Terapeutico. Che il cinema avesse anche questo ruolo (forse, soprattutto questo) credo di averlo capito negli anni fragili e turbinosi delladolescenza, quando i film e lo schermo mi sembravano lunico luogo (il solo, almeno, che io conoscessi, lunico che il mio tempo mi offrisse) per riconnettere in una storia dotata di senso i frammenti sconnessi di esperienza contro cui mi faceva cozzare la vita.
Ricordo certi pomeriggi invernali a Milano, quando il "male di vivere" (la sua insensatezza
) sembrava materializzarsi nella nebbia che ti inghiottiva, e che immergeva lo sguardo in unovattata luminosità lattiginosa. Si andava al cinema, allora. A vedere qualsiasi cosa, purché fosse un film. Rannicchiati in terza fila, in posizione fetale, ci lasciavamo invadere dai simulacri di mondo che emanavano dallo schermo. 90-120 minuti di terapia intensiva: alluscita stavamo sempre meglio, e ci pareva perfino che il mondo (quasi sempre ancora avvolto nella nebbia) fosse migliore (e avesse più senso) di quanto non pensassimo prima di comprare il biglietto e di immergerci nel buio luminoso della sala.
Da che cosa curava, il cinema?
Che malattia aiutava a sconfiggere? Che patologia combatteva? Benchè da più di ventanni il cinema sia ormai diventato il mio alimento quotidiano, restano domande a cui non sono mai riuscito a dare una risposta. So solo che il cinema per me, ma credo di poter dire anche per la mia generazione- non è stato solo uno straordinario "attrezzo per fantasticare", ma anche uno "strizzacervelli" che ha favorito un po in tutti lanamnesi e lautoanalisi, portando a galla sulla superficie dello schermo- i fantasmi e i cadaveri che ci portavamo dentro. Ci ha curato? Non lo so.
Ignazio Senatore mi dice spesso che solo la relazione terapeutica può "curare". Lo dice convinto, e penso che dal punto di vista dellortodossia analitica abbia perfettamente ragione. Ma ho anche il sospetto che la sua sia unaffermazione come dire- più attenta alla "correttezza" deontologico-professionale che alla verità dei fatti. So che anche Ignazio Senatore si è curato con il cinema, e che dal cinema e dai film ha ricavato spunti, schegge e frammenti di storie e di narrazioni che lhanno aiutato a curare gli altri, i suoi pazienti nella vita. Questo libro documenta la sua duplice passione (la sua ambigua affezione
): per i film che raccontano storie di cura e per la convinzione che sia possibile curare (curarsi
?) anche grazie ai film.
Non so se il cinema sia stato la nostra Sheherazade, e noi i suoi sultani. A volte ho come limpressione che, al contrario, noi siamo stati le Sheherazade del cinema, e che al cinema abbiamo affidato ogni notte le nostre storie. Quelle che ci servivano ad allontanare lo spettro della morte, e a sentirci vivi. Ma tantè. Quel che conta, direbbe Senatore, è lintensità della relazione. Il cinema è un territorio inevitabilmente relazionale. Questo libro lo dimostra in modo appassionante e appassionato. Ricordando a tutti, se non altro, come proprio i film siano serviti (e servano tuttora) a rendere il mondo un po meno invivibile di quanto non fosse prima che il cinema venisse inventato.