IL RICONOSCIMENTO DEI DISTURBI EMOTIVI NELLA MEDICINA DI BASE:IL RUOLO DELLA COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE Anna Saltini Servizio di Psicologia Medica Istituto di Psichiatria Università di Verona - Ospedale Policlinico INTRODUZIONEL'INTERLOCUTORE DEL MEDICO DI BASE L'APPROCCIO AL PAZIENTE E ALLA MALATTIA L'INTERVISTA MEDICA IL MEDICO DI BASE E L'IDENTIFICAZIONE DEI DISTURBI EMOTIVI: EVIDENZE DEL RUOLO DELL'INTERVISTA MEDICA LA FORMAZIONE DEL MEDICO DI BASE. QUALI BENEFICI? CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA L'intervista medica Attraverso la formazione tradizionale il medico apprende tecniche di intervista basate esclusivamente sul modello biomedico; l'intervista medica, condotta secondo la cornice di riferimento rappresentata da questo modello, consiste nella lista routinaria di domande riguardanti sintomi e disturbi attuali, disturbi passati od associati ai sintomi lamentati, l'anamnesi familiare e via di questo passo. L'esatto complemento di un approccio che si ispiri invece al modello biopsicosociale corrisponde all'utilizzazione di una tecnica di intervista centrata sul paziente piuttosto che esclusivamente centrata sul medico o sul disturbo (doctor centred-disease oriented) (come secondo l'approccio più tradizionale che ha come cornice di riferimento il modello biomedico). Attraverso l'intervista centrata sul paziente, il medico presta attenzione anche al punto di vista soggettivo del paziente, considera i sintomi ed i disturbi lamentati non soltanto dal punto di vista strettamente patologico ed utilizza domande e commenti che hanno l'intento di facilitare il paziente nel far emergere gli aspetti maggiormente rilevanti. L'intervista centrata sul paziente non richiede tempi di intervista più lunghi rispetto alla norma (Stewart, 1985). La relazione tra tempo dell'intervista, raccolta delle informazioni ed accuratezza diagnostica appare, per altro, piuttosto complessa. Kassirer e Kopelman (1991) hanno mostrato che i medici con una buona esperienza tipicamente ottengono il 66% delle informazioni clinicamente rilevanti, anche durante un'intervista medica della durata di un'ora. Sembra dunque che si verifichi un "effetto tetto": se una maggior disponibilità di tempo potrebbe consentire la raccolta di un numero superiore di informazioni (rispetto alla situazione nella quale esista una disponibilità di tempo più limitata), è evidente, però, come dimostra questo studio, che la sola variabile tempo non assicura una raccolta completa delle informazioni od una migliore accuratezza diagnostica. Il medico, comunque, a prescindere dalla disponibilità di tempo, volontariamente conclude l'intervista prima di aver raccolto tutte le informazioni utili. L'aspetto cruciale sottostante ad una più accurata raccolta delle informazioni sembra essere rappresentato, piuttosto che dalla disponibilità di tempo, dalla tecnica di intervista utilizzata. In letteratura sono stati più volte messi in evidenza i vantaggi che derivano dall'utilizzazione di una tecnica di intervista centrata sul paziente: essa consente una raccolta più accurata di informazioni di tipo psicosociale e biomedico (Platt e McMath, 1979; Smith & Hoppe, 1991) e condiziona il riconoscimento dei disturbi emotivi da parte del medico (Goldberg et. al., 1980a). La sua funzione principale, ed in questo risiede la sua efficacia, è quella di ridurre l'impatto delle "barriere" rappresentate dalle caratteristiche dei pazienti della medicina di base discusse in precedenza, facilitando il compito di evidenziare i segni indicatori dell'eventuale presenza di un disturbo emotivo. Un compito fondamentale del medico è quello di cogliere ed elicitare i cues (cioè i segnali rilevanti) della storia del paziente. Abbiamo visto in precedenza che il paziente può essere riluttante a riferire spontaneamente materiale di tipo psicologico o riguardante aspetti più personali. Per altro, questo "materiale" viene quasi sempre comunicato dal paziente in modo non esplicito ed in congiunzione o nel contesto delle informazioni riguardanti sintomi e disturbi organici (Smith & Hoppe, 1991). Pertanto, frasi quali ad esempio "Ho questo mal di stomaco da una settimana, è un continuo dolore qui. E questo è solo l'inizio!" devono suscitare una particolare attenzione da parte del medico. Secondo lo stile di internista centrato sul disturbo, il medico potrebbe rispondere con una domanda riguardante il tipo di dolore, l'intensità e via di questo passo, trascurando di considerare cosa altro accompagna il disturbo organico (la cui presenza è segnalata dal paziente stesso "e questo è solo l'inizio!") che presumibilmente potrebbe riferirsi a quel materiale psicologico e personale che oltretutto può rivelarsi importante ai fini diagnostici (Smith & Hoppe, 1991). Alcuni segnali (cues) si rivelano particolarmente più importanti di altri. Questi segnali sono rappresentati da frasi, affermazioni o comportamenti non verbali (postura e gestualità) di emozioni. "L'utilizzazione" delle emozioni del paziente rappresenta il punto chiave di un'intervista centrata sul paziente: da essa dipende infatti gran parte della possibilità di far emergere materiale psicologico e personale di interesse per il medico (Cohen-Cole, 1991). Il tipo di domande formulate dal medico, in particolare durante i primissimi minuti dell'intervista, riveste un ruolo di primaria importanza nel regolare la quantità di informazioni che il paziente può porre all'attenzione del proprio medico. Durante la fase iniziale dell'intervista, l'utilizzazione di domande aperte (che permettono al paziente di esporre spontaneamente i propri disturbi esprimendone anche una valutazione soggettiva) consente al medico di considerare meglio le possibili ipotesi diagnostiche e facilita il paziente ad esporre i problemi soggettivamente ritenuti rilevanti. Solo successivamente, una volta chiarificati i problemi del paziente, sarà più opportuno procedere secondo uno stile più direttivo e con domande chiuse, al fine di raccogliere informazioni più dettagliate sui disturbi lamentati dal paziente. In uno studio condotto da Roter e Hall (1987) è stato di fatto osservato che le domande aperte risultano di gran lunga più efficaci in rapporto all'obiettivo di raccogliere informazioni rilevanti. Secondo la tecnica di intervista centrata sul paziente, il controllo della conversazione durante i primi minuti di intervista deve essere il più possibile ridotto. Il controllo della conversazione attraverso l'utilizzazione di domande chiuse, come avviene seguendo un modello prevalentemente biomedico, produce, di fatto, un'interruzione prematura del flusso delle informazioni fornite spontaneamente dal paziente comportando, di conseguenza, una raccolta incompleta delle informazioni. Nello studio condotto da Beckman e Frankel (1984), è stato mostrato che su 74 interviste, nel 69% dei casi il medico interrompe il paziente mentre questi riferisce spontaneamente i propri problemi, rivolgendo domande riguardanti uno specifico problema dopo un intervallo di tempo molto breve (18 secondi) e, molto spesso, dopo che il paziente ha riferito un solo problema. La prematura interruzione del paziente mentre riferisce spontaneamente i propri problemi si traduce, molto spesso, nel considerare le prime informazioni clinicamente rilevanti come espressione del problema principale. Uno studio condotto da Burack e Carpenter (1983), ha dimostrato che può esistere una disparità tra l'identificazione iniziale del disturbo principale, ed il problema principale così come può essere definito dal medico al termine della visita o attraverso le indagini cliniche. L'accordo tra queste due valutazioni si verifica infatti nel 76% dei casi di disturbo organico, ma solo nel 6% dei casi di disturbo emotivo. La prematura definizione delle ipotesi diagnostiche (formulate a partire dalle prime informazioni giudicate clinicamente rilevanti) ed il fatto di testare tali ipotesi attraverso domande chiuse, non interrompe soltanto il flusso delle informazioni spontaneamente riferite dal paziente, ma, allo stesso tempo, limita le possibilità di risposta. In altri termini, la replica più appropriata ad una domanda diretta (come una domanda chiusa) è rappresentata da una risposta a sua volta diretta, riguardante lo specifico contenuto in questione: una volta che il medico ha iniziato a testare le proprie ipotesi, al paziente risulta infatti difficile inserirsi nella conversazione con contenuti che, a suo giudizio, a quel punto esulano dall'interesse attuale del medico (ma che potrebbero rivelarsi importanti ai fini diagnostici o terapeutici) e possono pertanto apparirgli irrilevanti rispetto ai problemi che lo hanno condotto a richiedere la consultazione. Queste osservazioni mettono in luce un problema cruciale che si evidenzia durante l'intervista medica. I due interlocutori (medico e paziente) procedono infatti, durante la conversazione, secondo un approccio cognitivamente contrastante: mentre il ragionamento del paziente è essenzialmente per "problemi", il ragionamento del medico è per sintomi e categorie diagnostiche, e l'effetto più evidente di quest'ultimo è rappresentato dalla quasi esclusiva utilizzazione di domande (piuttosto che, in aggiunta, di altri tipi di commenti), la maggior parte delle quali viene espressa in forma chiusa (Roter et al., 1988). Un approccio centrato sul paziente consentirebbe allora di limitare gli effetti di tale contrasto, caratteristico dell'esclusivo approccio centrato sul disturbo e sul medico. Un approccio centrato sul paziente si rivela poi particolarmente efficace rispetto alla quantità ed al tipo di domande che il paziente può porre al medico relativamente alle proprie condizioni cliniche ed al trattamento. Generalmente, nella pratica clinica, il medico tende a trascurare la necessità del paziente di porre domande, sottovalutando le implicazioni che le relative risposte possono avere in rapporto alla gestione dei disturbi del paziente. In effetti, il comportamento verbale del paziente durante l'intervista medica consiste soprattutto nel rispondere alle domande poste dal medico (Roter, 1984; Roter et al., 1988; Roter & Frankel, 1992). L'utilizzazione di un linguaggio tecnico, l'esclusiva attenzione a sintomi e disturbi organici, la dimostrazione di scarsa disponibilità nell'ascoltare il paziente e le frequenti interruzioni che caratterizzano lo stile di intervista che si ispira al modello biomedico, rappresentano alcune fra le principali ragioni per le quali i pazienti sono riluttanti a porre in modo esplicito domande durante l'intervista medica. © POL.it 2000 All Rights Reserved |