Oggetto e identificazione: cenni introduttivi
Non vorrei - non si sa mai - fomentare il Crimine. Eppure se a proferire l'enunciato fosse una donna, non potremmo non considerarlo un discreto passo in avanti. Infatti l'enunciato di cui si tratta - a ricordarlo è E. Lemoine nel suo libro "Il taglio femminile" - è tipicamente maschile mentre una donna, dal suo canto, direbbe. "se mi lasci mi uccido". Come dire, con Freud, " mi uccido al posto tuo" o, il che è lo stesso, " mi uccido per non ucciderti". Come dire che nel corpus lacaniano la formula enigmatica "suicidio dell'oggetto" riferito alla melanconia - presente nel Seminario sul Transfert e idoneo a fornire agli analisti di che scervellarsi - è presto svelato: si tratta del rapporto quanto mai complesso della donna con l'oggetto.
Con l'oggetto uomo o con l'uomo-oggetto. Curioso, no? Eppure proprio così stanno le cose a guardare alla duplice funzione - paradossale, contraddittoria - che questo oggetto occupa nella vita della donna a cominciare dall'interrogativo freudiano sul cambio d'oggetto: necessario, irrinunciabile, insostituibile sino al punto di diventare, più tardi, ragione di vita o feroce strumento di morte e, nel contempo, superfluo, secondario, irrilevante, strumentale - come Freud ci insegna - purchè, beninteso, costi quel che costi, ci sia. A dar fondamento ad una donna che, all'essere in balìa di se stessa, precipitando nella vertigine del non senso, preferisce essere la balia di.
A dar conto di che cosa significhi per una donna l'abbandono, anche senza scomodare la letteratura (Anna Karenina, Emma Bovary i primi esempi che mi vengono in mente), c'è la clinica in cui, caso per caso, ci si scontra sempre in tutti i casi, con lo stesso impossibile: impossibile per una donna pensarsi, immaginarsi senza. Senza chi? Senza che?
E' tempo di definire meglio la complessa natura del legame che tiene insieme quell'evento inaugurante l'Edipo femminile - il cambio d'oggetto - con un'impossibilità strutturale della donna a pensarsi senza oggetto, senza l'oggetto uomo. Quasi che all'oggetto uomo spetti il compito di eternare, nel modo della ripetizione, la funzione di "rifugio" e di "porto sicuro" incarnato a suo tempo dall'oggetto paterno. L'abbandono della donna da parte dell'uomo apre una voragine che solo un altro uomo o più uomini, in un casuale avvicendarsi, possono sedare. A chiudere l'Edipo femminile non è un debito simbolico ma l'apertura di un credito inestinguibile, da addebitare, forse, all'interdetto della Legge proibitiva dell'incesto che, nel caso della donna, manca. Lacan, pur non raccogliendone le conseguenze, lo rileva:
"il mito analitico difetta per quanto riguarda la posizione dell'ince-
sto fra padre e figlia".
mentre Freud se la cava malamente inventando, ad hoc, un Ideale dell'Io femminile debole e carente del senso di Giustizia, dimenticando che la tanto teorizzata "invidia del pene" non può che alimentare, esaltandole, un'esigenza ed una rivendicazione di Giustizia.
La violenza e la drammaticità con cui la donna vive l'abbandono è tanto più sconcertante se si riflette sulla posizione strumentale che Freud e Lacan assegnano al padre nell'Edipo femminile. Se questo oggetto è niente più che uno strumento su cui viene trasferita - nel senso proprio del transfert - l'originaria passione per la madre, da dove ha origine il valore inestimabile, superiore alla sua vita stessa, che la donna gli conferisce? Ripercorrendo il sentiero freudiano la risposta è tanto semplice da poter essere così esemplificata: senza uomo niente pene, senza pene niente bambino. Ma malgrado il bambino niente fallo visto che è questo che la madre non cessa di desiderare.
Le tappe del percorso femminile sono dunque segnate dalla priorità uomo attorno a cui ruotano, quando ci sono, tutte le altre, ma senza la quale disinvestimento generalizzato e perdita totale di senso sono assicurati. La descrizione non ci stupisce: la clitoride, organo sessuale femminile, deve cedere il posto alla vagina; il sessuale al "genitale"( riprendo qui il termine di Valeria Medda); il mezzo (l'uomo), al fine supposto (il bambino).
Così, con la rimozione del sessuale, il rito si consuma, il cerchio si chiude e dalle ceneri del Tempo perduto sboccia un fiore in grado di parlare soltanto il linguaggio del sintomo. Quando la donna "si ammala", la donna guarisce: nevrosi da transfert - così Freud la chiama - significa che la "guarigione" spesso segue o precede una separazione ma precede sempre una domanda di d'analisi.
La priorità uomo e il tempo consumato a svelarne la vanità è tempo che la donna ruba a se stessa con incalcolabile danno per le sue formidabili risorse. Lungi dall'avere un Ideale dell'Io "debole" - ma quale Ideale, visto che manca la Legge a permetterne la formazione ? - ciò che le viene sottratto nel corso di questa lunga peripezia è il tempo necessario a misurare il suo valore dando forma alle sue inclinazioni sublimatorie. Scambiare per amore un legame pertinente il bisogno, sarebbe fuorviante: l'odio lega l'amore separa.
Queste considerazioni valgano da premessa alla questione di cui ho iniziato ad occuparmi - l'identificazione nel contesto edipico - e, in particolare, ad un passaggio importante in cui la complessa relazione fra identificazione ed oggetto viene indagato da Freud nella XXXI Lezione dell'Introduzione alla psicanalisi, del 1932:
Identificazione e scelta oggettuale sono in larga misura indipendenti,
ci si può tuttavia identificare anche con una persona che, ad esempio,
è stata assunta come oggetto sessuale, e modificare secondo essa il pro-
prio Io. E' opinione comune che l'oggetto sessuale eserciti un potente
influsso sull'Io con particolare frequenza nelle donne e che questo sia
un tratto caratteristico della femminilità. Di tutte le relazioni fra identi-
ficazione e scelta oggettuale ve n'è una che è di gran lunga la più istrut-
tiva di cui devo avervi già parlato nelle precedenti lezioni. Può essere
facilmente osservata nei bambini e negli adulti, nelle persone normali
e nei malati. Quando si è perso l'oggetto o si è dovuto abbandonarlo, si
trova abbastanza spesso una compensazione identificandosi con lui, eri-
pendolo nuovamente nel proprio Io, così che in questo caso la scelta og-
gettuale regredisce, per così dire, all'identificazione."
Che cosa ci dice Freud in questo brano?
che identificazione e scelta d'oggetto sono "in larga misura" indipendenti (teniamo presente questo principio generale che rappresenta nella sua riflessione a un punto chiave sulle cui ragioni - irrinunciabili - torneremo)
che a questo principio generale applicabile "in larga misura" fa eccezione proprio la donna per la quale identificazione e scelta d'oggetto non sono indipendenti ma coincidenti: avere l'oggetto equivale ad esserlo;
che di tutte le relazioni fra scelta oggettuale ed identificazione, a risultare particolarmente interessante ce n'è una di cui Freud afferma di essersi occupato già in precedenza, (nella Lezione 26 del 15-17);
che questa identificazione legata all'oggetto non è patologica (riguardando bambini, adulti, sani e malati);
che questa identificazione coincidente con la scelta oggettuale è patologica (trattandosi di una "regressione dell'oggetto sino all'identificazione" (anche su questo termine - importante - avremo modo di tornare).
Se poi andiamo a vedere ciò che Freud aveva sostenuto quindici anni prima (Lezione XXVI Lezione datata 1915-17), restiamo davvero sconcertati perchè l'identificazione qui descritta e cui nel '32 si fa riferimento è l'identificazione narcisistica tipica della melanconia. Sentiamo:
"Di qui abbiamo potuto concludere che, pur avendo il melanconico
ritirato la sua libido dall'oggetto, quest'ultimo, attraverso un pro-
cesso che deve esser chiamato identificazione narcisistica, è sta-
to eretto nell'Io stesso, è stato per così dire proiettato sull'Io"(pag.577)
La tesi presente in "Lutto e melanconia" - cronologicamente contemporaneo - viene qui ribadita e ciò che nel brano del '32 rimane velato fra le righe si fa manifesto: la melanconia è una sofferenza tipicamente femminile dovuta alla reciproca dipendenza fra oggetto e identificazione.
Che dire? Che dire di questo capolavoro di funambolismo teorico in cui affermazioni e negazioni sembrano convivere in perfetta armonia?
La data - 1932 ha in questo contesto estrema rilevanza: la teoria sull'Edipo femminile superate le difficoltà iniziali, ormai in fase di decollo, deve trovare un terreno idoneo per un atterraggio persuasivo. Così se per un verso la tesi presente in "Lutto e melanconia" viene ribadita confermando la melanconia come una sofferenza tipicamente femminile dovuta alla reciproca dipendenza fra oggetto ed identificazione, per un altro verso l'identificazione narcisistica perde il suo carattere patologico assumendo i tratti della normalità. E' evidente che tutto ciò deve avere un senso: per Freud è già chiaro che mentre l'indipendenza fra identificazione e scelta oggettuale dà luogo ad un'identificazione "sana", risolutiva del complesso sul versante maschile, il legame fra oggetto ed identificazione può portare, come vedremo, o a un'identificazione isterica o ad un'identificazione narcisistica, entrambe inidonee dal punto di vista teorico a dar conto della soluzione edipica femminile.
Come si vede stiamo già incontrando le prime difficoltà inerenti al concetto di identificazione che mi propongo d'indagare, per quanto possibile sistematicamente, attraversando le opere più importanti al riguardo: "Lutto e melanconia" (`15-`17), "Psicologia delle folle" ('21), "L'Io e l'Es" ('22). La cronologia, se è sempre importante, in questo caso è decisiva essendo l'evoluzione di questo concetto intrinsecamente legato all'evoluzione teorica del complesso di Edipo e alla seconda teoria dell'apparato psichico con le sue istanze: Io, Es, Super Io.
A creare a Freud tutte le difficoltà che andremo ad incontrare non è la descrizione dell'Edipo maschile, relativamente semplice, in cui l'identificazione con il padre assunto come modello è indipendente dalla scelta oggettuale. La vera difficoltà viene posta a Freud dall'Edipo femminile in cui, come di è potuto rilevare dal primo brano considerato, identificazione e oggetto coincidono. Non è un caso, infatti, che le opere dedicate all'identificazione precedano di poco il primo scritto sistematico sull'Edipo - "Il tramonto del complesso edipico" ('24) - in cui Freud affronta per la prima volta l'esito del complesso nell'uomo e nella donna che verrà ripreso nel '25 (Alcune conseguenze psichiche
..) nel '31 e ancora nel '32. Sentiamo subito che cosa dice nel '24 a proposito del rapporto fra oggetto e identificazione nella descrizione dell'Edipo maschile:
"Gli investimenti oggettuali vengono abbandonati e sostituiti dall'iden-
tificazione. L'autorità paterna o parentale introiettata nell'Io vi costi-
tuisce il nucleo del Super Io, il quale assume dal padre la severità, per-
petuando il suo divieto dell'incesto". (pag. 30)
La ricostruzione che qui Freud ci fornisce è uno dei molti spaccati in cui l'esito dell'Edipo maschile assume carattere esemplare di risoluzione del complesso: identificazione e scelta d'oggetto sono, come si vede, indipendenti e la ricostruzione teorica non fa una grinza, l'identificazione non avviene con l'oggetto abbandonato ma con il padre assunto non come oggetto ma come modello; si tratta infatti, per il bimbo, di essere come il padre. Si tratta, insomma, per intenderci, di un'identificazione "sana" nel senso di permettere al soggetto l'assunzione della propria identità sessuale. Identificazione "sana" abbiamo detto, per sottolineare un punto fermo da tener presente e che ci tornerà utile quando andremo a fare i conti - nel senso di contare - quante e quali siano le identificazioni contemplate nella teoria freudiana.
Già. Quante sono? E quali sono?
Passando ora a considerare, sempre nel testo del '24, l'approccio di Freud all'Edipo femminile, non troviamo, a questo proposito, una vera e propria ricostruzione ma ci imbattiamo invece in una zona d'ombra densa di interrogativi:
"Il nostro materiale diventa qui - incomprensibilmente - molto
più oscuro e lacunoso. Anche il sesso femminile sviluppa un
complesso Edipico, un Super Io e un'epoca di latenza. Gli si
può attribuire anche un'organizzazione fallica e un complesso
di evirazione?"
Le risposte che Freud darà a queste domande ci sono note: un complesso edipico esiste, un Ideale dell'Io esiste benché caratterizzato da una contraddizione palese mai risolta: "venendo meno l'angoscia di evirazione viene anche a mancare un potente motivo per l'erigersi del Super Io
" (pag. 32); un'epoca di latenza esiste pure; un'organizzazione fallica in un primo tempo affermata, verrà poi soppiantata dal cambiamento di zona erogena (la vagina) parallelamente al cambio d'oggetto, del complesso d'evirazione non c'è bisogno perché la donna castrata lo è già.
- Parte I -
Servi e padroni: il cambio d'oggetto al servizio di Edipo, la vagina al servizio del
cambio d'oggetto
Ebbene, a questo punto, per facilitare la lettura dedicata ai testi sull'identificazione, dobbiamo senz'altro occuparci, in via preliminare, di una questione teorica d'importanza capitale (cui ho già accennato nel mio testo presentato il 9 giugno) riguardante la legittimità del fondamento teorico dell'Edipo femminile" e dell'uso stesso del termine.
Inutile dire che mettere le mani sull'Edipo significa andare a toccare il cuore dell'invenzione freudiana. La scoperta dell'importanza dell'Edipo nell'eziologia delle nevrosi, frutto dell'autoanalisi di Freud (vedi lettera a Fliess del 1897) che, a partire dail Tre Saggi (1905), rivestirà sempre più quel carattere universale (riconosciutogli da Lévi Strauss), ha assunto non tanto nella teoria freudiana ma soprattutto nella sua trasmissione un carattere religioso di dogma. Così l'enorme quantità di studi dedicati all'argomento e impegnati, nella stragrande maggioranza dei casi, nello studio dell'Edipo maschile, ha finito per considerare l'Edipo femminile una sorta d'appendice di rilevanza secondaria in cui non si è mai giunti più in là del riconoscimento di una dissimmetria esistente comunque assimilabile e metabolizzabile - malgrado le profonde differenze rilevate dallo stesso Freud - dal corpus freudiano nel suo complesso. C'è da dire che spesso anche i contributi delle analiste donne che infuriano attorno agli anni che vanno dal '23 al '25, forse troppo impegnati a restituire alla vagina i suoi diritti contrastando o riducendo l'esistenza di una sola libido maschile o del primato fallico per entrambe i sessi, hanno trascurato di interrogare il percorso freudiano e le sue risultanze con la radicalità necessaria. Va detto, comunque, che la complessa costruzione di Freud sul femminile - da quel Maestro che egli mostra d'essere - vive di una tale apparente compattezza interna, da rendere ardua la lettura. Dobbiamo convenire, con Simone de Beauvoir, che la psicanalisi "fa mostra su uno sfondo di concetti immobili, di un' imbarazzante elasticità", affermazione in cui si allude al continuo scivolamento dalla lettera allo spirito e viceversa che viene operato ogni qualvolta la teoria analitica viene messa alle strette. Valga da esempio, per tutti, l'uso dei termini "pene" e "fallo" con-fusi nella teoria freudiana e separati - fino all'eclissi del primo - in Lacan.
A far "resistenza" - è proprio il caso di dirlo - è la teoria sospingendo chi legge in tre direzioni: desistere, ripetere, insistere. Questa è una della tante ragioni per cui, senza l'apporto fondamentale di Lacan, la psicanalisi sarebbe ridotta ad una "canzone d'organetto" figlia delle varie pratiche psi. E' di Lacan, lo ricordo, l'affermazione che segue:
"Non è che ci interessa sempre meno l'Edipo perché non abbiamo
visto questa montagna, ma è proprio perché l'abbiamo vista che
preferiamo volgerle le spalle" (Il seminario, Libro IV, pag.221)
E' utile ricordare, a questo proposito, che l'Edipo freudiano ha sempre rappresentato nel pensiero di Lacan un punto cruciale se non altro per il rapporto paradossale esistente e ben riconoscibile - benché misconosciuto - fra il mito greco di Sofocle e il mito del parricidio di Totem e tabù. Se nel primo caso l'uccisione del padre assicura il godimento della madre (genitivo soggettivo ed oggettivo), nel secondo il Crimine precede l'instaurazione della Legge proibitiva del godimento. Sarebbe estremamente interessante riconsiderare questo duplice esito rilevato da Lacan in rapporto all'Edipo femminile.
Ma accontentiamoci per ora di allentare le resistenze della teoria individuando e raccogliendo nella logica interna del suo movimento, le ragioni che l'hanno condotta ad essere ciò che è, evidenziando gli errori in forza dei quali essa - dati alcuni presupposti - vanta la propria costruzione come la sola possibile in cui senza che nulla si spieghi tutto pretende spiegarsi.
Un contributo importante in questa direzione ci viene offerta dall'indagine - spietata - di Irigaray (Speculum) condotta negli anni '70, la cui opera di erosione della teoria freudiana mostra che la costruzione sulla sessualità femminile non ha nulla a che fare con la donna.
Va detto, in via preliminare, che il primo a dubitare fortemente dell'esistenza di un fondamento teorico dell'Edipo femminile, fu lo stesso Freud le cui perplessità, al riguardo attraversano con insistenza le opere che vanno dal '23 al '32 e, prima ancora, quelle pagine travagliatissime sull'identificazione le cui difficoltà non fanno che ripetere, specularmente riflesse, le traversie legate all'Edipo.
Si tratta dunque di vedere, più da vicino, se la dissimmetria riconosciuta da Freud e sottolineata da Lacan, non sia soltanto un eufemismo, una forma di misconoscimento dell'insussistenza teorica dell'Edipo femminile con le conseguenze che ciò comporterebbe sul piano della teoria e della clinica.
Un dato, rilevabile dalla clinica, fa riflettere: la soluzione "ideale" del declino edipico femminile descritto da Freud e da lui stesso riconosciuto come raro, coincide in modo davvero inquietante con la patologia lamentata dalle donne che domandano una cura, cosicché la cura ipotizzata da Freud coincide curiosamente con una domanda di cura.
Andare alla verifica di quest'ipotesi - intento principale di questo lavoro - significa interrogare l'operazione di montaggio del costrutto freudiano e decostruirlo a cominciare dalla funzione strategica che nella teoria edipica femminile spetta:
al cambio d'oggetto;
agli ingredienti necessari a fornire al cambio d'oggetto una propria legittimazione teorica (posizione della castrazione all'entrata nell'Edipo; abbandono dell'oggetto materno; invidia del pene; abolizione della fase fallica e cambio di zona erogena).
Eccoli, in sequenza, gli elementi essenziali che incontreremo strada facendo - spero di non averne omesso qualcuno - su cui poggia l'Edipo femminile, che scomposti e analizzati nelle loro intime connessioni, ci permetteranno di cogliere il senso della costruzione freudiana sul femminile.
A tale proposito non è male chiedersi se Freud, dopo una vita dedicata alla psicanalisi avrebbe mai potuto, ragionevolmente, esordire così: "Signore e Signori, è mio dovere informarvi che la mia invenzione, la psicanalisi, è valida soltanto per i signori uomini essendo la teoria sull'Edipo femminile del tutto infondata". Ma è anche necessario raccogliere il senso dell'invito pressante da lui rivolto andando alla verifica di una teoria che nel '23 annuncia formalmente una crisi maturata in un lunghissimo arco di tempo (i cui primi indizi datano 15-17) ma la cui presenza esplode dal '23-24 sino agli scritti successivi dedicati alla questione femminile. Scrive Freud nel '23 a proposito dell'organizzazione genitale infantile:
"Purtroppo possiamo descrivere questo stato di cose solo per
quanto riguarda il maschio, ci manca una piena conoscenza
dei corrispondenti processi che hanno luogo nella bambina".
("L'organizzazione genitale infantile", pag: 564)
Quest'ignoranza, dichiarata, insisterà nel '35 in una nota di Freud alla sua "Autobiografia":
"Le cognizioni sulla sessualità infantili erano state acquisite studiando
l'uomo e perciò la teoria che da esse derivò fu applicata al bambino di
sesso maschile. L'aspettativa di un perfetto parallelismo fra i due sessi
pur essendo abbastanza naturale, si rivelò tuttavia infondata. Ulteriori
indagini e considerazioni misero in luce profondissime differenze fra
lo sviluppo sessuale maschile e quello femminile. Anche per la bambi-
na la madre rappresenta il primo oggetto sessuale; tuttavia, per poter rag-
giungere la meta dello sviluppo sessuale normale, la donna deve mutare
non solo l'oggetto sessuale ma anche la zona genitale. Da ciò derivano
difficoltà e possibilità di inibizioni che per l'uomo non si presentano"
(pag. 104)
Rilevo - solo un inciso - che qui non si parla di dissimmetria ma di profondissime differenze fra uomo e donna. Qui nel mentre si dice che cambio d'oggetto e di zona erogena sono indispensabili per un normale sviluppo sessuale, si afferma anche il contrario. In effetti è proprio così: se sul versante maschile la distruzione del complesso è possibile senza ritorno del rimosso, su quello femminile rimozione e ritorno del rimosso fanno dell'uomo, dell'oggetto uomo il vero grande sintomo che affligge la donna e da cui non si separa - "se mi lasci mi uccido" - se non separandosi da sé.
Che cosa perde la donna quando incontrando l'uomo e perdendolo si perde?
Tuttavia, malgrado la parziale ignoranza dichiarata, ne "Il tramonto del complesso edipico" ('24), l'esistenza dell'Edipo femminile è affermato con forza pari all'ambiguità che investe la nozione di Ideale dell'Io. Come sia possibile la formazione dell'Ideale in mancanza della Legge proibitiva dell'incesto padre-figlia, resta un punto cieco.
Il testo del '25, "Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica fra i sessi", che prenderemo in esame per primo, è, fra tutti, il più interessante dal punto di vista dell'evoluzione non solo perché la crisi della teoria freudiana è giunta a piena maturazione ma anche perché gli "anticorpi" necessari predisposti da Freud per fronteggiarla, sono già chiaramente allineati.
La premessa che ci introduce allo scritto - di cui leggerò, per brevità, soltanto le righe conclusive - ci offre lo spaccato forse più significativo del persistere di dubbi e di incertezze:
"Infine, non sono più solo, e anzi una fervida schiera di collaboratori è
pronta a far uso anche di ciò che è incompiuto e ancora malcerto
Mi sento dunque giustificato, questa volta, a cominciare qualcosa
che ha assoluto bisogno di essere sottoposta a verifica prima che si
possa dire se è valida o meno". (pag. 208)
Le stesse perplessità agitano le battute conclusive del testo in cui Freud, pur non lesinando "un certo valore" alla teoria esposta, mette in guardia dalle sue opinioni, fondate come sono sulla base di un " numero esiguo " di esperienze" che saranno valide solo se verranno "confermate generalmente" risultando "tipiche ".
In questa cornice di precisazioni, avvertimenti, dubbi e giustificazioni, ecco annunciarsi, di lì a poco, la crisi cui possiamo dare il nome di cambio d'oggetto.
"Il complesso edipico della bimba pone un problema in più rispet-
to a quello dei maschi. Per entrambe la madre è stata all'inizio il
primo oggetto e non ci siamo stupiti che il maschio lo conservi nel
complesso edipico; come mai invece la bimba vi rinuncia, per as-
sumere il padre come oggetto?". (pag. 210)
La domanda tornerà insistente nel '31, nello scritto "Sessualità femminile":
"Come, quando, perché (la bimba) si libera dalla madre?"
Freud sembra qui ignorare - ma naturalmente non è così - che il cambio d'oggetto non è né il solo né il più serio dei problemi con cui la sua teoria dovrà confrontarsi perché il nodo più impegnativo consisterà nell'articolazione teorica del nesso fra cambio d'oggetto e mutamento di zona erogena. Eppure a creargli uno stupore - che non può non stupire anche noi - è proprio il cambio d'oggetto.
Perché il cambio d'oggetto stupisce Freud?
E se questo stupore è, come sembra, puro artificio retorico, che cos'è, al di là del cambio d'oggetto, a suscitare in Freud tanta meraviglia?
Qual è il vero problema in più?
Forse il fatto che il complesso edipico possa assumere per la bimba quel "doppio senso" - "attivo" e "passivo" riscontrabile anche nei maschi a causa della bisessualità e cui egli stesso fa riferimento in questo testo?
E perché questa nozione, introdotta da Fliess, - che in questo momento gli sarebbe d'aiuto fornendogli una spiegazione plausibile sulle ragioni del cambio d'oggetto - in questa occasione non viene utilizzata mentre lo sarà nel '31 e nel '32 quando Freud - lo vedremo - sarà costretto a servirsene per uscire - senza riuscirci - dall'impasse teorica in cui si trova?
Il fatto è che l'Edipo femminile, analogamente e inversamente a quanto accade nell'Edipo maschile rovesciato, ha tutti i presupposti di un quadro inassimilabile al quadro edipico "positivo" ormai consolidato in cui organizzazione fallica, complesso, minaccia d'evirazione, formazione del Super Io ed epoca di latenza, si danno in sequenza senza troppe complicanze. I due quadri edipici anomali, entrambi inassimilabili al dipinto tecnicamente perfetto dell'Edipo "positivo", hanno tuttavia in comune una cosa, quella di rinviare Freud alla necessità di approfondire la preistoria del complesso. E Freud, trascurando l'Edipo maschile rovesciato - la cui preistoria, benché lontana dalla chiarezza, continuerà a restare ignorata - di fronte all'urgenza di una risposta alla sua domanda stupita, ci consegnerà il suo mito personale sulla sessualità della donna.
Qual è dunque questo problema in più?
Il rifiuto di Freud, dichiarato, di spiegare il cambio d'oggetto facendo ricorso all'eterosessualità - una via, a suo dire, troppo semplicistica - ci fornisce la risposta che cerchiamo: la ragione per cui Freud non può ricorrere all'eterosessualità, per spiegare il cambio d'oggetto, è ben più seria: come dar ragione del cambio d'oggetto ricorrendo all'eterosessualità quando ciò di cui occorre dar ragione è l'eterosessualità stessa? Quando, a doverla spiegare, sembra esser proprio il cambio d'oggetto?
E' questo, proprio questo il vero problema in più celato dietro il cambio d'oggetto.
Come sostenere teoricamente l'eterosessualità - e il cambio d'oggetto e l'Edipo femminile - se il primo oggetto d'amore per la bimba è la madre? Se il primo legame "naturale" è per la donna omosessuale?
Proviamo dunque a formulare, a proposito di questo oggetto - questo nodo presente nella teoria che dall'Edipo rimbalza all'identificazione - e ritorno - una domanda semplice, banale: senza questo evento da cui Freud finge, stupito, di lasciarsi catturare, senza quest'evento enunciato con il termine cambio d'oggetto che differenzierebbe lo sviluppo edipico della donna, sarebbe stato possibile a Freud formulare una teoria sull'Edipo femminile?
Come sostenere senza quest' oggetto - e senza incesto - l'esistenza del mito tragico in chiave femminile nella teoria psicanalitica? Come sostenere l'esistenza di un Edipo femminile?
Una cosa è certa: il cambio d'oggetto, il passaggio dalla madre al padre è un evento necessario, assolutamente, irrinunciabile a mantenere in vita uno dei fondamenti della psicanalisi senza cui l'inconscio, la pulsione, il transfert la ripetizione (indicati da Lacan come i quattro concetti fondamentali) e persino ogni ipotesi di cura - almeno per la donna - perderebbero di senso. Da questo punto di vista Lacan non ci sorprende quando, nel suo rimuginare attorno al femminile, (riformulando l'interrogativo freudiano sulla validità generale del criterio che riconosce nell'Edipo la causa delle nevrosi), si chiede se esistano nevrosi senza Edipo, pur suggerendo il contesto e la tonalità in cui ne parla, una sua risposta forse negativa.
Un enunciato buttato là, un pensiero fra sé e sé privo di supporto o, forse, un'intuizione ingombrante che bruciando in un lampo tutti i passaggi teorici possibili, punta dritto in una direzione non ancora svelata? Sta di fatto che a dar fiato a questa ricerca e ad un pensiero fondamentale che ha occupato ogni mio pensiero, ha contribuito non poco la riproposizione di questo dubbio formulato da entrambe e caduto nell'oblio.
Certo è che il cambio d'oggetto, nella teoria freudiana, ha una ragion d'essere che è dell'ordine della sostanza e non di un accidente o di una deviazione di percorso.
Senza cambio d'oggetto, a svanire, Edipo non è solo ma in buona compagnia venendo meno, con esso, tutte le ragioni teoriche addotte da Freud per motivare l'abbandono dell'oggetto materno in favore del padre: la castrazione della bimba con cui l'Edipo avrebbe inizio, l'invidia del pene, l'abbandono dell'onanismo fallico, l'abbandono della clitoride in favore della vagina e
che altro? Che altro ci vorrebbe per smontare, pezzo dopo pezzo, la teoria analitica sull'Edipo femminile?
La questione, d'altronde, è assai più complessa perché senza cambio d'oggetto, per la donna - a differenza dell'uomo - non c'è normalità, non c'è eterosessualità e per la perversione femminile in una una teoria la cui funzione è - prima che normativa - normalizzativa o normalizzante, non c'è posto, malgrado le migliori intenzioni di Freud azzardate spregiudicatamente nei Tre Saggi.
Eppure ad apparire immotivato, incomprensibile, è il prezzo che la donna deve pagare per questa normalizzazione: abolizione del desiderio sessuale, mancanza di "risorse simboliche", mortificazione del "pensiero" (cfr. Valeria Medda Il nome della clitoride).
Eppure il sospetto che il cambio d'oggetto non costituisca per la donna un grande affare e non sia nemmeno un investimento generalizzabile, ha sfiorato Freud più d'una volta:
"
..Ma allora si doveva valutare la possibilità che un certo nume-
ro di persone di sesso femminile si attenga fermamente al primiti-
vo attaccamento alla madre e non compia mai la necessaria svol-
ta in direzione dell'uomo. Con ciò la fase preedipica della donna
acquista un significato che finora non le avevamo attribuito. Poi-
chè in tale fase vi è spazio per tutte le fissazioni e le rimozioni al-
le quali siamo soliti condurre le nevrosi pare necessario ritratta-
re la validità generale della tesi che il complesso edipico sia il
nucleo della nevrosi. Tuttavia, chi rilutta di fronte a questa corre-
lazione non è obbligato ad accettarla
Comunque abbiamo
rinunciato da tempo ad ogni aspettativa riguardante un perfetto pa-
rallelismo tra sviluppo sessuale maschile e femminile" (Sessualità
femminile; pag. 64)
Ma noi invece non abbiamo rinunciato ad andare sino in fondo alla faccenda e, per cominciare, vogliamo aprire qui un breve inciso sollevando almeno una domanda che dalla lettura del testo, appare lecita: che ne è dell'esito finale dello sviluppo sessuale di queste donne che mantengono il primitivo attaccamento alla madre e non "svoltano" mai in direzione dell'uomo?
La questione è tutt'altro che secondaria. Infatti, la risposta più ovvia - si tratterebbe di ipotizzare, in questi casi, un esito omosessuale - non è affatto la risposta che Freud darà altrove. E Lacan, commentando il suo famoso scritto "Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile", sostiene che le omosessuali sono "soggetti che a un certo momento hanno avuto una fissazione paterna molto forte" (Il Seminario, Libro IV, pag.115) e che a causa della delusione subita - non aver ricevuto dal padre il bambino come sostituto del fallo mancante - fanno una specie di dietro front non privo peraltro, nel testo di Lacan, di alcune ambiguità su cui non possiamo ora indugiare
E dunque? Lacan non trascura forse il fatto - rilevante per Freud - che l'attaccamento della donna al padre altro non sarebbe se non è una derivazione, un "retaggio" del legame preedipico con la madre? E come stupirsene se il primo ad ignorarlo è lo stesso Freud allorché nella sua ricostruzione inerente il caso della sua paziente omosessuale liquida come "superficiale" la corrente libidica che rappresenta la continuazione "diretta" ed "immutata" di una fissazione infantile alla madre definendo "profonda" la corrente libidica rivolta al padre? (cfr. "Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile").
Troppe, sono davvero troppe le incongruenze che incontriamo per astenerci dall'indagarle. Vero è che la scoperta della fase preedipica - e l'importanza del legame materno - è posteriore alla stesura dello scritto citato, del 1920, ma un'obiezione come questa peccherebbe d'ingenuità: nulla, infatti, avrebbe impedito a Freud di tornare sui suoi passi ritrattando le sue affermazioni precedenti - una modalità per lui consueta -per considerare la questione omosessuale da un differente punto di vista. Chiuso l'inciso.
Raccogliendo dunque l'invito di Freud, vorrei cercare di cogliere ciò che non persuade nella sua teoria invertendo la direzione da cui osservare il percorso da lui effettuato, situando cioè il cambio d'oggetto come quell'evento in funzione e al servizio del quale la sua teorizzazione precedente (relativa soprattutto alla fase fallica e all'invidia del pene) verrà via via modellata e progressivamente adattata.
Formulo quindi l'ipotesi - estrema - che la presenza del cambio d'oggetto nella teoria psicanalitica nasca dall'impossibilità di Freud di rinunciare alla teoria sull'Edipo femminile - e dalla necessità di spiegare l'eterosessualità femminile - ravvisando in apres-coup, nei diversi elementi che formano il costrutto freudiano - castrazione, invidia del pene, trasformazione del desiderio del pene nel desiderio di un bambino, abbandono del primato fallico della clitoride in favore della vagina, - non già l'iter di un movimento mirante alla descrizione reale dello sviluppo della femminilità, ma lo strutturarsi di un iter coatto, indispensabile alla teoria e finalizzato a creare, su basi solidissime, la necessità del cambio d'oggetto senza cui l'esistenza dell'Edipo sarebbe stato impensabile e l'eterosessualità femminile inspiegabile.
In seconda istanza avanzo l'ipotesi, meno estrema, secondo cui comunque - anche ammettendo la legittimità teorica dell'Edipo femminile - l'abolizione della fase fallica e la sostituzione della clitoride con la vagina risponderebbero ad un'esigenza teorica legata al cambio d'oggetto piuttosto che allo sviluppo sessuale della donna.
Per la verifica di queste ipotesi, mi servirò in primo luogo del testo del '25 - che ai fini dimostrativi è forse il più importante - e di quelli successivi già indicati.
Prima di procedere, vorrei insistere ancora sul fatto che la prima ipotesi - certo estrema e dai risultati assolutamente incerti - ha dalla sua, almeno qualche ragionevole motivo:
il concetto di invidia del pene la cui graduale trasformazione raggiunge l'apice parallelamente alla presa d'atto della dissimmetria esistente fra i due Edipo;
l'opposizione manichea, caparbia fino all'ossessione, fra le due zone erogene, la clitoride "maschile" e la vagina "femminile" che non trovando riscontro né nello sviluppo sessuale della donna né in alcun ragionevole fondamento teorico che non sia il cambio d'oggetto, appare arbitrario e rispondente ad un'esigenza puramente dogmatica e funzionale alla teoria;
d) le risultanze della clinica, tratte dalla mia esperienza la cui complessità non autorizza a definire "tipico" l'attaccamento della donna al padre;
Le caratteristiche del legame con l'oggetto paterno che - quando si verifichi - è considerato un trasferimento, un "retaggio" dell'antico amore per la madre cui nulla aggiungerebbe.
L'insistenza con cui Freud ritorna su quest'ultimo, aspetto è oltre che un indizio importante per la nostra ipotesi, uno dei tanti paradossi presenti nei sui scritti in cui questo amore per l'oggetto paterno - senza cui verrebbe a cadere la teoria dell'incesto - viene continuamente contraddetto e negato dalla funzione puramente strumentale attribuita al padre e condivisa da Lacan - dare il pene, dare il bambino, cui Freud cerca, qua e là di porre rimedio:
"Mi è capitato qualche volta di venire a conoscenza di sogni fatti
da donne dopo i primi rapporti sessuali. Essi rivelavano inequi-
vocabilmente il desiderio di tenere per sé il pene che avevano sen-
tito, e quindi corrispondevano - a prescindere dal motivo libidino-
so - a una temporanea regressione dall'uomo al pene come ogget-
to di desiderio. Certo si tenderà a ricondurre in modo puramente ra-
zionale il desiderio dell'uomo a quello del bambino, dal momento
che prima o poi le donne capiscono che senza la collaborazione del'-
l'uomo non si può avere un bambino. Ma è più probabile invece che
il desiderio dell'uomo sorga indipendentemente dal desiderio del bam-
bino, e che se per ragioni comprensibili che appartengono senz'altro
alla psicologia dell'Io, tale desiderio compare, gli si accompagni
l'antico desiderio del pene come rafforzamento libidico inconscio".
(Trasformazioni pulsionali, particolarmente dell'erotismo anale",
pag. 184, il grassetto è mio).
Così si esprime Freud nel '15 ed è all'incirca attorno a questa data che si avvertono i primi indizi "ufficiali" di quelle che saranno, più tardi, le sue difficoltà - sempre più evidenti - a teorizzare l'Edipo femminile.
Considerata nel testo del '25 la fatidica domanda relativa al cambio d'oggetto ed espresse alcune riflessioni al riguardo, cerchiamo ora di cogliere in questo scritto e in quelli successivi, l'evoluzione del montaggio in un crescendo teorico che andrà assumendo, rispetto alla prudente premessa iniziale, dei toni via via meno dimessi.
Il primo passo consiste da un lato nel predisporre adeguatamente lo sfondo necessario all'ingresso "trionfale" dell'Edipo tramite l'introduzione del cambio d'oggetto e, dall'altro, ad un suo parziale ma importante ridimensionamento che coincide con la scoperta della fase preedipica della bimba in forza della quale l'Edipo verrà declassato al rango di "formazione secondaria".
Questo passaggio, dall'apparenza così contraddittoria, ha di mira due obiettivi:
individuare nella relazione padre-figlia le condizioni "ideali" per affermare l'incesto a sostegno dell' l'Edipo;
creare - attraverso una vasta mole di materiale inerente il rapporto madre-figlia ricavato dalla fase preedipica - le condizioni necessarie per sostenere, con motivazioni potenti e persuasive, le ragioni dell'abbandono del primo oggetto d'amore e il passaggio al secondo.
Seguiamo, nel testo, il primo di questi due obietttivi tratto dalla clinica che vuole anche essere una prima risposta alla nota domanda formulata:
"E' capitato ad ogni analista d'imbattersi in donne che con
particolare intensità e tenacia rimangono attaccate al padre,
nonché al desiderio (che di questo attaccamento rappresen-
ta il culmine di avere da lui un figlio" (pag.210)
Ecco il primo obiettivo realizzato da Freud a salvaguardia dell'Edipo, che ci sollecita a seguirlo in un percorso che ha davvero dell'incredibile.
Il presupposto necessario per l'incesto padre-figlia viene qui affermato sull'onda di un desiderio che non riguarda più il possesso del pene, insufficiente a fondare l'incesto: desiderare di avere un pene, desiderare di essere un uomo, non significa ancora desiderare il padre come oggetto ma voler essere come il padre.
E' importante ribadire, a questo proposito, che il progressivo mutamento subito nell'opera di Freud dall'invidia del pene, procede di pari passo alla scoperta della dissimmetria esistente fra Edipo maschile e femminile. La prima allusione a questo termine la troviamo in un articolo datato 1908. "Le teorie sessuali infantili" in cui il desiderio della bimba del pene potrebbe corrispondere, secondo Freud, ad un enunciato di questo tipo:" preferirei essere un ragazzo".
Soltanto nel '17 (anno fondamentale per la messa a punto dell'identificazione narcisistica da cui di dipartiranno tutte le opere dedicate all'argomento, preparatorie ai testi dedicati all'Edipo femminile), l'invidia del pene comincia a diventare qualcosa di più del desiderio di essere un maschio, trapassando nel desiderio di avere un bambino (secondo la nota equazione), per culminare nel desiderio dell'uomo come "appendice del pene" (cfr. "Trasformazioni dell'erotismo anale, pag. 183).
Ma la pienezza della metamorfosi subita dall'invidia del pene è finalmente raggiunta - come risulta dal penultimo brano riportato - soltanto in questo scritto del '25 in cui il cambio d'oggetto si sostiene poggiando su una base teorica salda e persuasiva qual è l'amore edipico per il padre di cui il desiderio di avere una bambino rappresenta il culmine.
Ci avviciniamo così al secondo obiettivo di Freud. Il primo anticorpo ad essere mobilitato in funzione del cambio d'oggetto è - inutile dirlo - il concetto di castrazione che trascinerà nella sua corsa: abbandono dell'oggetto materno, invidia del pene, rinuncia all'onanismo fallico e abbandono della clitoride in favore della vagina.
Vediamo subito in che modo Freud ci prepara ad una sequenza che permetterà all'Edipo femminile l'ingresso "trionfale" che si merita. Lo fa percorrendo faticosamente delle vie traverse, intonando melodie che mal s'accordano con il testo per raggiungere finalmente l'obiettivo: "L'ha visto, sa di non averlo, vuole averlo".
Dalla castrazione alla "ferita narcisistica" e dal senso d'inferiorità il passaggio all'invidia del pene e alle sue conseguenze è un giuoco per dilettanti: gelosia e allentamento con l'oggetto materno ma, soprattutto, rivolta contro l'onanismo fallico, abolizione della sessualità clitoridea di tipo mascolino in favore dello "spiegamento della femminilità".
A questo punto del testo gli anticorpi teorici che permetteranno a Freud di compiere il primo passo e di fondare l'Edipo femminile attraverso il cambio d'oggetto sono già perfettamente schierati. Ciò tuttavia non è ancora sufficiente perché uno di questi anticorpi - il più importante, quello che darà a Freud più filo da torcere - rappresenta l'anello più debole della catena ed è ancora tutto da costruire. Si tratta di definire, infatti, i termini del rapporto fra onanismo fallico (o attività clitoridea) e cambio d'oggetto, si tratta di stabilire se questi due termini siano compatibili oppure antitetici.
Prima di giungere dunque al passaggio "trionfale" dell'Edipo, Freud deve assolutamente mettere a punto una questione teorica decisiva - la rinuncia della bimba all'onanismo fallico e alla clitoride - senza cui il cambio d'oggetto e l'Edipo femminile - data un'importante premessa teorica - risulterebbero insostenibili. Tale premessa - l'affermazione del primato del fallo per entrambe i sessi - sostenuta sin dal 1905 e ribadita a varie riprese - appare infatti del tutto incompatibile con il cambio d'oggetto : fra attaccamento al padre e "mascolinità" c'è antitesi.
Come potrebbe la bimba che nella fase fallica è in tutto e per tutto un ometto, rivolgersi al padre da questa posizione "maschile", "attiva"? Dalla stessa posizione dalla quale si rivolgeva alla madre?
La fase fallica della bimba e l'attività della clitoride rappresentano dunque, dal punto di vista teorico, l'ostacolo più insidioso che Freud deve superare per poter sostenere il cambio d'oggetto che esigerà, come vedremo, il ricorso al concetto di "passività".
Il superamento di quest'ostacolo richiede dunque necessariamente la riduzione - sino all'abolizione totale - della fase fallica (e dell'attività clitoridea "maschile" ad essa legata) e la sostituzione della clitoride - con la vagina.
Così ad una prima "ondata" d'attività in cui il predominio del maschile domina incontrastato, segue, con il cambio d'oggetto, un'"ondata" di passività in cui il predominio del femminile deve essere altrettanto estremo, altrettanto assoluto. Vedremo più avanti, che questa dicotomia radicale, incapace, malgrado le migliori intenzioni dichiarate da Freud, di affrancarsi dalla contaminazione maschile = attivo, femminile = passivo - sarà per lui fonte di enormi complicazioni.
C'è da chiedersi, in effetti, perchè il cambio d'oggetto dovrebbe necessariamente comportare per la donna la rinuncia al suo organo sesssuale in favore di un organo riproduttivo. C'è da chiedersi quale ragionevole motivo potrebbe spiegare una tale rinuncia se non una ragione asservita all'esigenza della teoria.
Una risposta seria a questa domanda, per querl che ne so, non è mai stata formulata da Freud, né forse da nessun altro.
L'abolizione della "virile" clitoride e la sua sostituzione con la vagina "femminile" non ha alcun rapporto di causalità necessaria con il cambio d'oggetto (non si vede perché mai non potrebbero coesistere) se a far da ostacolo al cambio d'oggetto non ci fosse la teoria del primato fallico, di una libido unica maschile per entrambe i sessi.
La più grande intuizione di Freud, il primato del Fallo - che non ha nulla a che fare con il primato dei genitali - e la sua funzione decisiva nella soggettivazione come significante del desiderio per l'uomo e per la donna, diventa dunque per l'Edipo femminile un boomerang così potente da costringere Freud, per salvare la teoria, ad inventare una femminilità asessuata. Se ciò è possibile, è perché Freud, dopo aver commesso un primo grave errore - l'identificazione del Fallo con l'organo maschile - non potrà evitarne gli effetti.
La necessità per la donna alla rinuncia del suo unico organo sessuale è dunque nella teoria, la logica conseguenza dell'impossibilità di Freud a rinunciare - almeno in una prima fase - al carattere sessuato, maschile del Fallo.
Vedremo che proprio a causa di questa con-fusione, l'articolazione del rapporto fra cambio d'oggetto e zona erogena costituirà per Freud il problema più insidioso essendo questo il punto teorico più fragile, il punto non per nulla più discusso e contestato senza che, a dire il vero, se ne sia individuata a fondo la logica con la conseguenza di non averne ricavato un gran che in termini di avanzamento teorico sulla sessualità femminile. Se Freud avesse capito per tempo ciò che comprenderà, lo vedremo, quasi al termine della sua vita, non avrebbe avuto alcun bisogno di spaccare in due la sessualità della donna. Ascoltiamo dunque quella che Freud considera in un primo momento, troppo ottimisticamente, la "soluzione " al suo problema:
"Ciononostante sono rimasto dell'opinione che la masturbazio-
sia un'attività più aliena alla natura della donna che a quella
dell'uomo e che si possa, per la soluzione del nostro proble -
ma, prendere in considerazione l'ipotesi che la masturbazio-
ne, almeno della clitoride, sia un'attività di tipo mascolino
mentre lo spiegamento della femminilità richiederebbe come
condizione l'abolizione della sessualità clitoridea"(pag. 213)
(Il grassetto è mio)
In realtà, il progetto di Freud - l'abolizione della sessualità clitoridea considerata un'attività di tipo mascolino e la sua sostituzione con la vagina - non rappresenta affatto, com' egli sembra credere, la soluzione ideale del problema. Al contrario, sarà proprio il ricorso al concetto di passività, cui Freud dovrà fare appello per spiegare il cambio d'oggetto, a creargli una difficoltà prevedibile ma non sufficientemente calcolata: l'ondata di passività necessaria al cambio d'oggetto, finirà per includere nel suo flusso anche la pulsione, il desiderio che spinge la bimba verso il padre. Nondimeno, con l'abolizione dell'attività fallica, almeno un primo traguardo provvisorio sembra raggiunto: l'ingresso trionfale di Edipo accompagnato da due importanti negazioni:
"Fino ad ora non si è parlato del complesso edipico, ed esso d'al-
tronde non ha avuto fin qui parte alcuna. Ora però la libido scivola
necessariamente (lungo la già indicata equazione simbolica pene=
bambino) in una nuova posizione. Ella rinuncia al desiderio del
pene per mettere al suo posto il desiderio di un bambino
e, avendo di mira questo scopo, assume il padre come oggetto
amoroso" (Alcune conseguenze psichiche
", pag.214)
Con il padre come oggetto d'amore, al posto della madre, l'Edipo femminile è fondato - sia pure nel ruolo subalterno di "formazione secondaria" - con un'importante differenza rispetto a quello maschile: il primo si dissolve a causa del complesso di castrazione, il secondo grazie ad esso si evolve; nel primo caso la virilità viene limitata, nel secondo la femminilità "promossa" e, quel che più conta, la differenza temporale presente nell'Edipo, superata.
In realtà, se è vero che il complesso di castrazione "opera sempre conformemente al proprio contenuto", limitando la virilità del pene nell'uomo e la virilità della clitoride, gli effetti di questa "limitazione" differiscono radicalmente per l'uno e per l'altro sesso: mentre il bimbo attraverso l'Edipo rinunciando all'organo assume il Fallo come significante del desiderio, per la bimba la "soluzione" edipica rischia di essere una "catastrofe".
L'andamento estremamente faticoso del testo - finalizzato al raggiungimento dell'obiettivo padre - risulta ancor più forzato in un passaggio successivo del '31:
"Solo un terzo sviluppo, invero assai tortuoso, sboccia nella normale
strutturazione finale della femminilità ove il padre è assunto come og-
getto ed è pertanto trovata la forma femminile del complesso edipi-
co. ("Sessualità femminile", pag. 67)
Non c'è dubbio: Freud ha finalmente trovato ciò che cercava.
E' davvero forte l'impressione trasmessa dalle battute finali, in cui ci sembra di sentirlo mentre tira un sospiro di sollievo. Ed ha ragione di farlo essendo riuscito in questo scritto a rinviare, almeno momentaneamente, l'ostacolo più insidioso per la teoria - l'articolazione del nesso fra cambio d'oggetto e zona erogena cui l'abbandono dell'onanismo fallico aveva predisposto il terreno.
Questo ostacolo - il più difficile da domare - continuerà ad incalzarlo senza tregua fino al '32 spingendolo ad ulteriori acrobazie teoriche segnate da movimenti sconnessi di andata e ritorno in cui errori correzioni contraddizioni e ripresa di concetti sinora assenti (libido, pulsione, tendenze passive, tendenze libidiche con meta passiva, spinte pulsionali passive, e, infine, tendenze con mete passive) ci danno la misura dell'impasse in cui Freud si dibatte. Ciò è dovuto al fatto che l'abolizione dell'attività clitoridea e soprattutto il ricorso alla nozione di passività, lo mette di fronte ad una contraddizione in termini - la passività della pulsione - dalla quale gli sarà impossibile districarsi.
Ha inizio da qui, senza dubbio, la parte più importante ma anche più impegnativa di questa nostra ricerca.
Seguiamo un primo passaggio del testo del `31 in cui il problema dell'articolazione del nesso fra cambio d'oggetto e zona erogena viene enunciato per la prima volta in modo esplicito:
"Da molto tempo abbiamo compreso che lo sviluppo della sessualità
femminile è reso più complicato dalla necessità di rinunciare alla zo-
na genitale originariamente direttiva, la clitoride, per una nuova zona,
la vagina. Ora, un secondo mutamento dello stesso tipo (la permuta del'-
l'originario oggetto materno con il padre) ci appare non meno caratte-
ristico e significativo per lo sviluppo della donna. In qual modo que-
ste due necessità siano interconnesse, non ci è del tutto chiaro.
("Sessualità femminile", pag.63)
Chiarire il nesso fra cambio d'oggetto e zona erogena eliminando la clitoride in favore della vagina - ecco l'intento principale dello scritto del `31 in vista del quale la nozione di bisessualità - sinora latitante - riappare rivalutata. A quale strategia teorica si deve qui la ricomparsa di una nozione trascurata nel '25 e su cui Freud aveva mantenuto a lungo non poche riserve data l'incompatibilità fra la teoria di Fliess e la sua tesi del primato del fallo per entrambe i sessi?
La risposta è semplice: in questa fase, in cui egli sta mettendo a punto la sua teoria sulla sessualità femminile in base alla quale la clitoride ("maschile"e"attiva" nella fase fallica) deve essere sostituita dalla vagina ("femminile" e "passiva") in funzione del cambio d'oggetto, la teoria della bisessualità gli offre una soluzione, al momento, di tutto rispetto. Seguiamo questo passaggio:
" In primo luogo è incontestabile che la bisessualità, di cui abbia-
mo asserito la presenza nella disposizione di tutti gli esseri uma-
ni, si presenta con chiarezza molto maggiore nella donna che non
nell'uomo. L'uomo ha un'unica zona sessuale direttiva, un orga-
no sessuale, mentre la donna ne possiede due: la vagina, propria-
mente femminile, e la clitoride, analoga al membro maschile
La vita sessuale femminile si divide normalmente in due fa-
si di cui la prima ha carattere maschile; solo la seconda è quella spe-
cificatamente femminile. Nello sviluppo della femmina vi è come
un processo di trapasso da una fase all'altra
.Un'ulteriore com-
plicazione sorge dal fatto che la funzione della "virile" clitoride con-
tinua nella successiva vita sessuale femminile in una forma molto
tevole, e certo non ancora compresa in modo soddisfacente.Ma alla fi-
ne dello sviluppo l'uomo-padre deve essere divenuto per la femmina
il nuovo oggetto d'amore, vale a dire che alla trasformazione della bim-
ba deve corrispondere un mutamento nel senso dell'oggetto".(Ibid. (pag.66)
Si direbbe invero il contrario. A far problema, ad essere d'intralcio, inutile è sempre la fase fallica, è sempre la clitoride a causa della sua incompatibilità con il cambio d'oggetto. Ma con la nozione di bisessualità "maschile" e "femminile" (clitoride e vagina) possono finalmente coesistere in due tempi distinti e distanti benché " la funzione della virile clitoride" con le sue scorribande nella sfera riservata al femminile, continui a rappresentare per Freud una minaccia.
Il testo avanza riproponendo per un certo tratto quel doppio movimento -contraddittorio - incontrato nel '25: a costruzioni sempre più articolate necessarie a fondare il cambio d'oggetto si avvicendano passaggi mirati alla svalutazione dell'oggetto paterno in favore della madre e del posto da lei occupato nella fase preedipica. Questo doppio movimento, quest'oscillazione in cui Edipo e preedipo si intrecciano, è un segnale in più dell'incertezza in cui - malgrado gli aggiustamenti - versa la teoria freudiana.
- Parte II -
La polarità attivo-passivo: un diabolico dilemma.
Il distacco dall'oggetto materno e le sue molteplici ragioni in dettaglio, costituiscono gran parte del seguito del testo in cui una complicanza prevedibile ma sinora miracolosamente schivata, inizia a farsi strada. Si tratta della polarità attivo-passivo ora introdotta e del suo rapporto con la polarità maschile-femminile:
"Il distacco dalla madre è un passo importantissimo nello sviluppo del-
la bambina, è più di un semplice cambiamento dell'oggetto
. a mano
a mano che esso procede si può osservare un netto eclissarsi degli im-
pulsi sessuali attivi e un accrescersi di quelli passivi
Spesso col
distacco dalla madre cessa anche la masturbazione clitoridea, e abba-
stanza sovente, con la rimozione della mascolinità finora posseduta dal-
la bimba, vengono compromesse durevolmente gran parte delle sue aspi-
razioni sessuali in generale. Il trapasso all'oggetto paterno si attua con
l'aiuto delle tendenze passive, ammesso che esse siano sopravvissute
alla catastrofe." (Ibid.,pag. 77)
Troviamo qui ribadita per l'ennesima volta la necessità che l'attività fallica - e la clitoride incompatibile con il cambio d'oggetto - venga "tolta di mezzo" per essere sostituita dalla vagina. Ma l'importanza decisiva di questo brano riguarda l'introduzione della polarità attivo-passivo per le implicanze teoriche che la passività esercita sul concetto di pulsione qui evocato (tendenze), e ripreso successivamente in termini espliciti.
Freud, come d'abitudine, ogni volta che la sua teoria mostra delle crepe, si prepara - e ci prepara - gradualmente a quelle che saranno le difficoltà immediatamente precedenti il suo volo teorico finale. Come intendere, in effetti, questo termine "tendenze passive"? Una tendenza, una pulsione (Trieb come Freud la chiamerà di lì a poco), può essere passiva? E il cambio d'oggetto può essere attuato con il concorso di una pulsione esclusivamente passiva?
Ecco lo scoglio, prevedibile, che Freud, una volta perseguito il sogno di abolire l'attività fallica, si trova di fronte. Non si tratta più di affermare genericamente il cambio d'oggetto, non si tratta più sostenere che la bimba, desiderando un bimbo dal padre, lo assume quale oggetto, si tratta di definire la natura di questo desiderio, la natura delle pulsioni con cui avviene il "trapasso" all'oggetto padre.
Per poter avanzare ulteriormente nella nostra indagine, dobbiamo approfondire il contenuto di questo brano segnalando una questione teorica (vecchia e nuova al tempo stesso) che Freud sta per affrontare e il cui tortuoso sviluppo diventerà percepibilissimo nello scritto del '32.
Si tratta di ridefinire i termini del rapporto fra la polarità attivo-passivo e la polarità maschile-femminile, deffinizione che lo mette di fronte a nuove difficoltà: l'abbandono della clitoride-maschile in favore della vagina-femminile, comportando l'eclissarsi degli impulsi attivi in favore di quelli passivi, fa sì che queste due polarità finiscano per coincidere con il risultato paradossale che il "trapasso" all'oggetto paterno si attui attraverso l'aiuto - dice Freud - delle tendenze passive.
Ciò significa che il percorso freudiano, ormai prossimo al traguardo, deve misurarsi con un paradosso insito nelle stesse premesse iniziali: l'abolizione dell'attività fallica in favore della vagina - necessaria al cambio d'oggetto, perseguita da Freud con un'ostinazione pari alla sua arbitrarietà, ha finito per trasformare il desiderio - se vogliamo la pulsione, la "forza" propriamente parlando - che spinge la bimba verso il padre in un desiderio passivo.
Questo, in sintesi, l'esito paradossale di un'operazione che Freud non può accettare per almeno due buone ragioni di tutto peso:
a) perché "il carattere di esercitare una spinta è una proprietà generale delle pulsioni", perché "ogni pulsione è un frammento di "attività" ma soprattutto perché "quando si parla di pulsioni passive, ciò non può significare altro che pulsioni aventi una meta passiva" (Pulsioni e loro destini, pag.18)
b) perché almeno nelle intenzioni, (contraddette, è evidente, nella teoria sul femminile), Freud non ha mai considerato del tutto assimilabili la polarità attivo-passivo e la polarità maschile-femminile prendendo le distanze da un'approssimazione che d'altronde qualsiasi persona di buon senso avrebbe condiviso.
Va però precisato che questo intento ha sempre subito delle oscillazioni non prive di ambiguità. Così, per esempio se nei Tre saggi leggiamo che nella fase sadico-anale l'antagonismo che domina la sessualità si limita alla polarità attivo- passivo non potendo ancora essere chiamato maschile e femminile (cfr.pag. 506), in una nota del '14 aggiuntiva al terzo dei Tre Saggi, si apprende che la "libido è definita maschile, perché la pulsione è sempre attiva
."( pag.525).
Così in "Pulsioni e loro destini" (1915) si ribadisce che il saldarsi dell'attività con il maschile e della passività con il femminile
.. non è un principio assoluto (cfr. pag. 29) ma si afferma, nel contempo, che "l'antitesi attivo-passivo viene in seguito a confondersi con quello di maschile e femminile, la quale,preliminarmente, non ha alcuna importanza psicologica". Affermazione a dir poco incauta che non sfugge, ovviamente, alla lucidità di Irigaray la quale si chiede legittimamente come sia possibile che la similitudine fra maschio e femmina, così caratteristica nella fase sadico anale, si trovi successivamente dicotomizzata fra un maschile tutto da una parte e un femminile tutto dall'altra facendo sì che le pulsioni presenti nella bimba in quella fase scompaiano nel nulla.
Del resto, la conferma di un'ambiguità mai risolta ci viene da Freud. Ascoltiamolo in una sintesi illuminante operata nel '23 a proposito del rapporto fra le due polarità descritte:
"Le trasformazioni che subisce durante lo sviluppo sessuale infantile la
ben nota polarità tra i sessi non sono irrilevanti: val dunque la pena di
tenerle presenti. Una prima antitesi viene introdotta con la scelta ogget-
tuale, che ovviamente presuppone un soggetto e un oggetto. Nello stadio
dell'organizzazione pregenitale sadico-anale non si può ancora parlare
di maschio e femmina, l'antitesi dominante è quella tra attività e passi-
vità. Nello stadio seguente di cui siamo venuti ora a conoscenza, quello
dello stadio dell'organizzazione genitale infantile, c'è bensì una mascoli-
nità, ma non una femminilità; i termini dell'antitesi sono il possesso di
un genitale maschile da un lato e l'esser evirati dall'altro. Solo quando,
nella pubertà, lo sviluppo sessuale è concluso, la polarità tra i sessi si i-
identificherà col maschile da una parte e il femminile dall'altra. La ma-
scolinità riunisce in sé le caratteristiche del soggetto, dell'attività e del
possesso del pene, la femminilità si assume quelle dell'oggetto e della
passività. La vagina è vista ora come la dimora del pene". (L'organizza-
zione genitale infantile, pag. 567, il grassetto è mio)
Troviamo qui ricongiunte le due polarità in termini, questa volta, inequivocabili. Siamo nel '23 e sino al '31 la polarità maschile-femminile - di cui clitoride e vagina fungono da rispettive rappresentanti somatiche - dominerà la scena edipica segnata dal cambio d'oggetto senza che la polarità attivo-passivo intervenga a perturbare il percorso freudiano complicandolo ulteriormente.
- Parte III -
Declino e Culmine di una teoria: una libido senza sesso.
Ma quando questo accade, quando Freud, una volta abolità l'attività della clitoride, è costretto a dar conto della natura delle tendenze con cui si attua il trapasso all'oggetto paterno definendole passive - come risulta dallo scritto del '31 - il paradosso sinora evitato si fa manifesto: il desiderio che spinge la bimba verso il padre, verso il cambio d'oggetto, si caratterizzerebbe come un desiderio passivo.
Freud, inutile dirlo, se ne rende conto con una tale chiarezza, da abbandonare ogni riferimento alla fase fallica - ormai inutilizzabile perché troppo compromessa ed inquinata dal nesso ambiguo fra le due polarità - per introdurre, al suo posto, il concetto di libido che, spogliata dell'attributo maschile, gli permette di avanzare di qualche passo verso la soluzione finale:
"Abbiamo visto all'opera le medesime forze libidiche che ritroviamo nel
maschio e siamo giunti alla persuasione che per un certo tempo tali for-
ze battano la medesima strada nei due sessi e pervengano ai medesimi
risultati. In un secondo tempio (nella bambina), fattori biologici fanno
deviare queste forze dalle loro mete iniziali e dirigono anche le tenden-
ze attive, mascoline sotto ogni profilo, sulle vie della femminilità. Poi-
chè non possiamo prescindere dall'idea che l'eccitamento sessuale ri-
salga all'azione di determinate sostanze chimiche, vien subito da con-
getturare che la biochimica debba un giorno fornirci una sostanza la cui
presenza susciti l'eccitamento sessuale maschile, e un'altra che susciti
quello femminile
..La psicanalisi ci insegna che è sufficiente il con-
cetto di una libido unica, la quale peraltro aspira a mete (vale a dire ma-
niere di soddisfacimento ) attive e passive. In questa contrapposizione,
soprattutto nell'esistenza di tendenze libidiche con mete passive, è rac-
chiuso il resto del problema.
Già. Del problema della teoria freudiana sul femminile.
La parte di questo brano - decisivo per cogliere l'evoluzione del percorso freudiano - che cattura maggiormente la nostra attenzione è quella conclusiva. Freud, grazie al concetto di una libido unica, ormai spoglia dell'attributo maschile (l'omissione è rilevantissima) e grazie ad un'importante correzione apportata rispetto al brano precedente (la passività non riguarda più la pulsione ma la sua meta), compie un movimento che restituisce al desiderio, alla pulsione con cui la bimba si rivolge al padre, quella caratteristica di attività che ne costituisce la prerogativa irrinunciabile.
L'ostacolo sembra dunque momentaneamente superato: l'ondata di passività ha risparmiato la componente attiva della pulsione investendone soltanto la meta conformemente alla tesi sostenuta nel '15.
Eppure, a giudicare da quel che segue, è evidente che la soluzione trovata lascia Freud insoddisfatto. Occorre molto di più, è necessario sgombrare il campo teorico, una volta per tutte, da quell'ambiguità che coniuga, troppo semplicisticamente, il maschile con l'attività ed il femminile con la passività, e occorre farlo attraverso un'operazione chirurgica davvero risolutiva.
Ad introdurci a questo rinnovato tentativo di articolazione teorica fra le due polarità, è lo scritto del '32, l'ultimo che prenderemo in considerazione. A che pro questo tentativo, viene da chiedersi, visto che sino a questo momento Freud non ha fatto che utilizzare - implicitamente o no - i termini delle due polarità sempre in questo senso?
E perché per la donna, proprio per la donna, la formulazione "mete passive" (che richiederebbe peraltro una riflessione a parte) sarebbe più adeguata?
Qual è l'intento di Freud?
Prossimi ormai al termine di questo percorso, noi crediamo di saperlo: l'operazione qui introdotta mira ad un'inversione di tendenza, ad una rivalutazione della posizione attiva della donna (e del Fallo come significante del desiderio per entrambe i sessi) che con l'abolizione della clitoride e il cambio di zona erogena era stata cancellata dalla sessualità femminile. Tale inversione di tendenza è evidente nel passo che segue:
"Si potrebbe pensare di caratterizzare psicologicamente la femminilità
con la preferenza per mete passive, il che, naturalmente, non è la stes-
sa cosa della passività; per realizzare una meta passiva può essere ne-
cessarla una grande dose di attività." ('32, pag. 222, il grassetto è mio)
Viene qui riconosciuta la necessità di mantenere vivo ed operante nella teoria quel principio di attività in precedenza sacrificato (e con quale accanimento!) al cambio d'oggetto, senza il quale il rivolgersi della bimba al padre sarebbe insostenibile. Siamo tuttavia ancora lontani dalla meta che Freud intende raggiungere. Il passo successivo infatti - che segna un arretramento - si presenta come un concentrato davvero raro di movimenti sconnessi di andata e di ritorno, di affermazioni e ripensamenti che sembrano preludere ad una capitolazione finale senza uscita:
"Con l'abbandono della masturbazione clitoridea si rinuncia parzial-
mente all'attività. La passività prende ora il sopravvento e la svol-
ta verso il padre viene compiuta con l'aiuto di spinte pulsionali pas-
sive. Capirete che, nello sviluppo, un simile passo che toglie di mez-
zo l'attività fallica spiana il terreno alla femminilità
.la situazio-
ne femminile è però affermata solo quando il desiderio del pene vie-
ne sostituito da quello del bambino." (pag.234)
Il livello di confusione che precipita in questo passaggio è estrema ed inquietante: il principio di attività, inizialmente riconosciuto in parte, viene "tolto di mezzo" qualche riga più sotto; ad essere passive non sono più le tendenze né la meta ma le spinte pulsionali, una contraddizione in termini se si pensa che la spinta della pulsione è il suo "elemento motorio" (cfr. "Pulsioni e loro destini", pag.18). Senza contare l'utilizzo del termine "aiuto" quasi a mitigare, a circoscrivere il campo della passività nelle spinte pulsionali bilanciandolo con il principio d'attività ormai irrinunciabile. E che dire, infine, dei "fenomeni residui" del primitivo periodo mascolino" che turberebbero il dispiegarsi della femminilità? (cfr. pag.237)
Freud tratta e ritratta e, dopo aver ritrattato, ritratta ancora, ormai incapace di raccapezzarsi ma sul punto di gettare la spugna, al culmine delle sue peripezie eccolo annunciare, con un viraggio da Maestro, lo scioglimento di un nodo irrisolto che gli permetterà di pacificarsi, finalmente, con la sua teoria. Qual è questo nodo? E quale il modo in cui Freud lo risolve?
"Noi abbiamo chiamato libido la forza motrice della vita sessua-
le. La vita sessuale è dominata dalla polarità maschile-femmi-
nile; viene quindi spontaneo esaminare il rapporto della libido
con questa coppia di opposti. Non sarebbe sorprendente se ri-
sultasse che a ciascuna sessualità è assegnata la sua particolare
libido, così che un genere di libido perseguirebbe le mete della
vita sessuale maschile e un altro le mete di quella femminile. Ma
nulla si simile accade. Vi è una libido sola, la quale viene mes-
sa al servizio tanto della funzione sessuale maschile quanto di
quella femminile. Alla libido in sé non possiamo attribuire alcun
sesso; se, seguendo la convenzionale equiparazione fra attività
e mascolinità, preferiamo chiamarla "maschile", non dobbiamo
però dimenticare che essa rappresenta anche tendenze con mete
passive. E, d'altra parte, qualificare la libido come "femminile"
mancherebbe di qualsiasi giustificazione". (pag..237 il grassetto
è mio).
Che dire? Che dire se non che a questo punto - solo a questo punto - Freud sarebbe forse stato in grado di elaborare una teoria sulla sessualità della donna?
Che dire se non che la "soluzione" proposta nella sua volata finale, finisce per sconfessare la teoria sulla sessualità femminile?
Come non riconoscere in quest'operazione conclusiva - in cui la libido viene separata da attività e mascolinità - l'azzeramento dell'opposizione clitoride-vagina, ormai del tutto inutile, e la cancellazione, contemporanea e contestuale, della polarità femminile- passivo su cui tale opposizione era cresciuta?
In luogo dell'opposizione fra la virile clitoride, attiva nella fase fallica, e la vagina (femminile) necessaria al cambio d'oggetto, il trionfo di una libido unica, né maschile né femminile - del Fallo come significante del desiderio per entrambe i sessi - viene affermata.
Così la differenza di valore fra pene e clitoride (derivante nella teoria freudiana dall'attribuzione della significazione fallica esclusivamente al pene) è qui superata. (Si faccia riferimento, a questo proposito, allo scritto di Valeria Medda "Il nome della clitoride").
Se Freud avesse considerato la clitoride non già come un equi-valente del pene ma come equi-valente del Fallo, se avesse evitato per tempo l'errore di attribuirle quel carattere maschile che le ha sempre assegnato, non avrebbe avuto alcuna ragione di decretarne l'abolizione facendo coincidere la sessualità femminile con la zona erogena riproduttiva.
Negli scritti dedicati alla questione femminile, Freud invece non si stanca di battere caparbiamente, a più riprese e con infinite varianti, lo stesso chiodo: l'attività della clitoride deve essere abolita in quanto maschile, in quanto incompatibile con il cambio d'oggetto grazie al quale la donna potrà riconoscere nell'organo maschile - ed in esso soltanto piuttosto che nel suo - ciò che le "manca".
Dalla fine del percorso freudiano, con i suoi errori, traspare una verità sulla sessualità femminile che Valeria Medda ha raccolto nel suo scritto sollevando alcune questioni urgenti:
a) che ne sarebbe del rapporto della donna con l'oggetto uomo se la clitoride fosse riconosciuta dalla donna nella sua significazione fallica?
b) che ne sarebbe della teoria di Freud, ma anche di Lacan che malgrado il suo valore indiscusso, resta sostanzialmente ancorata all'idea che la donna debba cercare e trovare nel padre - nell'uomo - attraverso il dono simbolico quel fallo che le manca?
Non è forse questa una riedizione psicanalitica di quello scandalo storico e ideologico che dalla notte dei tempi ha accordato valore e privilegio "non al sesso che genera ma a quello che uccide?" (Simone de Beauvoir, "Il secondo sesso", pag.94).
Definire "triviale" l'opposizione fra clitoride e vagina - è Lacan a dirne - può essere suggestivo ma lascia intatta la questione del perché questa trivialità attraversi tutti i testi di Freud dedicati alla donna.
Occorre ben altro. Occorre che la teoria analitica operi al proprio interno un rovesciamento di valore - una transvalutazione del concetto di valore, occorre che il segno - con cui la bimba entra nella dialettica simbolica si trasformi nel segno +. In questo Lacan è, se possibile, più freudiano di Freud, sentiamo:
" Il fallo non ha per una buona ragione lo stesso valore
per colui che realmente possiede il fallo, cioè il ma-
schietto, e per il bambino che non lo possiede, cioè
la femminuccia
..La bambina se entra nel comples-
so di Edipo, è nella misura in cui, ciò che non ha, de-
ve trovarlo nel complesso d'Edipo" (Il Seminario, Li-
bro IV,pag.130)
Come? Dov'è finita la distinzione fra pene e fallo? E quali sono queste "buone ragioni" - se non quelle della storia di una "civiltà" fondata sull'imbecillità cui il terror panico nei confronti della donna riduce - capaci di conferire ad un organo un valore ed un potere tale da segnare i destini di un mondo di cui le donne, mute, sono ancora dolorose spettatrici?
La prospettiva teorica di un mutamento dei valori è presente - una presenza ingombrante per la teoria psicanalitica - nello scritto di Valeria Medda a cui occorre guardare con lungimiranza se si vuole evitare che una cura per la Salute si trasformi per la donna in una truffa ben più nefasta della segregazione cui l'opera della "civiltà" l'ha consegnata.
"Essere donna - dice Kierkegaard - è qualcosa di così strano, fluido e complicato, che nessun predicato giunge a esprimere la cosa, e i molteplici predicati che si vorrebbero adoperare finirebbero per contraddirsi in tal modo che soltanto una donna potrebbe sopportarlo". Mi piace pensare che l'opinione di Kierkegaard non sia la versione aggiornata di un antico detto di Ipponatte secondo cui i due giorni della vita in cui una donna fa felice un uomo sono quello del matrimonio e quello del suo funerale.
Fluidità e inclinazione a sopportare la complessità della contraddizione sono soltanto alcuni dei valori femminili che l'uomo ha tentato di distruggere - per non soccombere nella competizione - sostituendoli con un valore misurabile, un misuratore di potenza di cui i recenti avvenimenti mondiali testimoniano in modo grottesco.