Il convegno si apre con una presentazione del Dott. Spinetti (chairman nell'arco della mattinata) il quale espone una riflessione sulle principali tematiche che verranno affrontate nell'arco della giornata.
Si tratta di valutare la realta' del trattamento residenziale con un approccio non soltanto clinico e tecnico, ma anche con una dimensione più spirituale e approfondita ricordandoci l'importante unicità del mondo interno di ogni paziente inserito in determinati programmi terapeutici.
Il primo relatore che espone il suo pensiero e' il professor Giusto, responsabile scientifico Fenascop e direttore del Gruppo Redancia che apre la giornata congressuale con una riflessione sulla " funzione della comunita' terapeutica":
Report: "La funzione della comunità terapeutica".
Relatore: Giovanni Giusto Responsabile Scientifico Fenascop, Direttore Gruppo Redancia.
IL dott. Giovanni Giusto apre il suo intervento rilevando l'importanza dell'ascolto e delle esigenze del cliente per definire le strutture organizzative e l'impossibilità d'organizzare le cure senza considerare il contesto in cui un disagio si manifesta ed il territorio.
Le comunità terapeutiche sono uno strumento utile, che per funzionare deve unirsi ad una varietà d'altri interventi, possibili o necessari secondo il momento in cui l'assistito si trova.
Oggi la struttura organizzativa prevede una divisione dipartimentale, grazia alla quale si ha la garanzia che il paziente sia seguito.
Il trattamento in comunità terapeutica, da considerare come una condizione in cui la dimissione è possibile (per quanto in realtà non sia sempre così), è funzionale nei pazienti psicotici, perché a loro giovano le attività gruppali ed armoniche.
Il bisogno di nuove strutture organizzative in grado di garantire le esigenze primarie dei pazienti, quali mangiare, dormire, vestirsi, nasce quando vengono chiusi i manicomi. La differenza base tra le nuove comunità e i manicomi si trova nel fatto che in questi era impossibile dare un senso al tempo, mentre lo stile delle comunità permette di tenerlo in moto, anche nei casi dove la dimissione è lontana o improbabile.
Per avere la garanzia che l'intervento comunitario funzioni si devono valutare diversi fattori: l'esito dell'intervento, la soddisfazione del cliente e dei parenti e le interazioni tra le varie strutture organizzative. Oltre a questi, assume un'importanza assoluta la comunicazione/relazione all'interno della comunità, nella quale, vivendo insieme, si crea una pregnanza relazionale interpersonale tra dottori e pazienti.
E' necessario, per tanto, l'organizzazione degli spazi, tale da garantire da un lato la sicurezza di essi, in modo che non si possa scappare, dall'altro la possibilità di spazi privati, dove poter rimanere soli. Nella relazione tra operatore e paziente è necessario che il primo si specializzi in uno spazio interno che gli permetta di non confondersi, ma nemmeno di distanziarsi troppo dal paziente.
I pericoli che una comunità dovrebbe evitare sono essenzialmente due: il chiudersi troppo in se stessa, escludendo il mondo esterno e lo specializzarsi esclusivamente nei confronti di un'unica malattia, perché così facendo rischia di tradire l'unità personale dell'assistito.
Il dott. Giovanni Giusto chiude il suo discorso affermando l'importanza di costruire gli spazi ed i tempi in modo da garantire una buona relazione e quindi una buona terapia.
Report: "Pensare insieme: l'intervento del gruppo nel trattamento".
Relatore: prof.C.Conforto.
Prosegue il professor Conforto che descrive l'importanza e la fatica del "pensare insieme" nel lavoro di supervisione del Gruppo Redancia.
Il pensiero di gruppo è infatti una realta' talora difficile, faticosa , ma di enorme importanza per poter comprendere, al di la' delle diagnosi psichiatriche, il significato unico della sofferenza di un paziente.
Infatti andando oltre il concetto di malattia mentale ,così come oltre il termine "schizofrenia" e cogliendo più che altro la "schizofrenicità" di tali sofferenze, si permette di accedere a quello che Britton, psicanalista inglese post kleiniano, descriveva come "credenza inconscia": una funzione collocata nell'Io che va al di la' della conoscenza ,ossia dell'esperienza clinica e che permette di "credere" nell'unicita' irripetibile della sofferenza di queste persone che accedono alla comunità terapeutica.
Una di queste persone viene infatti descritta da Conforto in un'esperienza clinica:
si tratta di Alice, una ragazza che accede per la prima volta a una Comunità Redancia e viene accolta da due operatrici.
Alice è una paziente grave, gravemente sofferente nel suo mondo psicotico che appare come il risultato di una vita devastata da disastri ,abbandoni ,aborti e solitudini.
Viene accolta da un'operatrice molto giovane,motivata nel suo lavoro e da una psicologa più anziana forse più rassegnata; entrambe si trovano di fronte a un colloquio difficile .
Il linguaggio della paziente deve essere decifrato e compreso;
Emergono delle angosce riguardanti il significato della sessualita' femminile e della relazione affettiva per questa paziente,la quale si presenta coi capelli arruffati ,mal vestita e urlante " Sono una troia ! Sono una troia ! Sono una troia!".
C'è la necessità,per "pensare assieme", di non fermarsi a una pura e semplice diagnosi psichiatrica di Schizofrenia, ma di cogliere quella convinzione (o "credenza brittoniana") che anche lo schizofrenico peggiore risponda in qualche modo alla relazione;le operatrici in questo caso sembrano angosciate nel non trovare un senso,"una relazionalità" in questa paziente;
in realtà il senso c'è eccome : respirando l'enorme sofferenza passata di questa donna che aveva incominciato ai tempi dell'università ad avere idee di riferimento,a vivere una sessualità malata per "lenire il suo bisogno di sentirsi estremamente viva",procurandosi tre aborti e perdendo dopo il parto una bambina alla quarta gravidanza, incominciando ad avere deliri di persecuzione e a ritirarsi in un mondo proprio,si scorge quello di cui non si rendono conto le operatrici: la demolizione di una femminilità erotizzata attraverso un super-io aggressivo che esprime una colpa persecutoria e violenta ("sono una troia!"): quello che possiamo scorgere solo "credendo" alla personificazione unica di questa paziente, irripetibile nella sua storia e nella sua sofferenza.
Report : " La gestione del gruppo di pazienti in una struttura per il trattamento intensivo dei DCA".
Relatore: Dott.A.M. Ferro.
Prosegue il Dott.A.M.Ferro, direttore D.S.M.ALS 2 savonese, che descrive il "Centro per i disturbi dell'adolescenza e dell'alimentazione di natura psichica" collocato al padiglione Racamier dell'Ospedale Santa Corona di Pietra L.: si tratta di una struttura di due piani ospitante l'SPDC al piano terra, mentre al piano superiore vi sono otto posti letti riservati a un programma di riabilitazione psichiatrica per pazienti giovani, in genere adolescenti dai 13 ai 18-19 anni.
Questo programma si avvale di diversi modelli di riferimento articolati in un complesso progetto terapeutico:
-una terapia istituzionale che fa riferimento al modello di Racamier.
-un supporto cognitivo-comportamentale volto alla cura del sintomo ,soprattutto in pazienti gravemente anoressiche.
-una serie di attività che vanno dall'alimentazione assistita a gruppi di psicoterapia, psicoeducazionali e colloqui individuali.
Questo progetto presenta vantaggi e svantaggi.
I vantaggi sembrano essere rappresentati da una viva attività di reparto che si arricchisce di assemblee, riunioni, attività di sostegno, supervisioni di gruppo d'impronta psicodinamica e riunioni con le famiglie dove si discute sugli aspetti positivi e negativi dei risultati terapeutici.
In questo senso si può dire che il centro accolga davvero una varietà di sistemi terapeutici che richiamano a un tentativo d'integrazione di cui la psichiatria dei giorni d'oggi sembra necessitare fortemente..
Allo stesso tempo Ferro richiama l'attenzione sui problemi e le difficoltà che emergono in una simile organizzazione:
prima tra tutte è la confusione.
Gli operatori sono a contatto con una varietà di problematiche spesso rappresentate dalla difficoltà di trattare in contemporanea disturbi dell'alimentazione e disturbi di personalità.
Inoltre il livello di sofferenza che emerge nei giovani pazienti in gruppo è notevole e il rischio di forti emozioni,agite, vissute è enorme..
Non manca quindi anche il rischio del così detto "bourn-out",molto presente negli operatori giovani operanti in tale sistema.
Report: "Pensare l'intervento farmacologico nelle istituzioni."
Relatore:Walter Milano Responsabile Ambulatorio sui DCA Unità Operativa di Salute Mentale Distretto 44 (Chiaia, Posilipo) ASL Napoli 1.
L'intervento del dott. Walter Milano si è focalizzato sugli effetti collaterali dei farmaci antipsicotici, e su come possono essere gestiti, in modo da non ostacolare il rapporto paziente-curante.
Questi farmaci sono oggi utilizzati in particolare nella cura di pazienti schizofrenici e bipolari, agendo sui sintomi positivi, negativi ed in parte anche su quelli depressivi, cognitivi ed aggressivi.
Gli effetti collaterali che possono svilupparsi, colpiscono uno dei seguenti sistemi: neurologico, endocrino, metabolico, cardiaco. Esaminandoli ad uno ad uno, gli effetti neurologici sono principalmente quelli extrapiramidali: i maggiori problemi si hanno con gli antipsicotici tipici che agiscono sui recettori dopaminergici, mentre con quelli atipici il rischio di svilupparli è minimo. Questa minor incidenza d'effetti extrapiramidali determina senza dubbio un vantaggio nel rapporto col paziente.
Nel sistema endocrino una modificazione osservabile è l'aumento della prolatina, correlato soprattutto all'uso di risperidone e aloperidolo, che determina disfunzioni sessuali e osteoporosi sia in donne sia in uomini. A rischio d'osteoporosi sembrano soprattutto gli uomini, e coloro che fumano, assumono alcool o presentano carenze nutrizionali (caratteristiche spesso presenti negli schizofrenici). L'iperprolatinemia inoltre sembra agire come promoter nel cancro della mammella.
Per tanto è necessario dosare la prolatina prima dell'intervento terapeutico, e durante; in caso di un aumento si può ridurre il farmaco in uso, intervenire farmalogicamente per abbassarla o cambiare farmaco secondo il caso specifico.
L'alterazione principale che può avversi nel sistema cardiaco è l'allungamento del tratto Q-T: se supera i 500millisecondi si verifica la torsione di punta. Con gli antipsicotici tradizionali, in particolare Sertindolo, quest'evenienza è del 25%, e fattori di rischio sono considerati il sesso femminile, l'ipopotassiemia, l'ipocalcemia, l'età avanzata.
I cambiamenti metabolici che gli psicofarmaci determinano sono evidenziati da un aumento ponderale, prodotto da un maggior appetito. Alcuni studi hanno messo in luce che frequentemente l'obesità si associa alla schizofrenia, indipendentemente dalla terapia, presumibilmente perché le due patologie dipendono da alcuni geni in comune. Quindi sembra che sia la triade paziente, malattia presente, farmaco a determinare il maggiore o minore rischio di un aumento di peso.
Si è visto che persone con BMI bassi presentano un incremento ponderale maggiore rispetto a quelle con un BMI gia elevato.
Il meccanismo attraverso cui gli psicofarmaci aumentano l'appetito sembra dovuto al blocco dei recettori H1, 5T2a, 5HT2c,alfa1 e muscarinici. In effetti farmaci con bassa affinità per questi recettori e affinità maggiore per gli alfa2,D2, 5HT1 causano variazioni minime di peso.
Anche il sistema endocrino incide sull'appetito: l'estradiolo nella donna aumenta i livelli di NPY, peptide ad azione anoressigena, mentre il testosterone nell'uomo provoca un aumento di peso. La stessa prolatina, di cui si è parlato più sopra, modifica il rapporto tra estradiolo e testosterone e determina insulino resistenza, con la conseguenza di un maggior appetito e di modificazioni nello stoccaggio dei grassi. E' importante tenere presente che in un 7% di persone il dosaggio di prolatina nel sangue non correla alla sua attività sul cervello, che può dipendere invece da una maggiore sensibilità dei recettori.
Gli antipsicotici provocano modificazioni anche sull'insulina: ne stimolano la produzione e n'aumentano la resistenza periferica (in molti pazienti schizofrenici essa è gia presente), ciò determina una maggiore quantità di quest'ormone nel sangue.
Poiché si è osservato che i pazienti psichiatrici con adiposità centripeta hanno un rischio aumentato di sviluppare malattie metaboliche, sembra utile indirizzare tali persone verso una dieta e un'attività fisica corretta: il cosiddetto "Progetto Benessere". Non sembra esserci differenza per ora fra i vari farmarci nel produrre il diabete percui risulta particolarmente importante per stabilirne il rischio valutare sia i fattori tradizionalmente associati ad esso, sia la presenza di schizofrenia.
La mattinata termina con la discussione aperta relativa agli interventi svolti nell'arco del programma congressuale.
Il professor Conforto rivolge diverse domande al Dott Ferro e al Dott.Milano;
in particolare chiede a Ferro quanto possa essere importante e di grande riflessione l'inizio di un percorso analitico in un giovane paziente che ha affrontato il ricovero presso il centro per i DCA e in secondo luogo chiede se nel centro viene utilizzato tra i vari programmi lo Psicodramma terapeutico.
Il Dott.Ferro risponde certamente in modo positivo e propositivo ribadendo l'inizio di un progetto di Psicodramma terapeutico a partire da gennaio nel centro e l'importanza di un approccio psicodinamico anche e soprattutto dopo il ricovero in un paziente adolescente.
Allo psicofarmacologo il prof.Conforto rivolge una domanda provocatoria "Ci troviamo davvero di fronte al paziente schizofrenico e basta o a qualcosa di più?".La domanda pone un'attenta riflessione su quanto gli effetti collaterali, gli squilibri ormonali e neurobiologici siano solo il frutto di un complesso meccanismo neuromolecolare indotto da farmaci oppure ci sia qualcosa di più
Il Dott.Milano risponde prontamente riferendo l'importanza di poter entrare in rapporto coi pazienti sfruttando col "progetto benessere" il discorso degli "effetti collaterali" come provocazione per poter orientare queste persone verso un miglioramento della qualità di vita e convincerli verso un rapporto diverso ,più spontaneo e positivo, col cibo e l'attività fisica ( pur tralasciando una dimensione più riflessiva e simbolica su cosa sia il cibo e l'attività fisica per questi pazienti sofferenti
).
Report: "Il trattamento dei Disturbi di Personalità in una struttura residenziale"
Relatore: Dott.M.Massa.
Dopo la pausa pranzo apre il Dott.Massa ,responsabile della Villa del Principe a Genova, con un intervento che riguarda il trattamento dei Disturbi di Personalità ,in particolare Disturbi di Personalità Borderline,nelle strutture residenziali.
L'intervento si articola su una riflessione importante riguardante l'aumento della richiesta di strutture residenziali per i Disturbi di Personalità.
Perché questa richiesta sarebbe aumentata negli ultimi anni?
Bisogna andare indietro..
Con la legge Basaglia in Liguria abbiamo assistito a due fasi:
1) una prima fase, che va dalla chiusura dei manicomi alla fine degli anni 90, vede una crescita di strutture residenziali che si occupano di patologie schizofreniche.
2) una seconda fase che invece va dalla fine degli anni 90 ai giorni d'oggi, vede un aumento della richiesta di strutture per patologie comportamentali e Disturbi di Personalità,mentre la richiesta per patologie schizofreniche si stabilizza e rimane invariata.
Si necessita dunque di un nuovo atteggiamento terapeutico nei riguardi del trattamento residenziale di tali patologie.
Se infatti nei pazienti schizofrenici si osserva la crescita di un forte legame con la struttura,( un legame stabile, quasi di dipendenza), nei pazienti con Disturbo di Personalità Borderline vi è una notevole instabilità: si può dire infatti che ciò che è stabile in questi pazienti trattati è proprio l'instabilità di legame.
Bisogna dunque pensare, secondo Massa, a tecniche specifiche ,manualizzate dove le operazioni (strategie) sono certificabili e quantificabili
Tra queste prima tra tutte è la gestione dell'aggressività e la tendenza all'acting- out:
è una realtà che bisogna tenere in conto, se non uno dei criteri che ne stabilisce il trattamento residenziale.
A Villa del Principe il Dott Massa ci spiega che l'utilizzo della terapia cognitivo-comportamentale è fondamentale per questo aspetto.
Esiste tuttavia all'interno della struttura un approccio non soltanto cognitivista, ma anche psicodinamico che però viene applicato solamente nel lavoro di supervisione di gruppo dell'équipe terapeutica.
I vantaggi di questo sistema prevedono una continuità terapeutica e costante per i pazienti tuttavia non tengono conto di una serie di problematiche così descritte da Massa:
-l'effetto iatrogeno della residenzialità.
-il problema della separazione.
-autodeterminazione del paziente.
-le dimissioni spesso non programmabili.
L'intervento si conclude comunque con la constatazione che tali problemi derivano dal fatto che questi pazienti non possono mai essere curati definitivamente, ma bisogna utilizzare tecniche specializzate e mirate per migliorare la loro qualità di vita.
Report: " IL PROGETTO REDWEST"
Relatore: Marcella DEVALE Coordinatore C.T. "Redwest", San Remo (IM)
La dott.Marcella Devale illustra la comunità Redwest, di cui è coordinatrice. Si tratta di una struttura intermedia per patologie psichiatriche ed in particolare per D.A, che consente l'approfondimento diagnostico e l'accudimento del paziente sia riguardo alle cure che alla valutazione delle sue capacità individuali. In essa possono essere svolti sia trattamenti residenziali sia diurni, e molta attenzione è posta nell'individuare un programma terapeutico individualizzato che viene concordato col curante. Per pazienti con D.A. sono presenti cinque posti, tali disturbi vengono trattati con la presenza di un apparato multidisciplinare (psichiatra, psicologo, nutrizionista
) e un approccio cognitivo-comportamentale. In un primo momento si prendono in considerazione le motivazioni del paziente, in seguito la progressione dei cambiamenti ed infine la loro stabilizzazione. Il centro diurno è collegato alla comunità, pur possedendo spazi propri, e può ospitare fino a 10 pazienti. In esso sono svolte diverse attività (musicoterapica, psicodramma, gruppo cucina
), plasmate sull'esigenze del paziente, grazie ad un'equipe di professionisti che garantiscono un'ampia possibilità d'intervento.
Report: "Il benessere: un punto di arrivo (Esperienze di riabilitazione in comunità terapeutica)."
Relatore:Dario Nicora Direttore Sanitario C.T. "Redancia2", Mioglia (SV)
Il Benessere, di cui parla il dott. Dario Nicora, facendo riferimento alla sua esperienza personale in comunità, non è l'equivalente di salute e nemmeno è da intendere come agiatezza economica. Si tratta, invece di una soddisfazione interiore dovuta a fattori fisici, psichici e spirituali. Il concetto cardine di quest'intervento è che si può far star bene anche quando una guarigione non è possibile, e anzi raggiunger il benessere del paziente è il dovere del medico.
Nicora descrive la comunità come un luogo intermedio fra ospedale e domicilio, come una famiglia ben organizzata in cui la quotidianità è di per se terapeutica. Importanza è data alla scelta di valorizzare la creatività delle cuoche, e alla presenza di un gruppo-cucina, attività che aiuta i pazienti ad interiorizzare concetti importanti.
Per fare comprendere la dinamiche e le problematiche che in essa si svolgono egli prende come momento esemplificativo il pranzo, momento in cui tutto il gruppo si trova riunito. Il setting, che si crea, rischia spesso di essere rotto da pazienti, perciò è necessario che gli operatori sia pronti alle varie evenienze per renderlo aperto ma "infrangibile" o se la rottura avviene per ripararlo precocemente. I modi con cui il paziente spezza il setting del pranzo possono essere vari: vanno dall'arrivare in ritardo, al chiedere il bis, al portarsi cibi acquistati fuori della comunità (in questo modo è svalutato il cibo della comunità stessa). Considerare queste eventualità porta ad avere una risposta chiara del gruppo nel momento in cui una di queste si verifica. Ovviamente non si può prevederle tutte, perciò è necessario, quando capitano, discuterne in assemblea e stabilire dei limiti chiari, così da contenere il gruppo. La forza del setting sta proprio nella chiarezza di questi limiti, che permettono di recuperare la coerenza interna in un contesto in cui è facile confondersi. Bisogna considerare l'umanità dei pazienti che tendono a trasfondere le loro angosce agli operatori. Questi, dopo averle accettate e trasformate dentro di loro, a loro volta devono essere in grado di trasfondere benessere ai pazienti. Per fare ciò devono possedere forza interiore e benessere; se queste mancano e l'operatore non riesce in questa permuta, il rapporto tra i due si deteriora.
In ultimo Il dott. Nicora mette in luce come anche il benessere economico sia necessario nei pazienti, in quanto correla con la loro possibilità di emanciparsi dalla comunità. Per questo è necessario dirigere gli sforzi per trovare soluzioni ai problemi economici degli assistiti, come il cercare di ottenere pensioni o l'inserimento nel mondo del lavoro (ciò a tuttora è assai complesso).
Il benessere è quindi un obiettivo di cura, per raggiungere il quale si deve cercare di mettere in gioco il paziente fornendogli le giuste carte.
Report: "La gestione del paziente affetto da DCA"
Relatori: L.Maura,C.Foppiani.
L'ultimo intervento viene presentato da due psicologi operanti a Villa del Principe che si occupano della gestione specializzata nella presa in carico di pazienti affetti da DCA.
Il primo a presentarsi è Lorenzo Maura che lavora in questo programma terapeutico a Villa del Principe dal 2001 ,ossia da quando questa struttura è nata.
Il primo punto importante da sottolineare è "la presa in carico":
per queste pazienti,spesso giovani adolescenti, è importantissimo individuare il trattamento migliore e applicarlo solo quando si è decisi nella diagnosi e nelle indicazioni.
E'stato osservato infatti che trattamenti sbagliati o affrettati hanno peggiorato molto il quadro clinico di pazienti anche non gravi.
I trattamenti utilizzati sono dunque così descritti da L.Maura:
1)Trattamento ambulatoriale: 1 volta a settimana,sedute di 50 minuti,durata totale 3-4 mesi.
Indicazioni:
-perdita di peso non grave
-breve durata del disturbo
-non presenza di complicanze mediche
-motivazione al cambiamento
-funzionamento familiare abbastanza conservato.
Si tratterebbe dunque di un approccio morbido che funzionerebbe soprattutto per Bulimie non gravi.
2)Ricovero in reparto specializzato:24 ore di degenza.
Indicazioni:
-quando non c'è risposta in Day Hospital
-perdita di peso rapida
-comorbilità psichica (soprattutto D.di Personalità Borderline e di Dipendenza)
-necessità di separare la paziente dall'ambiente familiare
-presenza complicanze mediche.
A Villa del Principe esistono 4 letti appositi per tali degenze.
3)Ricovero in Day Hospital: regime diurno.
Indicazioni:
-mancata risposta al trattamento ambulatoriale
-condizioni psicofisiche che permettono il ritorno a casa
-BMI < 15.
4)Ricovero ordinario:reparto medico internistico o psichiatrico.
Indicazioni:
-gravi e urgenti complicanze mediche
-rischio di suicidio
-utilizzato al fine di provvedere poi a un trattamento specializzato.
Termina infine la Dott.Foppiani che espone un'attenta riflessione sull'importanza dell'alleanza terapeutica con le famiglie di queste pazienti e di come esistano in tale programma terapeutico vantaggi e svantaggi.
I vantaggi guardano soprattutto a una buona organizzazione ,a una crescita che operatori e pazienti in 5 anni di esperienza (dal 2001) hanno raggiunto.
Gli svantaggi prevedono invece il rischio di un contenimento non adeguato,le ricadute che avvengono a casa e i comportamenti autolesivi rischiosi di piccole pazienti spesso con comorbilità per Disturbi di Personalità importanti.