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La riforma ter del SSN

Di Emilio Robotti ( FENASCOP)

Premessa

Non si può certo dire che il ministro Rosy Bindi manchi di coraggio: ha portato infatti a termine la riforma ter del SSN praticamente senza correzioni, nonostante le critiche raccolte dal suo progetto.

E le critiche non potevano certo mancare, andando a toccare situazioni, anche di potere, consolidate, come nel caso dei medici; ma anche a livello istituzionale, la Regione Lombardia ha già annunciato ricorsi per l'invasione della competenza delle Regioni (costituzionalmente garantita). Alla fine, comunque, il progetto è stato approvato definitivamente nella stesura originaria, utilizzando, come Borgonovi ( Il Sole 24 ore — 20/06/99), più elegantemente di chi scrive, fa notare, un vecchio strumento ( o trucco ?) di governo del nostro paese: la strumentalizzazione dell'urgenza, ovvero l'approvazione del D. Lgs. praticamente allo scadere della delega prevista dalla legge 30 novembre 1998, n. 419.

Unica sostanziale modifica lo stralcio della dirigenza infermieristica, ma solo perché evidentemente passibile di impugnazione per eccesso di delega. Ciò che più interessa, in questo scritto, sono i cambiamenti possibili che riguarderanno le strutture psichiatriche private e del privato sociale, ma per completezza si cercherà di dare un veloce quadro generale, cercando di non essere troppo tecnici (ossia poco comprensibili o noiosi per chi non è professionista del diritto), per poi trarre qualche considerazione, necessariamente non definitiva. Eviteremo pertanto di esporre, almeno al momento, la parte relativa alla programmazione della spesa sanitaria nazionale e regionale e ai fondi integrativi, così come le questioni relative ai medici del Servizio Pubblico. Ci sembra invece interessante un breve excursus sulle considerazioni dell'Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, poiché si tratta di un soggetto istituzionale, ma "terzo" rispetto a pubblico e privato.

 

Aziende Unità Sanitarie Locali

Si costituiscono con personalità giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale; l'organizzazione ed il funzionamento sono disciplinate con atto aziendale di diritto privato, secondo i principi ed i criteri generali stabiliti dalla legge regionale. Agiscono perciò con atti di diritto privato, sono tenute al rispetto dei vincoli di bilancio, e possono appaltare o contrattare liberamente contratti di fornitura di beni e servizi inferiori per valore al limite delle orme U.E.

Organi della AUSL sono il Direttore Generale, che nomina il Direttore Amministrativo e il Direttore Sanitario ed è da loro coadiuvato, ed il Collegio Sindacale.

Distretti

La legge regionale disciplina la divisione della AUSL in distretti, che sono individuati dall'atto aziendale di diritto privato in modo da ricomprendere al loro interno una popolazione non inferiore a sessantamila abitanti, salva diversa disposizione della Regione per particolari geomorfologiche del territorio o per la bassa densità della popolazione residente. Al loro vertice vi è il Direttore di Distretto, nominato dal Direttore Generale della AUSL.

Al Distretto sono assegnate risorse definite in base agli obiettivi di salute della popolazione di riferimento; in tale contesto il Distretto è dotato di autonomia tecnico gestionale ed economico finanziaria, con contabilità separata all'interno del bilancio USL.

Il Distretto, in particolare, secondo la disciplina dettata dalla Regione, deve garantire l'assistenza primaria e l'erogazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale (connotate da specifica e rilevante integrazione) e le prestazioni sociali di rilevanza sanitaria se delegate dai comuni.

Il Distretto garantisce l'assistenza specialistica ambulatoriale, la cura e la prevenzione delle tossicodipendenze, le attività ed i servizi consultoriali, le attività e i servizi rivolti agli anziani, ai disabili, alle patologie da HIV ed in fase terminale, l'assistenza domiciliare integrata; inoltre il Dipartimento di Salute Mentale ed il Dipartimento di Prevenzione trovano collocazione funzionale all'interno del Distretto.

Il raccordo tra il Distretto e le altre articolazioni dipartimentali ed ospedaliere avviene con il Programma delle attività territoriali, proposto dal Direttore di Distretto previo parere del Comitato dei Sindaci di Distretto; tale programma è approvato dal Direttore Generale, d'intesa con il Comitato dei Sindaci per quanto riguarda le attività sociosanitarie tenendo conto delle priorità stabilite a livello regionale.

Da sottolineare il rapporto tra Distretti ed Enti Locali anche per quanto riguarda l'integrazione sociosanitaria; entro tre mesi dal'entrata in vigore del decreto di riforma dovrà essere emanato l'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'art. 2, comma 1 lettera n) L. 30 novembre 1998 n. 419 che definirà le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria indicate nel decreto di riforma, precisando i criteri di finanziamento per quanto riguarda le USL e i Comuni e stabilendo i livelli uniformi di assistenza per le prestazioni sociali a rilievo sanitario.

Nella riforma appena approvata sono prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria, caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria, assicurate dalla USL attraverso i Distretti, i Dipartimenti e i Presidi Ospedalieri e comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria, le prestazioni attinenti alle aree materno infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità e disabilità conseguenti a patologie cronico degenerative.

Accreditamento e Autorizzazione

La riforma ribadisce il concetto già introdotto con il D. Lgs. 502/92: "I cittadini esercitano la libera scelta del luogo di cura e dei professionisti nell'ambito dei soggetti accreditati con cui siano stati definiti appositi accordi contrattuali"

La realizzazione e l'esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie è subordinato ad autorizzazione rilasciata dal Sindaco, che verifica il possesso dei requisiti minimi stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento di cui all'art. 8 della legge 15 marzo 1997 n. 59 ed acquisisce la verifica di compatibilità del progetto da parte della Regione. Questa verifica deve essere compiuta "in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale". Entro sessanta giorni dall'entrata in vigore le Regioni devono determinare le modalità ed i termini per la richiesta e il rilascio delle autorizzazioni, prevedendo la possibilità del riesame dell'istanza in caso di esito negativo o di prescrizioni contestate dal richiedente, definendo gli ambiti territoriali in cui si riscontrano carenze di strutture o di capacità produttiva nonché le procedure per selezionare i nuovi soggetti interessati.

L'accreditamento è rilasciato alle strutture che ne facciano richiesta e siano in possesso dei requisiti ulteriori di qualificazione, subordinatamente alla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell'attività svolta e dei risultati raggiunti. I requisiti ulteriori per essere fornitori del SSN sono definiti con due passaggi:

1) con atto di indirizzo e coordinamento di cui all'art. 8 della legge 15 marzo 1997 n. 59, sentiti il Consiglio Superiore di Sanità e l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, vengono definiti i "criteri generali uniformi per l'esercizio delle attività sanitarie per conto del SSN (…) e la verifica periodica di tali attività; (…) la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno e alla funzionalità della programmazione regionale inclusa la determinazione dei limiti entro i quali sia possibile accreditare prestazioni in eccesso rispetto al fabbisogno programmato, in modo da assicurare un'efficace competizione tra le strutture accreditate."

L'atto di indirizzo indica inoltre i criteri generali uniformi circa le procedure ed i termini per l'accreditamento delle strutture.

I criteri ed i principi direttivi in base ai quali deve essere emanato tale atto sono, tra gli altri:

  1. garanzia di eguaglianza tra tutte le strutture accreditate rispetto ai requisiti per il rilascio dell'accreditamento e la sua verifica periodica;
  2. rispetto delle condizioni di incompatibilità del personale;
  3. la partecipazione della struttura a programmi di accreditamento professionale tra pari;
  4. la definizione dei termini per l'adozione dei provvedimenti attuativi regionali e per l'adeguamento organizzativo delle strutture già autorizzate.

Le norme si applicano anche, per quanto compatibili, alle attività e alle strutture sociosanitarie.

2) In conformità ai criteri generali individuati dall'atto di indirizzo e coordinamento, le Regioni (entro sessanta giorni) definiscono i requisiti per l'accreditamento ed il procedimento per la loro verifica; inoltre entro centoventi giorni dall'entrata in vigore dell'atto di indirizzo avviano il processo di accreditamento delle strutture temporaneamente accreditate.

In caso di capacità produttiva superiore al fabbisogno determinato, le Regioni e le USL devono porre a carico del SSN un volume di attività comunque non superiore a quello previsto dalla programmazione nazionale, ed in assenza di intervento integrativo delle Regioni ai sensi dell'art. 13 D. Lgs. 502/92, si procede alla revoca dell'accreditamento della capacità produttiva in eccesso in misura proporzionale al concorso apportato al superamento dalle strutture pubbliche, dalle strutture private non lucrative e dalle strutture private lucrative.

Da segnalare, inoltre, l'istituzione, presso l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, della Commissione nazionale per l'accreditamento e la qualità dei servizi sanitari. Costituita da dieci esperti, la Commissione deve definire i criteri in base ai quali le regioni individuano i soggetti abilitati alla verifica del possesso dei requisiti per l'accreditamento delle strutture pubbliche e private, valutano l'attuazione del modello di accreditamento delle strutture pubbliche e private, e deve esaminare i risultati delle attività di monitoraggio sulla verifica operata dalle Regioni dell'attuazione del modello di accreditamento, trasmettendo una relazione annuale sull'attività svolta.

Accordi contrattuali e tariffe

Le regioni (entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto) definiscono l'ambito di applicazione degli accordi contrattuali, individuando tra l'altro le responsabilità riservate alla Regione e quelle attribuite alle USL. In attuazione di quanto così stabilito, la Regione e le USL definiscono accordi con le strutture pubbliche ed equiparate, e stipulano contratti con quelle private, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale precisanti:

  1. obiettivi di salute e programmi di integrazione dei servizi;
  2. volume massimo di prestazioni;
  3. requisiti del servizio da rendere;
  4. corrispettivo preventivato a fronte delle attività concordate;
  5. debito informativo delle strutture erogatrici per il monitoraggio degli accordi pattuiti e procedure di controllo dell'appropriatezza e della qualità dell'assistenza prestata e delle prestazioni rese.

Le prestazioni erogate vengono retribuite a costi standard per quanto riguarda le funzioni assistenziali, mentre le prestazioni di ricovero e day hospital, unitamente a quelle di specialistica ambulatoriale, vengono remunerate secondo tariffe predefinite.

I criteri generali per la definizione delle funzioni assistenziali e della determinazione della loro remunerazione massima, i sistemi di classificazione che definiscono l'unità di prestazione o servizio da remunerare e le tariffe massime da corrispondere alle strutture accreditate, vengono stabiliti con due decreti del Ministro della Sanità, sentite l'Agenzia per i servizi sanitari regionali e la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano. Le Regioni, adottando il proprio sistema tariffario, dovranno poi articolarlo per classi di strutture, verificandolo in sede di accreditamento.

Le Regioni e le USL attivano poi un sistema di monitoraggio e controllo sulla definizione e sul rispetto degli accordi contrattuali e sulla qualità dell'assistenza e delle prestazioni rese; le Regioni inoltre devono determinare le regole per la funzione di controllo esterno sull'appropriatezza e sulla qualità dell'assistenza prestata nelle strutture interessate in base ai principi individuati con atto di indirizzo e coordinamento emanato entro centottanta giorni dall'entrata in vigore del decreto.

Il "terzo settore"

Nella riforma si legge: " Le istituzioni e gli organismi a scopo non lucrativo concorrono, con le istituzioni pubbliche e quelle equiparate (…) alla realizzazione dei doveri costituzionali di solidarietà, dando attuazione al pluralismo etico — culturale dei servizi alla persona".

E' un ruolo fondamentale, quindi, quello assegnato al cosiddetto "terzo settore" all'interno del SSN, ed è quasi banale prevedere che esso avrà un ruolo fondamentale nel futuro. E' da notare, inoltre, che nella riforma (e solo per quanto inerente ad essa) le istituzioni e gli organismi a scopo non lucrativo per essere tali non devono possedere tutti i requisiti previsti dal D.Lgs. 460/97 e quindi non devono essere necessariamente Onlus; naturalmente i soggetti che non sono Onlus non beneficiano dei privilegi fiscali previsti dal D. Lgs. 460/97.

Si tratta di una disposizione evidentemente dettata soprattutto per l'accreditamento dei servizi sociosanitari, che allarga in misura evidentemente considerevole il novero dei soggetti che potranno essere fornitori non solo del SSN, ma anche dei Comuni per le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria.

Mercato e sanità: il parere dell' Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato relativamente alla riforma sanitaria

L'Autorità, sia pure solo esercitando attività di segnalazione e consultiva ai sensi della L. 287/90, si è occupata delle prestazioni sanitarie (AS 145 del 25/6/98) e dello schema di decreto ora approvato (AS 175 del 20/5/99). Già nell' AS 145 l'Autorità, pur riconoscendo che "… il mercato delle prestazioni sanitarie si configura come un mercato peculiare, nel quale la particolarità del bene oggetto di scambio, ovvero la prestazione sanitaria, è tale da non soddisfare tutte le condizioni che usualmente definiscono il funzionamento dei mercati.", rilevava che l'introduzione di nuovi operatori nel settore ed il principio di libera scelta del cittadino apparivano seriamente compromessi dalle scelte effettuate dalle Regioni in sede di attuazione del D. Lgs. 502/92 e anche dal Governo con lo stesso D.P.R. 14 Gennaio 1997. La qualità di soggetto accreditato, secondo l'Autorità, pur essendo condizione necessaria per l'instaurazione di accordi ai fini dell'erogazione di prestazioni in regime di SSN, non è accompagnata nella normativa vigente dall'individuazione di criteri di giudizio oggettivamente determinati in base ai quali si decida con quale soggetto accreditato stipulare tali accordi.

Criteri che sempre secondo l'Autorità non sono individuati neanche nel disegno di legge delega al governo per la riforma del SSN e che quindi hanno determinato un'ampia discrezionalità delle Regioni nell'attuazione.

Ciò ha determinato l'affermarsi di situazioni differenti di attuazione della riforma sanitaria riconducibili, a grandi linee, a due sistemi alternativi di politica sanitaria:

  1. un sistema basato sulla libera erogazione delle prestazioni sanitarie in regime di SSN da parte delle strutture accreditate ( ad es. la Regione Lombardia), caratterizzato dalla "… competizione tra strutture offerenti e dalla libertà di scelta del paziente (…) con la conseguente riduzione della funzione programmatrice della A.S.L."; tale sistema comporta però una obiettiva difficoltà di contenimento della spesa sanitaria;
  2. un sistema basato sulla programmazione delle prestazioni sanitarie (ad es. la Regione Veneto) caratterizzato dal fatto che ""… la Regione negozia ogni anno piani di attività e volumi di prestazioni con le A.S.L., le Aziende Ospedaliere e le altre strutture sanitarie, rivolgendosi agli erogatori privati solo in via residuale (…) Nell'adottare questo modello, molte regioni hanno utilizzato l'istituto dell'accreditamento (…) accreditando (…) esclusivamente le strutture sanitarie con le quali la Regione effettivamente contratta." Questo sistema favorisce il controllo della spesa, ma limita la libera scelta dell'utente e inibisce la concorrenza tra gli erogatori delle prestazioni sanitarie non incentivando il miglioramento dei livelli di efficienza e di qualità dell'assistenza erogata.

Inoltre, secondo l'Autorità, la commistione nelle ASL tra le funzioni di erogazione e le funzioni di acquisto delle prestazioni sanitarie, effettuata in presenza di criteri di remunerazione delle prestazioni in base ad un budget predeterminato (sulla base delle tariffe previste per la effettuazione delle prestazioni nell'anno precedente), unitamente ad un uso improprio dell'accreditamento e/o degli accordi porta a determinare effetti distorsivi della concorrenza.

I rimedi individuati dall'Autorità sono la separazione delle funzioni di Programmazione, Prestazione e Pagamento: la funzione di programmazione, come previsto nel D. Lgs. 502/92, dovrebbe spettare alla Regione; la funzione di erogazione della prestazione dovrebbe competere alle strutture pubbliche e private accreditate dalla Regione; la funzione di pagamento, infine, rimarrebbe alla A.S.L., che si "… configurerebbe pertanto esclusivamente come un soggetto pubblico acquirente — pagatore rispetto alle strutture pubbliche e private che erogano le prestazioni sanitarie, senza esercitare alcuna funzione erogatrice."

Nell'AS 175 l'Autorità si occupa invece dello schema di decreto approvato il 14 aprile 1999 dal Consiglio dei Ministri (e poi approvato definitivamente il 18/06/99). Pur esprimendo parere positivo sull'accelerazione impressa al processo di aziendalizzazione delle Aziende Unità Sanitarie Locali e dei presidi ospedalieri, nonché sull'istituzione della Commissione nazionale per l'accreditamento e la qualità dei servizi sanitari, l'Autorità rileva ancora la necessità, in tema di autorizzazione, accreditamento e accordi contrattuali, di sostituire l'esercizio di potestà discrezionali (confermate dal decreto) con valutazioni fondate su criteri oggettivi, "… al fine di assicurare una più ampia tutela della concorrenza tra operatori ed una maggiore continuità al processo di evoluzione tecnologica e scientifica del nostro sistema sanitario.", ed anche per favorire l'ingresso nel sistema di nuovi operatori e la libera scelta da parte degli utenti.

Si rileva in particolare che l'autorizzazione per la realizzazione di strutture sanitarie e l'esercizio di attività sanitari è subordinata a valutazioni di tipo discrezionale relative alla localizzazione territoriale ed al fabbisogno complessivo di assistenza in ambito regionale; analoghe considerazioni per quanto riguarda l'accreditamento e la stipula degli accordi contrattuali: opzioni giustificabili sul piano della scelta dei soggetti accreditati con i quali stipulare gli accordi, ma non per l'accesso alla condizione di soggetto accreditato, "…che dovrebbe fondarsi su valutazioni relative alla qualità e all'efficienza degli operatori aspiranti prima ancor prima che su scelte concernenti aspetti di compatibilità finanziaria (…)"

Conclusioni

Come abbiamo imparato già dalle precedenti riforme, per esprimere un parere definitivo bisognerà attendere, perché fatta la legge, bisogna applicarla; e non sempre i risultati che si ottengono sono quelli che il legislatore si riprometteva.

Alcune considerazioni, però, sono d'obbligo. Sicuramente è positivo il tentativo di mettere ordine nel caos normativo regionale relativamente all'autorizzazione e all'accreditamento delle strutture sanitarie, così come va riconosciuto che la riforma si colloca in un contesto più generale, ancora da completare, relativamente all'assistenza sociale e sanitaria (per non parlare, volendo allargare il discorso, della semplificazione amministrativa e dei rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadini).

E' difficile però condividere alcune scelte: per esempio è comprensibile, volendo controllare la spesa pubblica, decidere che l'accreditamento delle strutture sanitarie debba tenere conto del fabbisogno (anche programmato) e della distribuzione sul territorio delle strutture, trattandosi di soggetti che sono fornitori del SSN ed all'interno di un "mercato" particolare e delicato come quello della salute; ma tali criteri non sono in alcun modo giustificati se previsti anche per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle attività sanitarie. Per tale autorizzazione dovrebbe bastare il possesso dei requisiti tecnici, strutturali, organizzativi, scientifici ecc., altrimenti il rischio è che un soggetto privato non possa aprire una struttura sanitaria, pur essendo in possesso di requisiti di qualità del servizio magari anche superiori a quello delle strutture già esistenti, accreditate o meno che siano; perché affermare la libertà di scelta del cittadino per poi addirittura impedire che si realizzi nel momento in cui decide di non affidarsi al SSN e vuole rivolgersi a strutture private al di fuori di esso?

Ed ancora: il cosiddetto no profit è un settore in grande sviluppo, che secondo noi giustamente può godere, in considerazione della sua particolare natura, di vantaggi a livello fiscale, contributivo ecc.; naturalmente evitando ingiustificate turbative del mercato.

Ciò semplicemente in considerazione del fatto che viviamo in un sistema di libero mercato, regolato e tutelato da norme nazionali e sovra nazionali; quindi i soggetti no profit sono e debbono essere tra i potenziali fornitori del SSN, naturalmente se rispettano, come gli altri, gli standard previsti di qualità.

Essenziale per una riforma dovrebbe essere stabilire regole certe, precise ed uguali per tutti; se si fanno degli sconti a qualcuno, chiunque esso sia, la conseguenza non può che essere un decadimento della qualità del servizio, ossia una minore tutela della salute del cittadino.

Il sistema delineato dalla riforma sembra invece sottendere l'idea che l'unico servizio (sanitario) "buono" sia quello fornito da strutture pubbliche o almeno no profit, mentre quello privato debba, al di là di alcune enunciazioni di parità tra soggetti pubblici, privati e no profit, e del diritto alla libera scelta del cittadino, essere semplicemente residuale.

Purtroppo, anche nel campo della salute, la realtà insegna che ove si "insegue" il profitto non necessariamente si dà un cattivo servizio e viceversa che un soggetto pubblico o comunque no profit non necessariamente fornisce un buon servizio.

Ciò che è o dovrebbe, secondo noi, essere importante in ambito sanitario, così come in altri settori, è stabilire regole che garantiscano il servizio migliore possibile per il cittadino (in questo senso servizio "pubblico") e non semplicemente modificare i soggetti "pubblici" (A.U.S.L. e A.O.) per farli assomigliare al privato o modificare i soggetti "privati" per farli forse assomigliare un po' di più al pubblico (leggi no profit).

Insomma, sarebbe meglio non partire da presupposti ideologici di nessun tipo; e magari, invece di fare grandi rivoluzioni (magari sulla carta e non nella realtà) sarebbe forse meglio, a nostro modesto parere, sperimentare e verificare un po' di più, per poi fare delle scelte realmente consapevoli.

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