Mi chiamo Montepilli, sono psicologa e lavoro in un CPS.
Verso la fine di Dicembre 1997, uno psichiatra del SPDC mi chiede di prendere in carico un pz, in quel momento ricoverato in reparto, più con líobiettivo d i tentare di tenerlo agganciato al servizio, che non di raggiungere qualche ambizione terapeutica. Il caso mi viene brevemente descritto come grave e viene sottolineato lo sguardo inquietante del pz, che sembra aver colpito il personale della Divisione. Alla proposta è presente anche lo psichiatra del CPS, che seguirà il pz dopo la dimissione e che annuisce alle parole del collega.
Il ricovero volontario, avvenuto a seguito di blocco catatonico e la cui diagnosi è di Psicosi NAS, è avvenuto il 15/12/97 e terminerà il 9/1/98, allíincirca un mese prima ce níera stato un altro: dal 9 al 11/97 con la medesima motivazione. La terapia farmacologica alla dimissione di novembre è: Serenase 25X3; En 2mg 1/2 +1/2 +1 cp; Halcion 0,25 1 cp. Quella alla dimissione del 9/1/98 è: Serenase 30 X 3; En 15+15+30; Halcion invariato e Akineton R 1 cp.
Apro una parentesi. Quando mi viene fatta questa richiesta io mi ero trasferita da un paio di mesi in quel CPS ed era la prima volta ed era la prima volta che incontravo lo psichiatra del SPDC. Nel corso del trattamento col pz, qs psichiatra mi ha più volte espresso impliciti segni di critica nei confronti del collega del CPS. Preciso che le critiche erano in una sola direzione.
Líesposizione del caso segue la scansione temporale reale, sia sugli avvenimenti, sia sullíapprendimento di dati ad esso relativi.
Le notizie che ora comunicherò sul pz, mi vengono in parte verbalmente trasmesse nella riunione in reparto con lo psichiatra proponente, prima dellíincontro che avrò con il pz e la madre, ed in parte sono attinte dalla lettura della cartella.
Si tratta di un giovane di 22 anni, che vive con la madre ed un fratello di lei. Lo zio ha avuto, qualche anno fa, un ictus cerebrale di cui non si conosce il grado della menomazione. La madre si sposa intorno a i 40 anni. Durante la gravidanza da cui nascerà F. (nome fittizio) avviene alla separazione dei coniugi.
Nellíinfanzia, adolescenza, giovinezza, F incontrerà a più riprese il padre, persona violenta, etilista, probabilmente psicotico. I loro incontri hanno sempre un esito burrascoso. Da bambino F veniva frequentemente picchiato dai genitori per futili motivi, anche con la cinghia dei pantaloni. Le percosse si verificavano sia durante le visite che il ragazzo faceva nellíabitazione del padre, sia quando questi lo aspettava per strada, sia dopo improvvise incursioni a casa, dove líuomo faceva chiamare il figlio fuori dalla classe. In merito a qs eventi, viene rilevato dal compilatore della cartella, la colpevole assenza di interventi per fermare il sadismo dellíuomo. Durante la frequentazione delle scuole medie, il padre fa un esposto al tribunale dei minori, dichiarando che il figlio è un drogato. Segue uníindagine per stabilire la veridicità delle affermazioni e per più volte F si deve sottoporre a degli accertamenti, che risulteranno negativi. Dopo qs evento, F ha circa 12 anni, la madre denuncia líex marito e fa domanda per togliere il cognome del padre al figlio. Malgrado tale denuncia e il decadimento della patria potestà, il padre continuerà a molestare il ragazzo. Dal raggiungimento della maggiore età, F porterà il cognome della madre.
Dopo le scuole medie, frequenta il liceo scientifico. In seconda viene bocciato a seguito di un trauma testicolare subito durante una partita di calcio, trauma che gli impedirà per lungo tempo di seguire le lezioni. In un istituto privato supera la seconda e terza liceo in un solo anno. Al quarto anno il rendimento scolastico diminuisce. Verso la fine dellíanno scolastico Maggio 1994, (F ha 17 anni) avviene il primo ricovero psichiatrico. Eí la madre che ha chiamato la polizia a seguito delle percosse subito dal figlio. La signora dice che diverse volte aveva dovuto ricorrere al pronto soccorso, sempre mentendo sullíorigine delle lesioni. Il padre risulta, in quella circostanza, irreperibile. Leggo che F "accetta senza problemi il breve ricovero (5 gg). Dice di non sopportare la madre, il modo in cui parla. Dopo i pestaggi prova rimorso, ma continua a picchiarla. In casa il suo comportamento è dispotico ed autoritario, la vita di relazione è povero, nessuna esperienza affettiva femminile. Dai curanti viene definito " di intelligenza molto acuta, con una lettura profonda delle dinamiche che accadono. I diversi operatori evidenziano il comportamento provocatorio della madre, al sua aggressività verbale e líenorme collusione col pz". Alla dimissione si precisa che il pz "ha tratto comprensione dal ricovero" e vengono ancora rilevate le sue "notevoli capacità di riflessione nel valutare e considerare líaccaduto".
La terapia farmacologica alla dimissione è di: Serenase 20 gtt X2; Disipal 1cp e, al bisogno, 20 gtt di En. Viene inviato al CPS di zona dove avrà un solo incontro con lo psichiatra.
Un anno dopo 1995, cíè una breve certificazione della responsabile del CPS relativa alla richiesta di esonero dal servizio dove era.
A fine 1997, come ho detto, avvengono due ricoveri in tempi ravvicinati, entrambi per blocco catatonico. Le informazioni che si acquisiscono - sempre desunte dalla lettura della cartella clinica del SPDC - sono le seguenti:
F è stato in terapia, privatamente, per circa due anni. Dal primo ricovero Maggio 1994 fino allíAutunno del 1996. Nel giugno del 1997 ha preso la maturità per Geometri, dopo aver abbandonato il Liceo, frequentando un anno integrativo di scuole serali. Durante la maturità è andato a vivere da solo, in una stanza molto disagiata e si è trovato un lavoro come cameriere. Entrambe le esperienze sono durate per un paio di settimane. Nel Settembre 1996, un anno prima dei ricoveri avvicinati, F aveva ripreso i contatti col padre su sollecito di una telefonata da uníaltra regione, da parte di uníAssistente sociale, preoccupata per lo stato di salute dellíuomo. In seguito, sembra che qs non fosse una AS, ma uníamica. Verso la fine del medesimo anno ci sono state, tra F ed il padre, diverse telefonate. Telefonate che F faceva con líintento di riunire la famiglia. Durante le vacanze dellíestate 97, F va ancora in Sardegna per incontrare il padre. Hanno un incidente in macchina, per una lite insorta tra i due. (successivamente, F mi ha parlato dellíepisodio, ascrivendo a sé stesso la responsabilità dellíincidente. In quella seduta, come nelle poche altre in cui mi ha parlato di lui, le sue parole non erano accusatorie e il suo atteggiamento era di tutela nei confronti del padre).
Primo mio incontro con F e la madre insieme al medico del reparto.
A F viene fatta la proposta di essere seguito da una psicologa. Sollecitato premurosamente dalla madre, accetta con un vago sorriso scettico. Nel successivo colloquio senza F la signora mi dà alcune notizie sul suo matrimonio. Dice che è stato voluto e combinato dalla famiglia che voleva farla sposare ad un uomo della stessa regione loro. Giustifica il suo assenso passivo con le argomentazioni dei familiari: "Non sei più giovane, devi farti una famiglia, lui è come noi... ecc." Aggiunge di essersi subito resa conto della impossibilità del legame a causa del carattere violento del marito. Dopo due mesi si separa. (Non è noto se al momento della separazione la signora sapesse già di essere incinta). Torna a vivere con la propria madre ed il fratello. Di F dice che è molto intelligente, ma chiuso. Il trattamento privato col neurologo X, con cui F si era trovato benissimo, sembra sia terminato per ragioni economiche, non è chiara in merito.
Implicitamente attribuisce líaggressività del figlio alle aggressioni subite dal padre. Mi ripete la vicenda del presunto uso di droga, sottolineando il trauma che il ragazzo ha risentito nel dover compiere gli accertamenti richiesti dal tribunale M. Aggiunge osservazioni sulla violenza dellíex marito, che si scatenava per un nonnulla. Di sè dice di aver lavorato per 30 anni alla Rinascente e fino allíetà della pensione. Líatteggiamento della signora è diffidente, proteso ad una collaborazione che avverto come forzata. Io non avrò più incontri con lei, se non brevi scambi di saluti occasionali e di auguri durante le ultime festività natalizie.
Dopo qs incontro il caso viene discusso in supervisione: si decide di dare anche alla madre un ascolto. Tale intervento verrà fatto dallo psichiatra del CPS che avrà in carico F, sulla base di una collaborazione per il controllo della terapia farmacologica. Valutiamo che la separazione tra i due è più che auspicabile, ma di là da venire.
Durante la degenza di F, quella di fine 97, lo psichiatra del SPDC ha uno scontro forte con la madre. Tale scontro è suscitato sia dallíambiguità dellíatteggiamento della donna nel rapporto con lo psichiatra, sia dal suo comportamento con F, al quale - leggo- lei sembra concedere ogni cosa. Per inciso, ma non riportato in cartella, la signora dirà che : "per líamore di un figlio si può arrivare anche ad uccidere". Lo psichiatra la rimprovera di aver ospitato líex marito, fatto venire da F poco prima del ricovero e, a seguito delle reiterate richieste di dimissioni sollecitate dalla signora, a sua volta sollecitate telefonicamente a lei da F, il medico le risponde: " che non ha nessuna intenzione di dimettere il pz subito dopo la crisi catatonica, in un ambiente che ritiene emotivamente malsano". La signora si infuria e minaccia di denunciarlo.
Nel primo colloquio che io ho con F in Cps, dopo il quale il silenzio si protrarrà per settimane, mi comunica, con un linguaggio lavoro adeguato al suo diploma di geometra. Da qs incontro e per i successivi, quando riprenderà a parlare, sarà qs il tema costante delle sue comunicazioni.
Nel secondo colloquio, F, dopo qualche sguardo che mi mette a disagio, abbassa la testa e rimane in quella posizione per tutto il tempo della seduta. Mi resi subito conto che io dovevo elaborare la paura, in parte fisica, in parte indefinita, che lo sguardo del pz mi suscitava. Se io avevo paura del suo sguardo, lui aveva paura della mia paura. Era evidente che in quelle condizioni gli incontri si sarebbero presto esauriti. chiarito a me stessa che non cíerano ragioni oggettive per sentirmi minacciata, ho affrontato i successivi colloqui con serenità.
F veniva alle sedute, non pronunciava una parola, stava con la testa bassa, ogni tanto sbadigliava e guardava líorologio. La medesima situazione si verificava negli incontri con lo psichiatra. Dopo circa un mese di silenzio mi accorsi che, guardando casualmente fuori dalla finestra, F alzava la testa per guardare me, ma intuii che non voleva che facessi altrettanto. Da quel momento e gradatamente, f diventa meno chiuso e diffidente. In CPS viene sempre accompagnato dalla madre. Quando incomincia a passare dai monosillabi a brevi discorsi, il soggetto di essi è sempre il lavoro. Io gli dico che per raggiungere tale obiettivo occorre fare un percorso che comprende sia lo spostarsi autonomamente, e lo incito a venire in CPS non accompagnato, sia dare avvio a minime relazioni con gli altri. Spesso ribatte che è inutile. Tuttavia incominca a venire da solo prendendo i mezzi pubblici. In maggio farà dei giri in bicicletta e incomincerà a portare il cane ai giardini.
A giugno arriva a dirmi di stare meglio "dentro". Il soggetto dei suoi discorsi è sempre il lavoro. Lavoro che gli permetterà di acquisire líagognata autonomia e soprattutto di andarsene da casa. Il mio lavoro è quello di fargli assumere al riguardo una posizione più realistica: vagheggia di andare i America, magari in Australia. Io gli rispondo che il suo obiettivo potrà essere raggiunto per gradi. In qs periodo vengo a sapere dallo psichiatra che la madre lo imbocca e, attraverso domande sullíandamento domestico, lo sollecito ad essere più attivo in casa, ad accompagnare la mamma a fare la spesa ed a prepararsi da sè la colazione.
A volte è attento, a volte annoiato, abbastanza spesso replica che è "inutile". Eí inutile venire, è inutile parlare di qs cose, quello di cui ha bisogno è un lavoro. In una seduta mi dice che sono gli altri che lo evitano, anzi che "scappano" quando lui li guarda. A conferma, dice che mentre camminava lungo il marciapiede, vede un camion fermo, guarda líautista e questi mette in moto e via!, "ha guardato me ed è scappato" - dice - . Replico che io non sono scappata e aggiungo che anchíio mi sono sentita a disagio nei primi incontri a sostenere il suo sguardo. Intorno a giugno, su sollecito della madre allo psichiatra, si prospetta la possibilità di un inserimento in una comunità terapeutica, lo vengo a sapere dal pz stesso. La prossima dimissione di una pz del CPS da una comunità, rende possibile in tempi abbastanza brevi il progetto. Io lo sostengo dicendo a F che in comunità avrebbe potuto apprendere líuso del computer, acquisendo in tal modo competenze ulteriori in ambito lavorativo. Si mostra interessato a tale eventualità. Intorno a metà luglio, F e la madre visitano la comunità. So dallo psichiatra che líesito della visita non è stato favorevole. F me ne parla solo dietro mio sollecito: sbrigativamente mi comunica di essere rimasto colpito dagli ospiti, che " avevano tutti un aspetto molto malato". Verso fine luglio esprime sentimenti depressivi, si chiede perchè è nato. Mi riferisce che le sue uscite sono inutili e fallimentari rispetto ad un obiettivo di maggiore integrazione sociale: lui non è fatto per la società e la società lo respinge. Mi porta un altro episodio: ha portato il cane al parco, un signore con il cane gli si avvicina e gli chiede di che razza è il suo. F risponde e chiede a sua volta la razza dellíaltro. "Il tizio - dice- ha incominciato a sudare, ha acceso una sigaretta e se ne è andato." Io faccio rilevare a F il cambiamento avvenuto nel nostro rapporto in qs mesi. Eí líultima seduta prima delle vacanze estive. Mi informo sulla meta delle sue vacanze e dice che forse andrà al mare con la madre in un istituto di suore: ha uníaria rassegnata.
I primi di settembre ha un colloquio con lo psichiatra dove si descrive come cambiato. Eí "uníaltra persona rispetto al 94", - dice- non cíè più aggressività nei confronti della madre ed è díaccordo nel valutare un progetto riabilitativo nel C. diurno del nostro servizio, che gli era stato proposto nel frattempo dallo psichiatra. (Anche qs intervento lo vengo a sapere dopo).
Insieme alla responsabile del Centro d. e alo psichiatra valutiamo le modalità per un inserimento. Viene stabilito un programma in cui F, per i primi tempi, avrà a che fare con un solo operatore, un educatore molto esperto. Incontro F il 21 Settembre, nel frattempo aveva incontrato un responsabile del CD e aveva fissato le date per i primi incontri. In qs seduta F mi dice che le proposte che gli vengono fatte sono inutili perchè non le trova correlabili al suo progetto di lavoro al più presto. Ci diamo appuntamento per la settimana successiva ma quattro giorni dopo è ricoverato in SPDC per crisi catatonica. Egli stesso aveva chiesto il ricovero. Verrà dimesso dopo 10 gg (5/10/98) con al seguente terapia: Serenase 30+25+30, En 1 mg 1cpX3, Halcion 0,25 1cp, Akineton 1cp.
In cartella (28.9.98) è annotato che "il pz esprime una profonda angoscia legata ad idee di morte: teme di poter morire, che la madre possa morire e dunque egli rimane solo. Chiede rassicurzione al riguardo. Non sono presenti disturbi del contenuto ideico di tipo delirante. Il pz esprime piuttosto tematiche díangoscia legate al fallimento, alla possibilità di cambiare ecc." Nel colloquio, che lo psichiatra del reparto ha con la madre, viene ribadita "líatmosfera di ambiguità, di falsità, di esagerata oblatività, che sembra segnalare il contrario delle parole dette". La madre minimizza líaccaduto e ipotizza che la crisi di F sia legata a disturbi digestivi. F dirà successivamente che la terapia farmacologica era incostante da 1- 2 settimane perchè, dopo líassunzione, vomitava.
Durante il ricovero, F si lamentava "del colloquio deludente, ma soprattutto irritante, avuto con lo psichiatra del CPS al quale avrebbe espresso la propria angoscia di rimanere solo, se la madre morisse e quindi di finire come un barbone, senza alloggio, denaro, affetti. Rabbioso e deluso interpreta la risposta dello psichiatra come un invito ad arrangiarsi". Lo psichiatra del SPDC gli dice che, se non fosse in grado di lavorare, lo aiuteremmo con una pensione. Viene rilevato che durante qs ricovero cíè stata una rapida soluzione della crisi.
Fino allíultima seduta, quella del 21 settembre, F non mi aveva portato i temi angosciosi sopra detti. io lo vedo 8.10 (arriva uníora prima, ma dovrà attendere). Riferisce di uscire di casa perchè non ne può può del male che "lo pungola dentro" e qs è stata anche la ragione per cui si è fatto ricoverare. Poichè fuori non trova ciò che cerca, rientra in casa e si attacca sempre di più alla famiglia. Il "male" lo verbalizza come senso di vuoto e e paura che i suoi possano morire e anche lui morire. Teme di rimanere solo. In qs seduta gli dico che io e gli altri operatori ci stiamo prendendo cura di lui e che continueremo a farlo. Lo sollecito a considerare tale evidenza. Nella seduta del 16.10.98 confronta il suo attuale stato con quello in cui era "violento" ed afferma di avere, a differenza di allora, consapevolezza di sè e, proprio per qs, di sperimentare angoscia. Teme come prossima la morte della mamma.
Lo psichiatra del CPS, quattro gg dopo, ha un colloquio con la madre che mette in luce un problema economico piuttosto pressante. (Non viene precisato altro).
Il 23/10 F viene alla seduta. Il suo atteggiamento è di totale chiusura : lo sguardo è torvo e spaventato. Accenna ad un principio di pianto subito rintuzzato. Lo sollecito a dirmi che cosa gli sta succedendo ma non pronuncia una parola. Gli dico di chiamarmi durante la giornata se lo desidera. Al commiato guarda la mano che gli tendo ma non la prende. Gli fisso un incontro per il 26.
Avverto lo psichiatra del CPS dello stato di F e nel pomeriggio incontro casualmente la psichiatra del SPDC e gli comunico il mio timore che possa quanto prima ricoverare di nuovo F. a posteriori vengo a sapere che lo stesso giorno in cui gli avevo fissato la prossima seduta aveva appuntamento in Centro Diurno. Ed è al CD che ha una nuova crisi catatonica. Viene chiamata líambulanza e ricoverato.
Il ricovero sarà dal 26/10/98 al 21/11/98. Alla dimissione la terapia è : Serenase 25x3; En 2 ‡+1/2cp; Halcion 0.25 1cp ; Akineton R 1cp.
Durante il ricovero la madre riferisce che da qualche giorno non assumeva la terapia e F diceva di sentirsi "strano". Leggo in cartella :
"che per circa 3 giorni il pz è mutacico ed oppositivo. Sguardo fuggente e angosciato. Successivamente pone egli stesso delle domande angoscianti che esprimono la sua capacità di uccidere e di pensare. Ma i dubbi più devastanti e líambivalenza maggiore sono centrati nel rapporto con la madre. Dice: "devo andare via di casa"........."non voglio rimanere a vedere la morte di mia madre e mio zio"........"se muore mia madre morirò anchíio." (la domenica precedente, quando già F era mutacico lo zio aveva avuto un malore.) Nel colloquio con la madre lo psichiatra rileva la tendenza della signora a banalizzare e minimizzare lo stato attuale di F. In questo colloquio riemerge il problema economico. La signora: "afferma genericamente che la vita è più cara e che i soldi della sua pensione e di quella dello zio (1.700.000 lei, 500.000 lo zio) non sarebbero sufficienti. Sembra che dopo aver cercato un sistemazione economica per F tramite il padre ore la cerchi tramite la malattia. Avrebbe già fatto domanda di pensione di invalidità e la scorsa settimana avrebbe chiesto il sussidio.
F non me ne aveva mai parlato. Il 3/11 sempre dalla cartella si dice che "il pz è più collaborante ed è possibile il colloquio. F riferisce di avere autonomamente sospeso la terapia farmacologica perché non voleva rimanere sempre in cura presso i Servizi Psichiatrici.........Sembra sempre alla ricerca di una distanza emotiva dalla madre : ipotizza di scomparire da un giorno allíaltro. È questo per lui líunico modo di allontanarsi e di diventare un giorno indipendente........Può uscire di casa solo scomparendo". Nel colloquio del 5/11, che lo psichiatra del SPDC ha con la madre, emerge il problema della casa.
"La signora dice che ha ricevuto la visita di un agente immobiliare che gli ha comunicato che il proprietario ha venduto tutto líimmobile e gli inquilini hanno la possibilità di acquistare oppure di lasciare liberi i locali. Dice di non avere detto niente a F, ma subito dopo aggiunge di avergli detto che ha raccolto voci a tale proposito. Emerge altresì la paura fisica della madre per gli scoppi díira di F, comunque rari rispetto al passato".
Durante un giorno di permesso, la madre riferisce che f líha assalita con domande su che cosa sarà il suo futuro. Lo psichiatra nota che il pz gli ha posto generiche domande personali : come sta ?, quanti anni ha ? nellíultimo incontro con la mamma di F, la signora si sofferma ancora sui problemi economici e di abitazione affermando che : "non cíè un uomo valido in famiglia che mi possa aiutare". Lo psichiatra le propone líaiuto di un uomo valido nella figura dellíAS del CPS. Il giorno della dimissione che è stata più volte sollecitata, F è dubbioso. Avverrà il giorno seguente dopo che F precisa di aver meditato sul rientro a casa ed averlo accettato.
Lí 11/12 vedo F in CPS, mi parla dellíattaccamento "assoluto" verso la madre e della sua incapacità a pensarsi separato da lei. Gli chiedo se le ultime crisi hanno una relazione con le proposte di Comunità e di CD, luoghi in cui si sarebbe recato senza di lei, mi risponde che è possibile, ma che ritiene anche che tali interventi sono inutili. Si anima letteralmente quando gli faccio alcune domande sullíultimo ricovero. Mi parla di un ragazzo "grave" con il quale si è identificato. La gravità della malattia líha dedotta dalle attenzioni che riceveva da parte del personale. Lui non ha potuto parlargli perché il malato era inaccessibile al dialogo : "proprio come me un tempo - dice - il problema è che il troppo amore (le attenzioni del personale) soffoca, ti opprime e allora si diventa violenti come lo ero io". (Il ricoverato in questione era sotto stretta sorveglianza per la sua pericolosità : aveva ammazzato il vicino di casa con una mezzaluna ed era in attesa del trasferimento a Castiglione delle Stiviere.)
Il 15/12 lo psichiatra del CPS annota che F " ha nettamente ridotto le sue uscite e a casa fa frequente richiesta di rassicurazione".
Il 17/12, nella seduta con me, mi dice che non sta bene. Ha vomitato le pastiglie e si è sentito subito strano, pensa che tutto sia inutile e che " è destino che io muoia giovane". Il malato grave incontrato nellíultimo ricovero líha riconosciuto come un suo vecchio compagno delle elementari, ed anche qs è un segno del destino. Teme di uscire di casa perché le persone lo evitano e mi chiede che cosa sarà di lui. Faccio il possibile per rassicurarlo. Tranquillizzandolo anche sulla sua paura dello sfratto, avendo io ricevuto rassicurazioni da parte dellíAS che tale evenienza non si sarebbe verificata.
Lo vedo ancora una volta prima di Natale. Mi porta un regalino che scarto subito. È molto soddisfatto della mia sorpresa per il piacevole omaggio.
Il 31/12 lo vede lo psichiatra. Annota che il pz è più disponibile al colloquio e più tranquillo. Ha tuttavia due incontri con la madre in cui nel primo la signora dice di essere "impressionata dalla violenza che sente in F", e nel secondo (13/1/99) che F " fa paura". Dice anche di aver preso uno schiaffo. Nella seduta con me del 14/1/99 F è preoccupato per come stanno andando le cose in casa e per come andranno in futuro : "sempre peggio" - dice-. È irritato perché nellíincontro ce la madre ha avuto il giorno prima con lo psichiatra, questi ha rifiutato il sussidio. Sussidio che gli avrebbe permesso di vivere autonomamente e andarsene da casa. Io gli dico che líimporto, anche se lo ricevesse, è troppo esiguo per realizzare il su progetto.
Il 18/1 nellíincontro con lo psichiatra, dopo un lungo silenzio, fa richiesta del sussidio.
Il 22/1 in previsione della preparazione del caso da portare qui dico ad F che so poco di lui. Mi risponde che poiché sono laureata conosco benissimo la persona che ho di fronte. Avverto che F mi attribuisce poteri onnipotenti e gli rispondo con fermezza che so di lui quello che lui mi fa sapere. Accetta poi di parlare di sé, e da questa seduta fino allíultima che avverrà il 12/2 è abbastanza interessato e loquace. A volte interrompe i ricordi introducendo il tema del presente : il lavoro. Io accolgo la sua richiesta facendo le considerazioni opportune. Comunico allo psichiatra questa comunicatività e interesse del pz. Mi dice che la madre, invece, continua con le sue preoccupazione e dice che F non va tanto bene.
Il 2/2 nellíincontro della madre con lo psichiatra, la signora riferisce anche sulle difficoltà nella gestione del fratello, ribadisce la difficoltà della situazione del figlio e propone "di metterlo in qualche posto".
Il 19/2 ancora la signora allo psichiatra dice "che non ci capisce più niente". F presenta "tante facce diverse" e lei non sa qual è quella giusta.
Il 26/2 giorno della seduta mi telefona la madre per dirmi che F ha líinfluenza.
Il 1/3 F si defenestra. Non muore. Giustificherà il suo gesto allo psichiatra del SPDC con una frase che sembra una macabra barzelletta : "volevo uscire di casa".
Nellíultimo, recente incontro che ho avuto con lo psichiatra del SPDC e a seguito del mio rilievo che ciò che sappiamo di F è raccolto durante le degenze ospedaliere, esprime la convinzione che è solo in questa sede, lontano dallíinfluenza della madre, che F può parlare díaltro che non sia il lavoro, il sussidio, la pensione díinvalidità. Rileva inoltre che è sempre durante le degenze che compaiono sulla scena personaggi la cui esistenza era prima ignorata da tutti. Lo psichiatra è convinto della presenza di un "mistero", di qualcosa che non si dice. Nel ricovero attualmente in corso, dopo il mancato suicidio.
F ha raccontato due eventi. Il primo riguarda il febbraio del í96, quando lui ha costretto a suon di botte la madre a ritirare una denuncia, che essa aveva sporto nei confronti del padre, per molestie e maltrattamenti a F e per il mancato contributo economico stabilito a suo tempo dal tribunale. secondo lo psichiatra F si sarebbe aspettato una "riconoscenza" da parte del padre mai avvenuta.
Il 18/3 ho un colloquio co F insieme allo psichiatra del SPDC.
Quando entro nello studio F è già presente e lo psichiatra gli chiede se è díaccordo che io ci sia, F fa un gesto di consenso e dice: "la dottoressa sa tutto". Prosegue il racconto interrotto dalla mia venuta ed io sono piuttosto sorpresa. Racconta sui suoi rapporti con la madre allíepoca dei suoi 11-12 anni. La chiama la "matrona". La parola onnipotente viene ripetuta più volte, ma è originata, mi pare, più dagli interventi dello psichiatra che non da F. In sostanza dice che la sua opposizione alle proposte della madre non era per le proposte in se stesse, ma perchè derivavano da lei. "Se me le avesse fatte mio padre - dice - o lei (rivolto al medico) le avrei accettate". Poi racconta un episodio abbastanza recente: pochi mesi fa ci sono state varie telefonate con il padre in cui questíultimo gli ha proposto di andare in Sardegna in una Comunità, da cui, quando sarebbe uscito dopo due anni, "avrebbe potuto afre quello che voleva". F dice di aver riflettuto sulla proposta, ma siccome suo padre è "inaffidabile e líavrebbe lasciato marcire per due anni in quel posto", ha rifiutato. "Lui mi vuole sradicare da qui". Al rifiuto il padre gli ha risposto: "tu per me non esisti più". "Capisce?- mi dice - io non esisto più?, e lího perso per sempre" aggiunge. Io ho chiesto a f come mai non me ne aveva mai parlato e mi ha risposto che non se lo ricordava. Lo psichiatra ha obiettato che non ci credeva. F è parso inquieto. Ad un certo punto ha detto: "io me ne devo andare, devo andare via di casa". Lo psichiatra dice: "dove? nella legione straniera?". F rianimato replica: "cíè ancora?", "ma non so"- dice lo psichiatra. Io intervengo dicendo a F che qs è un suo desiderio da molto tempo e che dobbiamo valutare insieme dove, come,....non si può partire così. Il medico aggiunge: " sì, però F a casa sta male". "Certo - dico io - vediamo insieme cosa è meglio fare". F abbassa la testa e assume la posizione di chiusura che aveva nei primi incontri. Il colloquio volge al termine, lo psichiatra dice qualche parola di commiato. F mi dà la mano, trattenendo la mia più del normale e su qs stretta prolungata, che poi entrambi carichiamo un po' scherzosamente nel gesto, ci accomiatiamo.
Io mi sono chiesta che cosa rappresentavo per F e perchè con me parlava quasi esclusivamente di lavoro. Io ero líonnipotenza benigna - quella che sa tutto - e che ha la magica facoltà di metterlo in condizioni di lavorare.