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titolo ELZEVIRO
L'inganno quotidiano ovvero quarto potere

Never believe in mirrors or in newspapers
John Osborne (1929-1994)
(The Hotel in Amsterdam, Act I)

Cena a casa di un noto storico. Caldo torrido, senza il frescolino che non manca mai la notte a Venezia. Le candele ascendevano immobili ed i grandi tondi del Pagani (assenti perché esposti in Svizzera) erano sostituiti da vuote, grandissime, occhiaie bianche che aggiungevano stupore all'umidità e fronteggiavano i neri tondi seicenteschi privati dell' onore della pulitura e dell'invio ad una mostra.
La conversazione si orientò sul leggere i quotidiani. Quali leggere, quali non leggere. Pare gli altri, eravamo in sei, comperassero e leggessero dai cinque ai sette quotidiani il giorno. Il Direttore di un Istituto di Storia francese , ammise che, oltre ai quotidiani cartacei, si faceva - anche se non sempre - tre ore al giorno al PC per leggersi la stampa di tutto il mondo. Lo storico italiano si limitò a dirci che, ogni giorno, comperava cinque quotidiani. Siamo terz'ultimi in Europa per la diffusione dei quotidiani (105 copie ogni mille abitanti). Ero, quindi, in un consesso ad elevato utilizzo della stampa quotidiana.
Tacqui, per pudore, perché di quotidiani riesco solo a leggere il locale "Il Gazzettino". Era passato per me il tempo in cui comperavo anch'io cinque quotidiani al giorno (era una banalissima imitazione di mio padre, cui, ricordo, il portinaio Berto Rebellato, metteva sempre ed ostensibilmente in rilievo "L'Unità", giornale, a quei tempi, messo all'indice ). Ogni tanto pubblico ancora qualcosa su "Il Gazzettino" e, come me, lo fanno altri amici.
Scoprii, ad esempio, che l'informazione quotidiana in Francia non è più quella del "Le Monde" classico, un giornale che avevo sempre lasciato sul piedistallo ; un timido tentativo di rivalutare "Libération" , da parte di un'ospite, fu stroncato. Saltò fuori che "El País", il quotidiano di Madrid, era un giornale assai informato e molto ben fatto. Sì, il lettore aveva la possibilità di non affogarci dentro. Non fu menzionato il giornale migliore del mondo, il "New York Times".
Il "Il Manifesto", foglio storico della sinistra, languiva di una progressiva morigeratezza di pagine e di contenuti, anche se vi scriveva la figlia di un commensale ."L'Unità", ora privatizzata, era diventata un prodotto contraddittorio, ramificato e tortuoso, il "Corriere della Sera" (in assoluto il più venduto in Italia) aveva subito un crollo verticale di qualità, “La Stampa” (quarto quotidiano della nazione) era la mummificazione del pensiero, non si menzionò, parbleu, “Il Gazzettino” (che, mi consta, tiri ben 136.000 copie). Nonostante alcune mie critiche alla ripetitività dell'inserto domenicale de “Il Sole-24 Ore” (l'articolo, una volta iniziato, si sapeva sempre come andava a finire) il padrone di casa ribadì vivacemente che era unico nel suo genere, non volendo neppure metterlo a confronto con un'altra pagina culturale, cui, pure, egli collaborava. Pare nessuno leggesse i quotidiani tedeschi. Avendo perso dimestichezza con "The Times” e il "Daily Guardian" non li citai. Fare sfoggio di cultura citando “Pravda” e “Literaturnaia Gazeta” che leggo, solitamente, durante le riunioni - inutili - del gruppo di lavoro psichiatrico, mi sembrò , qui, del tutto fuor di luogo. Che avrei potuto dire : che erano giornali noiosissimi , da leggere solo per fare esercizio di lingua. Saltò fuori una generale ammirazione per “Il Foglio”, definito un vero capolavoro, rispetto alla ristrettezza di mezzi con cui era prodotto. Nessuno ne condivideva le idee, ma tutti ne ammiravano la tersa lucidità, operando una distinzione fuor del comune (ma non per l'ambiente) tra forma e contenuto. Che anzi, non essendo schierato, ne veniva fuori che , in qualche modo, questo quotidiano era più utile degli altri. Opinione che sentii poi condividere da altri intellettuali ed esattamente antitetica a quella, corriva, della massa. Tuttavia se Marco Boato (Verdi) lo aveva appoggiato qualcosa di buono doveva esserci.
Comperare un giornale è un rituale del mattino, come bere il caffè. Mi pare Hegel abbia detto qualcosa di simile. Se ne scorrono i titoli, oramai si sa, più o meno, cosa attendersi. Se in loco si guardano gli annunci mortuari, tanto per dire come gli amici di Ivàn Ilìc “E' toccata a te, non a me”. La Borsa ora va su ( e ci si sente ricchi) ora va giù e si fa finta di niente, dacché si sa che sono, comunque, soldi persi. Si guardano soprattutto le notizie locali : che cosa a chi. Gli editoriali ed i commenti politici si leggono al pomeriggio, prima della pennichella, o la sera. Le gestione della notizia è così manipolata da renderla invisibile. Il lettore legge non già per sapere, ma per sentirsi confortato nei suoi pregiudizi. La lettura del quotidiano ha lo stesso scopo dell'ascolto della musica del Sei-Settecento, bellissima e cortigiana musica, fatta per adulare l'orecchio, che ne può precorrere lo svolgimento. Le regole di composizione, due-trecento anni or sono, facevano sì che un mediocre dilettante, con qualche nozione di armonia, potesse comporre della musica gradevole. Scrissero musica, tra gli altri, Federico il Grande e Jean Jacques Rousseau.
Alle soglie del 2000 si è rispolverata la musica barocca : non è mica un caso!! La musica barocca dà quella stessa radiosa e spumeggiante sicurezza che dà la lettura del quotidiano preferito. La sicurezza di quel che si pensa e di quel che non si pensa. Ecco, quindi saltar fuori, pronti su CD venduti in edicola a prezzi fallimentari tutta una serie infinita di compositori sconosciuti, neppure menzionate nelle storie della musica che leggevamo da ragazzi (ma erano cose ampollose di un'Italia del dopo guerra): Astorga, Bassani, Gasparini, Conti, Clari, Pistocchi, Perti, i Pollarolo per le cantate, Caldara, Jommelli, Draghi, Schmelzer, Fux per gli oratori, per non parlare dei cembalisti come Böhm, Fischer, Walther, Bruhns, Lübeck, Reinken, Muffat o gli operisti Durante, Vinci, Gasparini, Ariosti, Steffani e Graun. Altro che i soliti repertori di Bach ed Händel, vi è da riempire le pareti di tutte le edicole d'Italia. La musica barocca, musica d'occasione, rispolverata dalle biblioteche, è fatta con un antesignano del computer. Ricordo d'aver letto, con l'incoraggiamento dell'indimenticabile Alessandro Piovesan (si era nel 1955 e Stravinskij dedicava al suddetto Piovesan, che perdeva tempo con me, il “Canticum in honorem Sancti Marci Nominis”) l'Harmonie di Padre Mathie Mersenne, l'amico di Descartes. Già allora erano codificate le regole per la composizione che allietasse gli spiriti.
Vi sono, naturalmente, anche le leggi di composizione degli articoli che si adempiono mirabilmente con l'aiuto del PC. Tali regole furono definite da un giornalista, Paolo Murialdo, come ambiguità, ambivalenza, manipolazione e falsità. E, naturalmente, l'autocensura ben descritta da Montanelli nel 1960 quando diceva " La libertà c'è, manca l'abitudine ad usarla". Va però anche detto che nel 1996 i giornalisti incarcerati nel mondo furono centottanta.
I quotidiani sono proliferati, la media delle vendite è sempre bassa. I quotidiani italiani mi pare siano centosei, di cui almeno cinquantadue in I-Net: (http://www.ipse.com./webtime/quotit.html) : ventisette nati più di un secolo fa, alcuni, celeberrimi, altri, come "Taranto sera", locali. Ma tutti hanno un loro pubblico di lettori che se li sciroppano, con attorno una coorte di aspiranti scrittori che in vena leziosa, ricca di ingenuità, vengono, con non poca cattiveria, fatti pubblicare.Vi è la partecipazione del lettore-scrittore, talora sotto forma di rubriche fisse, ove vengono dette cose trite. Non raramente assieme a qualche storico, qualche giudice, viene cooptato un medico, talora anche uno psicologo od una psicologa, la cui foto, di qualche anno prima, troneggia all'inizio dell'articolo. Vi sono cose peggiori in televisione. Chi, poi, non riesce ad entrare nella corte dei lettori-scrittori spesso viene messo nell'anticamera detta degli scrittori-di-lettere, una sorta di catecumenismo che non porta a nulla, ma che, in cambio, è ambito dagli scriventi più di un annuncio mortuario (che fa sempre pubblicità, ai vivi). Lo scrittore-di-lettere, di solito, non è d'accordo con quanto scrive il giornale, ma anziché tagliarlo a strisce minute od a quadrati ed usarlo per altri scopi, lo utilizza quale arma del proprio narcisismo per mostrare al caffè ed agli amici la sua missiva. I lettori-scrittori e gli scrittori-di-lettere, una categoria nell'ambito della borghesia semicolta, sono opinione che basta aver fatto il Liceo per scrivere, un errore che diviene gigantesco in I-Net. Ove il narcisismo lussureggia . E dove si palpa l'inutilità della scuola italiana, che non riesce ad insegnare passabilmente questa nostra difficile lingua
Nei quotidiani italiani l'uso della parola è sovente ellittico, come nelle frasi musicali barocche, il senso del discorso, allietato da preziosismi come abbellimenti musicali, non conduce da nessuna parte, lasciando il lettore smarrito, ma, alla fine, soddisfatto, poiché non sono state scalfite le sue idee fondamentali. Il quotidiano serve, quindi, a ricostituire quell'entità disarmonica e frammentata che è il nostro Io, a dargli una parvenza di continuità e di esistenza, a fargli credere di avere uno scopo ed un piano nella vita, a farci godere della nostra partecipazione alla società, quando, in sostanza, ci manca ogni possibile quota di reale incisività. Il quotidiano è il rinforzo scritto all'informazione frammentaria e impressiva della televisione e ne copia e scimmiotta le medesime caratteristiche. Il lettore del quotidiano è alla ricerca della sua identità perduta, chi legge più di un quotidiano ritrova più sé stessi, ne fa una sintesi, ne esce arricchito. O così si spera.
Poiché vi è in Italia manifesta disaffezione per i quotidiani si è instaurata l'offerta del materiale promozionale : fascicoli di enciclopedia, inserti dedicati alla cultura, guide turistiche e perfino (vedi "L'Unità") videocassette. E, infine, le lotterie ed il "Bingo". Sono, anch'esse testimonianze della crisi dei quotidiani. E della crisi della nostra identità, aggrappata all'oggetto, come scriveva il solito Vittorino Andreoli.

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