© POL.it 1998 PSICHIATRIA FORENSE / Documento 1
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2. Il sapere del carcere

Per questo il carcere non dovrebbe essere soltanto un luogo di applicazione di principi stabiliti altrove, ma un luogo di costituzione di un sapere che può diventare esso stesso un principio regolatore per l'esercizio della pratica penitenziaria. L'autonomia del regime carcerario ed il sapere che essa rende possibile permettono così di amplificare quell'utilità rieducativa così spesso prevista nei principi più significativi della filosofia punitiva.
Il carcere é dunque anche una struttura artificiale creata per l'applicazione di principi nati nel suo contesto di appartenenza ma significativamente al di fuori delle sue mura e dei suoi confini. Queste stesse mura rappresentano un contenitore ed un contenimento, un'ambiguità ed una contraddizione legate alla segregazione, all'isolamento, al distanziamento ed insieme alle aspettative di risoluzione di problematiche sociali ed individuali. La società stessa richiede una protezione rispetto al delinquere ed una rieducazione del soggetto che delinque, protezione sociale e rieducazione individuale dunque, concetti che sopravvivono in una zona di confine che spesso é fortemente determinata da regole e da gerarchie organizzative, forse riparative di un vissuto di colpa, di sofferenza e di fallimento antico ed ineliminabile. Il carcere é fondamentalmente un luogo in cui spesso si racchiudono esperienze umane basate sul dolore, un dolore sordo e complesso difficile da riconoscere dall'esterno, stigmatizzato dalla privazione di libertà, dalla perdita di autonomia, da una sorta di riaggiustamento dell'identità personale ora più che mai turbata da sostanziali e reali perdite affettive.
L'obiettivo finale comune che dovrebbe realizzarsi é il fine della pena che non é (o almeno non dovrebbe essere) solo restrittivo o intimidativo, ma anche emendativo e rieducativo: Le finalità rieducative della pena sono state infatti sempre individuate come principi da perseguire: Nella tradizione romana la stessa concezione ricorre di continuo quando si afferma che “poena constituitur in emendationem hominum”. Ma anche oggi la riaffermazione decisa del fine rieducativo della pena e dell'umanità del trattamento (come recita l'art.1 dell'ordinamento penitenziario), va ben al di là di una sia pur doverosa ricognizione storica, perché assume contenuti ideali che in-formano ed orientano l'azione. Il trattamento penitenziario attualmente coinvolge il complesso degli interventi offerti al detenuto per sostenere i suoi interessi umani, culturali e professionali. Quest'atteggiamento di offerta é essenziale e comporta inevitabilmente una esigenza di partecipazione responsabile da parte del soggetto. Una relazione infatti basata unicamente sul “dare” e sviluppata in una sola direzione può produrre false aspettative, generare facili pretese, fino a portare ad implicite e grottesche perversioni di onnipotenza che non danno più alcuna informazione, e ripetono inconsapevolmente inutili e dannosi schemi trasgressivi.
Inoltre non si può non considerare che il rapporto con il detenuto é tanto più continuo e intenso quanto più basso é il livello della scala gerarchica che di lui si occupa e si preoccupa. Si sviluppa così un sottosistema che vive di vita propria e non integrata con i ruoli e le autorità delle gerarchie superiori, e questa può diventare una scissione dura e difficile da superare. Una collaborazione feconda presuppone perciò un'alleanza e questa presuppone a sua volta il consenso sulla finalità specifica di quella specifica relazione e sulle modalità e le procedure messe in atto per raggiungerla. Consenso vuol dire conformità di giudizio e accordo di volontà al fine di rispettare e realizzare un impegno ugualmente vincolante per tutti i partecipanti a quella determinata relazione.
Anche quando, per raggiungere il suo fine tramite la restrizione, il sistema si irrigidisce ed usa la forza del comando che non ammette dialettica o della coercizione fisica nei confronti del detenuto, dovrebbe essere implicito e costitutivo il consenso tra le parti del sistema che collaborano alla decisione ed all'uso della forza. Quando poi si vuole raggiungere un fine emendativo e rieducativo, allora diventa assolutamente imprescindibile anche il consenso del detenuto. A questo punto é facile intuire come non tutti i detenuti siano disposti, soprattutto all'inizio, ad usufruire dell'offerta di interventi che prevede il trattamento penitenziario. E' significativo, e spesso determinante a tal fine, suscitare motivazioni adeguate nei detenuti, ridefinire e rendere consapevole il loro stato di bisogno, correggendo eventualmente aspettative ingenue od incongrue. Naturalmente é importante che il detenuto acquisti fiducia negli interventi offerti, e ciò in larga misura dipende dal livello di capacità organizzativa dell'amministrazione penitenziaria in genere e dal singolo istituto più in particolare. Gli interventi di cui parlo infatti sono proprio quelli resi possibili in concreto dai servizi organizzati nell'ambito penitenziario.

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