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Vol.3 Issue 3
Marzo 1997

Il linguaggio Ë la madre, non la serva, del pensiero
Karl Kraus ( 1874-1936)


Scrisse Dante, mi pare nel "De Vulgari Eloquentia", che l'origine dei linguaggi derivava dalla specializzazione dei vari addetti alla costruzione della torre di Babele.
Idea dell'inizio della confusione che partiva dal rilevare come il linguaggio di un muratore fosse diverso da quello di un carpentiere, diverso, a sua volta, da quello di un artiere.
Vorrei essere Umberto Eco (anche se ha sei anni di più di me, e , su questo, non lo invidio) per chiarire come il nostro linguaggio, anche nelle sue accezioni sociali (e politiche) sia largamente specializzato e, come tale, incomprensibile sia nell'espressione verbale, che nella logica, a coloro che hanno aree diverse di intervento.
Fosse solo così, sarei largamente, soddisfatto, dacché tutti noi viviamo in una sfera cognitiva da cui sono principalmente escluse altre sfere, anche se queste, con diagramma di Fenn, vengano nell'esperienza di ognuno di noi ad embricarsi.
Nel nostro caso il problema si complica perché la specializzazione dei linguaggi, nella psichiatria, è divenuta iperspecializzazione. Provatevi a leggere Bion o Matte Blanco, se non siete psicanalisti.
Il mio defunto zio, Mario Dal Pra, mi sconsigliò, nel 1968, di iscrivermi a Filosofia (egli avrebbe voluto studiare medicina, mi disse, con l'amabile ironia di quell'uomo acuto che era) e mi disse di leggere i filosofi. Ci ho provato e ci provo : ma quante difficoltà di linguaggio e di lessico, oltre alle impervietà del discorso logico. Certo mi è molto più semplice leggere Garin od Abbagnano (meno Dal Pra) che Bion o Matte Blanco.
All' esterno della psichiatria abbiamo, dunque, un'area dove ciò che diciamo viene spesso frainteso e manipolato.
All'interno della psichiatria rari sono i poliglotti di comprensione (che cioè capiscono una lingua senza parlarla fluentemente) e rarissimi quelli di verbalizzazione (che cioè capiscono e parlano diverse lingue).
Ma questo fenomeno di poliglottismo esiste anche nelle diverse lingue nazionali del mondo : capiamo l'inglese, ma ci esprimiamo in un italiano inglesizzato perché ci mancano gli "idioms" (quelli che, in russo, vengono chiamati "realia").
Grande è quindi, il disorientamento nelle comunicazioni : lo abbiamo visto nella nostra Mailing List ed è con compiacimento e soddisfazione che sento che si sta accrescendo di partecipanti a ritmo logaritmico perché, nel nostro caso, contribuisce a far conoscere a ciascuno di noi che altri Colleghi hanno linguaggi (e quindi logiche) diversi.
Cose ovvie, quelle che dico (anche Umberto Eco dice, talora, delle cose ovvie, sono in ottima compagnia - mi piacerebbe conoscerlo Umberto Eco, chi me lo presenta?).
Ma lo psichiatra, oggi, non è più solo Arlecchino servitore di due padroni. Egli ha, come dice Massimo Mari, una moltitudine di padroni : il Direttore Generale, il Direttore Sanitario, il Coordinatore di Dipartimento, il Primario, le Organizzazioni Sindacali, le Associazioni per la tutela del malato, il Tribunale peri Diritti del malato. Ci sono anche i fortunati che hanno due Primari cui rispondere (ovviamente in lotta tra loro : se "homo homini lupus" "medicus medico lupissimus", guardatevi il dottor Kildare che agisce in una materia meno opinabile della psichiatria).
"Sto delat" (= Che fare?) per riprendere Cernysevskij (1863) e Lenin (1902) .Lo psichiatra assume una sua identità, spesso debole, all'interno delle Scuole di Specializzazione. I più fortunati sono quelli che assumono una identità attraverso percorsi personali , come l'analisi didattica. Ma sono pochi e, spesso, la loro identità è un pochino rigida e li mette in condizione di dover abbandonare l'agone pubblico e migrare nelle baie od insenature del privato. Per di più l'imprinting, per ricordare Konrad Lorenz, tende ad affievolirsi nel tempo perché l'esperienza lo modifica (cosa che non succede, beate loro, per le anatre).
E, fondamentalmente, il linguaggio che lo psichiatra deve possedere è quello di comunicazione con il malato. Malato che, diciamolo subito, non ha un linguaggio stereotipo di malato, ma il suo linguaggio di uomo. Ne so io qualcosa : curare i nobili pescatori di Pellestrina e Chioggia, abituati a sfidare il mare, non è la stessa cosa che curare gli operosi artigiani od operai trevigiani. E' già, di per sé stesso, questo, un esercizio di acrobazia linguistica oltre che di interazione umana.
Aggiungere a questo la moltitudine di messaggi che provengono, giusti od errati, comprensivi o provocatori che siano da tutte quelle persone che ho testé nominato rende la vita difficile od agra (per ricordare Luciano Bianciardi).
(Troppe citazioni ? Eh, mio fratello Francesco, liutista, mi ha detto che copio Arbasino (magari!). Si suoni una gagliarda e mi lasci lavorare.)
La fine che fa lo psichiatra è quella dei cani di Ivàn Petrovic Pavlov : messi di fronte ad un cerchio (= cibo) e ad una ellissi (= punizione) andavano in tilt mano a mano che il cerchio si spostava verso l'ellissi e l'ellissi assumeva la forma di una circonferenza. Insomma diventavano "neurotici" (il cane è già, di natura sua, essendo dipendente, portato ad essere neurotico). E noi psichiatri mica abbiamo scelto di fare questa professione perché fossimo equilibrati. Se lo fossimo stati ( e se lo fossimo) apriremmo un ristorante di cibi erotici e faremmo la nostra fortuna. Siamo, per disposizione nevrotici (spesso non solo, ma il più grande complimento che mi si possa fare è quello di dirmi che sono pazzo) e diventiamo più nevrotici. Che il contagio esista solo nei Reparti di Malattie Infettive è una favola, smentita dalle ricerche sulle infezioni ospedaliere. Esiste il contagio in psichiatria, per capirci dobbiamo delirare con i pazienti, ed esiste lo stress istituzionale. Ambedue questi elementi sono elementi di pericolosità. Mi si dirà che anche i politici sono esposti a stress. Vero, ma non hanno, come compito principale ed istituzionale, che quello di resistere allo stress, non quello di prendersi cura di altri.
La confusione dei messaggi , a linguaggio diverso, a logica contrastante, a poteri e ricatti alternativamente articolati, di fronte alla problematica del paziente, confusiva e contraddittoria, porta, necessariamente, alla "sindrome da burnt (o burned) out". Credo che questa sindrome sia diffusa tra gli operatori psichiatrici e solo il fatto che non sia stata ancora accolta nell'elenco delle malattie del lavoro (assurdamente chiuso di fronte al disagio psichico, quando già molte sentenze lo considerano un danno civilmente risarcibile) è solo un dato sociale su cui sarebbe opportuno qualche Collega, che siede sui banchi della Camere (e quotidianamente davanti alle telecamere), esprimesse un disegno di legge, o, almeno, una mozione, una interrogazione. Parlo proprio di lui, la mia baffuta guida al Ladak, ora senatore.
Non è possibile diminuire la confusività delle informazioni ,a meno di non avviarsi verso un totalitarismo monocratico come quello che, nominalmente, sembra reggere le Aziende Ospedaliere (ma ancora non lo fa). La necessaria protezione della salute dello psichiatra (e di qualsiasi operatore che si trovi ad agire in questo campo) è argomento del tutto desueto e obliato.
Sembra, invece, in un campo pieno di demagogie budgetarie (ove nessuno si è letto almeno quel vademecum che è "L'Equilibrio Economico nelle Aziende Sanitarie "), che tutti siano ancorati ad un linguaggio pseudoaziendale di cui non si sanno bene i fondamenti , linguaggio che serve di copertura alla grossolana ignoranza i di problemi specifici e tecnici. E via con il benchmarking e le allocazioni !
Se risparmiare è d'obbligo, tutelare la salute (psichica) del dipendente è imperativo perché un dipendente malato e disturbato lavora male, sta male e fa star male gli altri. E invece no. Qualche ridicolo Esarca o arrogante Boiardo, incoronato dall'aureola somma del potere, non solo non considera le condizioni ottimali di lavoro dei suoi dipendenti, ma, a differenza di quello che farebbe un buon imprenditore, per cui il bene dell'azienda è l'obbiettivo supremo, prende, nel pubblico, il suo spazio per vendette personali o sfogo di invidie mal represse. Anche qui egli copre il tutto con un linguaggio particolare, il burocratichese . Ma poiché il burocratichese ha anch'egli le sue regole (impervie, e sia detto ad onor dei veri burocrati ) quando parla sbaglia lessico e sintassi diventando il Moro persecutore di Petrouschka. Dire, a questo punto, " Il Re è nudo", come voi sapete è delitto di lesa maestà. Tutti lo imitano e, dall'alto verso il basso, cercano di adottare questa sorta di lingua franca, il "pidgin bureaucratese" che assona con "bunkum" (oratoria da strapazzo). Lo psichiatra naviga male, è chiaro, di fronte ad affermazioni ridicole, risibili e prive di spessore. Si rifugia, come la lumachina, nel suo guscio, procede lemme lemme , ogni tanto tira fuori le corna, diviene, poco a poco, come ne "La Metamorfosi" un animale istituzionale, un impiegato, meglio un "cinòvnik" che era l'impiegato della russia zarista (leggetevi "Smert cinòvnika" ("Morte di un impiegato") di Cèchov, pronto a morire per aver starnutito sulla crapa pelata di un generale in pensione. Cèchov, che come tutti sapete era medico, anticipava i tempi ed aveva una sensibilità particolare per le persone.
Così, piano piano, nei nostri camici, siamo ora lumachine, tartarughine che ci aggiriamo nel giardino dei sentieri che si biforcano, ogni tanto ci bagniamo in un po' d'acqua e poi riprendiamo il nostro cammino, anonimi e rugiadosi, lasciando dietro a noi una chiazza argentea. Le nostre pubblicazioni.


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