IL RICONOSCIMENTO DEI DISTURBI EMOTIVI NELLA MEDICINA DI BASE:IL RUOLO DELLA COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE Anna Saltini Servizio di Psicologia Medica Istituto di Psichiatria Università di Verona - Ospedale Policlinico INTRODUZIONEL'INTERLOCUTORE DEL MEDICO DI BASE L'APPROCCIO AL PAZIENTE E ALLA MALATTIA L'INTERVISTA MEDICA IL MEDICO DI BASE E L'IDENTIFICAZIONE DEI DISTURBI EMOTIVI: EVIDENZE DEL RUOLO DELL'INTERVISTA MEDICA LA FORMAZIONE DEL MEDICO DI BASE. QUALI BENEFICI? CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA Il medico di base e l'identificazione dei disturbi emotivi: evidenze del ruolo dell'intervista medica Gli studi condotti negli ultimi decenni nell'ambito della medicina di base hanno messo in evidenza che le caratteristiche del medico e le caratteristiche dell'intervista medica influenzano il riconoscimento dei disturbi emotivi (i medici che risultano più abili nel riconoscere la presenza di un disturbo emotivo conducono effettivamente l'intervista in modo differente rispetto ai medici che non risultano altrettanto abili). Nello studio condotto da Marks e collaboratori (1979), la variabilità mostrata da 91 medici di base relativamente all'indice di identificazione (misura dell'abilità del medico di identificare correttamente i pazienti con elevato punteggio al GHQ-General Health Questionnaire, Goldberg & Williams, 1988), è stata indagata in rapporto alle caratteristiche del comportamento del medico durante la visita (comportamenti strettamente clinici e grado di empatia), alle sue caratteristiche personali (dati sociodemografici e livello di qualifica professionale, tipo di personalità e attitudini sul piano sociale), al tipo di domande e commenti espressi durante l'intervista medica e allo stile di intervista adottato (utilizzazione di gergo tecnico, stile autoritario ecc). I medici con elevato indice di identificazione dimostravano maggior interesse nei confronti della psichiatria, avevano più esperienza e migliori qualifiche professionali ed al contempo mostravano dei tratti caratteristici per quanto riguardava l'intervista medica. In particolare, essi dedicavano più tempo al paziente e mostravano una migliore capacità nel chiarificare il disturbo riferito dal paziente. Si dimostravano, inoltre, maggiormente empatici, comunicando attenzione ed interesse e stabilivano precocemente un contatto visivo con il paziente. Per quanto riguarda le domande utilizzate durante l'intervista, i medici con elevato indice di identificazione ponevano più spesso domande a contenuto psicologico e non limitavano l'indagine a contenuti organici ma comprendevano anche aspetti relativi all'ambiente familiare del paziente. Mostravano, inoltre, attenzione ai segnali verbali e non verbali indicatori della eventuale presenza di un disturbo emotivo ed erano più abili nel gestire le interruzioni e nel trattare con i pazienti tendenzialmente logorroici. Risultati simili sono stati ottenuti negli Stati Uniti da Goldberg e collaboratori (1982) i quali hanno valutato il livello di formazione, il tipo di personalità e lo stile di intervista del medico in rapporto all'indice di accuratezza (che indica la relazione esistente tra il giudizio espresso attraverso una scala a punti ed il punteggio riportato dal paziente al GHQ) e all'indice di distorsione (il rapporto tra la morbilità psichiatrica cospicua e la morbilità predetta dal GHQ). La metà circa della varianza dell'accuratezza è stata spiegata da tre gruppi di variabili: - personalità del medico: medici più sicuri di sé e con alto livello di estroversione. - livello di formazione: medici con maggiore competenza professionale e che dimostrano una conoscenza della psichiatria. - stile di intervista: medici che stabiliscono un contatto visivo con il paziente, sanno gestire le interruzioni, chiarificano il disturbo riferito dal paziente, impiegano un'idonea sequenza di domande, non dedicano molto tempo, durante l'intervista medica, alla lettura dei dati riportati in cartella e prestano attenzione ai segnali non verbali indicatori della presenza di un disturbo emotivo. I medici con elevato indice di distorsione mostravano soprattutto una tendenza ad attribuire maggiore importanza ad aspetti psicosociali in senso lato. Ponevano quindi al paziente un numero maggiore di domande a contenuto psicologico, mostravano capacità di fornire sostegno, mostravano attenzione per gli aspetti riguardanti l'ambiente sociale del paziente e facevano più spesso commenti empatici. I medici studiati da Hennrikus (1986) hanno mostrato caratteristiche simili a quelle messe in evidenza dagli studi sopra riportati. I medici classificati come meno "conservatori" ad una scala sulle attitudini sociali, attenti alla presenza di eventuali segnali di sofferenza emotiva e non utilizzatori di tecniche di controllo della comunicazione durante i primi 5 minuti dell'intervista medica, sono risultati più abili nel riconoscimento dei disturbi emotivi. Freeling & Tylee (1992) hanno osservato che, per quanto riguarda il riconoscimento dei disturbi depressivi, i medici più abili di altri nel riconoscerne la presenza sono dotati di una buona capacità di ascolto, raramente interrompono il paziente, usano il silenzio, utilizzano i contenuti forniti dal paziente per i loro interventi, conoscono la natura dei disturbi depressivi ed hanno attitudini positive nei confronti della psichiatria. Più recentemente, Badger e collaboratori (1994) hanno valutato la relazione esistente tra attitudini del medico nei confronti degli aspetti psicosociali e caratteristiche dell'intervista medica (in particolare il tipo di domande che caratterizzano l'intervista centrata sul paziente) ed il rapporto tra queste variabili e la capacità di diagnosticare in modo corretto pazienti con disturbi depressivi. In questo studio, sono state valutate le interviste effettuate con "pazienti attori" che simulavano il copione di pazienti con disturbi depressivi definito sulla base delle seguenti caratteristiche: presenza di segni indicativi di depressione secondo il DSM III, tipica comorbilità organica, aspetti clinici valutabili in un tempo di 15 minuti, oltre ad altre caratteristiche tipiche dei pazienti della medicina di base con disturbi emotivi. L'utilizzazione di pazienti simulati può rappresentare un artefatto e non rendere correttamente conto della effettiva pratica clinica quotidiana. Occorre tuttavia notare che a questo proposito esistono in letteratura valide evidenze che possono giustificare l'utilizzazione di "pazienti attori" al fine di valutare il comportamento e le abilità del medico durante l'intervista, senza per questo comprometterne l'accuratezza. I pazienti standardizzati sono stati infatti utilizzati per scopi di ricerca in differenti situazioni cliniche ed in vari settings medici al fine di riprodurre il comportamento del medico in modo consistente con la reale pratica clinica (Norman & Tugwell 1982; Vu et al., 1987). Nello studio di Badger e collaboratori è stato riscontrato che i medici che dimostravano di avere buone attitudini nei confronti degli aspetti psicosociali (misurate attraverso il PBS-Physician Belief Scale, Ashworth et al., 1984) non dimostravano abilità superiori, rispetto a quelli non avevano riportato un livello di attitudini altrettanto elevato, nel condurre l'intervista centrata sul paziente, nel formulare domande a contenuto psicosociale o psicologico e nel riconoscere la presenza della depressione. E' stato invece riscontrato che l'utilizzazione di uno stile di intervista centrato sul paziente, ed in particolare comportamenti quali elicitare le emozioni del paziente, mostrare approvazione e fornire rassicurazioni, portano al riconoscimento dei disturbi depressivi. Oltre agli studi prevalentemente "doctor-centred" (che hanno indagato cioè le caratteristiche dell'intervista in rapporto all'abilità di riconoscimento del disturbo emotivo), di particolare interesse sono i più recenti studi che hanno orientato la loro attenzione agli effetti prodotti dallo stile di intervista adottato dal medico, valutati attraverso la classificazione dei contenuti verbali e dei messaggi non verbali espressi dal paziente. La possibilità di riconoscere la presenza di un disturbo emotivo è condizionata dalla quantità di segnali verbali e non verbali, indicativi di tale disturbo, riferiti dal paziente durante l'intervista medica. Nonostante, generalmente, i pazienti con elevato punteggio al GHQ segnalino la presenza di disturbi emotivi durante l'intervista medica, una sostanziale minoranza di pazienti può dare scarse indicazioni di un malessere psicologico. Dal momento che la sensibilità del GHQ nel segnalare la presenza di un disagio emotivo appare piuttosto elevata, questi casi non possono essere considerati solo come dei "falsi positivi". Appare maggiormente verosimile l'ipotesi secondo la quale qualche comportamento del medico durante l'intervista influenzi l'emissione da parte del paziente di segnali indicatori di un disturbo emotivo. Davenport e collaboratori (1987) hanno così indirizzato la loro attenzione ai processi interattivi tra medico e paziente. Essi hanno riscontrato una forte correlazione tra il punteggio al GHQ ed il numero totale dei segnali, soprattutto verbali, indicatori di disagio emotivo emessi dai pazienti. I segnali verbali risultavano per altro fornire un sostanzioso contributo in rapporto al punteggio al GHQ. Il dato interessante è rappresentato dall'osservazione che il numero totale di segnali emessi dal paziente con punteggio elevato al GHQ era in rapporto con l'indice di identificazione del medico: i medici che risultavano abili nell'identificare i disturbi emotivi ottenevano in media 19 segnali di disturbo emotivo rispetto agli 11 dei medici con basso indice di identificazione. I medici non sembravano influenzare l'emissione di segnali non verbali, mentre un forte effetto veniva esercitato in rapporto ai segnali verbali. I medici meno abili nel riconoscere la presenza di un disturbo emotivo sopprimevano dunque i segnali di malessere, mentre i medici più abili favorivano il paziente nell'espressione di segnali indicativi di sofferenza psicologica. L'effetto prodotto dal comportamento del medico durante l'intervista medica sull'emissione di segnali di disagio emotivo è stato evidenziato anche da Byrne & Heath (1980). Essi hanno osservato una forte influenza dei comportamenti verbali e non verbali del medico in rapporto al tipo di comunicazione del paziente. Sulla base di questi risultati, Goldberg e collaboratori (1993) hanno allora indirizzato più specificatamente la loro indagine agli effetti prodotti dagli interventi del medico sull'emissione di segnali di disagio emotivo e quindi all'identificazione dei comportamenti che, durante l'intervista, facilitano il paziente a riferire in modo verbale o non verbale la presenza di un disturbo emotivo. Gli autori hanno confermato i risultati delle ricerche precedenti per quanto riguarda lo stile di intervista dei medici risultati abili nel riconoscere la presenza di un disturbo emotivo. L'atteggiamento empatico, rare interruzioni del paziente, pochi interventi durante i primi 3 minuti dell'intervista, domande a contenuto psicologico e domande aperte direttive caratterizzavano i medici più abili nel riconoscere il disturbo emotivo. Le domande direttive a contenuto psicologico, l'utilizzazione dei contenuti espressi dal paziente per la formulazione delle domande ed i commenti empatici aumentavano l'emissione di segnali di disagio emotivo, mentre le domande a contenuto organico e le domande che derivano dalle conoscenze teoriche del medico ne diminuivano l'emissione. Queste ultime, sono tipiche di uno stile di intervista centrato sul medico (o sul disturbo) (Levenstein et al., 1986), mentre le prime caratterizzano l'intervista centrata sul paziente (Smith & Hoppe, 1991). Un aspetto interessante messo in evidenza da questo studio è rappresentato dal fatto che lo stesso tipo di domanda od intervento produceva effetti opposti se utilizzato da medici risultati abili identificatori oppure da medici meno abili. Le domande direttive a contenuto sociale, ad esempio, se utilizzate dai medici abili identificatori risultavano associate ad un aumento di emissione da parte del paziente di segnali indicativi del disturbo, mentre se utilizzate dai medici meno abili esitavano in un'emissione ridotta. I medesimi effetti si evidenziarono per le domande chiuse: i medici più abili erano in grado di utilizzarle senza compromettere l'emissione dei segnali di disagio emotivo. Questo studio mette quindi in evidenza che non soltanto il tipo di domande o gli interventi specifici del medico durante la conduzione dell'intervista influiscono sulla possibilità che il paziente riferisca, o segnali in modo non verbale, la presenza di un disturbo emotivo, ma che è anche importante come e quando il medico interviene e come utilizza le risposte del paziente, secondo quindi una strategia che condiziona l'efficacia degli interventi del medico. Altri studi hanno mostrato che esiste una relazione tra l'abilità del medico nel riconoscere la presenza di un disturbo emotivo e la qualità della gestione dei disturbi del paziente (siano essi emotivi od organici) e della pratica clinica quotidiana. Nello studio condotto da Millar e Goldberg (1991), i medici che erano risultati abili identificatori dei disturbi emotivi risultavano altrettanto abili nel fornire spiegazioni circa la scelta del trattamento, nel negoziare con il paziente e verificare la comprensione dei consigli ed informazioni fornite. Ciò si verificava indistintamente per tutti pazienti, a prescindere dal tipo di disturbo lamentato (emotivo od organico), ed in un modo che massimizzava la soddisfazione e la collaborazione da parte del paziente. I medici che meno di altri riconoscevano la presenza di un disturbo emotivo, oltre a non mostrare i comportamenti osservati nel caso dei medici abili identificatori, non fornivano informazioni sul tipo di trattamento prescritto, sugli eventuali effetti collaterali o sugli effetti che il medico, attraverso il trattamento, prevedeva di riscontrare. Inoltre, nessuno tra questi forniva informazioni o consigli a contenuto psicosociale, né prescriveva un trattamento specifico ai pazienti con disturbi emotivi. Ciò mette in evidenza che l'abilità nell'identificare i disturbi emotivi e nel gestirli sono il riflesso di una generale "superiorità" del tipo di approccio al paziente (che condiziona positivamente la qualità della pratica clinica in generale) e riflette una variabile comune, vale a dire il possesso di tecniche di comunicazione. © POL.it 2000 All Rights Reserved |