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Arthur Tatossian

La fenomenologia delle psicosi

Giovanni Fioriti Editore, Roma 2004

pp313, Euro 32,00

La traduzione italiana dell’opera del 1979 di Tatossian è una novità vera e propria nel panorama italiano, vista la scarsità di classici della fenomenologia psichiatrica a tutt’oggi disponibili nella nostra lingua. E che questo testo vada considerato un classico non c’è alcun dubbio, innanzitutto per il rigore che lo percorre interamente nella definizione di ciò che è fenomenologia e di ciò che non lo è. Il testo punta su due strumenti formidabili: da un lato l’assimilazione profonda della metodologia della disciplina, dall’altra una terminologia particolarmente attenta, con continui confronti tra le dizioni originarie della fenomenologia filosofica, i termini coniati dagli psichiatri che si sono maggiormente spesi nel tentativo di costruire una fenomenologia psichiatrica e con il linguaggio hanno impresso un marchio personale alla propria opera (Binswanger, Minkowski, Tellenbach soprattutto), i termini dello stesso Tatossian. L’importanza cruciale del linguaggio è colta in pieno e sottolineata dai curatori della traduzione (R.Dalle Luche, G.Di Piazza) nella compilazione di un’edizione particolarmente attenta, che fornisce tra l’altro un prezioso glossario in appendice.

Il volume ci rivela l’Autore nella sua acutezza e profonda conoscenza del pensiero fenomenologico in ambito tedesco così come in ambito francese. Lo seguiamo mentre ci guida con disinvoltura lungo un percorso che all’inizio può risultare difficile e un po’ sbilanciato verso l’aspetto filosofico, specie per lo psichiatra di formazione relativamente recente. La fatica iniziale è però compensata dalle sezioni che affrontano specifici aspetti psicopatologici dove essa si rivela una premessa necessaria, una sorta di esercizio fenomenologico, una disciplina da acquisire per non giungere immediatamente a conclusioni affrettate. La prima lezione che se ne trae è infatti quella dell’impegno e della passione nella conoscenza della realtà umana che guarda, giustamente, a ogni forma di riduzionismo come a una minaccia letale per la ricerca. La seconda, entusiasmante, è quella di una profonda e vasta esperienza della psicopatologia e delle problematiche a essa connesse, la cui assimilazione basterebbe da sé a costruire un’identità psichiatrica più che valida nel campo delle psicosi.

Trattandosi di presentare l’autore a un pubblico che quasi non lo conosce, sono presenti note biografiche. La testimonianza della seconda moglie e collega Jeanne Tatossian e dell’amico e collega Jean Claude Samuelian traccia un profilo vivo del personaggio (1929-1995) e del suo contesto culturale di provenienza. Arthur Tatossian, come si può arguire dal cognome, è figlio di profughi armeni, sfuggiti alla persecuzione turca, piccoli commercianti di pelli approdati nel sud della Francia, a Marsiglia, agli inizi del secolo scorso, quando le discriminazioni nei confronti degli immigrati erano molto più forti di ora. E’ intelligentissimo — del resto lo si capisce leggendolo - e per di più consapevole che solo una straordinaria applicazione agli studi può essergli alleata per superare l’ostacolo di una realizzazione sociale impossibile nel suo ambiente, così, fin da ragazzo, vince tutti i premi, le medaglie d’oro, i concorsi disponibili e si guadagna in tal modo una posizione eminente di medico e di studioso. Del passato difficile conserverà una particolare riservatezza, la mancanza della benché minima ostentazione, una umanità ricca di doti, non ultimo il senso dell’umorismo. Amante della letteratura e della filosofia, con una speciale passione per Kafka, collezionista di libri rari, pieno di tanti altri interessi, della vita insieme a lui la stessa Jeanne T. dice che niente in essa era superficiale o banale.

Addentrandosi nell’esame del testo, colpisce immediatamente la sua suddivisione in cinque parti. La costruzione di una fenomenologia delle psicosi parte così da una sezione introduttiva che definisce la fenomenologia come modo di comprensione "altro e più ampio della comprensione psicologica" e individua nelle psicosi il suo oggetto per eccellenza, a essa segue la sintesi, magistrale, della materia specifica in tre argomenti che corrispondono rispettivamente alle sezioni: Alienazione schizofrenica, Melanconia e Mania, Delirio. L’ultima sezione, conclusiva, La psicosi e le psicosi, riesamina il concetto stesso di psicosi in fenomenologia e prendendo il via dal rilievo di una reticenza nella sua stessa definizione, arriva a illustrare le acquisizioni più interessanti che si sono venute configurando nel tempo. Già l’essenzialità di questo impianto la dice lunga sulla profondità delle conoscenze psichiatriche dell’Autore.

All’essenzialità fa da contrappunto una grande ricchezza, ma soprattutto una completezza di nozioni. La prima sezione, Fenomenologia e Psichiatria, dove viene affrontato il problema del rapporto tra fenomenologia filosofica e fenomenologia psichiatrica, rappresenta di per sé un testo di storia del pensiero fenomenologico: nessun autore e nessuna concezione di un certo rilievo sono trascurati. Questa rivisitazione avviene seguendo un’idea precisa: la tesi è che la fenomenologia psichiatrica non deve derivare da quella filosofica né rappresentarne un’applicazione pratica. La fenomenologia psichiatrica, ugualmente, non può piegarsi alle esigenze immediate della clinica delle malattie mentali e della nosografia, né tantomeno porsi al servizio di teorie psicologiche generali. Innanzitutto per un fatto di coerenza con il metodo: l’epoché fenomenologica, ossia la sospensione dell’atteggiamento naturale e ingenuo e con esso di ogni pensiero antecedente, che è cardine del metodo, va seguita con rigore per non finire col costruire una fenomenologia da ridere, ovvero per non cadere nel dogma. Tatossian, portando la coerenza del metodo fino alle sue estreme conseguenze, dichiara di non accettare alcuna prevalenza dell’ontologico sull’ontico ovvero del trascendentale sull’empirico; la fenomenologia, secondo il suo pensiero, dovrebbe piuttosto integrare questi piani diversi e sarebbe pertanto territorio privilegiato dello psichiatra nella misura in cui questi riuscisse a non cedere al bisogno di sostenere idee preconcette: è allora che si potrebbe realizzare che "l’ontologico emerga dall’ontico e il trascendentale dall’empirico".

La considerazione dell’esperienza psichiatrica, come si vede, è assai alta: essa rappresenta per l’Autore un fatto centrale e segna l’autonomia dell’ambito psichiatrico rispetto ad altri, alla filosofia per esempio dove manca il rapporto diretto con il malato; da questa particolare esperienza potrebbero prendere avvio uno sviluppo nuovo del pensiero dell’uomo sull’uomo e una dialettica diversa tra teoria e prassi, ed è evidente che ciò che interessa Tatossian è questa possibilità, ossia la scommessa in tal senso rintracciabile nelle tendenze più radicali della tradizione fenomenologica in psichiatria. In altre parole, il saggio punta tutto sull’affermazione di una identità "forte" della fenomenologia psichiatrica; lo confermano alcune puntualizzazioni importanti, come quella sulle nozioni di normalità e malattia mentale, così come sui rapporti tra fenomenologia da una parte e pensiero esistenziale, psicoterapia, psicoanalisi dall’altra, dove viene criticata la tendenza di una parte del pensiero fenomenologico a dissolversi in una posizione genericamente esistenziale considerata esiziale per l’identità scientifica della disciplina.

Il filo di tale concezione "forte" si mantiene costantemente in tutte le sezioni dedicate agli aspetti psicopatologici specifici, dove è esplicito l’apprezzamento dell’Autore per gli psichiatri che hanno perseguito nella maniera più rigorosa, sistematica e coerente la costruzione di una fenomenologia delle psicosi. Il capitolo sull’Alienazione schizofrenica ad esempio parte dall’autismo di Bleuler, definito come una nozione autenticamente fenomenologica, e passa al vaglio tutta la ricerca sull’essenza dell’autismo trovando in Binswanger (manierismo) il punto più avanzato e complesso della riflessione sulla schizofrenia. La chiave di approccio a tutti gli Autori che della questione si sono occupati è sempre quella della coerenza della metodologia, è per suo tramite che emerge l’evidenza della centralità, in tutte le forme di schizofrenia, del disturbo dell’espressione (disturbo estetico- fisiognomico), da essa deriva altresì l’accento posto sulla corporeità e sulla manifestazione a questo livello della sproporzione antropologica alla base dell’alterazione schizofrenica.

Seguendo lo stesso metodo di passare al vaglio la coerenza interna delle varie concezioni, si affronta poi il discorso su Malinconia e mania , che trova nel Tempo la sua chiave di volta. Naturalmente è Tellenbach in questo caso, con la sua costruzione ampia e sistematica, a suscitare il maggiore interesse di Tatossian, insieme a Binswanger, che come è noto tornò a più riprese, significativamente all’inizio e alla fine della sua opera, ad affrontare la questione con una svolta filosofica dettata chiaramente da una lunga esperienza.

La sezione denominata Delirio, inizia con il definirlo come la "situazione che ha sempre messo in scacco la psicopatologia". Si tratta forse della parte più interessante di questo testo, anche perché mentre nelle precedenti sezioni il confronto è con problematiche più conosciute per via di una letteratura più accessibile, il materiale disponibile sul delirio è disperso, frammentario e a volte oscuro. Qui le cose da sottolineare sono due: da una parte la capacità di dare una vera e propria summa di tutto quanto c’è da conoscere in materia, di tutti gli Autori che si sono occupati di delirio come anche di tutti i casi clinici classici; l’altro aspetto, è la critica a Jaspers (e "successori", alias K.Schneider). "Il massimo dello scacco a cui il delirio ha condotto la psicopatologia si può vedere nell’opera di Jaspers", afferma Tatossian, che argomenta questa affermazione in modo implacabile, con una ricognizione puntuale delle nozioni jaspersiane di incomprensibilità, incorregibilità, inderivabilità. Ma soprattutto viene attaccata la nozione di processo che, secondo Tatossian, ripristina un dualismo mente corpo che è stato invece evitato dagli studiosi che si sono rivolti a un approccio antropologico al problema: da Minkowski a Straus, von Gebsattel, Storch e Binswanger, all’antropologia comprensiva di Zutt e Kulenkampff, a Blankenburg con la sua perdita dell’evidenza naturale. Il delirio, come sono arrivati a dire tutti questi Autori, sarebbe una possibilità di trasformazione immanente all’essere umano e non riposerebbe su un deficit che lo viene a colpire dal di fuori ma sull’autonomizzazione di momenti essenziali normalmente integrati e integrantesi. Per completare l’illustrazione di questo punto di vista, Tatossian riprende i lavori classici sulla percezione delirante nel normale di Matussek e di Zutt e le osservazioni sulla percezione delirante del poeta (studi su Rilke). Conclude affermando che: "L’uomo sano sa cogliere il possibile nel reale, ma il delirante emancipa questa possibilità fino a creare una sua realtà facendo della possibilità una necessità." Emerge così un criterio importantissimo per il riconoscimento del delirio, che va al di là del comportamento del delirante e dell’analisi del contenuto del suo pensiero: un malato non sarebbe delirante perché ha tale o talaltra convizione, ma perché "non può non averla". Il riconoscimento clinico immediato del delirio sarebbe dunque riconoscimento delle condizioni di possibilità (e di impossibilità) che lo reggono.

Lasciando a questo punto al lettore l’approfondimento della psicopatologia di Tatossian, una vera e propria miniera di cui si è solo tentato di dare un assaggio, mi piace concludere con la riflessione/domanda che lo stesso Autore pone in chiusura al saggio, significativa e riassuntiva di tutto il suo modo di pensare. Egli, proprio nell’ultima pagina, tornando sul problema del metodo fenomenologico, ribadisce la fenomenologia psichiatrica come una forma di esperienza unica i cui dati non possono essere validati che da altri dati fenomenologici: ne deriva una sorta di extraterritorialità che la contraddistingue rispetto ad altri ambiti e discipline, un po’ come è per la matematica e le sue regole al di là dei loro campi di applicazione. "Resta da sapere se questa specie di extraterritorialità (…)" conclude Tatossian " le assicuri un ruolo fondatore per l’insieme dell’"edificio della psichiatria" come ha creduto Binswanger, o una gloriosa inutilità. Non spetta alla fenomenologia psichiatrica di deciderlo, neppure alla fenomenologia filosofica (…) ma alla storia della psichiatria o piuttosto alla storia dell’essere-umano. Poiché se l’umanità, in virtù della gettatezza non sceglie le sue malattie mentali, essa sceglie la sua psichiatria (…)".

(Albertina Seta)

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