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Esperienze di Laboratorio di pittura

Dott.ssa R. Scuto (Comunita' Terapeutico-riabilitativa "La Grazia" Caltagirone)

Il presente articolo, mosso dall'osservazione che quando si parla e si "tratta" di psicopatologia il confronto clinico intersoggettivo non è mai troppo, nasce dall'esigenza dell'Equipe della Comunità Terapeutico-Riabilitativa "La Grazia" di Caltagirone di intavolare con altri tecnici della riabilitazione una comunicazione funzionale allo scambio di informazioni, al racconto di esperienze di vita comunitaria, al confronto clinico in relazione al percorso terapeutico in C.T.R. del paziente psichiatrico grave.

Il seguente è il racconto dell'esperienza del laboratorio di pittura attivato lo scorso anno in Comunità; il laboratorio, da un punto di vista metodologico, ha tratto origine e dignità di esistenza dal fatto che la Comunità già da qualche anno ha introdotto, nell'ambito dei propri programmi terapeutico-riabilitativi, anche i principi teorico-applicativi dell'Art-Therapy quale strumento operativo della riabilitazione del paziente con disagio psichico, strumento ormai accreditato ed applicato nei contesti istituzionali pubblici (DSM) o privati come, nello specifico, nelle C.T.R.

Il laboratorio è stato attivato a seguito dell'osservazione clinica che diversi pazienti, anche con quadri psicopatologici differenti, presentavano difficoltà nel verbalizzare contenuti emotivi pregnanti nell'ambito del colloquio strutturato. Necessitava, dunque, arricchire la Comunità di uno strumento operativo alternativo alla parola che facilitasse il contatto ed una comunicazione funzionale tra il paziente e lo psicologo nell'espressione dei contenuti emotivi e dei bisogni personali profondi; così, l'interpretazione della parola non-detta è stata sostituita dal concretizzarsi del tratto grafico, dall'uso del colore, dal gesto-movimento espressivo.

Il gruppo e la metodologia dell'intervento: il laboratorio ha preso avvio nel gennaio 2000 con sette pazienti scelti sulla base del criterio clinico suddetto nonché dell'interesse e della motivazione personale manifestata. Di questi pazienti, solo uno ha mostrato delle difficoltà nel seguire il percorso proposto dal laboratorio, lì dove la "strutturazione" del laboratorio non è stata sufficiente a consentirgli di godere della continuità dell'esperienza e, dunque, dell'efficacia terapeutica della stessa; ciò nondimeno, la sua rarefatta "presenza" gli ha consentito di "aprire" e tirar fuori certi contenuti affettivi pur non abbandonando mai le personali barriere difensive (il Pz., per esempio, era solito presentarsi agli incontri inforcando il proprio walkman che suonava per lui le ben conosciute melodie napoletane, piuttosto che abbandonarsi alle suggestioni musicali proposte dallo staff e da lui sentite come "troppo forti").

Per quanto riguarda gli altri pazienti, l'esperienza ha permesso loro, parallelamente all'andamento del loro malessere, di mantenere una motivazione, partecipazione, concentrazione e produzione creativa non da poco; elementi, questi, che hanno permesso al gruppo di amplificare le proprie risorse e capacità di risonanza e, nel contempo, al singolo di confrontarsi con i chiaroscuri della propria storia relazionale nel tentativo di "andare oltre".

Il laboratorio è stato animato da due operatori di Comunità che, mossi da motivazione ed interesse personale per l'art-therapy si sono offerti di collaborare; forti di una buona capacità di contatto empatico col paziente hanno "partecipato" con funzione di sostegno e traino; uno psicologo (che nel corso del semestre sett.'99 - marzo'00 ha svolto presso "La Grazia" il tirocinio post-lauream come previsto dal D.M. 239/'92) ha partecipato in qualità di osservatore delle dinamiche di gruppo.

Tale figura si è rivelata estremamente utile allo staff tecnico per evidenziare determinate dinamiche per esempio inerenti il flusso della comunicazione o la funzione della leadership che, lasciate al loro corso avrebbero potuto inficiare il lavoro del gruppo e che, invece, rilette opportunamente in itinere hanno permesso di creare un confronto, a volte anche conflittuale, certamente costruttivo nella fondazione ed elaborazione della storia relazionale del gruppo.

Il laboratorio è stato tenuto dallo psicologo che si è offerto come Sé Ausiliario nell'allentamento del controllo, nel recupero di un'attenzione morbida alle proprie sensazioni, nella facilitazione del gesto-movimento espressivo, nella possibilità di "affrontare" e "mostrarsi" all'altro. Si è avuta molta cura ad agire direttivamente solamente "al bisogno" (per es. di fronte al bisogno del Pz. di "essere fermato" per sentire i propri confini o per misurare la portata della propria rabbia, oppure in risposta al bisogno di "essere tenuto" di fronte ad un'angoscia sentita come disgregante), mantenendosi quanto più possibile su posizioni di ascolto, supporto e facilitazione nel rispetto della libertà espressiva di ognuno.

Il gruppo si è riunito ogni lunedì pomeriggio dal mese di gennaio al mese di giugno incluso riuscendo a preservare e difendere lo spazio sia fisico che mentale dall'irrompere delle "urgenze" e delle mille traversie di un contesto così complesso e ricco quale è quello della Comunità.

Ogni incontro è stato preceduto da un breve momento di confronto fra lo psicologo-osservatore e gli altri membri dello staff sulle dinamiche intercorse e sui "movimenti" del gruppo; subito dopo ci si accordava sulla preparazione del setting in relazione alla tematica in oggetto. Sciolta questa prima riunione, gli operatori si prendevano cura di chiamare i singoli componenti del laboratorio per ricomporre il gruppo; giunti nella sala deputata al lavoro si costruiva tutti assieme il setting, chi sistemava le sedie intorno al tavolo, chi accendeva lo stereo e preparava i cd, chi sistemava i colori e quant'altro di necessario sul piano di lavoro, etc.

Il laboratorio è stato strutturato come un percorso personale, condivisibile in gruppo, che affrontasse le seguenti tematiche: memoria, affetti, sofferenza, vita, cambiamento e desiderio. Tali tematiche sono state scelte per risalire le tappe esistenziali del singolo paziente, affinché questi potesse ritornare al proprio passato, recuperare il significato della propria storia relazionale, guardare alla propria sofferenza (passata e presente) con occhi diversi, lasciare una finestra aperta sul cortile del presente ed affacciarsi sulla progettualità futura desiderata e realizzabile.

Ogni tema è stato mantenuto per tre incontri affinché ogni paziente potesse approfondirne il significato e le implicazioni emotive.

In verità il progetto del laboratorio prevedeva tre momenti per ogni incontro:

    1. Una suggestione musicale evocativa che facilitasse l'abbandono del controllo vigile e della razionalità a favore dell'ascolto interno e dell'emergere della componente emozionale, si è avuta cura di scegliere temi musicali congruenti con la tematica di volta in volta proposta, per es. il trasporto delle melodie dal sapore celtico per ritornare indietro nella memoria o le musiche di Vivaldi dal movimento allegro-vivace per affrontare la progettualità ed il cambiamento.
    2. La produzione grafo-pittorica vera e propria con sua successiva elaborazione in gruppo.
    3. Un'elaborazione cognitivo-immaginativa che attraverso il "mezzo" della fantasia portasse alla costruzione in gruppo di una fiaba che avesse come sfondo o protagonisti i lavori pittorici elaborati; ciò al fine di aprire nuovi spazi alla progettualità.

Di questi tre momenti occorre dire che se la suggestione musicale ha sempre avuto grandi consensi, non solamente perché facilitante in relazione al compito ed all'impegno emotivo, ma anche perché ha permesso ai pazienti di conoscere artisti e musiche che, raramente trasmesse alla radio, essi non conoscevano ed hanno invece potuto apprezzare, l'elaborazione immaginativa ha incontrato diverse difficoltà.

Difficoltà legate alla necessità di superare il pensiero razionale che agisce un massiccio controllo su tutte le possibili situazioni "a rischio" ed abbandonarsi al sentire emotivo, preludio del fare creativo; situazione, questa, certamente più "fluttuante" nella sua possibilità di far giocare con la fantasia a ripercorrere la propria storia e portarla in scena con nuovi personaggi e ruoli con i quali identificarsi, nuove avventure da vivere e finali aperti.

Tutto ciò ha rivelato una marcata difficoltà ad immaginarsi come "altro" da ciò che si è o da ciò a cui si è stati per tanto tempo ancorati; come di un'immaginazione progettuale i cui ingranaggi sono ormai arrugginiti di fronte alla possibilità di aprirsi a più faticosi, fors'anche stimolanti, obiettivi da raggiungere.

Spazio adeguato, invece, a livello temporale e psichico, ha avuto di volta in volta, la produzione pittorica e la successiva elaborazione in/di gruppo. Quest'ultima mirava a raccogliere le sensazioni di ogni singolo partecipante in relazione alla musica, ai ricordi, a quanto elaborato, ai desideri futuri e ad ampliare ciò grazie alle osservazioni o sensazioni degli altri; grande spazio è stato dato alla possibilità di "raccontarsi" e dar voce alle emozioni mostrando all'Altro il punto raggiunto nel proprio percorso.

Il cammino del gruppo: i pazienti hanno impiegato circa tre incontri per entrare nel vivo dell'esperienza; cinque pazienti su sette sono riusciti ad abbandonare i disegni stereotipati sia nei contenuti che nelle modalità di realizzazione (fiori, farfalle, principesse, etc.) e hanno lasciato venire fuori disegni emotivamente più pregnanti e più attinenti al tema proposto. All'inizio erano presenti rilevanti difficoltà: i pazienti sembravano testare la "capacità contenitiva" del gruppo stesso; di lì a poco avrebbero cominciato a fidarsi dello spazio creato ed a "porvi dentro" delle parti interne importanti.

Il percorso ha visto il gruppo, nella sua globalità, "presente" ed attento agli stimoli elargiti; buona la produttività quale segno di vivacità intellettiva. Dal gruppo fin dall'inizio emergono alcuni pazienti più capaci di mobilizzare contenuti emotivi e di approfondire le emozioni sollecitate rispetto alla propria storia relazionale. Inoltre, se nel corso dei primi incontri erano ancora, naturalmente, presenti dubbi, perplessità e paure, il clima emotivo contenitivo creato dal gruppo, che andava via via rinsaldando la propria fondazione, è stato capace di "tener care" le persone con le loro storie di carenze elargendo, al bisogno, sostegno e conforto; parimenti è stato capace, riconoscendone il bisogno, di "contenere" e "ridimensionare" la sofferenza del singolo.

Momento molto intenso nella storia del gruppo è stato il ciclo di incontri inerenti il tema della sofferenza; le caratteristiche di contenimento e accettazione del laboratorio hanno favorito l'abbassamento delle difese permettendo ai pazienti, resi più forti dalla presenza del gruppo, di affacciarsi sul loro passato/presente di mal-essere rendendo possibile, con l'intensità e la modalità propria, di condividere ed ascoltare la sofferenza personale e dell'Altro ed in questo essere riconosciuti e com-presi.

Nel corso degli incontri successivi si è fatta la prima esperienza di "fabulazione"; la difficoltà emersa nel "lasciarsi andare" non ha impedito il nascere di immagini di natura, storie di affetti e passione, pericoli imminenti, lotte interne e/o con l'Altro che, comunque, trasmettevano una grande energia vitale e la voglia di sperimentarsi.

Il secondo tentativo di fabulazione ha fatto registrare ancor più grandi difficoltà inerenti, secondo una rilettura dinamica, la tematica stessa in corso: il cambiamento. Allora, le immagini, che non hanno trovato via di uscita, sarebbero, piuttosto, da mettere in relazione con il non facile cammino della terapia e della riabilitazione e con il cambiamento stesso, tanto agognato ma anche tanto temuto.

Difatti, complesso è stato affrontare il mondo interno del "desiderabile", quasi l'anima non disponesse più di immagini da sogno o, più probabilmente, quasi che la sofferenza passata avendo lasciato traccia di sé nel funzionamento della persona avesse incupito la capacità di sognare e progettare sulla quale, soprattutto per i pazienti in uscita, diventa prioritario lavorare.

Al termine di questa esperienza ci sentiamo di sostenere che, innanzitutto il laboratorio si è nutrito delle risorse affettive e delle chances relazionali del gruppo che hanno permesso di rimarginare, certo parzialmente, vecchie ferite; nello specifico il lavoro è servito al gruppo per aprire un dialogo con il proprio mondo emozionale. Occorre dire che i pazienti ne hanno usufruito con differenti gradi di beneficio; per alcuni, che comunque sono stati capaci di metter su carta le proprie emozioni con gesto morbido e gusto estetico, il laboratorio non è servito a cogliere e trattenere gli approfondimenti emotivi; altri, invece, hanno goduto di una vera evoluzione del gesto espressivo arricchito da una rinnovata esperienza di Sé e da una consapevolezza cognitivo-emotiva che ha aperto concreti canali di cambiamento.

Nel ritenere, comunque, che l'esperienza abbia avuto sufficiente significatività, ecco che offriamo il presente contributo al lettore perché si alimenti ancora quel confronto umano indispensabile al ben-essere, nonché alla comprensione del disagio psichico.

Estremamente significativa ed interessante ci sembra la storia di A. che riportiamo di seguito.

A., oggi 50enne, è arrivata presso "La Grazia" con diagnosi di "ritardo mentale lieve". Difficile ricostruire la sua storia, sia sufficiente dire che A. è stata abbandonata alla nascita e delle prime fasi del suo sviluppo evolutivo nulla è registrato.

A nove anni viene ammessa presso un Istituto psico-socio-pedagogico. Nel periodo dei trent'anni che A. trascorre lì, viene descritta con una sfera cognitiva lievemente deficitaria, pensiero e linguaggio adeguati per quanto poveri nei contenuti, difficoltà nella comprensione, buona memoria ed orientamento spazio-temporale nella norma. La sfera affettiva ipotrofica mostrava evidenti difficoltà nella relazione con l'Altro, anche quando la pz. mostrava di sapersi legare, ciò avveniva sempre con modalità simbiotiche; labile la sfera emozionale con l'irrompere frequente di meccanismi difensivi (negazione, proiezione, fuga dalla realtà); adeguata nella cura del Sé e del proprio spazio abitativo nonché nel rispetto e condivisione delle regole del gruppo.

A. lascia quest'Istituto per volere del Servizio Territoriale di appartenenza che, viste le profonde carenze affettive vissute dalla paziente ha richiesto per lei una struttura protetta che potesse supportarla ed offrirle uno spazio accogliente in cui la sua storia potesse dipanarsi e trovare, semmai, parziale, risoluzione.

In Comunità, A. si presenta disponibile e collaborativa, adeguata nella cura della propria persona; persistenti gli atteggiamenti di passività ed irritabilità nella interazione con l'Altro. Si decide, per fronteggiare le difficoltà relazionali presentate, di coinvolgerla in attività occupazionali per lei motivanti (laboratorio di ricamo e cucito) e gruppi espressivo-esperienziali (gruppo di drammatizzazione, gruppi- discussione) che potessero giovarle e farle recuperare competenze specifiche e rinnovate abilità sociali attraverso le quali entrare in un contatto più significativo con l'Altro.

La forte "presa in carico" della paziente unitamente ad attenzioni particolari di alcuni operatori nei suoi confronti (diversi operatori, per es., diverse volte hanno ospitato A. a casa loro in occasione delle festività di Pasqua o del S. Natale) non sono sembrate, tuttavia, sufficienti per colmare il profondissimo senso di vuoto e la rabbia soggiacente la sua storia di "figlia di ignoto".

Eppure, solamente (si fa per dire!) da circa dieci mesi talune modalità relazionali disfunzionali (l'intolleranza alla frustrazione, la generalizzazione ed amplificazione di episodi di disaccordo fino alla rottura del rapporto, la facile aggressività verbale o fisica, etc.) che hanno sempre minato il ventaglio relazionale di A. sembrano essere state abbandonate dalla stessa.

Un attento e costante lavoro con la paziente ha permesso di arricchire di modalità critiche e puntuali la sua capacità di lettura degli eventi nonché la sua consapevolezza di contenuti emotivi e sentimenti lasciando spazio ad un più equilibrato tono dell'umore, ad una maggiore capacità di "affidarsi" e ad una rinnovata capacità di "rendere solubili" emozioni negative.

In seno al laboratorio di pittura, la paziente sembra aver ripercorso il proprio cammino esistenziale per affacciarsi, forse, alla possibilità di "andare oltre".

Abbandonata alla nascita, ignara delle sue origini e delle motivazioni che hanno spinto quelle che dovevano essere figure di riferimento a privarla delle basilari esperienze di relazione affettiva (che vanno, peraltro, a dare origine al Sé dell'individuo) ed a spingerla verso il cammino dell'istituzionalizzazione, la Pz. arriva al gruppo con un esplicito atteggiamento di chiusura oppositiva. Tale atteggiamento è stato riletto come la sua non familiarità ad "appartenere" e l'impossibilità a fidarsi di questa sorta di "utero" pensato e creato per portare in grembo, sorreggere, nutrire e far evolvere la storia di ognuno e quella dell'intero gruppo.

All'inizio, l'impossibilità a "prendere" le cose buone offerte dal gruppo-utero è stata accompagnata dall'impossibilità a "dare", cioè ad "affidare" al gruppo delle cose proprie, buone o cattive; così i primi incontri sono stati caratterizzati da un atteggiamento di disprezzo, dall'opposizione e dal rifiuto. Sentimenti antichi di A., questi, cui il gruppo ha reagito funzionalmente rispondendo come un "muro di gomma": assorbendo l'urto e il dramma della ferita riportata e lasciando venir fuori nuove possibilità ed alternative, flessibilità, tolleranza e accettazione dell'Altro.

A., che nondimeno è stata sempre presente e curiosa, dopo un po' ha accettato di stringere una mano tesa.

I primi disegni, fatti in collaborazione con lo psicologo, sono caratterizzati da segni amorfi che la paziente si sforza di rendere umani disegnando con quanta più cura possibile i connotati del viso come a ricercare e sottolineare elementi forti per un'identità sentita certamente come debole e non chiara.

Un'emozione impellente torna in modo pervasivo; il tratto che dà origine alle labbra inizia mansueto ma diviene sovente carico di rancore e paura o, forse, sconforto e straripa fino a creare labbra smisurate, che sembrano voraci e aggressive nel bisogno che vogliono difendere: la necessità per "sentirsi esistere" di parlare (come dice A. alla terza seduta) o forse di urlare per poter essere ascoltata perché per A. l'attenzione sembra non essere mai sufficiente. E se tutto ciò ancora non avviene, queste labbra sono capaci di divorare tutto.

uesto disegno (elaborato nell'ambito degli incontri sulla "memoria") si origina così: la paziente inizia col disegnare le solite figure non ben precisate, continua focalizzando l'attenzione sulla bocca e comincia a ritoccarla fino a che la stessa non ha divorato tutto ciò che era intorno; l'elaborato finale è il seguente cartoncino ricoperto di colore rosso che A. si è "accanita" a stendere dappertutto con fare calmo e meticoloso che nascondeva una grande rabbia e disperazione.

Nel frattempo, avviene qualcosa di diverso rispetto alla storia di A.: il gruppo, nelle sue componenti dei "fratelli" (altri ospiti) e dei "genitori" (equipe e operatori) sembra aver resistito alla sua rabbia distruttiva; non solo sembra non averne risentito (nella sua possibilità di esistenza e nella sua forza attrattiva e trainante), ma non è stato rifiutante o giudicante nei confronti di quelle stesse emozioni per cui, sovente, A. è stata abbandonata. Difatti, più di una volta, di fronte a sciocchi motivi di controversie, A. aveva generalizzato e proiettato sulla situazione o sull'Altro rabbia e rancore che non appartenevano né all'una né all'Altro e ciò ha fatto fuggire anche persone significative che non hanno retto all'intensità dei suoi attacchi-prove al legame. Ciò che, invece, il gruppo come Sé Ausiliario ha fatto in siffatta situazione è stato di accoglierla e com-prenderla; è questo il periodo in cui A. ha potuto sperimentare il legame con l'Altro secondo modalità più attive e mature; ha ricercato ed accettato il confronto su argomenti che le stavano a cuore; si è mostrata più indulgente con se stessa e più tollerante nei confronti dei compagni.

Segno che qualcosa stava veramente cambiando è la possibilità, per A., di dare un finale diverso a ciò che i suoi disegni portavano in scena e fors'anche alla sua storia.

Nell'ambito della stessa tematica "memoria" ma in un momento successivo, A. disegna una carrozzina con "una bambina dentro" (come lei stessa dice) ma… "improvvisamente, delle lingue rosse di fuoco avvolgono tutto…".

Eppure la carrozzina, dai colori vivi, non viene toccata e la bambina che viene sì avvolta ma ancora, come in lontananza, traspare (il segno grafico è leggero) è presente e "contenta di essersi salvata". È A., questa volta, che chiede esplicitamente di poter porre dentro il gruppo questo suo pezzo di storia e nel farlo non nasconde certa commozione che il gruppo fa risuonare ascoltandola in un silenzio fortemente empatico.

Adesso sembra che una certa appartenenza sia diventata possibile e reale; i disegni lo mostrano e sono disegni ricchi di colori e positività che rivelano una certa ambivalenza, purtuttavia, che non appare minacciosa per l'integrità della persona.

Il limite cognitivo (peraltro testimoniato dall'estremo "concretismo" degli elaborati) che non permette un'adeguata capacità di simbolizzazione e l'intervento massiccio dei meccanismi difensivi ha fatto sì che la paziente non affrontasse il fardello della "sofferenza" (l'intero gruppo, peraltro, mentre lo staff viveva un momento di tensione e conflittualità, ha reagito a tale tematica con un movimento di ritrazione). Pure in questa circostanza A. non è fuggita, ha preferito "stare" col suo gruppo e nutrirsi della conquistata possibilità di "affidarsi" all'Altro; si è fatta cullare dalla musica che tanto l'ha coinvolta e "si è fatta portare" fino a condividere anche questo momento senza la necessità di pre-occuparsene.

Certa sofferenza antica sembra riemergere quando si affronta la tematica "vita": la paziente, ripercorrendo a ritroso le sue vicende, sembra affidare la tristezza ed il pessimismo ad un cupo e diffuso colore grigio proprio di un passato poco chiaro negli eventi occorsole. Emerge una tristezza rancorosa che parla ancora di solitudine e privazioni non ancora sufficientemente elaborate, di pericoli minacciosi ed imminenti che solo una "figura eroica" può fermare per portarla in salvo.

Parimenti, gli elaborati sul "cambiamento" evidenziano, in modo concreto e vivido, nei tratti grafici con cui sono stati realizzati e nei colori contrastanti, le difficoltà insite in esso: il desiderio, il timore e la consapevolezza che le proprie risorse possano essere insufficienti, la paura che l'Altro possa andare via lasciandoci soli, l'incertezza di un futuro spesso affidato alle decisioni di ignoti (eppure il muro di silenzio col proprio mondo interno è ormai infranto e A. può dar voce alle sue emozioni e confrontarsi con l'Altro significativo, coi propri compagni di viaggio).

Come da copione, l'approssimarsi della fine dell'esperienza e l'avvicinarsi del momento del distacco dal gruppo ha riportato alla luce antichi timori; il "desiderio" di A. non è emerso in gruppo nel corso degli ultimi incontri perché troppo arrabbiata per la chiusura del laboratorio di fronte alle vacanze estive per riuscire a prendere qualcosa di buono o per riuscire a "darsi".

A. non sapeva ancora cosa, l'interruzione del laboratorio, avrebbe lasciato dentro e intorno a sé (terra bruciata o campo coltivato ad orzo?); inoltre, questo le ha risvegliato l'antica paura del dovercela fare da sola, paura troppo minacciosa per lasciarla emergere perché se siamo soli chi può "contenerci" per evitare che tale emozione ci faccia in pezzi?

Ma il gruppo, col calore della sua presenza e di quanto condiviso e fondato di nuovo, ha continuato ad accompagnarla permettendole, in uno stage di "body-painting" (tenuto nella casa al mare che la Comunità affitta per il periodo estivo) di lasciare emergere il suo desiderio: lei che nella vita è sempre stata una sorta di "cenerentola" con sorellastre e matrigne ha deciso di essere una fata (con collana dei poteri, cappello e bacchetta magica!) e si è offerta, così, di trasformare ed "animare" l'intero gruppo (ognuno autonomamente ha scelto cosa essere di "diverso" e con chi lavorare in coppia per dipingersi e mascherarsi).

Forse nel suo pensiero concretamente magico c'era il desiderio di essere un po' speciale, almeno per qualcuno "caro" per il quale fare qualcosa di buono; e di potere un giorno ricevere la visita di un potente principe (A. ha lavorato con l'Assistente Sociale della Struttura, persona dal carisma sicuro e padrone di tutte le situazioni della Comunità) che le potesse trasformare la vita e farla diventare, fors'anche per poco, una principessa.

L'osservazione che nasce spontanea è che le quote di benessere di A. sono decisamente aumentate; oggi A. è capace di prendere una certa distanza dalle proprie cose e di guardarle con certa funzione critica, il suo pensiero è più lucido, la sua capacità di "affidarsi" è decisamente migliorata come anche la capacità di sperimentarsi nell'ambito di una gamma emotiva più ampia, più gratificanti appaiono, inoltre, le relazioni interpersonali in cui è immersa.

Anche se siamo certi che il merito di tutto ciò non sia solamente del laboratorio (dal momento che l'intervento riabilitativo proprio della Comunità ha dei connotati inevitabilmente "polifonici"), sembra che il gruppo abbia fatto sentire, in tal senso, la sua voce.

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