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"Psichiatria generale e dell’età evolutiva" (numero speciale dedicato ad Arthur Tatossian, a cura di Riccardo Dalle Luche e Giampaolo Piazza), La Garangola, Padova, fasc. 1, 2001.

Sul grande psichiatra di Marsiglia Arthur Tatossian, scomparso qualche anno fa, sta crescendo l'interesse nel nostro paese: grazie a R. Dalle Luche e G. Di Piazza, in Italia escono traduzioni dei suoi scritti. Un numero unico della rivista padovana "Psichiatria generale e dell’età evolutiva" (fasc. 1, 2001) è a lui dedicato. E’ inoltre in preparazione, per i tipi di Marsilio, l’edizione italiana del suo celebre libro Fenomenologia delle psicosi.

Come Direttore della suddetta rivista, ho il piacere e l'onore di presentare, anche ai lettori di POL.it, questo numero dedicato agli ultimi scritti di Arthur Tatossian. Il mio incontro col suo pensiero psicopatologico e fenomenologico avvenne quando comprai il suo libro Phénomenologie des psychoses a Parigi, in Place Danton, in una libreria ora scomparsa. Era il 1979, l'anno della pubblicazione. Si trattava di un Rapport de Psichiatrie, presentato nel 72° Congresso della Società di Psichiatria e Neurologia di Lingua Francese, tenuto ad Angers nel giugno di quell'anno. L'etichetta di resoconto congressuale era troppo modesta. Si poteva piuttosto parlare del più completo trattato di fenomenologia psichiatrica esistente, non solo all'epoca, ma anche ora.

Il libro è stato per me un costante compagno di viaggi, di ferie e di fine settimana. L’ho letto e riletto anche quando mi dedicavo contemporaneamente ad altro e ai miei interessi di psicoterapia psicoanalitica delle psicosi. Dopo l'uscita, sul Traité de Psychopathologie (a cura di D. Widlocher) nel 1994, del capitolo La subjectivité, sempre di Arthur Tatossian, mi divisi tra i due testi, ma sempre con una preferenza, anche di comodità per ragioni di peso, per il primo. Lo avrei voluto più facile da consultare. Mi sono costruito un indice analitico, anche se l'indice generale era più che completo.

Tutti gli autori che si amano sono interlocutori privilegiati nel dialogo interiore, maestri da consultare o semplicemente da sentire, ogni volta che si affronta un nuovo argomento. Con loro si entra in familiarità, si stabilisce una parentela: il cognome Tatossian mi rievocava tanti amici appartenenti alla diaspora armena; mi rievocava la persecuzione e il genocidio, con cui era iniziato il secolo appena trascorso, commemorato assieme al genocidio ebraico proprio quest'anno, nell'Università di Padova, che ha avuto tanti maestri e scolari armeni. Ricordo la sapienza e la tenacia di questo popolo, il loro saper ricominciare, la distinzione nelle scienze e nelle arti e tante altre cose di una cultura così intimamente legata a Venezia ed all’isola lagunare di S. Lazzaro degli Armeni, attivo centro di diffusione della cultura armena, con biblioteca e tipografia: un vero pezzo di Oriente trapiantato in Laguna.

Cosa ho imparato da Tatossian? Ho approfondito ed esteso la fenomenologia psichiatrica. L'ho imparata in modo efficace, preciso ed austero, senza quei giri di parole preziose ed enfatiche che spesso si trovano in parte della letteratura che conoscevo, in cui il "parlare intorno" pareva servire a non centrare il tema. Forse quella stessa letteratura ha contribuito a far detestare la materia e a ridurre - se non, di fatto, ad abolire - l'insegnamento di psicopatologia nelle scuole di specializzazione pubbliche: un insegnamento da me tenuto per molti anni in tali scuole e che tuttora continuo ad esercitare privatamente.

Tra i numerosi contributi di Tatossian uno dei più rilevanti riguarda la distinzione tra sintomo e fenomeno, sul quale mi soffermo. Egli ricorda, con Callieri, che nei testi degli psichiatri che trattano di fenomenologia e di Daseinsanalyse i sintomi hanno una terminologia greco-latina mentre i fenomeni sono resi nel linguaggio quotidiano. Dovrebbero essere espressi così, ma in realtà l'uso e l'abuso, parlo anche di peccati personali, della lingua tedesca hanno portato il quotidiano di quella lingua a rappresentare una raffinatezza manieristica, o per lo meno un atteggiamento snob, come ha segnalato Rossi Monti.

Il "sintomo" è specifico della medicina somatica, tanto è vero che Kurt Schneider, nel suo rigore, lo ha escluso dalla psicopatologia ed ha preferito parlare di segno, Merkmal. Rimane valido l'uso del termine "sintomo" in psichiatria solo in quella parte di essa che è propriamente neuropsichiatrica: come nelle psicosi su base somatica, demenze o altro e, come osserva Tatossian, anche nell'obiettivo constatare modificazioni del comportamento motorio, gestuale, mimico e verbale, ivi compresi molti contenuti come le idee deliranti e gran parte di quei sintomi che sono valutati attraverso le scale. I sintomi della medicina rimandano sempre ad altro; sono mediazioni che indicano alterazioni corporee, umorali, organismiche in genere. Ma nella psichiatria, e ciò le è specifico, non si rimanda per niente ad altro, perché il chiarimento del vissuto non rimanda che a se stesso o ancora ad un interlocutore interessato alla comprensione; in fondo lo psichiatra può trasmettere solo un’esperienza vissuta.

Per rendere chiara la diversità tra il fenomeno che si rileva in psichiatria e il sintomo della medicina, Tatossian cita queste parole di Griesinger: "Due persone possono dire o fare esattamente la stessa cosa, per esempio esprimere la loro credenza nelle streghe o la paura di essere dannati per l'eternità; l'osservatore accorto, affermerà che uno è alienato, l'altro sano. Quello che rende possibile una tale sicurezza di discriminazione, sono l'esperienza personale e l'attenta valutazione di tutte le circostanze concomitanti. La polivalenza diagnostica del dire o fare la stessa cosa implica che non si tratta per niente della stessa cosa. Qui la stessa cosa non vuol dire lo stesso comportamento materiale, ma piuttosto lo stesso vissuto e tutto sarebbe falso se i due individui avessero lo stesso vissuto".

Tatossian completa il suo scritto ricordando l'apporto di Tellenbach, che distingue in modo analogo tra sintomi e fenomeni; mi ripeto e preciso: i primi sono degli indici, dei segnali che rimandano alla malattia o all'alterazione anatomo-fisiopatologica, che sta dietro ai sintomi, per conoscere la quale occorrono inferenze diagnostiche. Invece i secondi, in modo analogo al vissuto, che Glatzel chiama struttura, si mostrano direttamente attraverso la conoscenza fenomenologica, come può essere chiaramente apprezzato a proposito dei vissuti temporali e spaziali del melanconico o della conoscenza intuitiva della schizofrenicità secondo Rümke. Come scrive Tatossian, le due posizioni devono trovare un loro equilibrio, tra empirismo e apriorismo: occorre integrare le scienze dei fatti con le scienze dell'essenza, per non avere una conoscenza schiacciata dal fatto bruto o al contrario una ricerca di essenze cieca alla fatticità.

Gli studi qui presentati sono curati e tradotti dagli psichiatri Riccardo Dalle Luche e Gianpaolo di Piazza: sono un dono della signora Tatossian e rappresentano una novità, essendo in gran parte posteriori ai libri citati.

I temi trattati, molteplici e tutti modernissimi, riguardano l'area della schizofrenia e quella della melanconia. La loro attualità si evidenzia a un semplice scorrere i temi: l'identità umana come soggettività permanente nel tempo; l'identità narrativa e i tipi di narrazione nei diversi disturbi psichici e poi ancora una riflessione sulle condizioni a priori della psicoterapia degli schizofrenici; infine una nota sull'interpretazione paranoica e paranoide.

La lettura di questi scritti, mi auguro, ci aiuterà a riaffrontare rigorosamente i temi della nostra disciplina, con fedeltà ai temi stessi, senza abbandonarsi a fughe dolciastre che ci portano lontano dal tragico, dall'alienato e dal grandioso: grandi moti che sono nel cuore di ogni uomo, e che appaiono vistosamente in quell'esperimento unico di natura, come scriveva Binswanger, che è il disturbo psichiatrico. Questi sono scritti da meditare, nei quali il tragico, il dolore e la gioia orgiastica o sfrenata (euforia, discolia) dell'uomo, il perdersi dentro di sé in un labirinto insondabile ed enigmatico, sono affrontati con misura paziente e non elusi; qui il pre-melanconico - o Typus melancholicus di Tellenbach - è proprio la sconcertante persona che conosciamo e che non è facile saper rendere in parole come fa Tatossian (1994): "Tutto il suo essere è per l'altro, egli è eminentemente normale, ma la sua anormalità è imposta perché non ha la libertà di non poter non essere normale. L'entourage trae benefici da questa normalità e non si accorge della mancanza di libertà. Non può esserci cambiamento o maturazione, solo conferma della sua vita, che va vista come una cronaca e non come una biografia. Egli è come una marionetta e la mano che la guida può essere chiamata Endon, con Tellenbach, ed è la stessa cosa di ciò che, in altri tempi, si sarebbe chiamato Dio, o, modernamente, i valori inculcati da una famiglia, che fin dalla più tenera infanzia, mette l'accento su quella che ho chiamato identità di cosa piuttosto che di essere umano. In tal modo questo uomo-utensile raggiunge una iperstabilità troppo rigida da non resistere alle esigenze del quotidiano. Lo sprofondamento di questa identità, legata al ruolo, la si chiama melanconia".

In questi scritti seri e non elegiaci, la disperazione melanconica è proprio anelito di morte, liberazione da una prigione di mondo e il suicidio, come succede ad Ellen West (Binswanger, 1944), è festa della morte. Nulla di tutto questo assomiglia a quella melanconia poetica, ripresa in un recente pullulare di lavori e deprivata della sua essenza, che è il franare e la perdita del sé, perché anche il parlare del tragico non sembra conveniente, come lo è, al contrario, il salvare, in forme edulcorabili, un prodotto letterario da vendere. Il lettore che voglia con amore e coraggio affrontare vita e morte, abbisogna di una guida sicura, di un Virgilio che scenda insieme con lui agli inferi, con amore della verità e serenità classica. Questo lo può fare con la guida di Arthur Tatossian.

GIOVANNI GOZZETTI

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