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LEE SMOLIN, L’ universo senza stringhe. Fortuna di una teoria e turbamenti della scienza, Einaudi, Torino 2007, pp.368, Euro25

 

 

un blog-dibattito a partire da Smolin…

 

#6   13 Gennaio 2008 - 19:52

Mi sono lasciata affascinare subito dal paradigma concettuale della teorie delle stringhe quando ho letto "L'universo elegante" di Brian Greene, ma sapevo di dover frenare l'entusiasmo. Greene avvisava a chiare lettere che si trattava di una "teoria giovane" e che il lavoro era a tal punto in fieri che non si poteva prevedere come si sarebbe concluso. Era impressionate anche la notazione sull'impossibilità di scrivere l'equazione fondamentale alla base della teoria a causa della complessità matematica. Attraverso il filtro della mia formazione umanistica "l'universo elegante" nella mia lettura si è trasformato in un mondo fantastico in cui era bello vibrare. Ora arriva Smolin e mi crea una bella delusione. Non ho letto il libro, forse lo leggerò, dopo aver valutato se sono all'altezza. Vi sono grata per questa recensione che ha condensato con chiarezza argomenti e problemi.

 

#9   13 Gennaio 2008 - 21:56

 

Mondi impossibili. Una fantasia.

"E’ pertinente, qui, il richiamo ad un pensiero di Spinoza, secondo il quale l’ordine e la disposizione delle cose corrisponde all’ordine e alla disposizione delle idee."

" Il bosone di Higgs — definito dal Nobel Leo Lederman ‘la particella di Dio’ ". Siamo un po’ nello gnosticismo; i bosoni come gli eoni e il pleroma. La ricerca della terza parte di spazio che diventa tempo, come la ricerca di Dio, necessaria e impossibile. Tempo e necessità, la spirale che avvolge l’universo e noi stessi, il limite alla nostra azione nel mondo. La nostra esperienza dello spazio appartiene al passato, al tempo, viene alla luce sotto una nuova forma: "i luoghi del passato"; mentre il tempo, per noi, non è ormai che un eterno presente nel quale ci muoviamo. Joyce sullo spazio-tempo: "Un’equazione insoddisfacente tra un esodo e un ritorno nel tempo attraverso lo spazio reversibile e un esodo e un ritorno nello spazio attraverso il tempo irreversibile". Non c’è una strada che può tornare indietro nel tempo, nel passato. Entropia, disordine dell’universo in continuo e costante aumento. Così, anche le nostre vite vanno verso il disordine totale, l’irrealtà della morte. Gli istanti-tempo, sola realtà possibile (Barbour). Arrivare ad una "formulazione matematica del sistema filosofico di Leibniz, la sua ‘monadologia’, unica alternativa al materialismo cartesiano newtoniano" (Barbour, Smolin). Leibniz e i mondi impossibili. Punto di vista unico delle monadi che si ordinano nello spazio. Commento di Deleuze: "I punti di vista non sono su qualcosa di esteriore. Esteriori sono soltanto gli altri punti di vista". La monade riflette l’universo, ovvero è il suo universo. "La monade è elemento di questo mondo costituito sul possibile, ma è composta di infinite minime percezioni, e immersa nell’universale risonare dell’impercettibile e invisibile. La danza dell’essere." (Cacciari)
"L’uomo è terrorizzato dall’idea dello spazio; egli se lo figura immenso, notturno e vorace. Egli immagina gli esseri sotto la forma elementare di una sfera, isolata nello spazio, raggomitolata nello spazio, schiacciata dall’eterna presenza delle tre dimensioni. Terrorizzati dall’idea dello spazio, gli esseri umani si raggomitolano; hanno freddo, hanno paura. Nel migliore dei casi, essi attraversano lo spazio, essi si salutano con tristezza in mezzo allo spazio. Eppure tale spazio è in loro stessi, non si tratta d’altro che della loro stessa creazione mentale. In questo spazio di cui hanno paura, gli esseri umani imparano a vivere e a morire; in mezzo al loro spazio mentale si creano la separazione, la lontananza e la sofferenza". (Houellebecq)
"Lo spazio è nel punto; non è il punto ad essere nello spazio" (Deleuze). Nel punto di vista (metafisico) è incluso lo spazio del mondo. Bisogna spostarsi su un piano assolutamente non umano per superare le separazioni definitive. Quando gli altri scompaiono, poniamo rimedio facendo il vuoto dentro noi stessi, un vuoto cosmico.

Alfredo Riponi

 

#16   14 Gennaio 2008 - 15:59

 

- Capire il Cosmo, ha ragione Astro, significa misurarsi con i linguaggi che lo descrivono (in primis la matematica, ovviamente). Come epistemologo delle scienze e storico delle scienze non ho mai apprezzato i lavori che evitano di misurarsi con le specificità disciplinari della scienza presa in esame. Anche un esame sociologico (culturale, antropologico...) di una determinata scienza non può, se vuole essere un esame pertinente e non superficiale, bypassare lo specialismo in questione. Nel mio lavoro, infatti, mi riallaccio ad una tradizione storico-epistemologica francese (Bachelard, Canguilhem, Koyré, in una certa misura anche Foucault) dentro la quale si è sempre perorata la necessità di una "double formation". Personalmente - soprattutto per la biologia e la psichiatria - ho attraversato l' "inferno" di una doppia formazione: di una formazione specifica, scientifica, a partire dalla mia formazione storico-filosofica di base...

- Detto questo (e ora mi riallaccio ad Alfredo), è sempre esistito un pensiero della scienza ed attorno alla scienza. Lo stesso Smolin, per rimanere in tema con il post, fa i conti con Kuhn, Lakatos e soprattutto Feyerabend, come ho già detto, nel capitolo XVII (pp. 289-306) del suo saggio. Anche gli scienziati si misurano dunque con la filosofia, affrontando spesso in maniera nuova e radicale i suoi stessi problemi. Un solo esempio (e poi chiudo): il Nobel Ilya Prigogine, padre della termodinamica dei sistemi irreversibili (aperti), sente il bisogno, negli anni 80 del secolo appena trascorso, di un bilancio teorico e storico della sua nuova termodinamica. Per scrivere questo bilancio, si rivolge ad una filosofa ed epistemologa (Isabella Stengers): a quattro mani, i due scrivono uno dei più bei libri di scienza e sulla scienza di questi ultimi 30 anni: "La nuova alleanza" (Einaudi), dove, ad esempio, viene stabilito un affascinante parallelo tra la nuova termodinamica e la filosofia rizomatica di Gilles Deleuze!...Il titolo di questo libro che non esito a definire epocale, è eloquente: si tematizza, in effetti, la necessità di una "nuova alleanza" tra le scienze della natura e le scienze dell'uomo!
Mario Galzigna

#22   15 Gennaio 2008 - 04:28

 

Continuando a rimuginarci sopra mi viene da notare che una teoria scientifica che per sua natura non può essere assoggettata ad una verifica o falsificazione, semplicemente non è più una teoria scientifica.
Questo non significa naturalmente che non sia nulla.
Tutte le grandi domande della vita, su Dio, sull' anima, sul senso dell' esistenza sfuggono ad ogni tentativo di verifica sperimentale, ma è difficile immaginare di poter condurre la propria vita ignorandole del tutto.

In tutti gli esperimenti l' osservatore disturba il sistema osservato, nella fisica delle particelle tale disturbo diventa così predominante che la risposta che otteniamo (ad esempio, sei onda o sei particella ?) dipende dal MODO in cui poniamo la domanda...la natura sembra prendersi gioco dello sperimentatore, questo fu il grande buoi all' inizio del Novecento.

Non sorprende che quanto più ci spingiamo verso le alte energie, tanto meno siamo sicuri di quello che troviamo, e se quello che troviamo sia realtà soggiacente al sistema osservato, o generato dall' atto stesso dell' osservazione.
Il principio di indeterminazione come invalicabile colonna d' Ercole.
Non più oltre...

Nel momento in cui la verifica sperimentale diventasse anche in linea teorica impossibile non resterebbe che concludere che ci troviamo ormai "oltre" la fisica e quindi, semplicemente e letteralmente nella meta-fisica.

Un po' come attraversare il deserto dalla parte opposta ritornando dalla scienza alla filosofia, chiudendo il cerchio fra le culture dopo un immenso viaggio.

Diceva Galileo che il gran libro della natura è scritto in caratteri matematici, e se uno vuole assaporarne l' intera bellezza, deve impararne la lingua.
Perchè sia così non lo sappiamo, possiamo immaginare che la matematica sia nata nella mente umana come riflesso di un ordine naturale preesistente, che è un modo uguale e contrario di intendere il concetto di Spinoza (ma anche di Hegel, mi pare...)

Non posso dirti quanto piacere mi abbia dato questa scorribanda, di cui ti sono grato, Mario.
A presto.

#28   15 Gennaio 2008 - 11:54

 

@melogrande
Una teoria senza verifica sperimentale non è una teoria scientifica...Credo lo si possa dire, e anche Smolin è incline a pensarla così, in fondo. Tuttavia, se sostituiamo alla parola teoria l'espressione "programma di ricerca", sulla scia di Lakatos, i conti tornano meglio. Il tempo storico di una teoria è proprio quello che intercorre tra l'elaborazione del programma di ricerca (fase A) e la verifica empirica (fase B). I due momenti sono sempre successivi, cronologicamente. Nel caso della teoria delle stringhe - caso unico nella storia della scienza - tra A e B sono passati circa 30 anni.
Lakatos corregge il falsificazionismo di Popper, che egli definisce ingenuo: secondo lui il progresso scientifico si realizza attraverso la competizione non di teorie scientifiche, ma di "programmi di ricerca", che comprendono anche la cornice concettuale (la visione del mondo) delle teorie medesime. Una teoria viene scartata, secondo Lakatos, "non perché una osservazione empirica la falsifica, ma perché viene proposta un'altra teoria che rispetto alla precedente 1)abbia maggiore contenuto empirico, 2) sappia spiegare perché la prima teoria ha incontrato il consenso degli scienziati, 3) abbia il suo contenuto empirico corroborato dall'esperienza. Lo sviluppo della scienza, pertanto, scaturisce dalla competizione tra teorie in cui prevale la concezione che appare più adeguata a spiegare i fatti". Lo sviluppo della scienza, secondo Lakatos, viene quindi scandito dalla competizione tra programmi di ricerca rivali. Questa posizione viene solitamente definita un "falsificazionismo metodologico sofisticato".
Mi fermo qui...
Ultima osservazione: il confronto tra livello teorico e livello empirico, fattuale, deve essere visto, in questa prospettiva, come confronto a tre: cioè tra due teorie rivali e i fatti. Una teoria viene scartata non quando qualche fatto la contraddice, ma solo quando la comunità scientifica ha a disposizione una teoria migliore delle precedente.

Mario Galzigna

 

#31   15 Gennaio 2008 - 14:14

 

Sisifo, Afrodite, La modification, Prometeo e gli uomini ibridi

Leggo nella prefazione di "Il caso e la necessità" di Monod: "Soltanto l’uomo, fra gli esseri viventi, è conscio della sua posizione nell’universo e quindi del suo destino. Egli è l’unico essere vivente che appartiene a due regni, la biosfera e il "regno delle idee". Sono citati ad apertura del libro Democrito: "Tutto ciò che esiste nell’universo è frutto del caso e della necessità", e Sisifo di Camus, la sua "possibile" felicità, quelle lotte e quei bagliori minerali che bastano a riempire il cuore di un uomo. Nella prefazione viene anche citato M. Galzigna e la sua accusa a Monod di sconfinare nella metafisica. Un tempo scorrendo la bibliografia avrei ignorato il nome di Galzigna, oggi diventa impossibile, potenza della blogosfera. Gli altri se ne stanno barricati nelle università aspettando le truppe papali.
In un libro di Kuhn la cosa più poetica che trovo è un accenno al "corpuscolarismo", e non c’è una ragione oltre la poesia. In Monod sono le forme di Afrodite ad attirarmi: "È il cesello dello scultore che fa emergere dal marmo le forme di Afrodite; ma la dea, essa, è nata dalla schiuma delle onde (fecondate dall’organo sanguinante di Urano): dai flutti il suo corpo si è dispiegato di per se stesso, da se stesso". (Su Afrodite vedere anche inoui.splinder.com).
Se Monod scrive che la probabilità di vita sulla terra era quasi nulla, siamo sulle soglie della metafisica. Ma, come scrive Serres, la metafisica è a guardia dei punti critici, sta sulle soglie del bianco, dell’astrazione, del simbolo. Tra il prezioso materiale bianco che s’accumula dalla luna (Beckett) e l’abisso del nulla.
Per riallacciarsi al discorso di Deleuze, Monod scrive: "Il valore di realizzazione di un’idea dipende dalla ‘modificazione’ di comportamento che essa provoca nell’individuo o nel gruppo da cui viene adottata". E Monod aggiunge che le idee più forti, più penetranti, sono quelle che ‘spiegano’ l’uomo, la sua immanenza-esistenza, e dissolvono la sua angoscia. "La filosofia è il prezzo da pagare per sopravvivere come animale sociale e non piegarsi all’automatismo", "Sul fenomeno religioso si basa universalmente la nostra specie".
Stare in rete, allora, è anche modificarci al calore delle idee. Ma se l’uomo ruba il fuoco al cielo, quel fuoco da cui si scalda, agisce e pensa, quel fuoco è anche la sua pena, la sua punizione. Non potrà smettere di pensare, di agire, di vivere scaldandosi e amando. "Il furto è nondimeno una colpa che esige una pena, pagata da Prometeo. Il senso è che l’uomo ha infranto l’ordine naturale, ponendosi come un ‘ibrido’: essere naturale, composto, come tutti gli altri, di terra e di fuoco, e tuttavia partecipe della sorte e della condizione divina (theia moira)." (C. Sini).
Alfredo Riponi

 

 

#36   16 Gennaio 2008 - 02:03

 

@melogrande
Carissimo,
proprio stasera, a Padova (parlo della sera di martedì 15), ho avuto l'opportunità di partecipare ad un dibattito - al caffè Pedrocchi, alle 19 - con un gruppo di brillanti ed importanti fisici: tra essi Gabriele Veneziano (a cui lo stesso Smolin, a p. 103, riconosce di aver messo a punto per primo, nel 1968, una formulazione della teoria delle stringhe), e il più giovane, brilllantissimo Carlo Rovelli, esponente di rilievo della gravità quantistica (Smolin lo valorizza esplicitamente, a pp.339-340).
La discussione è stata ampia e appassionata. Presenti anche altri fisici di grande spessore, di cui ora non ricordo il nome. Emergeva un atteggiamento di fondo, comune a tutti: l'importanza assegnata al momento sperimentale. Come dicevo, seguendo Lakatos (che tra i fisici ha sempre goduto di un grande prestigio), se è vero che la proposta di una teoria può anche essere sganciata, in prima battuta, da uno specifico progetto di verifica empirica, è altrettanto vero che il programma di ricerca elaborato a partire da detta teoria prevede, al suo interno, la validazione empirica. Sia Veneziano che Rovelli, anche se appartenenti a due filoni diversi della teoria e della ricerca, hanno molto insistito sulla NECESSITA' di un supporto sperimentale che possa convalidare o falsificare la teoria medesima.
Parlando del noto CERN di Ginevra, dove ha lavorato attivamente, Veneziano metteva in evidenza l'esistenza simultanea di tre settori diversi, di tre figure diverse, programmaticamente orientate all'interconnessione: gli sperimentali, i teorici, i "tecnologi" (ad es. i costruttori degli acceleratori: macchine complesse e costosissime, costruite ad hoc, a partire dalle richieste della teoria).
Se quindi intendiamo la locuzione "teoria scientifica" in senso forte e specifico, è da escludere la postulazione di "un' indimostrabilita' per via teorica", come tu dici. Esiste invece un livello preliminare, quando ancora la teoria non è programma di ricerca, dentro il quale la teoria stessa è, come diceva Popper, un azzardo, un libero gioco del pensiero. Ed è qui che la teoria è maggiormente aperta alle sollecitazioni di una filosofia, di una "metafisica influente".

Mario Galzigna

#17   14 Gennaio 2008 - 16:22

 

De casu et necessitate mi pare sia dello stesso Prigogine che per quel che mi riguarda è tra le maggiori fonti di ispirazione quando devo andare "oltre..."
Non è mio stile sputare sentenze tantomeno trincerarmi dietro citazioni incomprensibili: nel mio cammino da apprendista stregone delle sideree cose, ho sempre avuto necessità della mente prima che della calcolatrice. Ma per passare dalla teoria, dall'intuizione, dalla dimensione pensata, alla dimostrazione scientifica secondo il metodo in uso ormai da Newton in poi, mi affido alla impersonale, inumana, distaccata dalle umane incertezze lex mathematica.
Tendo di conseguenza a diffidare di chi usa solo l'una o l'altra delle due strategie, vuoi per la naturale tendenza a dar credito ai fatti scientificamente provati più che ai voli pindarici della mente di cui vado perennemente affetto sin dai primi stentorei vagiti nel mondo dell'Astronomia.
Dietro ogni modello cosmologico c'è più di un flosofo, più di un pensatore interdisciplinare.
Ma alla fine la sintesi e la verifica si ottiene con i dati che si procurano e si elaborano con strumenti matematici.
Il grosso ostacolo che ora si pone è che per affrontare l'abbattimento del muro cui da 30 la fisica cozza, sembra necessario formulare una nuova matematica la cui complessità per ora ci impedisce di trovare una risposta.
Questo ancora non significa che la diretta via sia del tutto smarrita.
Ribalto i ruoli allora e confido nella matematica come metodo, e nella mente come strumento.
Ma nel rispetto della logica e delle conoscenze acquisite dalla fisica.
GB.

 

#40   17 Gennaio 2008 - 14:49

 

[…]
Conoscenza e scienza. Pensieri disordinati

Ieri sera in TV, Cini ha detto: "Ora che la scienza ha già il dominio sulla materia, e quasi sulla materia vivente … non possiamo permettere…". La parola seguente non era, nelle vere intenzioni, "Papa", ma "Etica". Filosofia, arte, letteratura, poesia, uomo … sono quasi sempre, per la scienza, elementi perturbanti. Odifreddi tiene a rilevare poi che l’epistemologia non è scienza.
Ma la filosofia c’entra, come c’entra la politica, il controllo sulla ricerca scientifica.
"In particolare, si possono criticare le richieste della scienza — più denaro, più potere, maggiore influenza sulla politica e specialmente sull’educazione — senza essere scienziati. La critica democratica della scienza non solo non è un’assurdità, ma appartiene alla natura stessa della conoscenza" (Feyerabend).

"Tutto il resto sono parole", la cosa strana è il trovare volumi di parole per spiegare quel che non avrebbe bisogno di parole, ma solo di formule matematiche, infine nemmeno di queste se l’uomo è presenza non rilevante.

Trinh Xuan Thuan (La melodia segreta) accosta Pascal, Monod e Weinberg, angoscia, caso, vuoto di senso, tre risposte equivalenti di fronte all’apparente silenzio dell’Universo, diventato "bruit et fureur". Da Pascal a Faulkner a Proust, il mistero, tic-tac, del tempo; la musica silenziosa dello spazio.

Postulare un inizio dell’universo, la deflagrazione iniziale, il momento in cui qualcosa comincia (come dice Kant), un’avventura, una dynamis, la ricerca di un principio delle cose, non è, in fondo, un sostituire alla fiducia parziale nel linguaggio ("Dio"), una fiducia illimitata nella materia, nell’Homo faber più che nell’Homo sapiens ? In altri termini il primo avrebbe "un posto necessario nei piani della natura" (Monod) , il secondo sarebbe un’eccezione, frutto del caso e destinato ad una perenne ricerca di senso "in un universo gelido" e, soprattutto, "indifferente".
Monod conclude il suo libro scrivendo che la scienza, la conoscenza oggettiva, si è potuta sviluppare soltanto nell’Occidente cristiano dove sacro e profano sono due sfere distinte. E Kojève ha scritto un piccolo saggio intitolato "L’origine cristiana della scienza moderna". La scelta tra il Regno e le tenebre è sempre più complessa, tra la ricerca di senso e una spiegazione scientifica che annulli per sempre la nostra pretesa a essere.

" Il cosmo è perfetto nella sua armonia. L'uomo può dirsi altrettanto ? " Non è casuale la scelta del titolo per le lezioni trentine di Feyerabend "Armonia e ambiguità". A pag. 64 dell’edizione economica Laterza F. scrive "per gli scienziati bisogna modificare la natura, gli eventi secondari devono essere tolti di mezzo, i processi fondamentali amplificati al punto di essere percepiti senza ambiguità". Questo fanno i laboratori, manipolano la natura.
Per fare un esempio. Trinh Xuan Thuan scrive che il tempo irreversibile è assente nel mondo delle particelle elementari, ad esclusione del "mesone K.", la sua disintegrazione in tre particelle è reversibile (99% dei casi), ma quando si disintegra in due particelle (1%dei casi) è irreversibile. Solo che il mesone K. non esiste in natura, ma è prodotto dagli acceleratori di particelle.
Leggendo il suo libro, scrive Trinh Xuan Thuan, il nostro cervello acquisirà un milione di frammenti d’informazione in più, quindi sarà più ordinato. Ma, aggiunge, per leggere il suo libro dobbiamo consumare calorie sotto forma di nutrimento, trasformando una fonte di energia ordinata in una forma d’energia disordinata che restituiremo attraverso il calore e le secrezioni della nostra pelle. In tal modo aumenteremo il disordine totale dell’universo di 10 milioni di milioni di milioni di volte più dell’ordine acquisito dal nostro cervello. Conclude quindi dicendo che possiamo stare tranquilli, perché, leggendo la sua opera, la freccia del tempo termodinamica non sarà violata.

Trovandomi d’accordo con i tuoi interventi Mario, spero in un tuo prossimo post su scienza e epistemologia che metta un po’ d’ordine (anche nei miei pensieri). Dubito dell’armonia che astrogigi (ma anche le sue certezze sono vacillanti) vede nell’universo. In altre parole, un universo ordinato potrebbe solo essere un universo senza vita e senza coscienza. E mi viene in mente che è "nella" coscienza che tempo e spazio hanno importanza. O come scrive J. Jaynes ("Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza") "Si tratta di un’esplosione cognitiva in cui l’interazione tra la coscienza e la restante cognizione produce nuove capacità".

Alfredo Riponi

 

 

#51   19 Gennaio 2008 - 17:13

 

Non ho ancora letto il libro di Smolin, ma devo dire che, come fisico che segue gli sviluppi della fisica teorica da una vita, il commento di Lauro e Mario Galzigna mi sembra perfetto! Posso solo aggiungere alcune cose che discendono dalla mia visione personale del problema.

L'aspetto piu' sconvolgente della fisica teorica degli ultimi 50 anni e' il ruolo crescente assunto dalla condizione di "rinormalizzabilita' " sia come criterio di coerenza delle forme e dei modi dell'esistenza fisica sia come strategia di predittivita' teorica. I colossali investimenti in uomini e mezzi messi in atto nella fisica sperimentale ha una delle sue piu' cogenti motivazioni nell'enorme grado di predittivita' scientifica fornita dalla fisica teorica.

Questo si spiega in un solo modo: la macchina matematica della fisica teorica non e' tanto un modo di stabilire una corrispondenza tra dati empirici e linguaggio matematico, come la visuale positivista insisterebbe a predicare, ma piuttosto un modo di stabilire una rappresentazione piu' o meno fedele della capacita' operazionale della macchina naturale. La predittivita' nasce dal fatto che la macchina teorica riesce a produrre anticipatamente come oggetti formali cio' che la macchina naturale produce come oggetti materiali.

Ma per servire bene a questo scopo, la macchina matematica non deve incepparsi nelle contraddizioni formali che ogni idealizzazione infinitaria della potenza operazionale della natura inevitabilmente comporta. La condizione di rinormalizzabilita' impone in pratica la coerenza dialettica interna della macchina formale a tutte le scale spaziotemporali. Non solo nella direzione dell'infinitamente piccolo e dell'infinitamente breve, ma anche dell'infinitamente esteso e dell'infinitamete durevole.

L'impasse con la teoria della gravitazione nasce proprio in relazione a questo problema.
Per la teoria einsteiniana della gravitazione lo spaziotempo non e' altro che il campo gravitazionale stesso. Cio' significa che non esiste un teatro divino degli eventi, avulso dagli eventi stessi, nel quale le particelle materiali sono poste a recitare la loro commedia cosmologica; ma esiste solo un grande sistema di relazioni tra particelle che dipendono dalle forme e dai modi dell'esistenza materiale. A scala macroscopica queste relazioni formano una geometria spaziotemporale che puo' essere descritta solo zonalmente, come le carte dell'atlante terrestre, che dipende dalla quantita' moto e dall'energia presente localmente.
Se si ingnorano i fenomeni d'indeterminazione quantistica, le regioni spaziotemporali piccole possono assumersi come localmente piatte. Ma poiche' nell'infinitamente piccolo l'indeterminazione di quantita' di moto e di energia diventano infinite, l'intorno geometrico di un evento puntiforme esplode in un frattale infernale indescrivibile! La difficolta' su cui si e' incagliata la fisica teorica e' questa e solo questa.

Sono convinto che la teoria delle stringhe sia stato solo un escamotage piuttosto naif messo in atto per eludere questo ultimo formidabile problema della fisica.

Renato Nobili, Dipartimento di Fisica G.Galilei. Universita' di Padova.

 

 

#79   24 Gennaio 2008 - 22:05

 

Astro io lascerei il tuo commento senza risposta. Come vorrei lasciarti nella pace, nell’armonia delle formule e del cosmo, a cui in fondo vorrei credere anch’io. Siccome abbiamo tutti bisogno di una coperta calda. D’altra parte vorrei dirti che la tua "visione" del mondo non è così diversa da quella di un filosofo o di un mistico. Mario potrà dirti meglio di me quanti fisici o altri scienziati si sono affidati alla filosofia per rendere in parole le loro scoperte. Come leggo nella postfazione di un suo vecchio libro (che mi ha appena regalato): "Troppo spesso egli (lo scienziato) esce dalle sue competenze per impegnarsi sullo scivoloso terreno della storia e della filosofia". Ogni nuova formula ha bisogno di vecchie formule; ogni nuovo pensiero ha bisogno di pensieri già formulati. Uno dei "miei" pensatori, Georges Bataille, che si è anche occupato di stelle (come vedrai) dice dell’odio che c’è in lui per il pensiero individuale, del moscerino che afferma "Io penso differentemente"; "Io muovo, quando faccio avanzare una parola, il pensiero degli altri, una spigolatura casuale di sostanza umana attorno a me". Le divinità che abbiamo creato stavano in un cielo divino, dove si muovevano ignorando la gravità terrestre. Noi siamo ancorati a questa parte d’universo, incollati alla terra, al sentiero che dobbiamo percorrere, come le stelle ignoriamo la nostra origine e la nostra fine. Ma siamo anche dentro l’universo, impegnati con la Galassia in un allucinante viaggio. Non c’è un centro ma come scrive Bataille "il vortice delle stelle ha la sembianza di un fiore che si schiude". "In mezzo al cielo una piccola regione si è data l’autonomia. L’illusoria immobilità e la reale pesantezza del nostro suolo si sono separate dal moto in cui si perde l’insieme. (…). Come potrei in effetti partecipare all’ebbrezza del cielo ? Io guardo, e guardare richiede la mia presenza pietrificata in questo punto del mondo. La mia condizione di uomo riporta ognuna delle verità sensibili da me riconosciute all’errore del suolo fisso, all’illusione di un fondamento immutabile".
"Quando una particella decade, libera energia; il mio corpo in sfacelo cosa libera ? La danza dei miei pensieri è una cacofonia di strazi.". Se i nostri pensieri stridono forse è solo perché non vogliamo o riusciamo ancora ad armonizzarli con quelli degli altri. La nostra tensione è verso l’unione che c’è sulla terra, anche se vorremmo perderci nelle stelle. "La stella è sfolgorante e il nostro suolo è freddo. La stella prodiga le sue forze: il nostro suolo si divide in particelle avide di forza. Non c’è limite all’avidità delle particelle."
Bataille scrive che senza la scienza non avrebbe potuto dire questo (quello che ho citato); ma si è servito della scienza per dirci quel che la scienza non avrebbe mai potuto dirci. Così io mi sono servito del pensiero di Bataille per dirti anche con parole mie come vedo l’universo.
Per dirti com’è il mio cielo ti lascio le prime parole con cui tentai qualche anno, invano, di mettere mano ad un libro. Parole che possono dire qualcosa o non dire nulla.

***

Le parole di Socrate in punto di morte segnano il passaggio ad un nuovo mondo: "O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio". La morte è guarigione dalla vita, ironia ed abbandono, nessun rimpianto. Gli ultimi detriti dell’Olimpo sono caduti sulla terra quando è iniziato il legame dell’uomo con la morte. Il cielo notturno non è nulla più di una fragile pergamena sulla quale scorgiamo i raggi superbi della luna. Dopo la morte di Socrate gli uomini sono diventati più soli di fronte al destino.

***

Io sento la magia di un quadro di Matisse, della musica di Mozart, o della Pietà, non devo entrarvi, svelare un mistero, ma guardare, ascoltare, o cercare parole sempre limitate per descrivere. L’intera bellezza forse non mi sarà mai rivelata, ma svelare un’opera potrebbe cancellarne la bellezza.
Sul mio blog, invece, da qualche parte c’è questa piccola cosa di Bachelard, che mise farouche, perché lei mi vede così. Chissà, forse anche tua moglie e tua figlia ti vedono come un sognatore. Forse sogniamo soltanto quando pensiamo, calcoliamo, osiamo andare oltre. O forse siamo soltanto sogno… come direbbe Borges.

"Il sognatore è al suo tavolino; è nella mansarda; accende la sua lampada. Accende una candela. Accende la sua bugia. Allora mi ricordo, allora mi ritrovo: anch'io, come lui, veglio. Studio come lui studia. Il mondo è per me, come per lui, il libro difficile rischiarato dalla fiamma di una candela. Perché la candela, compagna della solitudine, è soprattutto la compagna del lavoro solitario. La candela non rischiara una cella vuota, rischiara un libro. Solo, di notte, con un libro rischiarato da una candela - libro e candela, doppia isola di luce, contro le tenebre doppie dello spirito e della notte. Io studio! Non sono altro che il soggetto del verbo studiare. Pensare, non oso. Prima di pensare, si deve studiare. Solo i filosofi pensano prima di studiare. Ma la candela si spegnerà prima che il libro difficile venga capito. Non bisogna perder nulla del tempo di luce della candela, delle grandi ore della vita studiosa. Se alzo gli occhi dal libro per guardare la candela, io non studio, io sogno. Allora le ore fluttuano nella veglia solitaria. Le ore fluttuano tra la responsabilità di un sapere e la libertà delle rêverie."
(G.Bachelard, La fiamma di una candela.)

Alfredo Riponi

#104   27 Gennaio 2008 - 17:10

 

LEGGIBILITA’ MATEMATICA DEL MONDO

- Complimenti ai commentatori: il dibattito deve la sua ricchezza all’interessante e inedita varietà dei punti di vista e dei vertici osservativi che si sono manifestati. Da parte nostra, qui, solo qualche considerazione su certi nodi cruciali del pensiero scientifico contemporaneo in ambito fisico-matematico. Più avanti, semmai, alcune considerazioni di carattere epistemologico e filosofico.

- La fisica cerca di comprendere i fenomeni naturali e di superare le limitazioni delle nostre percezioni sensoriali con le quali si può descrivere ciò che appare. Le leggi di natura — architrave della leggibilità matematica del mondo — si possono esprimere come equazioni contenenti variabili incognite collegate tra loro da costanti, cioè da valori numerici caratteristici di fenomeni diversi (es.: costante di Planck h, costante di Boltzmann k, velocità della luce c, costante di gravitazione G, eccetera). Il nostro sistema percettivo è strutturato in modo da farci considerare lo spazio come tridimensionale, ma per descrivere lo spazio compiutamente occorrono molte ulteriori dimensioni (10, 20 o più) che si possono immaginare come "nascoste" nelle pieghe dello spazio stesso.
La geometria euclidea è un’astrazione che si riferisce ad un ipotetico spazio vuoto di materia, poiché la presenza di materia condiziona la geometria (o la topologia) di uno spazio curvo (e viceversa).
L’elettromagnetismo è il più importante paradigma che il XIX secolo ci ha lasciato in eredità. In esso due fenomeni osservati separatamente, come elettricità e magnetismo, vennero identificati come espressione di un unico campo elettromagnetico, di cui M. Faraday dette una rappresentazione pittorica e che J. C. Maxwell definì matematicamente.
Faraday era un autodidatta privo di conoscenze matematiche approfondite, ma capace di profonde intuizioni fisiche e il suo fu un modello descrittivo statico che Maxwell rese dinamico: capace cioè di predizioni in virtù delle equazioni differenziali del calcolo infinitesimale usate per definirlo (cfr. M. S. Longair, Theoretical concepts in physics, Cambridge, 1984).
La matematizzazione di Maxwell e il largo uso dell’analogia — cioè l’applicare ad un fenomeno come l’elettromagnetismo i formalismi messi a punto per descriverne un altro, come l’idrodinamica — furono in grado di anticipare quanto doveva essere osservato sperimentalmente e realizzato dalla tecnologia che oggi ci circonda ( radio, TV, PC ecc.).
Per P. Dirac, uno dei grandi fisici del ‘900, anche la bellezza e l’eleganza formale delle equazioni della fisica teorica funzionavano come garante della loro validità. Per lui la verità formale anticipava la verità sperimentale; l’equazione d’onda dell’elettrone aveva per esempio soluzioni con energia negativa che erano coniugate complesse di soluzioni con energia positiva: e queste, in realtà, erano particelle di antimateria — ipotizzate teoricamente e in seguito scoperte sperimentalmente da altri — dette positoni o positroni ( P. Dirac, I princìpi della meccanica quantistica, Boringhieri, Torino, 1959).

Lauro e Mario Galzigna

 

#106   28 Gennaio 2008 - 18:50

 

Nel commento #41 avevo ricordato due teorie del vivente e dei suoi rapporti con il cosmo per certi aspetti contrapposte: la prima, quella del nobel Jacques Monod, che vede la vita come caso assoluto: come episodio casuale neghentropico all'interno di una economia generale entropica. A questa visione ho accostato quella del premio nobel Manfred Eigen, brillantemente esposta in un libro uscito in Italia e scritto assieme a una sua collaboratrice [Manfred Eigen - Ruthild Winkler, Il gioco, Adelphi 1987 (seconda edizione)].
Eigen (nato nel 1927) è un biofisico, chimico e chimico-fisico tedesco, premio Nobel per la chimica nel 1967. Eigen, lo ripeto per comodità di chi legge, senza bisogno di RIDURRE la biologia alla fisica, cerca di "chiudere il gap" tra le due discipline, derivando il principio di Darwin da proprietà note della materia. Tutto il ragionamento poggia su una concezione dualistica della materia, di impronta buffoniana: UN PARTICOLARE TIPO DI MOLECOLE POSSIEDE LA PROPRIETA' DELLA "AUTOCATALISI". E il processo autocatalitico, in certe condizioni ambientali, rende possibile il passaggio dalla materia inerte alla materia vivente (cioè da una fase pre-biotica a una fase caratterizzata dalla presenza di SISTEMI AUTOREPLICANTISI). Questa transizione di fase fa emergere i primi livelli di autoorganizzazione della materia (la quale autoorganizzazione dipende
da proprietà intrinseche della materia e dall'ambiente). Come dice Eigen: "Uno dei registri decisivi dell'autoorganizzazione è la funzione catalitica combinata con meccanismi feed-back che producono una proprietà di crescita autostimolata del sistema".
L'insieme formato dalla combinazione tra acidi nucleici e proteine, una volta instauratosi, può essere rappresentato come ciclo chiuso ("iperciclo catalitico autoistruttivo"). L'evoluzione di questo insieme, e quindi l'evoluzione della vita, poichè si basa su un principio fisico derivabile, deve essere considerata INEVITABILE, nonostante che il corso di tutto il processo sia INDETERMINATO...
Dunque: LA COMPARSA E L'EVOLUZIONE DELLA VITA COME PROCESSO INEVITABILE A DECORSO INDETERMINATO.
Il vivente, dunque, in quanto evento necessario, in quanto processo inevitabile a decorso indeterminato, appartiene alla legalità generale dell'Universo. L'infima parte, che noi siamo in quanto esserei viventi, sviluppa, nel corso dell'evoluzione, un'intelligenza capace di pensare il tutto. La mente pensa il tutto, l'infinito. Un tutto governato da COSTANTI: costante di Planck (h), costante di Boltzmann (k), velocità della luce (c), costante di gravitazione (G)... Costanti valide per il mondo microscopico e per quello macroscopico. Noi apparteniamo al mondo descritto a partire da queste costanti e descrivibile solo in base a queste costanti. Vi apparteniamo, appunto, in quanto parti.
Il PRINCIPIO ANTROPICO (cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Principio_antropico) va molto oltre. Stabilisce che le costanti sono quello che sono per permettere alla vita di nascere. Per permettere all'uomo di capire l'universo. Il dibattito sviluppatosi attorno al principio antropico è vastissimo, non riassumibile. Personalmente, prediligo filosoficamente la posizione che critica, nel principio antropico, il prevalere di un ragionamento teleologico e finalistico. Un ragionamento che è stato portato al limite proprio da uno dei principali creatori e fautori del principio antropico, Frank Tipler (cfr. La fisica dell'immortalità. Dio, la cosmologia e la risurrezione dei morti, Mondadori 1996). La declinazione teleologica del principio, già severamente criticata dal grande Stephen Hawking, diventa qui deriva teologica e metafisica e addirittura religiosa.
Se l'ambizioso disegno della teoria delle stringhe andasse in porto - se cioè si riuscisse, attraverso la scoperta della gravità quantistica, ad unificare teoria delle relatività e meccanica quantistica (macro e micro)- molto probabilmente dovrebbe essere rivisto tutto l'assetto teorico fondato sull'individuazione delle costanti. Ma il ragionamento teleologico-finalistico-teologico, rimarrebbe comunque, questo il mio modesto avviso, una forzatura ideologica e religiosa assolutamente sconnessa dallo sviluppo di un ragionamento scientifico fondato su prove empiriche.
Mario Galzigna

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