Larchivistica manicomiale, nel nostro paese, ha ricevuto un grande impulso, paradossalmente, proprio dalla legge 180: la chiusura degli ospedali psichiatrici, avviata a partire dal 1978, ha messo infatti in primo piano lurgenza di salvare, di custodire e di inventariare gli archivi dellistituzione manicomiale, mettendoli perciò a disposizione il che è avvenuto, fortunatamente, in non pochi casi sia dei singoli studiosi sia dellintera comunità scientifica.
Per introdurre i temi presentati in questo volume, vorrei soffermarmi brevemente almeno su due livelli possibili di fruibilità degli archivi manicomiali, direttamente connessi alla loro tipologia: una fruibilità storica (economica, sociologica, antropologica) e una fruibilità clinica. La tipologia di un archivio manicomiale può essere ricapitolata, nelle sue linee generali, attorno a quattro tipi di fonte: le Cartelle Cliniche, i Registri, i Dossiers Medici, i Dossiers Amministrativi. Mi soffermo, qui, sulle cartelle cliniche e sui dossiers medici: fonti molto importanti e ancora troppo poco sfruttate dagli studiosi.
Le Cartelle Cliniche (CC) rappresentano la fonte forse più interessante, sotto il profilo storico e sotto il profilo clinico. Lo studio delle CC ci permette di ricostruire puntualmente, sul terreno diacronico, sia la fisionomia dei sistemi di classificazione, delle nosografie e delle diagnosi, sia la natura delle condotte terapeutiche, delle pratiche di contenzione e delle misure repressive adottate per ogni singolo internato.
Lo storico della psichiatria e della medicina che utilizza le CC ha il vantaggio di poter mettere in luce la complessa interazione tra le teorie quelle che normalmente vengono esposte nei trattati, negli articoli scientifici, nelle pubblicazioni a stampa di varia natura e le pratiche quotidiane gestite dai medici: in questo caso dagli "alienisti", dagli psichiatri.
Vorrei fare qualche esempio, ricavato dalla mia pluriennale frequentazione degli archivi manicomiali italiani, e in particolar modo dellarchivio del manicomio veneziano di San Servolo.
Un nodo cruciale che riguarda il manicomio un nodo cruciale per lo storico ma anche per il clinico è quello relativo al rapporto tra contenimento e contenzione: laddove con la parola contenimento (un lemma che prendo a prestito dalla psicoanalisi) alludo alla capacità di accogliere il malato, di curarlo, di "contenere" le sue ansie, i suoi disagi, le sue sofferenze, con la parola contenzione faccio ovviamente riferimento a tutte le strumentazioni coercitive e repressive presenti nel manicomio. Le CC riportano spesso menzioni esplicite relative alle misure di contenzione: le possiamo trovare facilmente soprattutto nelle CC ottocentesche a fianco di indicazioni relative alla "cura morale" (che è poi il "traitement moral" dei padri fondatori della moderna psichiatria: anzitutto Pinel ed Esquirol). Ciò che invece ci ha sorpreso, in una nostra indagine sul manicomio di San Servolo nei primissimi anni del 900, è lassenza di riferimenti espliciti a pratiche di contenzione proprio nei periodi in cui come possiamo dire con certezza basandoci su altre fonti (relazioni mediche ufficiali, inchieste pubblicate, articoli di rivista o di giornale, eccetera) esse venivano utilizzate sistematicamente e su larga scala.
E il periodo dei famosi "scandali manicomiali", che precedono di poco il varo della legge di riorganizzazione dei manicomi del 1904. Tra gli scandali più noti, vi è, per lappunto, quello del manicomio di San Servolo, allora diretto dal servita padre Minoretti. Dopo unispezione medica ufficiale portata avanti nel 1902, su incarico della Delegazione Provinciale di Venezia, dal prof. Ernesto Belmondo direttore del manicomio di Padova ed autore di una importante Relazione inviata alla Provincia padre Minoretti viene destituito ed i padri serviti (appartenenti allordine religioso dei Servi di Maria che gestiva lo spazio asilare), vengono dimissionati a sèguito di un processo.
La rivista psichiatrica italiana più autorevole dellepoca la celebre "Rivista Sperimentale di Freniatria" dà grande evidenza allo scandalo, alla relazione di Belmondo e ai provvedimenti disciplinari adottati, seguìti, subito dopo, da una radicale ristrutturazione, igienica e medica, del manicomio. Ebbene: nelle CC del periodo che precede lo "scandalo" (abbiamo controllato, finora, il decennio 1891 1901), non vi è traccia, allusione o riferimento a provvedimenti repressivi (menzionati, invece, nelle CC di metà ottocento). Dobbiamo concludere che la nostra fonte archivistica è inutilizzabile, ai fini dello storico? Certamente no. Non è questo il motivo per cui ho citato il caso Minoretti.
Le CC, in realtà, e assieme ad esse altre pubblicazioni psichiatriche dello stesso periodo, nascondono e mascherano i provvedimenti di contenzione, al fine di esibire, alla comunità scientifica e al mondo "esterno" allistituzione, un volto buono, accettabile, "umano", che non corrisponde minimamente alle condotte realmente adottate: condotte che in questo caso, almeno nelle nostre fonti, sono state occultate. Ma le CC portano una testimonianza indiretta, facilmente deducibile, delle violenze perpetrate: ricorrono spesso, nelle annotazioni cliniche soprattutto in quelle che precedono la dimissione dellinternato aggettivi come "tranquillo" e "calmo", frequenti anche per internati violenti e pericolosi, spesso diagnosticati con la dicitura "mania con furore". E lecito presupporre che tra un periodo di agitazione maniacale ed una fase di quiete e, a maggior ragione, tra un periodo di eccitamento, di furore e il momento della dimissione, quando il malato è ritornato, "guarito", ad uno stato di quiete e di non violenza siano intervenuti provvedimenti repressivi e pratiche di contenzione.
Per quel che riguarda gli anni più recenti, occorre osservare che le CC ci forniscono spesso indicazioni preziose anche sui criteri selettivi adottati dagli psichiatri e non sempre esplicitamente dichiarati nelle loro pubblicazioni. E il caso, ad esempio, del grande Ludwig Binswanger (1881 1966), padre dellindirizzo fenomenologico in psichiatria e fautore di una prospettiva clinico-filosofica allinterno della quale la diagnosi non è unetichetta definitiva, marginalizzante, ma discende direttamente dal rapporto "empatico" tra lalienista e il suo paziente. Lo psicotico, per Binswanger, esprime comunque un suo "modo di essere nel mondo", che va empaticamente accolto e compreso, al di là di ogni rigida partizione tra il normale e il patologico. Tuttavia, esiste un criterio selettivo adottato da Binswanger, che non è stato dichiarato esplicitamente nei suoi scritti e che noi possiamo dedurre da unanalisi delle CC della sua clinica (il "Sanatorium Bellevue" di Kreuzlingen): i pazienti "maniaco-depressivi" venivano seguiti, curati e ascoltati molto di più dei pazienti "schizofrenici", spesso lasciati a se stessi proprio perché considerati, per lappunto, malati incurabili. E questo in aperto contrasto con i motivi ispiratori fondamentali dellantropoanalisi binswangeriana.
Il fondo Binswanger, attualmente depositato presso lUniversità di Tubinga, è oggetto, da qualche anno, di meticolose ricerche, generalmente guidate dal locale storico della medicina, il prof. Hischmüller. I primi dati, emersi da seminari e convegni e non ancora pubblicati, sono senza dubbio di grande rilievo, e ci portano a modificare, a rivedere e a ripensare uno dei capitoli più importanti della psichiatria contemporanea.
Allinterno delle CC, e più spesso nei Dossiers Sanitari (DS), troviamo, a volte, quella che a suo tempo ho definito, in maniera sintetica, la voce dei soggetti: memorie autografe dei pazienti internati, carteggi (tra pazienti e familiari), suppliche , denunce (denunce, ad esempio, di maltrattamenti e vessazioni subite allinterno del manicomio: quella da me ritrovata, firmata dal conte decaduto Carlo Abriani, venne spedita nel 1851 dal paziente alla Direzione di Polizia, e da questa rispedita al Direttore del manicomio di San Servolo (cfr. il secondo capitolo di M. Galzigna, La malattia morale. Alle origini della psichiatria moderna, Marsilio, Venezia 1992).
La voce dei soggetti la si ritrova anche nelle pubblicazioni psichiatriche, ottocentesche e novecentesche. Lì, tuttavia, essa è, come dire?, inquadrata, preselezionata, interpretata: in qualche maniera, quindi, sottratta al suo contesto al contesto ambientale e istituzionale da cui è nata ed inserita allinterno delle maglie e delle articolazioni del sapere psichiatrico: un sapere-potere "a pretesa di verità", come avrebbe detto Michel Foucault, sulla follia.
La memoria di Abriani, alla pari di tanti altri scritti simili, rappresenta lirruzione, nello scenario istituzionale, di una parola non indotta, non addomesticata: di una parola che non esiste, in quanto parola scritta, in virtù di uningiunzione psichiatrica, ma in virtù della sua potenza autonoma e trasgressiva, cioè della sua capacità di manifestare, dietro le quinte dello scenario istituzionale, una sorta di resistenza, una sorta di antagonismo nei confronti dei saperi e dei poteri che hanno cercato di controllare e di dominare il soggetto internato.
Lo studio delle CC e dei DS rappresenta quindi un potente strumento per riscrivere la storia della medicina e della psichiatria ridando voce a quei soggetti che hanno subito le cure, le segregazioni e le coercizioni senza poter diventare protagonisti del processo di recupero e di guarigione: un passaggio che la psicoanalisi, a partire dai lavori di Freud sulle isteriche, ha reso possibile, non senza contraddizioni ed aporie.
Gli archivi degli ex O.P.P. del Friuli Venezia Giulia
Ex O.P.P. "Arcanamente"
Quali risposte a quali bisogni.
Note a margine a un discorso sugli O.P.P.