Villa S. Maria (VSM) è una struttura residenziale psichiatrica, nata nel settembre 1994. Convenzionata con il sistema sanitario nazionale, fornisce unassistenza intensiva 24 ore su 24 mediante due moduli ciascuno capace di ospitare sino venti persone.
In questo lavoro proponiamo alcuni spunti di riflessione sul tema della lungodegenza, in una comunità il cui mandato è finalizzato al riequilibrio psichico e alla acquisizione di competenze in un'ottica di reinserimento sociale dellospite. Ricordiamo che il regolamento della regione Liguria (n. 4/96) stabilisce per le strutture residenziali psichiatriche un tempo limite di permanenza dellospite pari a due anni e mezzo. Ma tale limite temporale, per la nostra comunità come per le altre comunità liguri, è in buona parte disatteso. Qui di seguito presentiamo alcuni dati riguardanti la popolazione dei nostri quaranta ospiti presenti al febbraio 2003.
Età media: 43 anni (dev. st. 8)
Età media desordio del disturbo: 22 anni (dev. st. 6)
Età media dingresso a VSM: 38 anni (dev. st. 8)
Media degli anni di permanenza a VSM: 5 anni (dev. st. 3)
Media degli anni passati dallesordio del disturbo
sino allingresso a VSM: 17 anni (dev. st. 7)
La distribuzione delle diagnosi è la seguente:
Disturbo schizofrenico paranoide 10 ospiti
Disturbo schizofrenico disorganizzato 4 ospiti
Disturbo schizofrenico indifferenziato 4 ospiti
Disturbo schizofrenico residuo 12 ospiti
Disturbo schizoaffettivo 2 ospiti
Disturbo schizofrenico in remissione 3 ospiti
Ritardo mentale, disturbo psicotico NAS 4 ospiti
Dist. delirante, dist. ossessivo compulsivo di personalità 1 ospite
Dal 1995 al 2002 sono stati dimessi 40 ospiti, mediamente cinque/sei ogni anno, la cui destinazione è risultata così distribuita:
Abitazione 16 ospiti
In altra CT 7 ospiti
RSA 5 ospiti
CAUP 1 ospite
SPDC 4 ospiti (di cui 1 in TSO)
OPG 2 ospiti
Riammessi a VSM 5 ospiti
Rispetto alla lungodegenza, diciotto degli attuali ospiti si collocano in una fascia temporale di permanenza in comunità che va dai sei ai nove anni. I motivi della loro mancata dimissione sono molteplici. Per alcuni casi, è il persistere di gravi condizioni cliniche e/o gravi disabilità, associate talvolta anche a precarie condizioni socioeconomiche e di sostegno sociale. Per altri casi che hanno raggiunto un buon compenso psichico e una migliorata autonomia frutto, probabilmente, anche di una buona risposta al trattamento comunitario la dimissione è ostacolata anche dalla carenza di adeguate soluzioni assistenziali alternative.
Nellattuale fase storica, le SR come la nostra rispondono a bisogni che in una certa misura vanno al di là di quelli specificamente terapeutici e riabilitativi indicati dal progetto obiettivo per la tutela della salute mentale (Gruppo Nazionale Progres 2001), implicando anche aspetti inquadrabili nell'ampio capitolo della protezione sociale. Il mandato della nostra struttura implicherebbe lidea che la dimissione sia la conseguenza del perseguimento degli obiettivi riabilitativi, e tale idea sembrerebbe funzionare come criterio di misura della distanza tra realtà e ideale. Da una parte abbiamo un mandato che prevede un progresso e una dimissione alla fine di un percorso; dallaltra una realtà che protrae la permanenza dell'ospite in difetto di livelli di autonomia e sostegno adeguati a fronteggiare le difficoltà di una vita sociale non protetta.
Queste considerazioni danno un'idea del contesto del nostro lavoro, che richiede, tra laltro, di adattarci ai tempi lunghi del cambiamento di persone che possono apparire stabilizzate.
Il cambiamento ci appare fatto di piccoli passi e di eventi rilevanti, punti di svolta che segnano una differenza rispetto alla normale continuità della vita di comunità; la cronicità, allora, può essere anche vista, in taluni casi, come una situazione di sospensione, una situazione esistenziale che sembra non risolversi, come in attesa del verificarsi di eventi significativi.
Ci chiediamo allora quali siano gli eventi che perpetuano o potrebbero trasformare quelle situazioni di sospensione, che gli operatori di una comunità possono vivere in relazione al problema del lungodegente difficilmente dimissibile? Quale può essere laspettativa degli operatori, se non quella che migliorino non solo le condizioni e le risorse degli ospiti, ma anche il livello esterno di protezione sociale? La stabilizzazione e la lungodegenza ci ricordano che dovremmo smetterla di nutrire tali aspettative? Quale il giusto atteggiamento che possa mediare tra la realtà dei tempi lunghi e unaspettativa di miglioramento e dimissione?
Linterpretazione della lungodegenza in lavori precedenti su Villa S. Maria
La storia di Villa S. Maria si è anche caratterizzata da tentativi di formulare strategie diagnostiche (e quindi dintervento) atte a fronteggiare il problema che i colleghi che ci hanno preceduto iniziavano a intravedere dei pazienti lungodegenti. Siamo intorno al 1998, termine per molti pazienti dei famosi due anni e mezzo.
La diagnosi categoriale è parsa non essere utile per predire il risultato di un trattamento comunitario. Nei primi anni di vita della comunità, si pensò di usare una diagnosi dimensionale per la valutazione dei sintomi positivi e negativi come fattore predittivo della realizzazione di un progetto riabilitativo a termine. Per quei pazienti che presentavano una persistente sintomatologia negativa, si valutò la necessità di unulteriore permanenza in comunità, nell'ottica di "una scelta di vita evidenziante di per sé una progettualità, una capacità di accettazione dei propri limiti [
] vissuta dal paziente e vista dagli operatori non come un fallimento, una frustrazione, un insuccesso, una grave contraddizione, ma come una ragionevole ed adeguata risposta ai reali bisogni della persona" (Ciarelli et al. 1998, p. 43).
Alcuni pazienti furono chiamati casi impossibili, persone che hanno messo in scacco le velleità dei molti operatori incontrati nella loro lunga storia psichiatrica. Il modello comunitario e le strategie riabilitative finalizzate all'insegnamento delle abilità sociali sembravano non bastare in questi casi, perché si aveva a che fare con persone il cui livello di sviluppo psico-emotivo si era arrestato a fasi molto primitive. Il disagio degli operatori nei confronti di questi pazienti, si esprimeva come difficoltà di relazione e con un continuo chiedersi che cosa si debba fare con loro. Disagio che è stato interpretato come difficoltà a tollerare un livello di rapporto centrato sul paradosso del bisogno di non avere bisogni, per dirla con Zapparoli (cfr. Cogorno et al. 2000 e Tortora et al. 1999).
Un tema: il sentimento dellattesa
In quali modi un paziente può acquisire, agli occhi delloperatore, lo status di sospeso? La differenza tra risorse reali e risorse auspicate può essere alla base della constatazione che taluni pazienti potrebbero avvantaggiarsi di una certa risorsa che al momento è inesistente o non utilizzabile, e che quindi la percezione delloperatore della situazione del paziente è che esso possa considerarsi in attesa del verificarsi di un evento rilevante.
Altre difficoltà si riferiscono alla relazione e alle dinamiche tra il gruppo di operatori e il gruppo degli ospiti. Prendiamo in considerazione, per esempio, il problema delle aspettative nei confronti degli ospiti, e in particolare delle aspettative positive deluse. Laspettativa (ciò che mi attendo da te) può implicare, quando la relazione è di aiuto, una valutazione del genere seguente: io conosco qualcosa di te, credo che tu abbia alcune potenzialità e, se laspettativa è positiva, mi impegno ad aiutarti perché tali potenzialità si realizzino.
Il caso di ML ci sembra esemplare, nel senso che può funzionare da chiave di lettura di altre possibili dinamiche. Uno scompenso psicotico in una fase avanzata del progetto terapeutico, quando per ML erano pronte le dimissioni per un rientro in famiglia, ha generato una forte delusione nelléquipe curante. Sono passati alcuni anni e ML è ancora ospite della nostra comunità. Uno dei tratti che la caratterizza è la sua imperturbabile passività. Il valore dei tentativi attuali di modificare la situazione sono parsi cosa di poco conto. Perché? Forse, i parametri di valutazione attuali risentono delle alte aspettative (deluse) che ML ha creato in passato. Lo stesso atto può essere percepito in diverse maniere, rispetto al suo valore (rispetto a un paziente può sembrare avere un alto valore; rispetto ad un altro paziente, un basso valore). Quale può essere un fattore che determina tale differenza? Rispetto al caso di ML può essere lalta aspettativa che ha creato in passato e che poi è andata delusa. Come dire: se una volta sei stato capace di fare un bel salto, cosa vuoi che sia che adesso fai solo piccoli passi.
Con pazienti che appaiono immutabili per lungo tempo, il riconoscimento, da parte di un operatore, di un movimento (in realtà di un piccolo movimento) del paziente che costituisca una novità rispetto alla normalità può trovare difficoltà a divenire coscienza comune, riconoscimento comune, impegno comune. Il paziente cronico è colui che non fa nessun movimento oppure è qualcuno che fa comunque dei movimenti, ma che non sono riconosciuti? Con pazienti il cui grado di autonomia è molto compromesso, è necessario lavorare su piccole cose, che hanno forse bisogno, per non sembrare banali alla percezione comune, di cornici di significato pregnanti. Quindi non cè solo da comunicare la novità in sé, ma anche il possibile significato di tale novità. La condivisione di significati pare essere un processo complesso, comunque molto meno immediato della comunicazione riguardante gli accadimenti della comunità, anche se i possibili intoppi nel ritorno delle informazioni sui piccoli movimenti del paziente può determinare la sensazione che nulla cambi.
Cosa può significare, per noi operatori che lavoriamo anche con ospiti lungodegenti e cronici, il senso dellattesa che si verifichi un evento significativo? Lattesa non è solo una pausa, che può esserci se intendiamo con essa un fermarsi dei pensieri che hanno lo scopo di mutare una situazione, un calo dellimpegno ad aggiornare limmagine che si ha di un dato paziente. Il sentimento dellattesa, che può prendere léquipe in certi casi, può essere visto come il campanello dallarme che segnala che qualcosa che ci ha deluso in passato non è stato veramente dimenticato. Il tentennare delléquipe rispetto allintrodurre una novità (un nuovo compito per lospite, un rivedere la situazione da un punto di vista diverso, uno stile di lavoro nuovo nellaffrontare lo stesso caso) è forse il segnale come nel caso di ML di una delusione non superata.
Non solo questo ovviamente, ma forse anche questo.
Bibliografia
Barabino P. et al. (2001) Seminario sui trattamenti residenziali e programmi di dimissioni. La via del sale, vol. V, n. 1.
Ciarelli G. et al. (1998) La diagnosi dimensionale come fattore predittivo per un progetto riabilitativo degli ospiti di Villa S. Maria. La via del sale, vol. II, n. 3.
Cogorno L. et al. (2000) I casi "impossibili": quando, e se è lecito, parlare di "riabilitazione"?. Il vaso di Pandora, vol. VIII, n. 4.
Gabbard G.O. (2000) Psichiatria psicodinamica. Raffaello Cortina, Milano 2002.
Gruppo Nazionale Progres (2001) Le strutture residenziali psichiatriche in Italia. I risultati della fase 1 del progetto PROGRES. Epidemiologia e psichiatria sociale, 10, 4.
Iozzia P. et al. (1998) Analisi delle richieste di inserimento da parte dei Centri di Salute Mentale nelle strutture residenziali. La via del sale, vol. II, n. 3.
Orsini B. (1997) La residenzialità psichiatrica a ventanni dalla legge 180. La via del sale, vol. I, n. 3.
Progetto Obiettivo Tutela della Salute Mentale 1998-2000 (1999) Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, n. 274, 22.11.1999.
Relazione conclusiva dellUnità di Valutazione per la riabilitazione psichiatrica (2001) Presentata al seminario di studio Trattamenti residenziali e progetti di dimissioni, 4 Maggio 2001, Genova Quarto.
Sanavio E., Cornoldi C. (2001) Psicologia clinica. Il Mulino, Milano.
Tortora E. et al. (1999) Modello comunitario e modello multimodale in una Struttura Psichiatrica Terapeutico-Riabilitativa. Il vaso di Pandora, vol. VII, n. 3.
Valdré R. (2000) Comunità Terapeutica e superamento dellOspedale Psichiatrico. La via del sale, vol. IV, n. 2.
Autori
Eugenia Carrosio (psicologo), Giuseppina Contri (medico psicologo clinico), Alessandra Parodi, Alessia Romeo, Alessandro Serventi (educatori), Lucia Valentini (psicologo). La realizzazione finale del lavoro è stata curata da Alessandro Serventi.