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CAPITOLO 15

IL PAZIENTE PSICOGERIATRICO

GENERALITÀ

Fino ad ora i capitoli di questo Repertorio — con l’ovvia esclusione di quelli dedicati alla valutazione diagnostica ed alla psicopatologia nella sua globalità — sono stati dedicati a specifiche patologie (Schizofrenia, Disturbi dell’Umore, Disturbi d’Ansia, Disturbi delle Condotte Alimentari, eccetera); questo capitolo è dedicato, invece, ad una categoria di soggetti, quelli "psicogeriatrici".

In effetti, le patologie finora esplorate potevano essere considerate, seppure un po’ artificiosamente, come entità a sé stanti o almeno ampiamente indipendenti dalle caratteristiche dei soggetti che da tali patologie erano colpiti. Non che le variabili bio-psico-sociali siano ininfluenti in queste patologie, tutt’altro! Ma certamente i quadri clinici che le caratterizzano hanno, per così dire, una maggiore coerenza interna, al punto che appaiono sostanzialmente abbastanza ben caratterizzati e individuabili nonostante le differenze tra i soggetti che ne sono affetti.

Nel caso dei soggetti in età geriatrica, invece, la patologia psichica è spesso correlata così strettamente con le variabili psicosociali tanto da creare un insieme unico, originale, nel quale è spesso impossibile isolare una componente rispetto alle altre, al punto che l’elemento unificante finisce per essere il paziente anziano in quanto tale, con l’insieme, cioè, delle molteplici compromissioni di cui è portatore. L’invecchiamento cerebrale, patologico e non, agisce sia sulla sfera cognitiva che su quella fisica, sull’interazione sociale come sulla sfera affettiva, mettendo in moto un complesso giuoco di rimandi, in funzione ora potenziante ora compensatoria, tale che prenderne in considerazione uno piuttosto che un altro, non tener conto delle reciproche interazioni, sarebbe gravemente riduttivo (Conti, 1996).

È per questo, dunque, che la valutazione del paziente psicogeriatrico, qualunque sia l’alterazione psicopatologica di cui è portatore, non può essere limitata alla psicopatologia specifica, ma deve essere integrata in una più ampia indagine che tenga conto della complessità e multidimensionalità del quadro clinico nel suo insieme. È evidente che, in questa prospettiva, l’approccio a questo tipo di pazienti dovrebbe essere multidisciplinare, poiché molti aspetti della sintomatologia esulano dallo specifico della psichiatria essendo più propriamente oggetto di studio di altre branche specialistiche.

Lo psichiatra, d’altra parte, chiamato a valutare, nella pratica clinica e nella ricerca, deficit cognitivi e compromissioni della performance psicomotoria che accompagnano e caratterizzano i quadri psicogeriatrici, non avendo generalmente la possibilità di fruire — contestualmente o in tempi ragionevolmente brevi — della collaborazione di un’équipe multidisciplinare, deve conoscere almeno i principali strumenti standardizzati di valutazione di questi disturbi e saperli utilmente impiegare come supporto tanto nell’inquadramento diagnostico quanto nell’impostazione e nella valutazione dell’intervento terapeutico, in considerazione anche del fatto che le pur sofisticate tecniche di brain imaging e di brain functioning oggi disponibili hanno ancora un alto margine di aleatorietà.

Quella psicogeriatrica, d’altra parte, può essere considerata una "patologia emergente" perché l’invecchiamento demografico della popolazione, verificatosi negli ultimi decenni, ha enormemente accresciuto la popolazione a rischio stimolando diffusamente lo studio dei disturbi di questa particolare fascia di popolazione e dando un forte impulso alla ricerca farmacologica in questo settore. D’altra parte non si può non riconoscere che la patologia psicogeriatrica, per le sue caratteristiche intrinseche, rappresenta uno dei più importanti problemi sanitari attuali tanto per gli aspetti medici quanto per quelli socioeconomici. La crescente attenzione rivolta a questa patologia ha consentito, fra l’altro, di sfatare il mito

della fatale irreversibilità dei quadri psicogeriatrici e di evidenziarne l’eterogeneità: da qui la necessità di un’accurata valutazione di questi pazienti, per individuare quelli con patologia potenzialmente reversibile — o almeno non evolutiva — e, quindi, curabile, per cogliere le differenze sintomatologiche correlabili a sedi e tipi diversi di lesioni, per scegliere la strategia terapeutica potenzialmente più efficace e, infine, per verificare l’evoluzione del quadro clinico nel tempo (Conti, 1996).

Rimangono comunque irrisolti, e sono perciò fonte di ulteriore complicazione, i problemi relativi alla definizione dei confini della psicogeriatria stessa: ben diverso è, infatti, anche se solo sul piano euristico, il concetto di patologia dovuta all’invecchiamento di per sé e quello di patologia che si manifesta in associazione con l’invecchiamento, così come è diverso avere i disturbi della memoria della senilità o piuttosto le turbe cognitive, comportamentali e mnestiche della demenza (Conti et al., 1993).

A questo proposito, occorre dire che in questa sede non ci occuperemo specificamente della valutazione della demenza, anche se almeno una parte degli strumenti di cui faremo qui menzione possono essere (e sono) utilizzati nella valutazione di questa patologia. Ma la sua valutazione neuropsicologica completa e sistematica richiede un’indagine complessa e, soprattutto, multidisciplinare, la cui trattazione va al di là dei limiti di questo Repertorio.

Nella pratica clinica, naturalmente, si fa ricorso a singoli strumenti di valutazione o a batterie "brevi", applicabili in tempi abbastanza contenuti.

Proprio la molteplicità e la variabilità delle alterazioni che si riscontrano nel paziente psicogeriatrico rendono difficile la scelta dei criteri di valutazione e danno conto del gran numero di RS proposte per la valutazione di questi pazienti e delle differenze — anche notevoli — fra i vari strumenti (Conti et al., 1993). Al tempo stesso, la numerosità degli strumenti proposti dimostra che nessuno di essi è in grado di soddisfare a pieno le esigenze dei ricercatori e dei clinici e/o è utilizzabile a tutti i fini.

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