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PSICHIATRIA E CULTURA:

NOTE E CONFERENZE

 

Dialogo tra un credente e un non credente

Vittorino Andreoli, don Luigi Negri

 

Chi è l’uomo per un non credente

Negri Introduco questa domanda con due frasi che in questi anni mi hanno sempre accompagnato nel quotidiano incontro con i giovani. La prima è di Gabriel Marcel e recita: "ama chi dice all’altro: tu non puoi morire", così sottolineando che la pietas verso i nostri fratelli nasce esattamente quando un uomo si mette nell’animo di potere sentire questo. L’altra frase che è per me una guida fu pronunciata da Bernanos in occasione di uno dei discorsi sulla libertà, ricordando tutti i grandi che morirono durante la Prima Guerra Mondiale, soprattutto sulla Marna: "abbiamo chiesto ai nostri padri una ragione per vivere e ci hanno mandato a morire nelle trincee". Credo che, ciclicamente, durante questo secolo, una generazione ha domandato all’altra le ragioni per vivere, e cioè per non morire, ma non si è sentita accolta, bensì dirottata, simbolicamente, sulla Marna. Cosa ne pensi tu, come li vivi questi giovani?

Andreoli Sono affascinato dai casi estremi, cioè dai giovani al limite della possibilità d’esistere, giovani "rotti". Cerco spesso di capire perché ho dedicato la mia attività ai matti, poi ai ragazzi tossicodipendenti, a quelli che uccidevano, in particolare padri e madri, come per Maso, o bambini, come Chiatti. Di fronte a simili esperienze non si può non domandarsi: a che cosa ci serve più la logica? A che cosa, la gradualità del procedere razionale? Il fascino si scatena da questi giovani per il loro modo continuo di sfiorare il limite tra vita e morte. Sono esistenze che parlano fuori dalla norma, spesso contraddicendola.

So che sembrerà una provocazione terrificante, ma vorrei paragonare il rapporto tra questi giovani estremi e quelli cosiddetti normali alla differenza tra le figure dei santi e dei fedeli. Perché questi ragazzi "fuori" tentano di rimanere in bilico su un filo sospeso su questa società, si muovono e cadono.

Sono un uomo pieno di dubbi, ma ho una sola sicurezza: da me non sentirete mai la parola verità, non ho un assoluto in tasca che funzioni sempre. Mi muovo e osservo, guidato dal dubbio. E su questi casi estremi, così distanti dai ragazzi perbene, posso dire che sarebbe bastato pochissimo perché le loro vicende fossero del tutto diverse. Questa considerazione mi impedisce di valutarne le storie in maniera distaccata, non ho l’animo del fisico, partecipo a quanto mi viene raccontato dai giovani e non mi arrendo all’idea che non ci sia nulla da fare.

Negri Ma quanto è questo poco che sarebbe bastato perché le loro vite fossero diverse da quelle che sono? Sant’Agostino diceva che "la verità è chi ti sta vicino". Uno dei più gravi tradimenti della cultura viene da chi ha eliminato il sacro, sostituendolo con un progetto qualunque. L’antropocentrismo moderno non ha fatto che dimostrare la propria inconsistenza nell’incapacità assoluta di dire: "tu puoi non morire".

Andreoli Quel poco di cui parlo non è quantificabile in astratto. Penso a esperienze specifiche. Per esempio: che cosa è mancato a Maso? Dopo sei anni questo ragazzo è in carcere, dove dimostra una discreta esperienza nel campo dell’informatica e manifesta un comportamento modello. Una qualsiasi valutazione fatta sulla sua personalità oggi confermerebbe la mia che fece tanto scandalo sei anni fa: Maso non era un mostro. Come lui, molti altri: si tratta di casi, gesti estremi di ragazzi normali che avrebbero potuto compiere azioni positive. Sono convinto che l’amore abbia una forza determinante, l’amore umano è bellissimo, ha un potenziale straordinario. Come te, credo che sia una delle componenti che consentano la differenza. Eppure mi domando perché questo tuo amore di Dio salta tutto l’uomo? Non penso che a questi ragazzi mancasse un amore ultraterreno, credo che fossero privi di cose umane, di un padre che li ami, di una madre. A questo livello, di fronte a ragazzi normali che compiono azioni estreme, bastavano solo presenze terrene. Non chiamare il tuo Dio per queste cose, qui bastano gli uomini. Ecco, dunque, che quel poco di cui parlo è fatto certamente dalle esperienze affettive, dai modelli umani che si hanno davanti.

Nella tua domanda c’è ancora un altro dubbio, mi chiedi che cosa abbia fatto la cultura, arrogandosi il diritto di annientare il tuo Dio, mettendo l’uomo al centro. Eppure non si può dimenticare che per secoli la cultura è stata - ed è tuttora - informata dalla Chiesa, dai suoi sacerdoti. Si è parlato tanto di teologia, ma com’è lontano questo argomentare dai dubbi e dalle necessità del mondo giovanile. C’è, innegabilmente, un estremo bisogno di sacro. E il sacro è profondamente umano, non appartiene alla religione cattolica. Rudolf Otto, nel 1927, scrisse che "il bisogno di sacro è una categoria della mente". Il riferimento a Kant era certo.

La religione, tutte le religioni, sono un modo, forte e strutturato, di rispondere a questo bisogno che i giovani avvertono in maniera particolare. Ma oggi non credo che siano nemmeno più adeguate alla domanda.

Io ho rispetto per chi, come te, ha la percezione della Verità come un dono, eppure credo che il modo di rispondere ai giovani e che una simile certezza suggerisce, loro non basti. Come se formulassero una certa domanda e tu dessi loro un’altra risposta. I giovani hanno bisogno di un aspetto nuovo della religione. Così, ti chiedo: non è religione anche quella dei monaci del IV-V secolo in Irlanda o di San Benedetto? Perché non parlate di queste esperienze con i ragazzi?

Negri Si scomoda male Dio se non viene testimoniato come capace di valorizzare tutti gli aspetti dell’umano. Questa è una forte autocritica, necessaria per tutta la realtà cristiana. Come dimenticare che Cristo è l’uomo vero?

Terenzio amava ripetere: "sono cristiano e non ritengo estraneo nulla che riguarda l’uomo". L’amore umano è la prima apertura dell’amore divino. Il cristianesimo ha sbagliato quando si è identificato meccanicamente con una forma, perché, in realtà, la sua funzione continua è il confronto con la vita quotidiana. Il nostro papa ha dato la più bella definizione di San Benedetto, dicendo che per lui "l’eroico è diventato quotidiano e il quotidiano eroico". Come religioso non posso che accettare la provocazione che fa del sacro una struttura della psiche, perché la proposta cristiana non può essere di rottura con quanto riguarda la vita. Il santo è l’uomo maturo grazie all’esperienza di fede. Per cui è vero che il sacro è strettamente legato all’elemento antropologico.

Andreoli Mi trovo a disagio talvolta rispetto alle posizioni cristiane, perché mi sembra disconoscano una realtà in cui invece io, anche grazie all’esperienza, fermamente credo. Ossia esiste una dimensione, che è quella dell’uomo civile, laico. La società si fonda sul rispetto reciproco, per cui richiede necessariamente che ci sia un codice di comportamento e un’etica. Vorrei che gli uomini rispettassero le leggi degli uomini. Non c’è bisogno di chiamare in causa Dio. Questo passaggio è fondamentale a ottenere una società civile che i religiosi, poi, se vorranno, potranno santificare. Credo sia stato Paolo VI a scrivere: "occorre trasformare il mondo in umano e poi da umano renderlo divino". Già Sant’Agostino accettava questa scommessa della Città della Terra e della Città del Sole. E allora perché non ammetti che ci sia un piano puramente umano? Lasciaci un mondo forse piccolo, ma civile, su cui la cultura laica faccia il progetto di renderlo ancora più umano e civile.

Una volta scrissi un libro, il titolo era Demonologia e schizofrenia. Una copia arrivò al cardinale, che lo lesse e mi cercò per chiedermi se avrei accettato di incontrare l’allora papa Paolo VI, che al tempo - era il 1976 - stava preparando un’enciclica sul demonio. Nel libro io raccontavo il caso di un malato che pensava di essere l’incarnazione del demonio.

Ricordo che di fronte a quest’uomo con un filo di voce, mi sentii imbarazzatissimo. Gli parlai del libro e la sua domanda fu se, nella mia esperienza di psichiatra, non avessi mai avuto la necessità di pensare al demonio. Risposi che non lo avevo mai incontrato. Ma papa Paolo VI insisté: voleva sapere la posizione della psichiatria in generale rispetto a questo tema.

Chiesi tempo per riflettere e così ebbi un secondo colloquio. Parlai, in quell’occasione, del legame tra la psichiatria e la concretezza dei casi che si avevano davanti, della dimensione della malattia. Appena smisi, dopo avermi ascoltato, il papa si alzò e disse: "certo, Andreoli, ma il demonio c’è".

In realtà, tuttora sono convinto che l’umanità abbia un fascino straordinario. Anche in questo episodio, io guardavo a Paolo VI come uomo e ne sentivo la forza e il mistero. Non posso allora rinunciare a rivendicare una dimensione che appartenga all’uomo, dentro la quale ciascuno, anche tu, possa entrare da uomo.

Rifiuto l’assunto secondo cui per capire l’uomo bisogna prima sapere chi è Dio. Bisogna partire, invece, dalla cultura dell’uomo, su questa poi, tu, la Chiesa, impianterete altre cose, facendo dell’uomo un santo.

Ma io, con i ragazzi che incontro, sono convinto di potermi fare capire in termini umani, svegliando la speranza attraverso la proposta di un progetto assolutamente umano.

Così non posso accettare che un religioso, dunque toccato da Dio, sia un uomo civile diverso e migliore da un laico.

Negri Dovrai riconoscere, però, che esiste sempre la possibilità di partecipare e contribuire positivamente al mondo dell’uomo, venendo da un altro luogo. Così, come religioso, posso giocare questa mia appartenenza diversa a favore dello spazio in cui vivo e opero, quello civile. Questo mi rende umano. Eppure di fronte alle vite spezzate, spesso si avverte l’impotenza.

Ti chiedo allora di fare un’analisi, una diagnosi dei limiti che il mondo adulto ha nel dare risposte al bisogno di sacro di cui parlavi prima?

Andreoli Da tempo sono convinto che la discoteca sia un luogo di rituali del sacro: c’è un bisogno di creare una sorta di grande e unico corpo. Lì non esiste più la coppia, l’unico legame è con la musica, addirittura con quella sacra che in alcuni locali viene suonata. Chiunque ha bisogno di un cerimoniale e nella discoteca questo può accadere: ci si trasforma. L’ecstasy, a esempio: il boom delle pasticche è legato alla sensazione di forza e coraggio, alla possibilità che dà di credere che si possa vincere la timidezza in un colpo solo, trasformando l’individuo in un "corpo mistico". Il rito della notte è una sorta di rinascita dal buio.

Credo che i religiosi dovrebbero interessarsi alle discoteche, perché, dal punto di vista della ritualità, si avvicinano molto alle domeniche della Chiesa. Questi ragazzi danno molti segnali che vengono distorti e non compresi. E per capire c’è bisogno della psicologia, di una scienza dell’uomo.

A un’altra cosa mi ribello: quando tu dici che il Vangelo, la Bibbia e i testi sacri appartengono ai credenti, non è vero. Sono libri straordinari che ogni buon cittadino dovrebbe leggere.

Recentemente mi hanno invitato a parlare con un gruppo di ragazzi di sessualità, chiedendomi di portare un oggetto che la simbolizzasse. Io ho scelto anche il Cantico dei Cantici. Perché è una straordinaria storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza, un legame anche fisico, erotico.

San Bernardo vi lesse una relazione d’amore tra Dio e la Chiesa. Ma quella ragazza è umana, la si potrebbe incontrare per strada, è affascinante e tenera. Chiede: "baciami". Rileggendolo, pensate almeno una volta a due ragazzi, si badi: non un marito e una moglie, due giovani, che fanno l’amore. "Ricordava un bambino che è attaccato al seno della propria madre", così è l’amore: un bambino che si butta voracemente sul seno della madre per potere vivere, poi si stacca soddisfatto e ne incontra lo sguardo.

Questa storia straordinaria racconta che l’amore nasce quando si incontrano due sguardi.

Negri Torniamo al simbolo. Credo che la modalità intellettiva non sia l’unica forma di conoscenza. Nella tradizione cattolica, c’era una ricchezza di significati simbolici che sono, invece, stati lentamente abbandonati. Mi rendo conto che, di fronte al bisogno di sacro lasciato senza risposte, si creano liturgie alternative, diverse, nuove, mentre i religiosi rispondono con una riduzione dei simboli a un’essenzialità di tipo ideologico. Come pensi che il sacro si leghi alla esigenza di un luogo?

Andreoli Il sacro non corrisponde al razionale, così come non lo si può fare coincidere con il suo opposto, l’irrazionale. È un’altra categoria che si fonda sulla commistione tra mistero e paura.

Quando si avverte la paura, nell’esperienza, una delle prime reazioni è aggrapparsi gli uni agli altri: fare comunità. La molla sta lì, in quella paura del mistero, del dubbio che tu hai di te stesso. Ecco perché mi dichiaro innamorato del dubbio e odio, al contrario, la verità. Il dubbio è ciò che mi fa sentire il bisogno di te. E invece la nostra si sta dimostrando una società incapace di aggrapparsi: i padri non abbracciano più i propri figli diciottenni.

Così il bisogno di sacro si sposta sul gruppo, sui coetanei: la paura sine materia, questa particolare forma di paura della paura, trova finalmente un respiro tranquillo. Credo che questa formula che ho usato, la paura della paura, sia quasi teologica.

Sappiamo che c’è la paura, ma non se ne vede il volto, non se ne formula la ragione precisa. Eppure l’unico rimedio è non rimanere soli. Così il bisogno di sacro si esprime nella cerimonia. Anche l’ecstasy è comunione, se vuoi blasfema, un modo per entrare liberamente in contatto con gli altri, e non avvertire più la paura. Credo che questo sia l’aspetto necessario: essere insieme, nel gruppo. Allora a te, come religioso, dico: non spiegare ai giovani il mistero della Trinità, mettili insieme, falli stare tra loro. Per vincere la paura, bisogna partecipare a qualcosa che rassicuri. Il religioso dovrebbe essere un celebrante, invece i preti si sono tutti innamorati dell’intellettualismo laico che li ha resi predicatori. E non può funzionare. Sarebbe come se una madre, di fronte al bambino che piange, pretendesse di farsi ascoltare dicendo: "adesso ti spiego". In realtà, l’unico modo per calmarlo è prenderlo in braccio, fargli sentire il calore del corpo, dell’affetto.

Così per rispondere ai giovani è necessaria la presenza. Dietro alla violenza, per esperienza, ho scoperto sempre la paura.

Negri Dio ha mandato Gesù in terra per mostrare il suo amore verso gli uomini. L’uomo ha in sé un grande vuoto e deve trovare una risposta a questo. Forse dovrebbe incontrare Cristo, la sua umanità.

Andreoli Nelle tue parole emerge sempre un particolare fortissimo: tu credi e questo rende per te certa l’esistenza di quella dimensione di fede che ti riesce difficile immaginare che qualcuno possa dubitare. Invece io ti chiedo di fare uno sforzo, di privarti per un momento di questa sicurezza. Certo, ti considero fortunato per la tua fede, capisco che tu possa sperare in un mondo in cui tutti seguano il tuo Dio, ma non puoi colpevolizzare chi non lo fa come se gli mancasse la volontà o la forza.

Anch’io leggo il Vangelo e lo trovo un libro straordinario, colgo cose diverse da te, ma non perché sono cattivo o cieco da non riconoscere la luce se ho una lampadina di fronte agli occhi. Vorrei che ti convincessi che può esserci un grande valore e una assoluta onestà in chi non crede, e impegno civile. Ci può essere un grande progetto per l’uomo anche se non condotto in nome di Dio.

Mi preme chiarire questo punto con te, perché spesso ho colto una sorta di sufficienza, talvolta addirittura violenza silenziosa, da parte di chi considera di avere la verità. Sono molti gli uomini di verità che non hanno rispetto degli altri.

I preti dovrebbero invece mostrare comprensione. Come fa il papa.

Negri Prima hai parlato del monachesimo, di San Benedetto. Perché ritieni che anche noi dovremmo riproporre la religione a quel modo?

Andreoli Ti confesso che nei miei sogni adolescenziali c’era il desiderio di entrare in monastero. Ricordo che, durante la guerra, io e la mia famiglia eravamo sfollati nella casa dei nonni materni, che confinava con l’eremo camaldolese della Rocca del Garda. Questo monastero ha una storia straordinaria, perché ha salvato persone che altrimenti sarebbero state uccise. E inoltre regnava il silenzio, la riservatezza. Io entravo con il nonno e mi sentivo tranquillo. Ho ancora adesso, nella memoria, immagini indimenticabili, i gesti della vita monacale, il coro.

Quel fascino mi accompagna tuttora. Quando parlo con ragazzi in difficoltà, con ragazze che hanno smesso di mangiare per il dilemma del corpo, certamente dialogo con qualcuno che soffre di un disturbo da curare, eppure vedo segnali di quel monachesimo: un’anoressica vorrebbe cancellare la pelle e le ossa, per essere solo spirito. I giovani sono attratti dalla vita del monastero: pensa solo al fascino che ha ricominciato ad avere la meditazione. Allora ti chiedo: perché non spiegare loro che anche il cristianesimo ha una storia straordinaria di spiritualità, di meditazione? Ribellatevi alla falsa convinzione per cui sarebbero solo gli orientali a praticarla.

Negri Mi piacerebbe riassumere quest’incontro innanzitutto sottolineando una reciproca grande testimonianza di passione per la vita. La dignità dell’uomo sta nella forza con cui vive. È la passione a costruire il senso del sacro, la sintesi dello spirito, di quel mistero che anche la tradizione cattolica chiama, come te, tremendum et fascinosus. A noi spetta testimoniare che, partendo da lontano, possiamo arrivare all’uomo senza fratture, superiorità o incomprensioni, ricordando che l’avvento di Cristo sulla terra è il compimento dell’uomo. Dobbiamo vincere l’approssimazione, la genericità e ottenere così dall’uomo che soffre la vita perché è lontano dal sacro la possibilità di essere almeno ascoltati.


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