PSICOPATOLOGIA CLINICA DI UN'ESPERIENZA MANIACALE Maria Teresa Ferla, Chiara Guglielmetti Servizio di Psichiatria dell'Azienda Ospedaliera "Maggiore della Carità", Novara (Il lavoro si deve ai due autori in parti uguali)
Premessa psicopatologica Temperamento e personalità premorbosa
Premessa psicopatologica Le depressioni che sono chiamate clinicamente endogene, o psicotiche, si distinguono in depressioni unipolari e in depressioni bipolari, secondo la classificazione di Leonhard: le prime si manifestano con episodi depressivi, che possono ripetersi a distanza variabile di tempo, mentre le seconde agli episodi depressivi alternano episodi maniacali. Alla oscurità e alla pesantezza della malinconia si contrappongono la leggerezza e la volubilità della mania; ma numerose contraddizioni solcano l'esistenza maniacale, solo apparentemente segnata dalla luce leggiadra e improblematica della felicità. La Stimmung maniacale contrassegna la fenomenologia clinica della mania nella quale si trasformano le articolazioni strutturali del pensiero e i modi di essere nel mondo, nel tempo e nello spazio. Il flusso della vita che nella malinconia si rallenta e si arresta, si slancia vorticosamente nella mania, nella quale la disinibizione, la spinta frenetica e febbrile al movimento, si costituisce come sua struttura portante. Nella mania non c'è coscienza di malattia almeno fino a quando essa non incomincia a declinare; nella malinconia invece, la coscienza di malattia scompare solo nelle forme tematizzate dalla presenza di esperienze deliranti primarie. Chiamiamo, dunque, sindrome maniacale quella costellazione di sintomi tradizionalmente (secondo Weitbrecht e Kielholz) articolata nella seguente triade, in base ai disturbi presentati. 1. Disturbo della vita timica (affettiva). 2. Disturbo della vita noetica (idetica). 3. Disturbo della psicomotricità (funzioni centrifughe). Per la psicopatologia tradizionale la struttura portante della vita maniacale è costituita dalla trasformazione, dalla metamorfosi della vita affettiva, dello stato d'animo (Stimmung), mentre sia il disturbo del pensiero come quello della psicomotricità vengono considerati subalterni. La psicopatologia che chiamiamo antropologica o fenomenologica (Binswanger) considera invece il disturbo cardine dell'esperienza maniacale quello del pensiero (L'uomo della fuga delle idee): il pensiero nella vita maniacale non si articola, non si snoda secondo quelle che sono le articolazioni della sintassi di cui noi ci serviamo, soggetto, verbo, complemento; è un articolazione del pensiero che tende infatti mano a mano che il disturbo si fa più profondo, alla "fuga delle idee" che da ordinata, cioè ancora in qualche modo comprensibile, si fa invece incoerente e poi confusionale cioè dilacerata fino a eliminare e stralciare il verbo. Quando il verbo ancora sopravvive è un verbo che è bloccato sul presente o al massimo sul passato; scompare il futuro. L'analisi formale del linguaggio del maniacale rivela l'assenza di una struttura formale del pensiero; esiste una catena vertiginosa di parole in cui il pensiero però si frantuma perché salta: Cargnello ha parlato del modo della saltuarietà come di questa esperienza di radicale discontinuità, di ideazione saltatoria nel contesto del corso del pensiero del maniacale. Nella mania la comunicazione si inaridisce e si frantuma dinanzi a ostacoli anche insignificanti. La frattura della comunicazione è in essa ancor più verticale che non nella malinconia e nella schizofrenia. Il maniacale si disperde nel mondo, vive in frammenti di mondo nei quali non riesce a soffermarsi; è un linguaggio, è un parlare che non dice, che non comunica, che rivela la "vacuità intima del mondo maniacale" (Cargnello). Per questo parliamo di autismo maniacale, nel senso di Glatzel, per l'impossibilità a un contatto con il paziente maniacale: è uno pseudocontatto che non acquista mai il significato di una autentica e valida comunicazione inter umana e rivela l'impossibilità per chi vive immerso in questa esperienza a sostare, a fermare la realtà che gli scivola fra le dita. Così per il paziente maniacale, tutto è bruciato nell'istante; non c'è storia. Egli inoltre non tollera la limitazione della libertà e ha l'esigenza di avere a sua disposizione spazi infiniti: da qui origina il disturbo della psicomotricità e della conseguente aggressività legata alle reazioni che l'ambiente intorno gli genera. Il mondo in cui vive immerso il maniacale è un mondo in cui sono escluse le contraddizioni, un mondo in cui i colori dominanti, come diceva Binswanger, sono quello azzurro e quello rosa: tutto è a portata di mano, non ci sono ostacoli, il vicino e il lontano non sono più categorie psicologiche angoscianti come possono essere per uno schizofrenico o per un depresso. Manca la categoria della profondità ma siamo su un piano della esteriorità estrema: tutto è plastico, mobile, friabilissimo, svuotato di interiorità. Il mondo maniacale è un mondo governato da uno sfrenato ottimismo, in cui manca la possibilità di uno scacco o di un fallimento: come ha scritto Minkowski, non c'è più il dispiegarsi del vissuto nel tempo: si è bloccati in un presente del futuro; il maniacale agisce, si muove e pensa nell'hic et nunc ogni istante, nella momentaneizzazione di ogni esperienza vissuta. Non esiste più un passato che si costituisca come bagaglio esperienziale così come non esiste un futuro entro cui progettarsi. Il mondo del maniacale è governato da uno sfrenato ottimismo o euforia, gioia panica. Tutto assume tinte rosee, gaie, luminose, è tutto luce e quindi è tutto appiattito, superficiale, livellato. Il delirio del maniacale non è altro che l'espressione di questo ottimismo della conoscenza (Binswanger): l'onniscienza, il delirio di grandezza è una emanazione di questa metamorfosi del mondo che ha perso ogni limite, ogni relatività. La spinta all'attività e all'azione trascina con sé un'insonnia feroce che non è vissuta come disturbo ma come condizione felice e inebriante; se dunque, nella depressione non si può dormire, nella mania non si ha bisogno di dormire. Il maniacale ha una estrema capacità di cogliere, nel contatto interpersonale, ogni frangia esteriore, ogni aspetto "superficiale" che un certo comportamento può rivelare. Quindi può cogliere l'angoscia, la diffidenza e anche l'insicurezza che si genera in un interlocutore e viverla come aggressione nei suoi confronti. Può allora ingenerarsi una risposta a corto circuito in cui all'insicurezza (aggressione) del medico o dell'infermiere il paziente risponde con una contro aggressività. Allora il nostro atteggiamento deve essere improntato alla "indifferenza", alla partecipazione indifferente nel senso di Jaspers. Certo si tratta di una esigenza psicologica del paziente che non tollera di percepire né troppa vicinanza né troppa distanza da parte dell'interlocutore. Nell'incontro con i pazienti sommersi dalla mania si ha inizialmente la sensazione che il contatto interpersonale non sia difficile. Non si fa fatica, a entrare in relazione con loro: rispondono volentieri e rapidamente chiedono notizie di noi, lodano la nostra gentilezza e la nostra intelligenza. Ma questa accelerazione comunicazionale è solo apparente: rimane alla superficie. Secondo quanto scritto da von Hofmannsthal: La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie. © POL.it 2000 All Rights Reserved |