CASTALDI: Faccio una brevissima presentazione, mi chiamo G. Castaldi, sono psicologo psicoterapeuta ed ho una formazione psicanalitica.
Il caso clinico che presento oggi riguarda un pz di un CPS in cui svolgevo una consulenza per le attività riabilitative. La mia testimonianza sarà quindi improntata sull'analisi di una certa trasformazione soggettiva del pz lungo il percorso riabilitativo.
Non sono più consulente in qs servizio da parecchio tempo e non ho avuto il permesso dall'ospedale di accedere alle cartelle cliniche
FRENI: quindi non è più parte dellíéquipe?
CASTALDI: non sono più parte dell'equipe
FRENI: quindi questo aggrava ulteriormente la situazione, bene
CASTALDI: l'analisi del caso è quindi parziale ed incompleta e quindi me ne scuso.
Roberto è un uomo ancora giovane, ha un primo ricovero per TSO nell'86. La diagnosi è Reazione Paranoidea acuta. Viene dimesso poco dopo. Ha un secondo ricovero nell'87 sempre con un TSO. La diagnosi è di Schizofrenia. Dal luglio dell'87 fino al novembre del 97, data di dimissione dell'ultimo ricovero, R viene ricoverato 19 vv. Considerato quindi il primo ricovero dell'86, in 11 anni viene ricoverato 20 vv, più della metà dei ricoveri sono per TSO. Vi dirò poi dopo la terapia farmacologica, parlo del nucleo familiare.
R è il terzogenito, ha due sorelle molto più grandi, sono tutte due sposate con figli, hanno una vita soddisfacente, sono piuttosto realizzate nella loro vita matrimoniale e lavorativa. Vivono nello stesso paese di R. R vive con la madre, molto anziana, in un piccolo appartamento, il padre è morto da parecchio tempo. R ha un grado di scolarizzazione basso: ha frequentato fino alla seconda media. In seconda è stato bocciato e non ha più ripetuto l'anno. Dalle parole delle due sorelle e anche dalla madre, più che dal discorso di R, emerge che R un po' da tutto il nucleo familiare è stato sempre posto e considerato in una posizione privilegiata, quella dell'unico figlio maschio, ultimogenito, molto coccolato e garantito in famiglia, poco stimolato, sia dalla famiglia, sia dal quadro sociale in cui allora viveva a rispondere agli impegni e alle responsabilità che il diventare adulto comporta. Resta enigmatico il fatto che non ha ripetuto dopo la bocciatura la seconda media e che nessuno in famiglia gli abbia imposto o almeno lo abbia spinto a rivedere la sua decisione di non volere mettersi in gioco l'anno seguente.
Il primo ricovero. R verso i 16 anni si trasferisce in settentrione, viene da solo, i genitori e la seconda sorella si trasferiranno in seguito, mentre la sorella maggiore è già al Nord e lavora in un'azienda. R fa una serie di lavori saltuari e dopo alcuni anni viene assunto dalla stessa ditta in cui lavora la sorella. Inizialmente si trova abbastanza bene, ma ad un certo punto, non è chiaro quando ciò avviene, inizia a identificare in uno dei dirigenti dell'azienda, il direttore del personale, un possibile persecutore.
La cosa aumenta sempre più nel tempo, fino ad arrivare all ricovero ospedaliero per Disturbo paranoideo delirante. Qui, forse, indico la terapia farmacologica: inizialmente Aloperidolo, in seguito Moditen e Haldol, infine Leponex. Viene dimesso dopo una permanenza in reparto psichiatrico di circa 4 mesi con questíultimo farmaco.
Iniziamo adesso l'esperienza riabilitativa.
Allora R mi viene affidato dall'equipe sanitaria del centro dopo alcuni mesi che svolgo la mia attività consulenziale. Negli ultimi 10 anni, appunto ripeto, aveva collezionato 18 ricoveri ospedalieri, più della metà per TSO. La presentazione che mi era stata fatta di R da parte dell'equipe sanitaria in particolare dal primario che lo seguiva ormai da molti anni, lasciava poche speranze riguardo ad un'evoluzione psichica positiva del pz. R era considerato bocciato, irrecuperabile da un punto di vista clinico, e quindi è escluso un andamento meno sintomatico e più stabile della sua esistenza. In definitiva era ormai classificato un pz cronico, e la sua cronicità ce la presenterà molto bene nell'andirivieni triangolare che aveva tre luoghi geografici di riferimento: 1) la sua abitazione, 2) il CPS, 3) il reparto psichiatrico ospedaliero. La psicologa del CPS che svolgeva colloqui psicologici con R da parecchi anni era la sola che si discostava da qs giudizio unanime negativo, e che nutriva ancora qualche speranza di poterlo riabilitare.
Nei primi incontri che ho con R sono colloqui individuali, vado a casa sua, lo faccio venire al CPS, ci vediamo al bar dove prendiamo un caffè, si evidenzia da parte sua un profondo disagio esistenziale, oltre che fisico, corporeo. R fa molta fatica ad addormentarsi la notte, ha un sonno travagliato da continui risvegli, che alcune volte sono da riferirsi a problemi intestinali e di enuresi, ma soprattutto ha un forte tremore alle mani, che lo ossessiona perché lo rende impotente nel suo desiderio di controllare il proprio corpo.
"Le mie mani tremano, non stanno ferme, non le controllo, non riesco a fargli fare ciò che io voglio".
Qualsiasi azione, la più semplice, mettere dello zucchero in una tazzina di caffè in un bar o mangiare insieme ad altri, diventano azioni improbabili, impossibili, ideali e vengono escluse, cioè lui si esclude dal farle o, se tentate, producono sostanzialmente due effetti su R: 1) un aumento della dimensione di impotenza e quindi una profusione d'angoscia; 2) una risposta violenta all'altro che lo sta guardando: "beh, cos'hai da guardare tu?, fatti i fatti tuoi" da qs seconda evenienza sono scaturite delle liti, per es. in un bar della sua zona con degli agiti da parte di R non tanto sulla persona che lo fronteggiava, quanto su cose, che trovava alla sua portata. Rompeva gettando a terra la tazzina di caffè oppure uscendo dal bar e prendeva a calci e pugni un cartello stradale. Da qs agiti sono scaturiti alcuni TSO. Perché qs azioni sono per il momento così impossibili e quindi in definitiva così ideali? Perché potremmo dire misurano lo scarto, la differenza incolmabile che esiste tra lui e la normalità degli essere umani. Ma soprattutto qs azioni rappresentano una misura di una diversità, perché sono implicative di un giudizio dell'altro, e qui lo metto maiuscolo l'Altro, che sfocia da una parte in una dimensione di impotenza e di angoscia e dall'altra, attraverso una dimensione proiettiva, in una risposta di violenza verso un Altro reale, personificato, che incarna, attraverso lo sguardo, un giudizio perentorio: "tu sei malato, non sei normale".
Il disagio esistenziale di R è anche motivo di qs scoordinamento corporeo, mette più l'accento sempre sull'essere uno scarto, sull'essere diverso, ma soprattutto sul fatto di non essere un sg produttivo. Quali sono gli aggettivi, che R mette in gioco nelle sue enunciazioni?, "sono inadeguato a vivere in qs società, sono inadempiente come uomo e non potrò mai sposarmi e avere figli, conciato come sono?, come faccio ad avere una donna se non lavoro e non riesco a lavorare, mi stanco, non riesco a concentrarmi, sto male soffro?, che senso ha la mia vita?"
la posizione soggettiva di R circola in qs serie di enunciazioni, cortocircuitando linguisticamente il prefisso privativo in-, in-adeguato in-adempiente e l'avverbio di negazione non, "non riesco", "non potrò". Dall'in al non. Sempre e solo sulla negazione. R in casa è soggettivamente la negazione, è la negazione, lo scarto, la differenza senza che ci sia una mediazione simbolica riguardo la proprio essere diverso. Ciascuno di noi è differente da quello che desidererebbe essere, ma in quanto nevrotici, e cioè normali, abbiamo la nostra costruzione fantasmatica ideale, che ci offre l'opportunità di articolare quello scarto, che comunque rimane, quando la nostra immagine ci ritorna dall'Altro.
R, non riuscendo a mediare simbolicamente il suo essere diverso, e cioè non riuscendo in definitiva a costruire un altro simbolico, che medi il rapporto tra lui e la realtà e quindi con i discorsi degli altri, costruisce un apparato delirante che lo difende da questíaltro persecutorio, dandogli una forma díidentità, un senso, acquietandolo riguardo allíangoscia e impedendogli di andare, attraverso degli agiti, contro líaltro. "Sto soffrendo molto in qs mia vita, ma anche Gesù Cristo ha patito le sofferenze degli uomini, porto i capelli lunghi, non me li taglio, sono diverso dagli altri, anche GC portava i capelli lunghi, seguo le orme del Cristo, è giusto, la mia venuta al mondo ha come destino la sofferenza devo accettarla, perchè è la via della salvezza".
Qual era stata fino ad allora la risposta sanitaria oltre che sociale, la famiglia e la gente del paese, riguardo a qs continua (inc)? Líequipe. Domanda di R di normalizzazione: "il medico mi deve guarire, mi deve cambiare i farmaci, non posso stare con qs tremore alle mani. se mi mette a posto il corpo sono a posto, posso essere amato da una donna."
Da una parte la risposta verteva su una certa sperimentazione farmacologica, che avrebbe dovuto rimettere a posto la macchina corporea. R aveva costruito un transfert immaginario molto intenso verso il ruolo del medico. "il dottore cura, guarisce può risolvere il mio problema". Ma ila fatto era che il cambiamento del farmaco poteva alleggerire il suo tremore, ma non rispondeva certo al problema di essere amato da una donna, non cíera nessuna continuità logica, nel senso di una articolazione simbolica tra líaquietamento del tremore alle mani e il potere accedere allíamore di una donna o a sposarsi. Cíè soltanto una continuità immaginaria tra qs due enunciazioni. Una precisazione: non sto assolutamente criticando líaspetto farmacologico. se il medico gli avesse risposto: non ti curo con i farmaci, ma ti curo con le parole sarebbe stato esattamente la stessa cosa. Una risposta onnipotente, che avrebbe aperto, come puntualmente accadeva, ad una logica persecutoria: il medico diventava il persecutore. La mia obiezione è sulla posizione che il medico ha assunto nei confronti della domanda di R e quindi sulla posizione controtranferale del medico.
Dallíaltra parte, sempre riguardo la domanda di normalizzazione di R, esisteva una certa omogeneità di risposta tra la famiglia, il CPS e la gente del paese. Che cosa gli si rispondeva? "Comportati bene e qs è líindice che ti stai normalizzando". Una risposta educativa che fa leva sullíideale in termini freudiani sul Superio è assolutamente insensata nei confronti di una logica psicotica, perchè continua a battere sullíideale, qui della normalizzazione, il buon comportamento, diventando sempre di più qs un simbolo immaginario.
Líesperienza riabilitativa che si è svolta con R ha cercato innanzitutto di depotenziare líaltro sanitario, familiare e sociale, di depotenziare il farmaco, la parola, la normalità dellíaltro, introducendo in qs onnipotenza immaginaria dellíaltro, percepito come modello assoluto e quindi reale, una frattura simbolica, dialettica. si è passati da una dialettica immaginaria ad una dialettica simbolica. In definitiva un decentramento dellíaltro per farlo diventare sempre più relativo. Nessuno può rispondere in assoluto alla domanda "che cosa sia essere un uomo?" o avere la formula per essere amato da una donna. Il farmaco risponde a certi criteri organici, il Leponex ha risolto alcuni effetti collaterali che R aveva con altri farmaci, ma non ha risolto il senso di infelicità che R si porta dentro, anche la parola non líha risolto. Qs decentramento dellíaltro, qui è stato importante la figura dellíultimo medico che si è occupato di R, perchè ha favorito una possibile nuova articolazione del modo in cui R assumeva il farmaco. Il medico in accordo con la direzione della cura riabilitativa, ha relativizzato la sua posizione, simbolizzandola e togliendola da una centralità immaginaria in cui era fissata da R. Che cosa gli ha detto sostanzialmente il medico? "Il farmaco, R, è funzionale a qs problema, ma non a qs altro, uno sì, líaltro no", ecco líalternanza, il gioco simbolico. "Della tua infelicità guarda che anchíio desidero cose che non riesco ad avere, parlane con altri, parlane con la psicologa, con Castaldi, non perchè loro abbiano la risposta, ma può essere comunque perchè è importante, può darti un certo sollievo".
Qui è un chiaro riferimento al (inc), al movimento dialettico di Hegel, il sole e líacqua. Il momento della dialettica.
Il medico ha messo in circolazione altri dottori, ma soprattutto altri nomi, ha triangolizzato il transfert, tentando di spostare la triangolazione reale: abitazione, CPS, ospedale psichiatrico, in una triangolazione simbolica: medico- psicologa- Castaldi.
Non abbiamo risolto il caso di R, ma tutto ciò ha comportato alcune trasformazioni che ritengo piuttosto importanti. Cíè stata una maggiore socializzazione di R che si è espressa anche in una minore posizione gregaria nei gruppi relativi alla riabilitazione; una maggiore facilità di parola ed una maggiore capacità di analisi introspettiva, che ha comportato una minore intolleranza rispetto agli altri ed al giudizio degli altri; più sintonia con il proprio corpo: si è tagliato i capelli; ha iniziato un lavoro protetto, che tutto sommato mantiene; è andato in vacanza per un mese al suo paese díorigine; infine è quasi due anni che non viene ricoverato.
In definitiva líesperienza riabilitativa che cosa ha tentato di fare? Ha cercato di mettere un poco di ordine nel discorso caotico del discorso di R, ha segmentato le diverse funzioni che hanno le parole con cui noi ci rappresentiamo. Qual è líutilità del farmaco?, che idea abbiamo dellíamore?, che cosa ci immaginiamo quando diciamo: "sei diventato un uomo"?, che cosa significa entrare in rapporto con un altro?, che cosíè qs normalità a cui tutti aspiriamo?
Líesperienza riabilitativa ha tentato di restituire alcune certezze e la certezza è esclusivamente immaginaria, per riorganizzare una realtà psichica di R attraverso líarticolazione delle tre dimensioni della (inc) che sono immaginaria, simbolica e reale. La parola riabilitazione si presta a numerosi equivoci, la posso accettare soltanto se do uníinterpretazione, in qs caso un senso, a ciò che per me significa abilitare, come giustamente diceva Viganò nella discussione avvenuta riguardo alla prestentazione di qs caso, R, ma qs è valido in generale per tutta la situazione psicotica, non è abilitato a rappresentarsi nel desiderio dellíaltro. Ciò che cosa significa?, che la psicosi non è abilitata a costruire il campo del proprio desiderio. Eí un desiderio morto, che non circola. Ri-abilitare significa dunque introdurre líindividuo in una circolazione sociale dellíaltro come soggetto giuridico, è la stessa cosa detta in un modo diverso di ciò che Franco Basaglia diceva molti anni fa "far ritornare i rinchiusi ad essere cittadini del mondo".