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CAPITOLO 21

IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS

Fulvio Pieraccini, Paolo Castrogiovanni

GENERALITÀ

L’idea che catastrofi o esperienze di notevole impatto emotivo possano determinare sintomi caratteristici è nota da tempo. Le descrizioni non mediche di questi fenomeni sono certamente più antiche delle varie categorie diagnostiche. Solo nel 1980, con la stesura del DSM-III, è stata introdotta una categoria diagnostica specifica per tali quadri clinici, il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) sulla base di un’ipotesi sostenuta da vari studi, in particolare da quelli condotti sui reduci della guerra del Vietnam. I disturbi psichici conseguenti all’esperienza di un evento estremo (aggressioni, guerre, disastri naturali e tecnologici, campi di concentramento e di sterminio) risultavano abbastanza caratteristici, specifici e costanti, sia sul piano eziologico che su quello fenomenologico, per giustificare la costruzione di una rubrica nella classificazione dei disturbi mentali.

Il concetto di DPTS ha preso così il posto di quello più vecchio di nevrosi traumatica o nevrosi post-traumatica: la ripetuta esperienza di rivivere l’evento (ricordi ricorrenti ed intrusivi, flashback, sogni angoscianti ricorrenti), l’evitamento degli stimoli associati al trauma (luoghi, attività, conversazioni sull’argomento), il distacco emotivo dall’ambiente, i sintomi persistenti di ipervigilanza (disturbi del sonno, irritabilità, esagerate risposte d’allarme), i disturbi della concentrazione e della memoria, costituiscono le manifestazioni tipiche del disturbo.

Contrariamente a quanto ritenuto in passato, l’esposizione ad uno stressor estremo non costituisce la "conditio sine qua non" per lo sviluppo del DPTS. Nel DSM-IV non sussiste più la soglia quantitativa "catastrofica" nel criterio A che definisce l’evento traumatico. Per porre diagnosi di DPTS non è più necessaria l’esposizione ad un evento "al di fuori dell’esperienza umana consueta".

Una crescente mole di dati ha infatti sottolineato l’importanza di fattori di rischio quali predisposizione genetica, familiarità psichiatrica, età all’epoca dell’esposizione allo stressor, tratti di personalità, pregressi problemi comportamentali e psicologici, esposizione a precedenti eventi stressanti. Recentemente è stato ipotizzato che il peso dei fattori di vulnerabilità ai fini dell’insorgenza del DPTS sia inversamente proporzionale alla drammaticità oggettiva dello stressor. Davidson e Foa (1992) hanno proposto un modello nel quale la relazione tra i due termini è concettualizzata in forma di "continuum bidimensionale", nel senso che la probabilità di insorgenza del DPTS sarebbe influenzata sia dalla gravità del trauma sia dai fattori predisponenti. Ad un estremo del continuum si trovano gli eventi traumatici di gravità estrema che provocano il DPTS in molti individui: in questi casi, il peso dei fattori predisponenti sarebbe minimo. Nelle parti medie del continuum, il DPTS segue ad un evento di gravità oggettiva "media" ed i fattori predisponenti cominciano ad assumere un’in

fluenza maggiore. All’altro estremo del continuum, si localizzano eventi a bassa drammaticità oggettiva che determinano l’insorgenza del disturbo nei soggetti in cui sono presenti numerosi fattori di vulnerabilità.

In questi casi, la diagnosi di DPTS spesso non viene posta poiché manca in anamnesi l’esposizione ad uno stressor di notevole drammaticità oggettiva, pur essendo presenti le manifestazioni psicopatologiche proprie di tale disturbo.

L’eliminazione della soglia quantitativa "catastrofica" nel criterio A, consente oggi di prendere in considerazione quella parte non indifferente di popolazione affetta da psicopatologia post-traumatica, che in precedenza era esclusa dagli studi solo perché il criterio A non risultava soddisfatto. Nell’ambito dell’attività di ricerca sul trauma psichico, la nuova impostazione nosografica ha un indubbio valore euristico, giacché consente di ampliare le conoscenze circa la vulnerabilità allo stress, poiché i fattori di vulnerabilità dovrebbero essere determinanti proprio in quei soggetti nei quali il DPTS insorge a seguito di eventi di minore rilevanza oggettiva.

Non entreremo qui nello specifico dei criteri diagnostici del DPTS né nel dibattito tuttora aperto sulla specificità diagnostica del disturbo, ma non possiamo sottrarci dal farne un breve cenno.

Per quanto attiene ai criteri diagnostici, il DSM IV prende in considerazione quattro cluster sintomatologici:

  • i sintomi legati alla ri-presentazione del vissuto traumatico;
  • l’evitamento degli stimoli associati al trauma;
  • l’attenuazione della reattività generale;
  • le manifestazioni di ipervigilanza.

L’elemento più caratteristico del DPTS è la ri-presentazione del vissuto traumatico che più frequentemente si manifesta sotto forma di ricordi dell’evento, con carattere invasivo e ricorrente, esperiti con partecipazione affettiva più o meno intensa e reminiscenza sensitivosensoriale di grado variabile. Più raramente, l’esperienza traumatica si ripresenta in forma di "flashback", cioè di episodi dissociativi, di varia durata, durante i quali il paziente sente ed agisce come se stesse rivivendo l’evento, senza essere pienamente cosciente di ciò che sta facendo. Nell’ambito della sofferenza legata al rivivere il trauma, vanno considerati anche i sogni angosciosi e gli incubi, nei quali il soggetto rivive l’evento, nel suo insieme o limitatamente ad alcuni aspetti. L’esposizione a stimoli collegati al trauma (p.es., l’anniversario dell’evento, ritrovarsi in determinati luoghi, vedere particolari oggetti, notizie di avvenimenti simili viste in TV o lette sui giornali, eccetera) provoca generalmente intenso disagio psicologico e marcata reattività fisiologica. Di fronte a tali stimoli, il paziente con DPTS può avvertire un senso di paura o terrore, accompagnato da manifestazioni neurovegetative quali tachicardia, sudorazione, tremore. Non eccezionalmente, tuttavia, il vissuto traumatico si presenta sotto forma di un improvviso emergere di stati affettivi spiacevoli, senza alcuna causa apparente.

Di fronte ad uno stressor, l’organismo reagisce con un’attivazione autonomica che consente al soggetto di affrontare in maniera efficace la situazione; una volta che lo stressor è

stato affrontato e superato, l’organismo ritorna al livello basale di arousal. Nei pazienti con DPTS questo meccanismo adattivo appare compromesso: essi hanno perso la capacità di modulare il grado di arousal in base all’entità dello stressor per cui rispondono con lo stesso coinvolgimento e la stessa intensità tanto a sollecitazioni ambientali di modesta entità che a situazioni di emergenza. In sostanza, i pazienti con DPTS mantengono un elevato livello di arousal, vivono, cioè, come se fossero ancora minacciati dallo stressor che ha provocato il disturbo, non sono in grado di valutare adeguatamente il contesto in cui si trovano e mancano della distanza psicologica necessaria per fornire la risposta adeguata.

Poiché gli stimoli che possono risvegliare, anche solo in parte, il ricordo del trauma provocano intenso disagio, i pazienti con DPTS si sforzano di evitare gli stimoli associati al trauma (pensieri, situazioni, oggetti o attività). In certi casi, l’impegno profuso nell’evitamento di qualsiasi stimolo associato al trauma, finisce per interferire pesantemente con l’attività quotidiana. Dell’evitamento fa parte anche l’amnesia, parziale o completa, nei confronti del trauma, in quanto meccanismo di difesa nei confronti di esperienze sconvolgenti, che superano le capacità di elaborazione e di integrazione del soggetto.

Nel paziente con DPTS è presente un’attenuazione della reattività generale, uno stato di intorpidimento, insensibilità o paralisi emozionale-affettiva ("numbing") che porta ad una limitazione della gamma affettiva, al disinvestimento dalla famiglia, al ritiro sociale, al distacco ed all’estraneamento dall’ambiente. Il numbing, che sembrerebbe costituire un meccanismo di "difesa" di tipo dissociativo, comporta un’interferenza significativa sia nei rapporti all’interno della famiglia, sia nelle relazioni interpersonali.

Il DPTS, fin dal momento in cui è stato individuato come entità diagnostica autonoma, è classificato nell’ambito dei disturbi d’ansia. Ancora oggi, tuttavia, non sono sopite le controversie circa la "legittimità" di questo disturbo, sull’effettiva possibilità di distinguerlo da altri disturbi psichiatrici e sulla sua collocazione tra i disturbi d’ansia. Alcuni Autori considerano il DPTS come una variante od un sottotipo di altri disturbi psichiatrici, in particolare, della depressione maggiore, con la quale sembra condividere molte manifestazioni fenomeniche; altri propendono per la sua collocazione nell’ambito dei disturbi dissociativi per l’importanza che hanno nel quadro clinico sintomi quali l’amnesia ed i flashback; altri ancora propongono la costituzione di una nuova classe di disturbi, i Disturbi da Risposta allo Stress, nella quale classificare, accanto al DPTS, il Disturbo Acuto da Stress ed il Lutto Complicato e Non Complicato. Certamente, l’area fenomenica delimitata dal DSM per il DPTS, non è né specifica né esclusiva di questo disturbo, poiché anche la ri-presentazione del vissuto traumatico, considerata come elemento caratteristico del DPTS, la possiamo ritrovare in quelle forme di Depressione Maggiore (DM) e di Disturbo da Panico (DP) insorte successivamente a life-event esperiti con intensa partecipazione affettiva, con sentimento di disperazione ed impotenza, nelle quali sintomi quali l’ideazione ricorrente sull’evento e l’intenso disagio di fronte a stimoli ad esso collegati impregnano fortemente il quadro clinico e si combinano con le caratteristiche fenomeniche tipiche di tali disturbi.

A prescindere da tali controversie, le indagini epidemiologiche segnalano diversi indici di prevalenza dei quadri post-traumatici (comunque sempre stimabili intorno al 10% della popolazione generale), in ragione della popolazione esaminata, delle caratteristiche dello stressor, e della metodologia utilizzata nella rilevazione dei dati.

In studi sugli individui a rischio, la probabilità di sviluppare un DPTS varia in funzione del trauma subito: si va dal 30% dei casi che hanno subito traumi emozionali gravi generici, all’80% delle vittime di un disastro industriale in Norvegia, al 100% dei bambini vittime di un incidente stradale (Terr, 1983).

Frequenze così elevate indicano che avere conseguenze psichiche dopo traumi emotivi è più probabile che riportare conseguenze fisiche dopo incidenti stradali. È certo, comunque, che la psicopatologia post-traumatica ha una notevole diffusione e che le sequele delle esperienze traumatiche costituiscono un’importante fonte di sofferenza psichica.

Pertanto, oltre alla valutazione dell’evento traumatico e del suo specifico impatto emotivo, è essenziale, per evitare una sottostima del disturbo, una corretta e circostanziata analisi della sintomatologia, che, nella sua tipicità, contribuisce alla diagnosi in misura quanto meno equivalente alle caratteristiche del trauma.

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