La ricerca scientifica si avvale sostanzialmente di due strategie di ricerca che possiamo definire una intensiva e l'altra estensiva. La prima, che viene effettuata su campioni limitati o anche su casi singoli, non risponde ad una metodologia rigidamente formalizzata e prevede la raccolta di numerose informazioni che, nel loro complesso articolarsi tra loro, possono fornire al ricercatore elementi per formulare nuove ipotesi. La seconda, quella estensiva, si basa sullo studio della distribuzione di specifiche variabili in campioni sufficientemente ampi ed opportunamente selezionati, e consente la verifica delle ipotesi formulate nell'ambito della ricerca intensiva. In definitiva, quindi, la ricerca intensiva appare più adatta per la formulazione di nuove ipotesi, e quella estensiva per la verifica della "universalità" di quelle ipotesi che, se dimostrata, trasforma le ipotesi in scoperte.
Le RS sono, almeno per la psichiatria, gli strumenti più idonei per la ricerca estensiva poiché consentono di effettuare numerose osservazioni, perché le osservazioni su individui diversi, trattandosi di strumenti standardizzati, sono comparabili tra di loro e perché, infine, la rilevante quantità di materiale che forniscono è espresso in forma numerica ed è perciò elaborabile mediante le tecniche statistiche.
Si potrebbe obiettare che, per quanto numerose possano essere le variabili esplorate da una RS, si tratta sempre di un approccio riduttivo rispetto alla globalità del fenomeno indagato; non dobbiamo tuttavia dimenticare il grande contributo, sul piano operativo, fornito alla ricerca dal riduzionismo scientifico: l'importante è essere consapevoli della riduzione operata. D'altronde, qualsiasi approccio pre-teorizzato è, in varia misura, riduzionistico, così come lo sono, del resto, anche gli approcci programmaticamente ateoretici. Dobbiamo anche dire che, se ciascun fenomeno ha degli aspetti suoi peculiari che lo caratterizzano rispetto agli altri fenomeni dello stesso tipo, è anche vero che, per essere definiti "fenomeni dello stesso tipo", devono avere necessariamente degli aspetti che li accomunano. Sono proprio questi aspetti a comune che costituiscono la base della prassi scientifica: se ogni fenomeno costituisse un caso a sé, non ci sarebbero né la scienza né la cultura, l'esperienza non avrebbe alcun valore e non sarebbe possibile alcuna predizione. In questa ottica, quindi, l'uso delle RS non è altro che un aspetto del riduzionismo scientifico ed è perciò ampiamente giustificato (Faravelli, 1983).
Se, dunque, in questa prospettiva la pre-selezione delle variabili può essere accettabile, ciò che invece potrebbe proporsi come oggetto di discussione è la standardizzazione dei concetti psicopatologici che sono, di per sé, complessi e difficilmente standardizzabili.
È anche vero che è criticabile tanto la scomposizione del quadro psicopatologico in un mosaico di segni e sintomi, quanto la valutazione della gravità e/o del miglioramento in base al punteggio totale, cioè alla somma dei punteggi dei singoli item, poiché entrambe le operazioni non rispettano la realtà clinica; tuttavia dobbiamo riconoscere che, fino ad oggi, la valutazione standardizzata mediante RS e questionari è risultata il metro di giudizio più obiettivo di cui disponga la psichiatria. Del resto, l'ampia diffusione che questi strumenti hanno raggiunto testimonia efficacemente di quale entità fosse l'esigenza di misurazione e di standardizzazione in questo campo. Quindi, per quanto, mediante le RS, si operi una ipersemplificazione di un'esperienza umana complessa ed irripetibile, qual è la malattia mentale o, più in generale, la vita psico-emotiva di un soggetto, è solo attraverso questa inevitabile forzatura che è possibile raggiungere un giudizio obiettivabile, comunicabile e comparabile fra osservatori o in tempi diversi. D'altro canto, come già detto, è bene ricordare che la valutazione standardizzata non può e non deve essere posta in alternativa al colloquio psichiatrico inteso nella più completa accezione del termine.
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