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Quanti corpi ha una donna?
di Laura Pigozzi

Vorrei aprire la mia breve comunicazione con alcune considerazioni sul corpo della donna nell'immaginario maschile. Parlerò poi -sempre brevemente- della logica che a mio avviso sottende il processo di sviluppo del corpo femminile. E concluderò con un paio di osservazioni sulle conseguenze culturali dello sguardo maschile sul corpo femminile.

1. Il corpo della donna nell'immaginario maschile
Un corpo di donna si trova a muoversi, crescere e agire in un ambiente che -come sappiamo- appare pressoché totalmente “informato” dallo sguardo maschile.
C'è in questo sguardo una curiosa aderenza tra il pensiero `alto' e quello comune.
Se, come esempio di pensiero `alto', prendiamo la letteratura psicanalitica, troviamo che la sessualità femminile si presenta come declinata su due soli assi: riproduzione da una parte e prostituzione dall'altra. Dove l'asse della riproduzione concerne, naturalmente, il posto della madre. E in questo gli psicanalisti aderiscono al comune immaginario maschile. Ci si può allora chiedere: dove si situa la donna per loro? Forse viene `inconsapevolmente' situata sull'altro asse, quello della prostituzione.

Ma la cosa rilevante è che le due modalità riproduzione/prostituzione tendono entrambe a rappresentare la donna con un oggetto parziale, con una parte del corpo: la parte contenente, la funzione contenitore, la sola vagina-utero!
E la vagina come sappiamo è accettata per la funzione sociale che essa assolve nella sua funzione di (ri)produttività. In ciò è concettualmente opposta alla clitoride che, come dice Grunberger “serve esclusivamente al piacere, contrariamente al pene che -oltre ad essere fonte di piacere- è anche organo di riproduzione e di minzione”. La clitoride è dunque improduttiva: una specie di lusso inoperoso, asociale e narcisistico (nel senso positivo dato al termine da Lou Salomé).

A proposito del carattere di utilità `sociale' della vagina-utero ecco un piccolo esempio significativo tratto dalla lingua inglese. Partorire si dice to deliver. Il parto è dunque delivery! L'imbarazzo nasce dal fatto che, per esempio, c'è anche la pizza to deliver… Insomma il primo significato è quello di recapitare, consegnare! Tant'è che un aborto spontaneo si dice miscarriage, cioè trasporto che fallisce il suo compito di consegna!

2. La metafora come logica del corpo femminile
Ora, la tesi che vorrei sostenere è che se la donna come soggetto non può essere rappresentata dalla vagina-utero (anche per il `cattivo affare' che è l'essere appiattita a funzione sociale), credo non possa essere rappresentata da nessun oggetto parziale, da nessuna parte del corpo. Neppure dalla clitoride. E ciò per un motivo per così dire `costitutivo'.

Mi pare che la specificità del corpo femminile, anche in rapporto a quello maschile, sia il fatto che il corpo della donna non rimane mai uguale.
Dal bambino all'uomo si assiste ad un accrescimento. Ma dalla bambina alla donna il corpo subisce vere e proprie rivoluzioni, autentiche traumatiche trasformazioni.
Le mestruazioni, il seno che cresce, la gravidanza, il parto, la menopausa. Trasformazioni corporee radicali che spesso costituiscono vissuti che possono essere fonte di angoscia e disagio. E poi, naturalmente, di approdo al nuovo. C'è insomma un divenire.
In questo senso si potrebbe inaugurare una rilettura del freudiano "L'anatomia è un destino".

La malattia è un altro luogo in cui si rivela la caratteristica trasformativa del corpo femminile. Nel lavoro che un gruppo di noi sta conducendo sui sogni delle donne operate di cancro al seno, si è notata una sorprendente elaborazione della malattia nelle metafore usate dal sogno.

Un altro argomento a sostegno della tesi di questa comunicazione mi pare che se la donna è in grado di `fabbricare corpi' di figli, lo può essere forse perché il suo stesso corpo si costituisce nella metamorfosi.

Tutto questo ci può aiutare a dire qualcosa sulla psiche femminile.
Spesso anche la logica femminile pare attraversata da un certa fluidità, mobilità, da una qualità trasformativa. Come dire che il famoso motto `La donna è mobile', in questa accezione, smette di essere un'offesa.
Forse è questa fluidità che fa parlare molte autrici (tra le quali la De Lauretis) di “corpo femminile perduto”. Il corpo originario (della madre) è perduto nel senso che, nello statuto trasformativo del corpo femminile, la donna perde sempre, e sempre ricostituisce, la rappresentazione del suo stesso corpo.

Dall'altro lato il pensiero maschile pare spesso trovarsi più a suo agio con qualcosa che ha a che fare con la fissità, l'accrescimento e la quantità. In coerenza con il tipo di evoluzione corporea a cui il suo corpo è sottoposto.
L'idea stessa di norma e di normatività presuppone come sostrato al pensiero, l'idea di un corpo sostanzialmente stabile. Dove solo l'accrescimento pare essere il vero paradigma di cambiamento: non è forse preoccupato il bambino che il suo pene sia troppo piccolo per la madre? E l'uomo non appare come condannato a sostenere la stessa angoscia che ritorna ad ogni nuovo rapporto sessuale o ad ogni nuovo confronto con l'altro maschio?

Sembra quindi che nel paradigma quantitativo del pensiero maschile, trovi agio la funzione di parcellizzazione. E' qui che pare possibile la rappresentazione del soggetto attraverso un oggetto parziale. L'oggetto parziale pene, ad esempio.
E questa stessa metonimia del pensiero maschile (anche psicanalitico), che chiama la parte a rappresentazione del tutto, fa pure coincidere la donna con l'utero-vagina e l'uomo col pene.

Ora la questione è che si è voluto assimilare alla logica metonimica anche la rappresentazione del corpo femminile che invece appare più ispirata, per le sue possibilità trasformative, alla metafora.

Sappiamo che metonimia e metafora sono due funzioni linguistiche e logiche entrambe indispensabili alla costituzione di un soggetto parlante. Il disagio deriva appunto dalla valorizzazione immaginaria ed autoritaria di una delle due (la metonimia) che si è messa a funzionare da unico paradigma psicologico e sociale. Ed è forse questa la ragione per cui oggi ha valore solo ciò che riguarda l'accumulo in economia, l'oggettivazione nelle scienze e la parcellizzazione nella vita delle persone.

3. Alcune conseguenze culturali delle metonimie dominanti
Ma la vagina stessa con cui si è voluto metonimicamente rappresentare la donna, non è per l'uomo fonte di rassicurazione. Tutt'altro. Appare per lui luogo originario di terrore e negazione, come dice, tra le altre, anche la Horney.

Qui si gioca la questione del segreto, dell'enigma, del perturbante femminile (e rimando al bell'articolo di Laura Montani). Il segreto esiste, a mio parere, solo là dove c'è uno sguardo maschile che non coglie che indicibilità.
La maternità poi appare come un vero `nodo' per gli uomini: lo stesso Freud ha sentito il bisogno di ridimensionare questa fase che non viene pensata come originaria, ma come sostitutiva di qualcos'altro, come se in sé non avesse valore. Difatti l'ha prospettata, data l'equivalenza pene-bambino, come semplice sostituto del pene -a suo dire- invidiato.

Spesso vediamo agire anche il fantasma di un supposto segreto delle donne, che è quello di cui si ha da sempre avuto paura, dalle organizzazioni tribali, alle società medievali il cui sguardo inquisitorio si rivela nei corpi delle streghe dei quadri della Micozzi, che oggi fanno da cornice al nostro incontro. Uno sguardo carico di sospetto che, peraltro, non è venuto meno nel corso dei secoli.

Se il genitale della madre può essere più temuto che la castrazione da parte del padre, come alcune psicoanaliste sostengono, questo può forse spiegare il motivo per cui oggetto di stupro sono le donne e i bambini e mai gli uomini, troppo identificabili con il padre. Dunque in questa pratica perversa maschile, ormai quotidiana, ciò che l'uomo mette in scena è il martoriamento del proprio corpo (da bambino) o lo sventramento di quello materno. Questo nella perfetta aderenza logica del sezionare, dividere e tagliare che, come ci ha mostrato la Buchli nell'intervento di fondazione del Forum, pertengono al maschile. Quasi come un imprinting deviato.

Per concludere si può dire, con una amara battuta, che per quanti corpi una donna abbia o possa avere in virtù della polisemia connaturata allo sviluppo del suo corpo, nessuno di questi può dirsi veramente al riparo dagli attacchi paurosi dello psicopatico o, comunque, da quelli meno cruenti ma spesso comunque devastanti, di carattere svalutativo, pronunciati dall'uomo medio nella sua a volte incerta considerazione di sé.

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Queste pagine sono realizzate in collaborazione con l'Associazione Lou Salomé che ha concesso alla rivista POL.it i diritti di riproduzione on line dei contenuti del suo Sito. Per una conoscenza completa delle attività off e on line dell'Associazione vi rimandiamo ad una visita diretta al loro WEB SITE (http://utenti.lycos.it/forumlousalome/index.htm)

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