrariamente, i semi nucleari relativi al "contrasto" come:
oppositività + intersoggettività
mentre al "conflitto", e sempre arbitrariamente, potremmo ascrivere i semi nucleari :
oppositività + intersoggettività + emotività +incompatibilità + intenzionalità
Ma ciò che sarebbe del tutto insufficiente a pertinentizzare il "conflitto" così come labbiamo inteso. Come scrive Greimas (1991), "spesso i lessemi si presentano come condensazioni che coprono strutture narrative e discorsive estremamente complesse anche se poco esplicitate" (pag. 217). Lanalisi che Greimas conduce nel suo saggio sulla collera è volta ad evidenziare e isolare le unità sintagmatiche pertinenti per ricomporle in seguito di una "configurazione passionale" che può essere considerata la "definizione" dellemozione in oggetto ed il suo implicito programma narrativo. I contenuti di ciò che ho grossolanamente indicato con emotività, rimandando alle emozioni sopra isolate come legame L (amore) e legame H (odio) costituiscono elementi classematici differenziali capaci di realizzare o per contro vanificare il programma narrativo di "conflitto". E chiaro, in altre parole, che il contrasto fra A e B (individui, gruppi o istituzioni) fra cui esista un legame L porterà a risultati ben diversi rispetto a quelli che conseguirebbero allesistenza, fra i medesimi A e B, di un legame H. Se H rappresenta la distruttività, intendo dire, questa preesiste al conflitto, e ne è la necessaria precondizione mentale. Il conseguente agire ne costituirà semplicemente la realizzazione storica.
Bene ci ricorda Lotman (1973) come la cultura in cui si è immersi la propria, potremmo dire, identità tribale venga storicamente ritenuta l"unica cultura" concepibile, mentre le altre collettività sono considerate esprimere una non-cultura: ciò rappresenta ancora la permanenza, da parte dellindividuo e della collettività, in un ambito primitivo che conseguentemente utilizza nei confronti dellaltro i meccanismi paranoici e schizoidi sopra descritti. Tutto ciò tende ad evidenziare come, per contro, la composizione delle situazioni conflittuali, anziché la loro realizzazione in aperti conflitti, dipenda dallorientarsi da parte di dei soggetti verso una posizione depressiva, che consenta la rinuncia allesportazione della colpa sullaltro e lassunzione della responsabilità anche allinterno del sé e del gruppo proprio.
BIBLIOGRAFIA
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