"Luomo senza sonno" di Brad Anderson: tra cinematografia e psicoanalisi. di Gabriele Giacomini
Nel filone cinematografico del "giallo psicologico", di cui "Psycho" di Hitchcock resta sempre il classico prototipo, possiamo inserire questo film di Brad Anderson, in cui, fin dalle prime sequenze, affascina e inquieta lambiguità dello scenario: esso non è qui semplice sfondo dellazione, ma vero protagonista, col linguaggio ossessivo dei suoi richiami simbolici, sussurrati come i lamenti di un coro tragico, fino al grido finale. Lintreccio enigmatico appare, a volte, troppo macchinoso, ma sempre sorretto da unincalzante tensione.
Come richiede il genere dello psico-thriller, lindagine si concentra e si esaurisce nel labirinto intrapsichico del protagonista, Trevor Reznik (interpretato in modo convincente da Christian Bale): la sua sofferta magrezza, evidenziata da colori grigio-verdastri, diventa metafora del tormento interiore che lo consuma e lo divora, momento per momento, nello stillicidio delle sue domande senza risposta, in una realtà che ha perso per lui ogni logica comprensibile. La mediocre routine, lambiente operaio, freddo e ostile, la ripetitività alienante del lavoro meccanico, sono ingredienti di una normalità tetra ed opprimente, che si apre dimprovviso a squarci inquietanti, con figure intrusive e inspiegabili: un grassone beffardo, la cui presenza si collega, ogni volta, a gravi atti di violenza di cui Trevor deve rendere conto, un bambino epilettico, che egli porta in un tunnel degli orrori nello sfondo di un Luna Park ingannevole. Trevor cerca conforto materno in figure femminili che sembrano accoglierlo, da una prostituta affettuosa (Jennipher Jason Leigh), che progetta con lui unaltra vita, a una barista che sa ascoltarlo e condividere la sua pesante quotidianità. Anche i personaggi reali recitano, a loro insaputa, un ruolo di comparsa in una regia dellambiguo: sono se stesse ed altro-da-sé, come in un generale transfert di vissuti inconsci.
Il tema incalzante della colpa si proietta, in senso paranoide, nellangoscia di un complotto generale, sino al disvelarsi improvviso di una verità rifiutata, che si chiarisce solo nelle ultime brevissime sequenze. I colori lividi, spettrali, di una monotonia soffocante, comunicano, fin dalle prime sequenze, langoscia crescente di non potersi svegliare da un lungo incubo ad occhi aperti, segnato da allucinazioni continue e fantasmi interiori, in cui anche lo spettatore, continuamente, si sdoppia in un gioco perverso, entro unincalzante scansione temporale dai sinistri presagi .
Il protagonista, un uomo su cui aleggiano suggestioni letterarie, da Kafka a Dostojevskij a Pirandello (qui alquanto semplificate), con la sua impressionante magrezza, associata ad una cronica insonnia (che dura ininterrottamente da un anno), vive in una stralunata dimensione: elementi reali si confondono con fenomeni onirici, interiorità ed esteriorità hanno perduto i loro confini e la veglia forzata ed estenuante genera continui mostri, in cui il soggetto rifiuta di specchiarsi e di riconoscervi parti scisse di sé, sfuggite tragicamente al suo controllo.
Linquietudine che il film riesce a trasmettere, grazie allabile regia, è tutta nellangoscia di valicare quellesile confine tra normalità e follia, garantito da un meccanismo di rimozione che il sogno, "custode del sonno" (Freud), ha la funzione equilibrante di scaricare ed elaborare per ristabilire una sorta di compromesso omeostatico. Linsonnia, che rimane lultima difesa del protagonista dallaffiorare dei ricordi, diventa, al tempo stesso, sua salvezza e nemesi, conducendolo ad una destrutturazione della coscienza, fino alla follia.
Innumerevoli sono le suggestioni psicoanalitiche: dal "disimpasto degli istinti" freudiano allirruzione dellInconscio junghiano, con la potenza dei suoi archetipi violati, in un lacerante conflitto espresso anche in grottesche metafore infantili: la più significativa prende le sembianze dellomino del sadico gioco dell "impiccato", predestinato al cappio, scisso nelle sue parti anatomiche elementari: capo, tronco, arti. Eluomo-burattino, ridotto allosso dalla sua colpa, denudato delle sue maschere, inchiodato dalla tragica reminiscenza dei suoi misfatti più ripugnanti. Lo sforzo per non vedersi può durare un anno o una vita, e un evento improvviso può spezzare la faticosa finzione.
Lintento del film, a tratti riuscito, è quello di farci avvertire, quasi in un test proiettivo, loscura e minacciosa ombra del nostro alter ego negato, che per ognuno di noi potrà assumere diversi connotati e richiami autobiografici. Solo il recupero della memoria può ricomporre lIo frammentato, consentendo lespiazione della colpa.
E quindi esasperata fino al paradosso quella tendenza alla dissociazione che caratterizza ogni personalità, nellalternativa tra rimuovere parti scomode di sé, a favore di un Io socialmente accettabile quanto artificiale, o integrare tutte le sue realtà interiori: questo può avvenire non attraverso un cinematografico colpo di scena, come in questo film, ma, più verisimilmente, a prezzo di un lungo percorso analitico al fine di ristabilire il proprio dialogo interiore.
In generale, i film di questo filone cinematografico, dovendo coniugare certe dinamiche psicologiche con comprensibili esigenze spettacolari, corrono il rischio di attuare spesso compromessi semplicistici, in cui leffetto scenico clamoroso prevale sulla plausibilità dei fenomeni psichici, con un abuso di elementi mitico-simbolici costruiti a tavolino da registi sensibili alle suggestioni della clinica psichiatrica da manuale divulgativo. Le conseguenze negative di queste "commistioni" sono duplici: da un lato, lispirazione artistica è limitata dal peso dellimpianto metaforico-intellettualista, mentre, dallaltro, la casistica scientifica deve adattarsi forzatamente a creare curiosità nello spettatore.
Un certo scopo "educativo" va riconosciuto, tuttavia, nel portare sulla scena, attraverso atmosfere intense, il dualismo fondamentale della vita interiore, che, qualora si trasformi in radicale dicotomia, può portare, con più complessi passaggi, ad una conclamata patologia.
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Il tema del rapporto tra Cinema e psiche è molto intrigante
sia sul versante specifico della rappresentazione sia sul versante
della interpretazione dell'arte cinematografica. Come redazione anche
alla luce della sempre maggiore concentrazione dei media saremmo
lieti che questa sezione si sviluppasse in maniera significativa e in
questa logica contiamo sulla collaborazione dei lettori da cui ci
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