IL RICONOSCIMENTO DEI DISTURBI EMOTIVI NELLA MEDICINA DI BASE:IL RUOLO DELLA COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE Anna Saltini Servizio di Psicologia Medica Istituto di Psichiatria Università di Verona - Ospedale Policlinico INTRODUZIONEL'INTERLOCUTORE DEL MEDICO DI BASE L'APPROCCIO AL PAZIENTE E ALLA MALATTIA L'INTERVISTA MEDICA IL MEDICO DI BASE E L'IDENTIFICAZIONE DEI DISTURBI EMOTIVI: EVIDENZE DEL RUOLO DELL'INTERVISTA MEDICA LA FORMAZIONE DEL MEDICO DI BASE. QUALI BENEFICI? CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA La formazione del medico di base. Quali benefici? Alcuni studi hanno valutato se effettivamente il riconoscimento dei disturbi emotivi da parte del medico può essere utile al paziente e può produrre un effetto positivo sull'esito del disturbo. Johnstone e Goldberg (1976) hanno selezionato una serie di pazienti il cui disturbo emotivo era stato rilevato dal GHQ, ma non era stato riconosciuto dal medico. Per un gruppo di pazienti il medico veniva informato della presenza di un disagio emotivo, mentre per un altro gruppo di pazienti il medico ne veniva tenuto all'oscuro. A distanza di tre mesi, i pazienti del primo gruppo presentavano una situazione clinica migliore rispetto ai pazienti dei quali non era nota ai medici la presenza di una sofferenza psicologica. Ad una valutazione condotta a distanza di un anno risultava poi una differenza significativa tra i due gruppi solo per i pazienti che avevano presentato disturbi più gravi alla valutazione iniziale. Risultati simili sono stati successivamente ottenuti in due studi condotti negli Stati Uniti (Zung et al., 1983; Rand et al., 1988). Analogamente, in Olanda, Ormel e collaboratori (1990) hanno riscontrato che il riconoscimento dello stato di disagio emotivo produceva un effetto positivo sull'esito del disturbo. Per contro, altre ricerche, sempre condotte negli USA, non hanno confermato questi risultati (Hoeper et al., 1984; Shapiro et al., 1987). Di fatto, in questi ultimi due studi, i medici informati della presenza di un disturbo emotivo non facevano nulla di diverso, in seguito all'informazione ricevuta, rispetto ai medici tenuti all'oscuro della presenza del disturbo emotivo. Ai medici, che peraltro non erano stati coinvolti attivamente nello studio, era stato semplicemente riferito il punteggio del GHQ senza alcuna indicazione od aiuto relativamente a come utilizzare le informazioni ricevute. Questi risultati mettono dunque in evidenza che non è tanto rilevante l'informazione in sé (presenza o meno di un disturbo emotivo), quanto piuttosto l'effetto di questo feedback in rapporto all'attenzione particolare che il medico può riservare, in seguito, ad aspetti psicologici e sociali del paziente e, allo stesso tempo, l'opportunità da parte di quest'ultimo di affrontare tali aspetti con il proprio medico. L'informazione sulla presenza del disturbo emotivo, ottenuta attraverso strumenti di screening, può dunque essere utile al medico che possiede competenze ed abilità per affrontare i problemi psicologici con il paziente, diversamente, come si è visto, essa non ha alcuna efficacia (Goldberg & Huxley, 1992). Sono stati descritti numerosi modelli di collaborazione tra medicina di base e psichiatria (con intenti formativi) per la maggior parte dei quali sono state utilizzate varie forme di insegnamento teorico (conferenze e seminari) o la diretta supervisione da parte dello psichiatra nei casi in cui era stata richiesta la sua consulenza (Strain et al 1985). Questi interventi, sebbene contribuiscano a sviluppare uno scambio tra le due discipline e a migliorare il trattamento dei pazienti per i quali il medico sospetti la presenza di un disturbo emotivo, difficilmente risultano efficaci nel migliorare la pratica clinica quotidiana ed, in particolare, l'accuratezza del medico nel valutare il paziente e nell'individuare, o mettere in luce, i segni della presenza di un disturbo emotivo, non influenzando, infatti, direttamente ciò che concretamente avviene durante l'intervista medica. Altri approcci formativi hanno poi posto un particolare accento sull'acquisizione da parte dei medici della conoscenza delle categorie diagnostiche piuttosto che sulle abilità che consentono di mettere in luce la presenza di un disturbo emotivo durante la conduzione dell'intervista medica. A nostra conoscenza, la maggior parte di essi non sono stati valutati al fine di testarne l'efficacia. Un'eccezione è rappresentata dal lavoro di Anderson e Harthorn (1990) condotto in California. Gli autori hanno dimostrato che dopo la partecipazione al training, i medici risultavano più abili nel diagnosticare disturbi quali depressione maggiore, distimia e agorafobia con attacchi di panico. Il limite principale di questo studio è rappresentato dal fatto che la valutazione dell'impatto dell'intervento di formazione era stata condotta attraverso l'utilizzazione di vignette e non "in vivo", cioè sulla effettiva pratica clinica dei medici. Buona parte dei training centrati sulla comunicazione medico-paziente sono risultati efficaci nel migliorarne la qualità (Sanson-Fisher et al, 1991; Moorhead, 1992; Bird et al., 1993). Tuttavia, nonostante il consenso circa il ruolo assunto dalla comunicazione medico-paziente (GMC, 1980) e l'esigenza, da più parti segnalata, di interventi volti a migliorare le capacità di riconoscimento dei disturbi emotivi, i training specifici per la medicina di base non sono ancora molto diffusi (Burns et al., 1983; Gask & McGrath, 1989). Tra gli interventi effettuati per migliorare le capacità di riconoscimento dei disturbi emotivi, i training che contemplano una formazione specifica per le abilità di conduzione dell'intervista e che hanno utilizzato, quale strumento didattico, la videoregistrazione delle consultazioni, si sono rivelati efficaci. Goldberg e collaboratori (1980a;b) hanno dimostrato che i medici ai quali era stata rivolta la formazione risultavano significativamente più abili nel riconoscere i disturbi emotivi rispetto ad un gruppo di controllo, abilità direttamente correlata al cambiamento dello stile d'intervista. Risultati simili sono stati ottenuti da Gask e collaboratori (1988) che hanno utilizzato metodologie didattiche simili a quelle di Goldberg ed ispirandosi al modello del PBI (Problem-Based Interviewing) sviluppato da Lesser (Lesser, 1981; 1985). Al termine del training i medici erano in grado di condurre un'intervista centrata sul paziente, dimostravano una migliore capacità di riconoscimento dei segnali verbali e non verbali rilevanti, facevano più spesso commenti di facilitazione e commenti a contenuto psicologico. Miglioramenti nel riconoscere il disturbo emotivo sono stati particolarmente evidenti per i medici che erano risultati meno accurati alla valutazione preliminare al training (Gask et al., 1988) (si veda tab. 1 per una lista dei comportamenti desiderabili durante l'intervista medica, adattata da Gask et al., 1991). Cambiamenti nello stile d'intervista sono stati pure riscontrati nel caso di medici con maggiore esperienza (Gask et al., 1987). Bowman e collaboratori (1992) hanno mostrato gli effetti a lungo termine di un training basato sulle tecniche del PBI. Gli autori hanno osservato che i cambiamenti dello stile di intervista valutati al termine di un training venivano mantenuti a distanza di tempo e che ulteriori cambiamenti erano osservabili durante il periodo di follow-up. I medici di base risultavano maggiormente attenti ai segnali verbali di disagio emotivo e ampliavano l'area d'indagine comprendendo anche aspetti psicosociali piuttosto che limitarsi a sole domande "check-list" sui sintomi. L'ulteriore cambiamento osservato durante il periodo di follow-up è stato interpretato come l'effetto di una diffusione alla pratica clinica in generale delle abilità apprese durante il training. Negli Stati Uniti, Roter & Hall (1991) hanno replicato i risultati già ottenuti da altri studi. Essi hanno dimostrato che il training produce cambiamenti dello stile d'intervista e migliora il riconoscimento dei disturbi emotivi. Due recenti studi hanno inoltre mostrato gli effetti prodotti dal training sull'esito dei disturbi. I pazienti trattati dai medici che avevano ricevuto una formazione sulla tecnica di intervista erano maggiormente soddisfatti del modo in cui il medico aveva compreso i loro problemi e mostravano un esito clinico migliore (Roter & Hall, 1991; Gask, 1992). I medici, per altro, oltre a risultare più abili nel riconoscere i disturbi emotivi, fornivano un numero maggiore di consigli, informazioni sugli effetti collaterali dei farmaci e risultavano più accurati nel raccogliere e registrare le informazioni riferite dal paziente. Questi studi mettono dunque in evidenza non soltanto l'impatto dei training sul riconoscimento dei disturbi emotivi ma anche sulla qualità della pratica clinica quotidiana. © POL.it 2000 All Rights Reserved |