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ALCUNE VELOCI E SINTETICHE CONSIDERAZIONI SULLA CONFERENZA DI TRIESTE

 

Si può rimanere delusi quando non ci sono aspettative o queste sono molto basse? Evidentemente si! E’ quanto è capitato a me alla Conferenza Nazionale di Trieste in cui personalmente non ho trovato alcuna indicazione o proposta nuova e innovativa e in cui il dibattito e le tematiche sembravano collocate nei primissimi anni 90. Da questo punto di vista le Conferenze di Napoli, in particolare, e di Genova, a confronto, sono state del tutto rivoluzionarie. Purtroppo questo senso di estrema delusione ha attraversato moltissimi dei partecipanti, dai quali non ho sentito alcun commento positivo. Questo, in me che ho dedicato trenta anni di lavoro esclusivo al settore si è tradotta in una forte rabbia, che, fortunatamente, è ancora una sentimento positivo rispetto all’indifferenza e alla resa.

La bassa aspettativa aveva la sua ragion d’essere dal modo in cui è stata preparata la Conferenza, con incontri preliminari quasi esclusivamente centrati sul tema dell’organizzazione e della partecipazione alla stessa e non sui temi da dibattere con documenti che fungessero da riferimento e filo conduttore per la discussione. Le prime tre Conferenze di Palermo Napoli e Genova sono state precedute dal lavoro di gruppi professionali che su temi specifici, quelli di piu’ attualità e delicatezza hanno elaborato documenti che sono stati alla base delle relazioni e della discussione nel corso dei lavori assembleari. La Consulta Nazionale nominata dal precedente governo, come preparazione alla quinta Conferenza, aveva individuato sette temi particolarmente importanti e su questi aveva formato sette gruppi di lavoro che per un anno e mezzo si sono incontrati e poi prodotto documenti di riferimento per il dibattito. Dal momento che in questo Paese ciò che fa una parte viene puntualmente rigettato dall’altra, anche in questo caso il lavoro preparatorio è stato semplicemente cancellato e i documenti relativi cestinati o trattati alla stessa stregua di tutti gli altri. La Conferenza di Trieste non ha avuto alcuna attività preparatoria sui contenuti, nè sono stati individuati temi prioritari per il settore sui quali concentrare l’attenzione e trovare sintesi e indicazioni per il futuro. Il risultato che ne è scaturito sono state sedici sezioni tematiche e una plenaria concentrate in una unica giornata, con sei, sette o otto relatori in ciascuna sessione, della durata complessiva di un’ora e mezzo. Il numero così alto di sessioni ha determinato una dispersione e un livellamento dei temi, il tempo ristretto con dieci minuti massimi per relazione ha reso impossibile qualsiasi argomentazione approfondita e la non preparazione e il non coordinamento preventivo hanno prodotto relazioni che non avevano alcun punto di contatto tra di loro, in cui ognuno diceva ciò che gli veniva in mente, senza una proposta organica o un filo conduttore, molto, troppo spesso del tutto fuori tema. In questo quadro ovviamente si sono perse e vanificate anche quelle poche relazioni interessanti che pure ci sono state. Personalmente ho sempre pensato che una Conferenza Nazionale, voluta dal legislatore ogni tre anni, fosse l’occasione per dibattere sui temi di piu’ calda attualità, come poteva essere in questo caso la riduzione del danno, per analizzare l’andamento dei provvedimenti adottati come ad esempio la legge Fini Giovanardi o il controllo dell’uso di droga nei lavori a rischio, per individuare i punti di maggiore sofferenza del settore, come la crisi dei servizi, sia pubblici che privati, per raccogliere opinioni, pareri e esperienze di chi lavora direttamente nel settore e individuare le linee di sviluppo da tradurre sia in provvedimenti legislativi che in direttive e indirizzi. Di fatto non c’è stato nulla di tutto questo, tanto che tra i sedici temi oggetto delle sessioni di lavoro non ha trovato spazio e cittadinanza la riduzione del danno, che pure era una delle richieste avanzate con piu’ forza prima della Conferenza e il tema sul quale almeno i rappresentanti dell’attuale maggioranza di governo polemizzano con piu’ fervore. Per poterne parlare la riduzione del danno è stata rinominata Mucca Carolina, e in questo modo il senatore Giovanardi è riuscito finalmente a cogliere che essa è molto altro che non "stanze per il buco", mentre probabilmente ha perso l’occasione di capire che è esattamente il contrario della cronicizzazione tanto sbandierata e temuta in una patologia definita cronica recidivante.

Il clima complessivo della Conferenza è stato assolutamente tranquillo, senza alcuna tensione né dentro né fuori, dove pure c’è stata, a poche decine di metri di distanza, una sorta di controconferenza. Non ci sono state tensioni particolari e ancora meno contestazioni, come ad esempio a Genova. Tutto ciò sarebbe positivo se ci fossero state proposte e tensione in avanti, invece questa tranquillità sembra, purtroppo, solo il frutto di grande stanchezza, disillusione e ormai mancanza di aspettative. Rassegnazione? Sembra molta.

La Conferenza è iniziata con una classica, pletorica plenaria politica in cui non si è detto praticamente nulla, o, al contrario, tutto, nel senso che è stato subito chiaro in quale considerazione viene tenuto il settore. Di alcuni interventi, per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare assolutamente nulla, come quello di Giovanardi, che pure avrebbe dovuto indicare le prospettive del settore e le intenzioni del Governo, o quello di Gasparri la cui nota di rilievo è stato il mancato attacco ai Sert. Ci sono stati anche interventi bonariamente bizzarri come quelli dei sottosegretari Pizza e Fazio che è sembrato non avessero ben chiaro a quale uditorio stessero parlando. Del senatore Fazio va segnalato che ad un certo punto ha chiesto, serio, ai partecipanti se sapessero cosa sono i Sert, destando ovviamente sconcerto, ilarità e sarcasmo, e subito, di seguito, ha cercato di spiegare, "da medico", l’origine biologica della tossicodipendenza, facendo scattare immediato l’augurio che almeno in altri campi medici sia piu’ preparato. Le uniche cose interessanti sono state dette da Livia Turco con un intervento appassionato, molto piu’ di quando era ministra, e anche autocritico per le cose che non era riuscita a fare quando era al governo, e dalla Melloni, ministra della Gioventu’, in particolare quando ha evidenziato, unica in tutto il corso della Conferenza, la necessità di una riforma dei servizi, sia pubblici che privati, perché è cambiato completamente il contesto e la realtà da quando sono nati e quando ha annunciato la creazione di spazi giovanili di incontro, aggregazione, elaborazione un po’ in tutto il territorio nazionale, dando così l’idea di una visione, di un indirizzo e di una programmazione del suo ministero. Non diversa dall’apertura è stata le chiusura della Conferenza con l’intervento del Presidente della Camera, l’onorevole Fini, che in oltre mezz’ora di intervento non ha detto assolutamente nulla di interessante e rilevante, rendendo incomprensibile il perchè della sua partecipazione

Come era ampiamente nelle previsioni, tutti i politici che si sono succeduti dall’inizio alla fine dei lavori hanno speso parole esaltative nei confronti del privato, sempre definito volontariato, l’unico, che dà le risposte concrete e risolutive. E’ mancato, questa volta, l’attacco ai Sert, forse perché c’erano molti operatori presenti in grado di reagire, ma nello stesso tempo non è stata spesa una sola parola di riconoscimento della loro funzione e del loro lavoro. E’ necessario evidenziare dal momento che è un aspetto che continua a non essere colto o a essere sottovalutato come i politici nel loro afflato verso il privato continuino in realtà ad umiliarlo perseverando imperterriti a considerarlo volontariato e negandogli, nei fatti, competenza professionale e riconoscimento di servizio. E’ triste che tranne in due brevi interventi durante un breve dibattito, nessuno del privato ha cercato e cerchi di contrastare questa visione e questa considerazione che oltre che umiliante è anche penalizzante. Infatti alle parole di esaltazione del ruolo e della funzione salvifica delle comunità non segue mai, né è seguito in questo caso un riconoscimento e una equiparazione alle altre realtà private che operano nella sanità, come ad esempio le comunità psichiatriche. Credo sia opportuno che il privato del settore si interroghi seriamente e a fondo se continuare ad accettare questi vuoti riconoscimenti che, a mio avviso, presto lo costringerà davvero a fare i conti con la chiusura dei servizi e delle sedi. Si interroghi anche se continuare ad accettare le poche e sporadiche elargizioni assistenzialistiche, come il promesso pagamento degli interessi bancari causati dai ritardi nei pagamenti delle rette (ma ci sarà davvero? E a che condizioni?) e non, invece, a richiedere una seria revisione strutturale della propria collocazione e della propria funzione. Le due cose sono assolutamente in alternativa tra di loro e il perseguimento della seconda opzione richiede che immediatamente il privato che sente di svolgere una funzione di servizio sociale professionale si organizzi compattamente e si smarchi in modo chiaro da quei pochi "guru" che al contrario hanno tutto l’interesse al perpetuarsi dell’equivoco del privato del settore come volontariato. Non arriverebbero piu’ loro assegni da milioni di euro da parte di politici e imprenditori ricchi. Personalmente ho trovato di pessimo gusto ed anche molto offensivo verso tutti i partecipanti ai lavori, la lettura durante le sessione finale della Conferenza del messaggio augurale di uno di questo "guru", neanche fosse il capo dello Stato, "guru" inquisito per reati commessi approfittando della debolezza intrinseca degli ospiti delle sue strutture. E’ forse questo il vero messaggio educativo che si intende diffondere!!

E’ vero che, almeno in questa occasione, i Sert non sono stati attaccati esplicitamente, né sono stati fatti oggetti di battutine salaci, ma è pur vero che l’apparente o, meglio, vuota esaltazione del privato significa anche disconoscimento e deprezzamento dell’operato dei servizi pubblici per i quali non è stata spesa una sola parola in positivo, anche se, come già detto, neanche in negativo. Ma c’è forse peggiore disconferma che l’essere ignorati?

Se la sessione politica di apertura della Conferenza riservata al governo e piu’ in generale allo Stato è stata "vuota", quella del pomeriggio riservata alle Regioni per certi versi è stata ancora peggio. E’ appena il caso di ricordare che le Regioni, a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione hanno la piena responsabilità della programmazione, degli indirizzi e degli assetti organizzativi del settore sul loro territorio di competenza, per cui da esse era attesa non solo una valutazione dell’esistente, in particolare sul forte squilibrio e sulle sperequazioni tra le varie realtà regionali ma anche e soprattutto le linee di sviluppo nel prossimo futuro. C’era molta attesa sia per il loro ruolo fondamentale nel settore sia perché essa hanno voluto con forza lo spazio dedicato loro all’interno della Conferenza, suscitando così non poche aspettative. Queste aspettative sono immediatamente crollate guardando la stessa composizione del tavolo dei relatori: su sei assessori previsti ne mancavano tre e due di questi avevano delegato i tecnici. E’ lo specchio della considerazione del settore: hanno sempre qualcosa di piu’ importante e urgente da fare, mentre occuparsi delle dipendenze è soprattutto una perdita di tempo che può essere delegata ai propri funzionari. E’ meglio non commentare affatto lo show, assurdo, dell’assessore umbro che, in polemica con l’organizzazione della Conferenza, ha rinunciato al proprio intervento in favore, giustamente negato in quel contesto, di un intervento di un rappresentante dei servizi privati e di uno dei servizi pubblici. Evidentemente nessuno gli ha mai spiegato la differenza dei ruoli e delle funzioni, il rispetto dei contesti e la necessità di assumere le responsabilità derivanti dalla carica. Era quello il luogo in cui l’uditorio non voleva sapere cosa chiedono i servizi pubblici e privati ma in cui voleva sapere cosa fa e intende fare la Regione Umbria nel settore e possibilmente gli orientamenti delle altre Regioni con la speranza che i presenti fossero stati delegati dalla Conferenza delle Regioni. E’ stato molto apprezzato l’intervento dell’assessora del Piemonte, chiaramente imbarazzata per ciò che stava succedendo, la quale forse ha avuto il torto di dire cose troppo intelligenti in un contesto precedentemente degenerato. Va segnalato lo sforzo compiuto dai responsabili degli Uffici Regionali per le Tossicodipendenze che hanno effettuato una ricognizione della stato dell’arte in tutte le Regione offrendo un quadro generale, seppure parziale, della situazione del settore nelle varie zone del Paese. E’ stato anche preso l’impegno a continuare in questa azione di ricognizione e verifica e l’augurio è che il coordinamento tecnico delle Regioni riprenda davvero a funzionare e a svolgere il ruolo positivo che ha avuto in tutti gli anni novanta sia nel rapporto con i Ministeri sia come gruppo di auto mutuo aiuto tra le regioni piu’ forti e organizzate e quelle con piu’ difficoltà. Complessivamente la sessione gestita dalle regioni, sia per i dati forniti sia per ciò che è stato detto, è stato lo specchio fedele della situazione di degrado, di sfacelo in cui versa il settore nella stragrande maggioranza di esse, ha dimostrato la pochezza politica di molti di coloro che sono chiamati ad amministrare, la divisione e non coordinamento tra loro e il disinteresse per il settore.

Ad aggravare questo quadro, e a mio avviso è l’aspetto piu’ negativo scaturito dalla Conferenza, è la spaccatura, splendidamente sancita e teorizzata da Giovanardi alla fine dei lavori, tra lo Stato, e quindi il governo, e le Regioni, quando il senatore incalzato sulla necessità di costruire e stringere questo rapporto, ha dichiarato che non intende affatto rapportarsi al complesso delle Regioni ma individualmente con esse, secondo necessità e momenti, in una sorta di dividi et impera, secondo la piu’ splendida tradizione clientelare italiana.

Ma tutta la Conferenza, sin dalla sua preparazione è stata voluta, condotta, gestita all’insegna della separazione, della divisione tra le componenti e all’interno delle stesse componenti. Penso che questa sia una l’indicazione molto grave perchè significa che tutta la gestione del Dipartimento e quindi della politica nazionale sarà all’insegna della divisione, del mettere gli uni contro gli altri, del contrario di ciò che dovrebbe e potrebbe essere, di ciò che sarebbe assolutamente necessario. Naturalmente questa politica trova sempre degli alleati e degli accoliti perché c’è sempre chi gradisce il tozzo di pane offerto pensando a chi sa quali cambiamenti in futuro.

Personalmente ero particolarmente interessato alla sessione sull’integrazione tra servizi e tra professionalità, sessione alla quale avevo chiesto di intervenire (con analitico abstract) e sul cui tema ho scritto considerazioni che ho inviato al mio indirizzario email e che l’Associazione Itaca Italia ha avuto la gentilezza di mettere nel proprio sito alle sezione documenti. Mi è stato detto in primo luogo che c’erano troppi interventi per cui bisognava tagliarne alcuni e in secondo luogo che bisognava lasciare spazio a voci nuove e fresche. Le voci nuove sono state una psichiatra che ha spiegato l’origine neurobiologica della tossicodipendenza (sic) e uno della Compagnia delle Opere di Brescia per il quale l’integrazione è stata l’apertura del Sert privato da associare alle sedi comunitarie gestite dallo stesso gruppo (proprio così!!). Ma se le voci nuove hanno proposto questo modello di integrazione le vecchie sono state davvero vecchie presentando un modello "ad alta integrazione" elaborato da Federserd, FICT e CNCA, (come corretta integrazione, per non far torto a nessuno, hanno parlato, per presentarlo, in successione tutti e tre) del tutto superato e ormai fuori dal mondo. Ciò che è peggio sembra sponsorizzato dal Dipartimento Nazionale, sicuramente da Giovanardi che sa del tema come io so di alta ingegneria. La direttiva 722 del 1995 dell’Emilia Romagna era già allora molto piu’ avanzata di questa proposta che non solo non indica nulla di concreto, ovvero di come realizzare fattivamente l’integrazione non limitandosi alle declamatorie di principio, ma è del tutto fuori contesto non tenendo affatto conto né dell’evoluzione del fenomeno né del momento economico politico che stiamo attraversando e, soprattutto, perpetuando la separazione o chiusura o l’isolamento dei servizi per le dipendenze dal resto del sociale e sanitario, come se questi fossero in grado da soli di risolvere i problemi. Insomma una proposta vecchia e perciò stesso pericolosa.

Per concludere queste poche considerazioni va evidenziato in positivo il pronunciamento del senatore Giovanardi contro l’ipotesi di denuncia degli extracomunitari, senza permesso di soggiorno, che chiedono di curarsi, e l’impegno a cercare di ripristinare il Fondo di Lotta alla Droga o almeno parte di esso, Tremonti permettendo. Anche se questo tipo di promessa è facile da fare ma difficile da mantenere, va colta in positivo la comprensione del problema, e bisogna davvero augurarsi che ciò possa avvenire, anche se poi va approfondito molto accuratamente come utilizzare in positivo il Fondo evitando gli errori e gli sprechi che in passato ci sono stati.

Celeste Franco Giannotti

Già Responsabile dell’Ufficio Tossicodipendenze

Regione Emilia-Romagna

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