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spazio bianco

Alberto Sacchetto*

"Asa Nisi Masa". Puer e anima in Otto e mezzo di Federico Fellini

 

"Per quanto riguarda il titolo non mi è venuto in mente niente che mi convinca. Flaiano propone La bella confusione, ma non mi piace molto. Non so, per ora sulla cartellina che contiene gli appunti e l’approssimativa scaletta del racconto, a parte le solite culone beneauguranti, ho disegnato un grande 8 _. Sarebbe il suo numero, se lo farò."

Così Fellini concludeva gli appunti sul film che aveva in mente di realizzare. Otto e mezzo è un mosaico di sogni, ricordi, fantasie, mescolati alla realtà della preparazione della pellicola, "diario cinematografico del film che si deve fare e non si arriva a mettere insieme, ma alla fine ci si accorge che è fatto e non è altro che la storia del film che non si farà mai" (in Verdone, 1995).

Regista affermato, Guido Anselmi è in procinto di dirigere una nuova pellicola, il cui soggetto è composto da vaghe idee, che non sa ancora come riuscirà a comporre. Nel sogno che dà inizio al film egli è chiuso in un ingorgo stradale, forzatamente immobile, costretto ad una sgradevole prossimità con sconosciuti. Non c’è dialogo con coloro che gli stanno accanto, figure silenziose e fisse come statue di cera. Solo la modalità seduttiva è ancora dinamica (vedi l'uomo in macchina che accarezza Carla), ma ciò non evita a Guido un senso di penosa immobilità. Anche i vetri dell'auto non si aprono, barriere emotive claustrofobiche, soffocanti, come il fumo che riempie l’abitacolo della vettura.

Come uscire da questa situazione? Volando via, liberi finalmente, senza limiti, costrizioni, attese. Librarsi nell'aria pura, al di sopra di tutto, nel cielo sconfinato dove, lì solo, si è veramente felici.

Ma la fuga dal limite è una soluzione puer, e dura poco: Guido si accorge di avere una corda legata alla gamba, un uomo tiene il capo della fune mentre un altro legge, come da un copione, "Giù definitivamente". Il volo non è più consentito, l’accesso alla modalità infantile e magica sbarrato, il copione della vita prevede che Guido torni alla realtà.

Anche il film che egli vorrebbe realizzare ha come tema la fuga dalla terra: in seguito ad un’esplosione nucleare un’astronave decolla da una piattaforma, migliaia di comparse sfilano - l’umanità che cerca rifugio su altri pianeti. Dalla sceneggiatura:

GUIDO Pensa che bellezza… se questa astronave fosse vera… Andarsene, lasciare dietro tutto questo!… Che liberazione… che avventura meravigliosa.

Il Puer è la tendenza verticalizzante, il desiderio di trascendenza. Il volo può essere aspirazione allo spirito, alla divinità che risiede nell'alto, ma anche fuga dalla realtà. E’ quest’ultimo aspetto che caratterizza il Puer Aeternus, quella declinazione dell’archetipo del Puer che rifiuta la crescita, il diventare responsabili, l’accettazione del reale con i suoi limiti.

Guido è sempre insoddisfatto, vorrebbe sempre ricominciare daccapo, come gli rimprovera la moglie. Nel dialogo in macchina con Claudia egli così tratteggia questo ideale:

GUIDO Tu saresti capace di piantare tutto e ricominciare la vita daccapo? Di scegliere una cosa, una cosa sola, e di essere fedele a quella, riuscire a farla diventare la ragione della tua vita. Una cosa che raccolga tutto, che diventi tutto proprio perché è la tua fedeltà che la fa diventare infinita. Saresti capace? (…)

CLAUDIA E tu? Saresti capace? (…)

GUIDO No, questo tipo no, non è capace. Questo vuole prendere tutto, arraffare tutto, non sa rinunciare a niente. Cambia strada ogni giorno perché ha paura di perdere quella giusta, e sta morendo, come dissanguato.

Dedicarsi ad una cosa sola è come voler arraffare tutto, non saper rinunciare a nulla (in un’altra occasione Guido afferma "io ci metto tutto dentro al film"). Prendere tutto come sintomo di un vuoto interiore, che dev'essere continuamente riempito.

Anche con Carla, l’amante, Guido ha un atteggiamento infantile, di tipo orale. Scrive Fellini: "Il rapporto che lo lega alla paciosa culona è basato su una specie di opaco benessere fisico come succhiare da una balia mansueta un goloso nutrimento e poi addormentarsi satollo e spento". L’eros staccato dai sentimenti è un tentativo di sedare le difficoltà affettive, e forse non a caso è dopo l'incontro con Carla che Guido sogna i genitori. In quel sogno, che rimanda ad un’atmosfera misteriosa ed indefinibile, Guido veste ancora la casacca del collegio, e si rapporta al padre e alla madre come un bambino, con il senso di colpa di chi non è riuscito ad essere all'altezza. Nei confronti della madre, in particolare, subisce il fascino di una relazione erotizzata che sembra essersi spostata tout court sulla moglie (il sogno si conclude con la madre che lo bacia prima sulle guance e dopo, avidamente, sulla bocca; poi al posto della madre c’è la moglie). Il Puer Aeternus è l’eterno figlio.

La puerilità però costella l’aspetto senex: la corda che nel sogno iniziale lo riporta a terra è tenuta da un ‘avvocato’, che si vedrà in seguito lavorare per la produzione. Il richiamo del nomos, della legge della vita, gli impone di tornare con i piedi per terra, di produrre. "La pianificazione intesa come dovere recide le ali e incatena i piedi, proprio come Saturno è incatenato ai suoi impegni", scrive Hillman, la cui descrizione rievoca l'immagine del giovane Alfieri, legato alla gamba del tavolo per non disperdere la propria potenzialità conoscitiva.

Una figura senex che Guido incontra è l’intellettuale. Convocato per fornire un apporto critico al soggetto del film, così egli si esprime nella sua valutazione iniziale:

Vede, ad una prima lettura salta agli occhi che la mancanza di un’idea problematica, o se si vuole di una premessa filosofica, rende il film una suite di episodi assolutamente gratuiti, o può anche darsi divertenti, nella misura del loro realismo ambiguo. Ci si domanda cosa vogliono realmente gli autori. Ci vogliono far pensare? Vogliono farci paura? Il gioco rivela sin dall’inizio una povertà di ispirazione poetica… Mi perdoni ma questa può essere la dimostrazione più patetica che il cinema è irrimediabilmente in ritardo di cinquant’anni su tutte le altre arti. Il soggetto poi non ha neanche il valore di un film d’avanguardia, benché qua e là ne abbia tutte le deficienze.

La critica dell’intellettuale è distruttiva, non coglie il valore dell’ispirazione e della creatività puer. Anche la sua riserva nei confronti del cinema (espressa in seguito anche dal segretario del cardinale) rivela il timore verso questo mezzo espressivo: l’immagine in movimento sfugge al bisogno di controllo di una razionalità a proprio agio solo nella lineare ed immobile riga stampata.

L’intellettuale ha scritto i suoi commenti alla sceneggiatura in un bigliettino (la scrittura piccola è un tratto dell’ossessività senex) che recita:

E le capricciose apparizioni di questa ragazza della fonte cosa vorrebbero significare? Un'offerta di purezza, di calore al suo protagonista? Di tutti i simboli che abbondano nella sua storia questo è il peggiore, imbevuto di… (Guido lo getta via, poi lo raccoglie)

Ordine, esattezza, astrazione, limite, riflessione, sono tra i principali tratti senex. Ma nel suo aspetto negativo il Senex è irrigidimento della coscienza, "conseguenza dell'assenza di femminile, il cui risultato è aridità e freddezza", come scrive Hillman. L’immaginazione puer ha bisogno della critica senex, perché "il Senex dà rigore, peso alle genialità del Puer" (Ancona, 1994), ma non è possibile un’integrazione delle due parti quando il si presenta solo nella sua veste distruttiva.

Nella parte conclusiva di Otto e mezzo l’intellettuale afferma, dopo che Guido ha rinunciato alla realizzazione del film:

Lei ha fatto benissimo. Mi creda oggi è una buona giornata per lei. Sono delle decisioni che costano, lo so, ma noi intellettuali, dico noi perché la considero tale, abbiamo il dovere di rimanere lucidi fino alla fine. Ci sono già troppe cose superflue al mondo, non è il caso di aggiungere altro disordine al disordine. (…) No, mi creda, non abbia né nostalgia né rimorso. Distruggere è meglio che creare quando non si creano le poche cose necessarie. E poi c’è qualcosa di così chiaro e giusto al mondo che abbia il diritto di vivere? (…) Meglio lasciar andare giù tutto e far spargere sale, come facevano gli antichi per purificare i campi di battaglia. In fondo avremmo solo bisogno di un po’ di igiene, di pulizia, di disinfettare. Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini, dai suoni, che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto. A un artista veramente degno di questo nome non bisognerebbe chiedere che quest’atto di lealtà: educarsi al silenzio. Ricorda l’elogio di Mallarmé alla pagina bianca? E di Rimbaud? Un poeta mio caro, non un regista cinematografico (…). Se non si può avere il tutto, il nulla è la vera perfezione. (…) La nostra vera missione è di spazzare via le migliaia di aborti che ogni giorno oscenamente tentano di venire al mondo. E lei vorrebbe addirittura lasciare dietro di sé un intero film, come lo sciancato si lascia dietro la sua impronta deforme. Che mostruosa presunzione credere che gli altri si gioverebbero dello squallido catalogo dei suoi errori. E a lei che cosa importa cucire insieme i brandelli della sua vita, i suoi vari ricordi, o i volti delle persone che non ha saputo amare mai?

Il Senex negativo non riesce a dare alla vita; come Chronos divora i figli, ‘spazza via’ ciò che tenta di venire al mondo. Odia la rigenerazione, che gli sottrae la possibilità del controllo; con il poeta potrebbe dire "Aprile è il mese più crudele…". Dai campi cosparsi di sale non può nascere nulla, l’eccesso di purificazione crea il deserto, e solo la pagina bianca può fugare ogni ansia di errore. Anche il riferimento allo sciancato coglie un motivo dell’archetipo: la ferita puer è alle gambe o alle braccia, e la disarmonia nell’andatura zoppicante rappresenta uno squilibrio che il Senex negativo non sopporta, perché potrebbe portare ad un nuovo ordine simbolico. Per Hillman "il senex negativo è il senex separato dal suo stesso aspetto puer. Ha perso il suo 'bambino'."

L’altra figura senex del film è il cardinale. Egli è il depositario della tradizione religiosa, di una verità rivelata che Guido non sente più appartenergli, e verso la quale si rivolge con un misto di distacco e nostalgia. Anche in questo caso non c’è, almeno in apparenza, una vera comunicazione tra i due poiché Guido si limita ad un ascolto senza repliche. Il cardinale però, a differenza dell'intellettuale, entrerà a far parte delle persone che compongono il girotondo finale forse perché, e qui ci viene in aiuto la sceneggiatura, egli è "un favoloso personaggio", che Guido "porta in cuore fin dalla lontana giovinezza".

Nella scena presso il parco delle terme il cardinale è assorto nell’ascoltare il canto degli uccelli, ed invita Guido a fare altrettanto. Quei volatili, spiega il cardinale, sono detti diomedee perché in origine erano i compagni di Diomede, trasformati poi in uccelli alla morte dell'eroe. A Guido però quel canto non interessa: l'eroe in lui non è ancora morto, e corre con il ricordo verso l'infantile, ‘eroica’ impresa della visita alla prostituta.

Sebbene lontano dalla dimensione che il cardinale rappresenta, Guido affida comunque all'alto prelato una speranza di significato:

GUIDO Eminenza, io non sono felice.

CARDINALE Perché dovrebbe essere felice? Il suo compito non è questo. Chi le ha detto che si viene al mondo per essere felici? Dice Origene nelle sue omelie: "Extra ecclesiam nulla salus" - fuori della chiesa non c’è salvezza - "Extra ecclesiam nemo salvatur" — fuori dalla chiesa nessuno si salverà - "Salus extra ecclesiam non est" - non c’è salvezza fuori dalla chiesa - "Civitas dei…" Chi non è nella civitas dei appartiene alla civitas diaboli.

L'indice puntato in alto del vecchio cardinale richiama l'immagine della statua di marmo (ancora una connotazione con la rigidità) che Guido bambino osservava nel cortile del collegio, prima di recarsi con i compagni dalla Saraghina. Come allora dalla rigidità non escono parole di vita; ad un logos pietrificato è da preferirsi la prostituta.

CONFESSORE Ma non lo sai che la Saraghina è il diavolo?

Tratta dai ricordi d'infanzia di Fellini, la Saraghina è stata definita dal regista "drago orrendo e splendido che rappresenta la prima traumatica visione del sesso nella vita del protagonista". La scena della sua apparizione è ancora più evocativa nella sceneggiatura del film:

Una creatura pesante, maestosa nella sua straccionesca goffaggine, appare sulla soglia della tana: è una donna sui quarant'anni, vestita come una mendicante, spettinata, le cui forme animalescamente ricche e non del tutto sfasciate conservano il resto di un’antica bellezza. (…)

La Saraghina infila i denari in tasca, poi getta un’occhiata intorno, per accertarsi che non ci sia nessuno. C’è un silenzio teso, rotto solo dal rumore del mare, come nell’imminenza di uno spettacolo misterioso e rituale. Adagio, con una calma quasi solenne nella sua animalesca turpitudine, la donna volge le spalle ai ragazzi e solleva le sottane fino alla cintola. I ragazzi guardano affascinati, turbati. Il viso di Guido esprime uno stupore profondo, pieno di echi confusi e terribili. Con la stessa lentezza, ora la donna si gira su se stessa, il volto verso i ragazzi, e risolleva fino alla cintola la sottana che aveva abbassata. Il fumo nerastro del focolare la investe e la circonda, dandole l’aspetto di un’apparizione mitica.

Quando la Saraghina si mostra ai bambini Guido le fa una sorta di riverenza, oppure è come se per un attimo gli cedessero le gambe di fronte alla potenza della figura che ha davanti. Anche in una visita successiva Guido s'inginocchia sulla sabbia in prossimità della donna, maestosamente seduta di fronte al mare, autentico numen per il piccolo collegiale. Il contatto con la prostituta ha fugato l'innocenza, la ‘verginità’ di Guido. In una scena successiva, mentre si sta recando dal confessore a causa del vergognoso peccato, Guido si copre colpevolmente gli occhi di fronte alle reliquie di una santa. La Saraghina ha destato una parte erotica, e fatto perire una parte senza peccato.

L’incontro con la prostituta è un’esperienza iniziatica, il richiamo della carne è apertura verso il mondo, come Eros che, uscendo dall’uovo della Notte, ha permesso il disvelarsi del cielo e della terra. Scrive Fellini: "Perché la prostituta, creatura d'inferno, conserva però il potere e il fascino di ciò che sembra evocato da un mondo ultraterreno. Non è conoscibile ed è quindi immensa e inafferrabile, onnisciente e ingenua. Proprio come sono le nostre fantasie delle quali si fa non solo ladra ma anche realizzatrice."

Per Guido, che non ha smesso di permanere nella diabolicità della sua inquieta immaginazione, la Saraghina rappresenta un aspetto del femminile che ancora si porta dentro, assieme a tante altre figure femminili, del passato e del presente, tutte idealmente riunite nella fantasia dell’harem. Non c’è amore però in questo harem, collocato nella casa d'infanzia e retto a suon di frusta, per il rispetto di norme puerilmente autoriferite. La ragazza della fonte manca da questa dimensione disanimata.

E’ Claudia l'attrice che dovrebbe interpretare il ruolo della ragazza della fonte. Ecco un brano del suo incontro con Guido:

GUIDO Mi metti soggezione, mi fai battere il cuore come un collegiale. Non ci credi eh? Che rispetto vero, profondo comunichi. Claudia… di chi sei innamorata? Con chi stai, a chi vuoi bene?

CLAUDIA A te.

GUIDO Sei arrivata proprio in tempo sai? Ma perché sorridi così? Non si capisce mai se giudichi, se assolvi, se mi stai prendendo in giro…

Guido le descrive poi il personaggio della ragazza della fonte:

GUIDO E’ una di quelle ragazze che danno l’acqua per guarire. E’ bellissima, giovane e antica, bambina e già donna, autentica, solare. Non c’è dubbio che sia lei la sua salvezza. Sarai vestita di bianco e avrai i capelli lunghi, così, come li porti tu.

Colpisce l'affinità tra queste parole e la descrizione di Anima che ha dato Jung (in Ancona, 1992): "Il suo requisito essenziale è un carattere 'da sfinge', inafferrabile o sfuggente; non una vaghezza opaca, che non può suscitare nessuna attesa, ma un’indeterminatezza piena di promesse, che ha l'eloquente sorriso di una Monna Lisa: questa donna è vecchia e giovane, madre e bambina, ambiguamente casta, infantile e di una furbizia ingenua disarmante per l’uomo".

In una fantasia di Guido, la ragazza della fonte, in veste di donna delle pulizie, gli prepara il letto. Egli però non capisce, vorrebbe prima definirla:

GUIDO Nel paese c’è una pinacoteca, e tu la figlia del custode. Sei cresciuta tra immagini di antica bellezza.

Ella si mette a ridere e Guido fa una capriola sul letto dicendo, quasi tra sé: "Hai ragione". Se vuole avvicinarsi a lei egli deve capovolgere il proprio punto di vista.

Con quanto affetto adesso la donna gli bacia la mano, per poi appoggiargliela sul ventre, come se con quel gesto volesse far fluire l'amore dentro di lui. Nel letto di Guido ella afferma: "Sono venuta per non andare via più. Voglio far ordine, voglio far pulizia…".

E' il discorso amoroso quello che la ragazza della fonte è venuta a portare. L’ordine di cui lei parla è in realtà un nuovo ordine (Ancona, 1992), sconosciuto a Guido in precedenza. Ella è donna sacra ed amante, sensuale e spirituale, coniunctio che mette in difficoltà la propensione di Guido alla dissociazione in quest'ambito.

Guido però resiste alle possibilità trasformative che questa figura porta con sé:

CLAUDIA Ma scusa, un tipo così, come tu l’hai descritto, che non vuol bene a nessuno, non fa mica tanta pena sai? In fondo è colpa sua. Che cosa pretende dagli altri?

GUIDO Perché credi che io non lo sappia? Come sei noiosina…anche tu. (…)

CLAUDIA Io non capisco… incontra la ragazza che lo può far rinascere, che gli ridà vita, e lui la rifiuta?

GUIDO Perché non ci crede più.

CLAUDIA Perché non sa voler bene.

GUIDO Perché non è vero che una donna possa cambiare un uomo.

CLAUDIA Perché non sa voler bene.

GUIDO E perché soprattutto non mi va di raccontare… un’altra storia bugiarda.

CLAUDIA Perché non sa voler bene.

Il mostra qui il suo cinismo senex nel difendersi da critiche dolorosamente autentiche. Egli è alla continua ricerca di giustificazioni, non vuole assumersi la responsabilità.

Anche nei confronti della moglie, Luisa, Guido vive un penoso contrasto tra fantasia e realtà. Succedaneo materno nel già citato sogno dei genitori, Luisa viene fantasticata da Guido anche come amica di Carla, l'amante, con le due donne consapevoli e felici nel rispettivo ruolo. E nella fantasia dell'harem Luisa diventa moglie ‘ideale’, perfetta donna di casa, aliena da ogni conflitto, dedita esclusivamente al focolare, malinconicamente felice nell'appagamento del marito. In quella scena Luisa regge un lume, come quello che la ragazza della fonte reggerà in una fantasia successiva. Guido dovrebbe accettare che il lume sia portato dalla figura animica, e non da una caricatura di moglie che si aggira nelle sue fantasie da sultano.

Nella realtà il ruolo che Guido assegna a Luisa è quello di una donna tradita ed infelice, che il capriccioso marito vorrebbe vicino a sé, quando ne ha voglia:

LUISA Io credo che non potrei tradirti mai, non foss'altro per non sopportare il ridicolo, la fatica di doversi nascondere, mentire. Si vede che a te riesce facile invece.

GUIDO Senti Luisa mi fa tanto piacere che tu sia qui. Ma abbi pazienza, sono molto stanco, ho sonno.

LUISA Allora dormi, buonanotte.

GUIDO Io non lo so che cosa credi di vedere, di scoprire tu nella mia vita riducendo tutto alla meschinità di uno che ruba in cucina. Ma cosa ne sai della mia vita, di quello che ho, di quello che non ho, che ne sai?

LUISA So solo quello che mi fai vedere tu.

GUIDO Ma cos'è che ti faccio vedere eh? Avanti dimmelo che cosa vedi, con questo tuo giudizio moralistico, dov'è che vuoi arrivare?

LUISA Io non voglio arrivare a niente sai, so che siamo fermi da anni allo stesso punto. Sei tu che vuoi sempre ricominciare, ogni volta mi richiami e credi sempre di riprendere daccapo.

Guido non è mai penetrativo con la moglie, anche nel senso simbolico del rapporto sessuale. Egli l'ama, a modo suo, ma non l'ha mai ‘sposata veramente’, come una triste Luisa, in abito da sposa, gli ricorda nella scena della conferenza stampa.

Epilogo di quella fantasia è il suicidio: perfetta soluzione puer per uno che non sa dare risposte, che si rifugia sotto il tavolo per non affrontare le responsabilità, che vorrebbe essere lasciato in pace solo un attimo ancora, per riflettere, per pensare a cosa dire.

Con il suicidio viene spazzato via un vecchio ordine, un ordine egoico (ed eroico) che lascia dentro a Guido un senso di vuoto e di fallimento. Emblema di quel fallimento è lo smantellamento dell'impalcatura dell'astronave: il film non si farà più, il razzo puer che doveva andare nello spazio non decollerà da terra.

Ma il fallimento è spesso necessario preludio al senso. Guido sta per abbandonare il set in compagnia dell'intellettuale, la confusa creatività puer si è arresa in fondo alla critica senex. C'è un'atmosfera di sconfitta, di impotenza, di desolazione. Mentre l'intellettuale sciorina l'elogio della scelta di abbandonare tutto arriva però Maurice, il telepata, che annuncia a Guido che tutto è pronto.

Qualcosa è cambiato. La ragazza della fonte appare, ultima epifania, camminando da sinistra a destra, in un'aura di luminosità. Arrivano quindi le altre persone, in senso opposto, vestite di bianco, come trasfigurate dalla luce di Anima. La piattaforma, prima desolata, si ri-anima di persone. Guido è toccato nel profondo:

GUIDO Ma che cos'è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa dolcissime creature, non avevo capito, non sapevo. Com'è giusto accettarvi, amarvi, e com'è semplice. Luisa, mi sento come liberato. Tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare… ma non so dire. Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere, e non mi fa più paura. Dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo, e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. E' una festa la vita, viviamola insieme. Non so dirti altro Luisa, né a te né agli altri. Accettami così come sono se puoi, è l'unico modo per tentare di trovarci.

LUISA Non so se quello che hai detto è giusto, ma posso provare, se mi aiuti.

La felicità di Guido è legata alla fecondità che ora ha sentito dentro di sé, e la gestazione d'Anima gli regala una creatività artistica prima assente. Emerge la capacità senex di dare ordine alle cose, di dirigere i personaggi, questa volta non a suon di frusta.

Adesso la madre sceglie di seguire il padre, com'è giusto che sia, permettendo con questo ‘tradimento’ del figlio che anche Guido, con comprensibile tristezza, sia costretto a separare la propria libido dalla figura materna, e possa quindi unirsi alla moglie nel girotondo finale. Guido non è più l'eterno figlio, e non si identifica più con il bambino, anch'egli ora partecipe della rappresentazione.

I personaggi sono discesi dall'astronave: è sulla terra e non nel lontano spazio che la vita continuerà. La superficie terrestre è la dimensione d'Anima; il personaggio che nel sogno iniziale sentenziava che Guido doveva tornare a terra è nel film l'agente di Claudia, come a dire colui che agisce per conto di Anima.

Aspetti del desiderio di non cambiare permangono, ancora una volta l'’eternità’ del Puer:

Carla Io ho capito sai cosa vuoi dire, vuoi dire che non puoi fare a meno di noi.

A che ora mi telefoni domani?

GUIDO Sí sí sí, adesso però svelta, vai in fila con gli altri.

Non sappiamo se l'indomani tutto tornerà come prima. Guido tuttavia, finalmente regista, riesce, con l'aiuto di Maurice, ad integrare nella rappresentazione la parte di sé che Carla simboleggia.

La direzione di Guido sembra connotarsi come adempimento di un qualcosa che gli viene chiesto, che così va fatto, ed egli stesso si inserisce come uno dei tanti membri nella catena umana della quale fa parte. Catena che può rimandare alla corda legata al piede del sogno iniziale, ma che ora, accettata, fa di questo girotondo una circumambulazione della chiesa interiore, la chiesa che Anima gli ha disvelato con la sua trasformazione alchemica. Extra ecclesiam nulla salus, direbbe il cardinale.

Centro e finale del girotondo è Guido bambino, sul quale ora si concentrano le luci finali, fino al buio, allo spazio vuoto, alla possibilità nuova che questo fanciullo di luce lascia dietro di sé, uscendo di scena.

Sebbene personaggio minore, è Maurice che promuove e guida la trasformazione finale. Con la sua bacchetta magica egli viene connotato da una mercurialità che ne fa lo psicopompo, il conduttore d'Anima, il tramite. In una precedente scena Maurice e Maya (ancora un richiamo al mito di Ermes), la sua compagna, si stanno esibendo in un numero di telepatia. Ad un certo punto Maurice si concentra su Guido per trasmetterne il pensiero a Maya, che scrive alla lavagna: "ASA NISI MASA". "Ma che cosa vuol dire?" chiede Maurice. Cambio di scena, flashback: Guido bambino, assieme ad altri bambini, viene immerso in una tinozza di vino, sorta di rito iniziatico contadino che dovrebbe propiziare vigore. I bambini vengono quindi messo a letto, in un'atmosfera che si carica di suggestione quando la nonna, con una candela in mano, si aggira nel buio per controllare che tutti dormano. Dopo che anche lei è uscita una bambina pronuncia un oscuro discorso, dal quale si intende che se Guido vorrà accedere ad un misterioso ‘tesoro’ dovrà ben conservare a mente la formula asa nisi masa.

Il significato del motto non è immediatamente decifrabile, ma nella sceneggiatura ci sono dei dialoghi tra bambini, ubriachi per aver bevuto il vino della tinozza, che aiutano nella comprensione:

MICHELE Nonna!… Gui-si-do-so be-se-ve-se il vi-si-no-so!…

GUIDO Anche lui!… Nonna!… Anche Michele!… Misi-chese lese si è usu-bri-aca… (…)

MICHELE Usi-brisi-asi… (…)

GUIDO …usi-brico-si-così…

Dopo il bagno nella tinozza alchemica, nell'elemento vitale vino-sangue, Guido è pronto per la rivelazione.

E' a-ni-ma la parola che si nasconde in quella formula misteriosa. Senza il suo logos non si accede al tesoro della vita.

*Alberto Sacchetto, è psicologo, psicoterapeuta e formatore [albsac@libero.it]

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

I brani citati in corsivo sono trascritti dal film Otto e mezzo (1963 - Cineriz, Francinex) di Federico Fellini e, ove specificato, dalla sceneggiatura, contenuta in F. Fellini, Quattro film, Torino, Einaudi, 1974.

Per le altre citazioni si veda:

M. Ancona, Il sorriso arcaico, "Annali della Scuola Junghiana", Milano, Scuola Junghiana, 1992.

M. Ancona, Dialogo sul Puer, "Annali della Scuola Junghiana", Milano, Scuola Junghiana, 1994.

F. Fellini, Fare un film, Torino, Einaudi, 1980.

J. Hillman (1964-67), Senex et puer, Venezia, Marsilio, 1973.

M. Verdone, Federico Fellini, Milano, L'Unità/Il Castoro, 1995.

COLLABORAZIONI

Il tema del rapporto tra Cinema e psiche è molto intrigante sia sul versante specifico della rappresentazione sia sul versante della interpretazione dell'arte cinematografica. Come redazione anche alla luce della sempre maggiore concentrazione dei media saremmo lieti che questa sezione si sviluppasse in maniera significativa e in questa logica contiamo sulla collaborazione dei lettori da cui ci aspettiamo suggerimenti ma soprattutto collaborazione.

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