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SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA - MILANO
GUARDIA SECONDA

CLINICA PSICODINAMICA NEL LAVORO ISTITUZIONALE

DISCUSSIONE SUL CASO

Dr. Viganò: L'esposizione è stata forse un po' faticosa da seguire perché si tratta di n frammento di una storia clinica che possiamo solo immaginare. Questo uomo ha 35 anni e ciò di cui il Dr. Giglio ci parla è poco meno di un anno della vita di questa persona. E', si può dire, da un punto di vista clinico, un flash, un episodio che capita in un soggetto che da 15 anni fa uso di eroina. Quindi c'è un'anamnesi che non è del tutto costruita: c'è il discorso di A che produce dei ricordi, delle scansioni rispetto al passato ma non conosciamo la storia dal punto di vista dei tentativi terapeutici tentati o subiti. E' un punto da tenere presente nella discussione.

Come discutere di questo caso? Direi, discutiamo di questo intervento, prima interrotto e poi ripreso, che ha delle scansioni esemplari rispetto all'intervento in sé. Consideriamo il periodo precedente all'interruzione: c'è un primo tempo di una partecipazione volontaria, spontanea di A ai colloqui che mette in luce ciò che in lui è ripetitivo: come lui si vede, l'immagine di tossicodipendente a cui è identificato e come usa l'eroina. Sottolineerei la parola che è stata ripetuta più volte "uso strumentale" dell'eroina: nonostante che A si definisca tossicomane e che cerchi di smettere, accetta, quando glielo si fa notare l'uso strumentale (a cosa?) dell'eroina, in un quadro più complesso in cui c'entra il suo vittimismo non casuale, un farsi umiliare dall'avversario. Quindi c'è un uso dell'eroina, almeno nel momento in cui viene a parlare, non a 15 anni quando probabilmente essa aveva un'altra funzione, ma questa residualità strumentale porta ad interrogarsi a cosa sia strumentale, ad esempio se sia un sintomo soiale che supplisce al "vero" sintomo÷C'è una seconda cosa in cui il paziente sembra accedere ad una comunicazione più interiorizzata, ad un transfert, col mettere in gioco qualcosa di sé, del proprio inconscio, con il frammento di sogno dei tre uomini, numerazione molto particolare: "vedo tre uomini di cui uno sono io": c'è questo paradosso per cui ne vede tre e poi si conta tra i tre. Questa catena associativa dei ricordi con la seduzione dello zio, l'incesto con le sorelle, l'umiliazione della madre e questa breve comunicazione di contenuti di un inconscio il cui statuto va interrogato: di un inconscio a cielo aperto? O di un inconscio rimosso che contribuisce a costruire un sintomo, una sofferenza÷? Non sappiamo. Sono comunicati così, un po' velocemente.

Si chiude con una terza fase conclusiva che è introdotta da uno dei pochi interventi interpretativi del terapeuta che fa dire al soggetto: "la cosa sporca sono io". C'è un primo insight in cui A si coglie non come vittima ma come reietto, lasciato cadere dall'Altro e lì si comincia ad avere qualche piccola costruzione delirante: comincia un imbarazzo quando degli uomini lo fissano e da lì compare il padre padrone che gli ha "rubato l'infanzia". A partire da questo si apre la crisi, il natale, la ripresa dell'uso della sostanza e questo tema, non più della vittima, ma di far pagare al padre ed alla famiglia l'infanzia che è stata rubata e il voler farsela restituire e voler far pagare i genitori per questo furto. A questo punto si sottrae alla relazione con il terapeuta, cioè alla relazione simbolica, di parola con l'Altro, per entrare, dopo il sogno del bosco, nel periodo di alcuni mesi in cui si riempie di roba per poi tornare iniziando una nuova fase.

Sarà interessante se questa ripartirà con gli stessi terapisti o con le stesse figure (più precisamente se il transfert che era diventato persecutorio, potrà produrre u oggetto separatore, che lo renda trattabile), perché la mancanza di anamnesi non ci fa sapere tutti i cicli di terapie che in passato ha già fatto. E' interessante che qui ha fatto un ciclo che io ho diviso in tre momenti: presentarsi come vittima, dire dei contenuti che potrebbero essere attinenti ad una vicenda edipica, proiezione sull'esterno di questi contenuti: persecuzione omosessuale e poi ritorno nella routine tossica. Sarà interessante vedere se ripercorrerà questi tre tempi, ma è difficile ripetere con lo stesso interlocutore. La ripetizione presuppone che ci sia un interesse a farlo e allora non sarebbero più gli enunciati a prendere peso, ma il fatto di riproporli, lo loro enunciazione: che cosa lo muove a riproporli ancora? E' un primo spaccato, un primo tempo che ci fa fare molte considerazioni sulla diagnosi, meno sulle terapie possibili.

Intervento dalla sala: Mi ha colpito questo mettere il terapeuta tra le persone a cui farla pagare; però ha telefonato all'educatrice mettendo lui che è un uomo in un certo posto. Mi chiedo come lui lo vede nella sequenza di tutta la storia che a volte è stata un po' difficile da comprendere nelle sue scansioni, mentre questa è stata chiamata , mi pare, rivendicativa.

Intervento dalla sala: L'impressione è che Giglio si sia un po' spaventato di questa direttività, di aver diretto così precisamente al terapeuta questo messaggio di rivendicazione.

Dr. Giglio: Si, penso che quest'aspetto sia vero, nel senso che nelle relazioni significative con la famiglia e con la compagna con cui è stato otto anni, ci sia sempre quest'aspetto ambivalente, riventicativo, ed in effetti ha voluto farla pagare anche a me. E' vero che c'è una consuetudine che lo ha portato a chiamare l'educatrice perché c'è un'equipe di lavoro e quindi una serie di questioni vengono rivolte all'educatrice; io vengo contattato poco, direttamente. Poi, sul seguito, il lavoro sta procedendo in un modo un po' diverso, più di sostegno che non di approfondimento di questioni più particolari, ad un livello sociale, diciamo: ha iniziato un corso di computer, cose che usualmente si propongono nei centri dove lavoro io, ed è ricomparso ancora il versante della rivendicazione di non poter aiutarlo: "no, tu non puoi fare niente per me perché io vado a farmi".

Dr. Viganò: Ha rivelato una delle strumentalità a cui serve l'eroina: mettere l'altro nella posizione di non poterlo aiutare.

Intervento dalla sala: L'ipotesi diagnostica è un'ipotesi sub iudice o questo paziente è per lei di struttura nevrotica? Io avrei dei dubbi! Ho percepito un Sé fortemente attaccato, deteriorato; c'è un'interiorizzazione di un Sé cattivo e di un oggetto piuttosto scisso. Non sono riuscito a recepire dove sta l'oggetto idealizzato: forse c'è stata una traccia, un flash in un momento, ma sicuramente ho percepito un oggetto cattivo e questo, a mio avviso, non concilia con una struttura nevrtica ma con una struttura evolutivamente precedente. Ho sentito un forte masochismo che mi riporta ad una struttura di marca pre-edipica con dei fortissimi attacchi al Sé dove la droga è usata strumentalmente per attaccare l'altro ma soprattutto per attaccare se stesso: "io sono l'oggetto sporco e cattivo, mi devo deteriorare a tutti i costi". Anche lo stare a casa coattivo che lui dice di voler mettere in atto, mi sembra rientri in un progetto di distruzione del Sé.

Intervento dalla sala: Ho trovato questo caso molto ricco e molto sostanzioso: io penso che si potrebbe ipotizzare invece la nevrosi (÷) la madre che non lo aiuta rispetto alle sorelle che, a suo dire, sono loro che lo seducono; la madre non da spazio a questo discorso, è solo lui che viene picchiato, messo nella condizione del reietto. Quindi non viene raccolta questa profonda amarezza, disperazione di A, perché l'altro non risponde, che poi è la condizione in cui mette gli altri e lo dice pure:" io mi faccio per ripetere, per mettere l'altro nella condizione di non rispondere, di non aiutare", e questa è una visione del tutto psichiatrica. Io non conosco il paziente ma da come il dottore espone, il discorso ecc., a me non sembra un soggetto psicotico. E' vero che ci sono queste seduzioni terribili, un padre ubriaco, quasi delirante: bisogna anche vedere che tipo di famiglia, che tipo di situazione reale questo ragazzo ha vissuto. Io quindi credo che sia importante anche capire questo quadro; lo articola anche: "mio padre era un padre padrone, violento, poi in realtà era lei, la madre che comandava÷" cioè sembra quasi un rovesciamento, una scoperta, rettificazione molto pesante che lui non riesce a sopportare, drammatica, in un momento in cui poi c'è il Natale, in cui poi l'operatore è costretto comunque ad interrompere÷e anche qui si può riflettere: a volte succedono dei momenti critici nelle feste e proprio nei pazienti nevrotici determinano delle scansioni importanti, delle cadute pesantissime che poi magari col tempo si recuperano.

Dr Viganò: Questi interventi riportano delle considerazioni da trattenere perchè, rispetto alla diagnosi, abbiamo visto non tanto due opinioni contrapposte quanto due punti di vista da cui si può fare la diagnosi: il primo è sicuramente incontestabile, che la clinica testimonia e cioè un'interiorizzazione dell'oggetto cattivo tale da arrivare ad una proiettività e ad una aggressione anche verso il terapeuta e, rispetto alla possibilità di stabilire un oggetto nel transfert si produce un'aggressività, una distruttività tale che questo deve ricorrere all'eroina. Ora questo è lì da vedere, cioè non c'è una relazione d'oggetto strutturata almeno attraverso un sintomo nevrotico classico ma una scissione per cui quando l'oggetto si presentifica è talmente distruttivo che il soggetto deve splittare. Il secondo intervento dice: ma se ci fosse stato un transfert capace di contenere questa aggressività, e poter arginare quindi anche la coincidenza del Natale, magari il soggetto avrebbe introiettato qualcosa di ciò che si stava iniziando a produrre dell'ordine di un'articolazione, di mettere in relazione sé non solo come reietto ma introducendo la figura del padre, una questione di pagamento, simbolica dunque. Di debito: chi deve pagare e a chi, non è lui il rifiuto, come resto di un'operazione, ma c'è un'operazione che simbolicamente e non strettamente in modo delirante si stava aprendo. Rifacciamo i conti; ritorniamo a÷quindi in quest'ipotesi si può pensare che qualcosa di un sintomo nevrotico si organizzerebbe qualora ci fosse il transfert capace di far si che il soggetto lo organizzi. Sembrano due punti di vista che io tenderei a mantenere, non per stabilire la ragione della diagnosi di psicosi o nevrosi ma come considerazioni rispetto al tipo di transfert, come relazione terapeutica. La mia opinione, ed interrogo voi, è che in questi casi non bisogna accanirsi sulla diagnosi, come se fosse l'ontologia ultima o la dimostrazione dell'esistenza di Dio. Se non ci sono gli elementi si dice che in questo contesto terapeutico di transfert la diagnosi mostra una personalità che agisce nello stile psicotico, della proiezione, della scissione, della distruzione, dell'atto. In un contesto transferale diverso può darsi che questo soggetto possa arrivare ad articolare qualcosa nello stile nevrotico. La soluzione da un punto di vista classificatorio, strarebbe nel metterlo a metà strada, nel borderline, né psicotico né nevrotico, nel limbo dei disturbi di personalità. Io credo che vadano invece rilevati questi elementi ed affidati con più prudenza al transfert che sta riprendendo. L'ultima cosa che diceva il Dr Giglio, mi sembra interessante e cioè che nella ripresa, spontaneamente, terapista e paziente si sono messi nella linea della creazione d'oggetto, più prudente, cioè attraverso qualcosa più legato alla realtà, allo scambio scambiabile, non immediatamente sugli oggetti infantili, che sono intrattabili per questo soggetto, e quindi sembra una strategia meno azzardata della provocazione della distruttività dell'oggetto cattivo. Conclusione del mio ragionamento è quindi non sospendere la diagnosi perché per agire bisogna avere un'ipotesi di lavoro. La diagnosi attuale è quindi che questo soggetto è a rischio di splitting, di scissione, di passaggio all'atto, di persecutorietà del transfert. Quindi questa è una diagnosi provvisoria, che non porta però a fare diagnosi di schizofrenia perché non ci sono sintomi psicotici nella realtà. Va trattato transferalmente rispetto allo stile psicotico che produce nel transfert in attesa che la sua struttura si chiarisca, si decida.

Intervento dalla sala: Io sono uno specializzando in psichiatria e volevo sottolineare un aspetto forse diverso sulla sensazione che dà questo paziente. Prima si è discusso dell'impotenza sua nei confronti di questo paziente; ora si parlava di diagnosi e il quadro che dava sembrava quasi l'epitaffio di un soggetto sieropositivo, che fa uso di eroina, una storia personale di stupro a sei anni, rapporti sessuali con le sorelle, lui allontanato dalla famiglia. Il senso che dava, personalmente, era quasi di disinteresse, come se io fossi anestetizzato da questo paziente, come se l'eroina non fosse solo nella vena del paziente, ma finisse in quest'aula, sparso nell'aria. Che cosa facciamo: ok decidiamo la diagnosi, e poi? Aspettiamo che i globuli bianchi scendano sotto un certo livello?

Dr. Viganò: No, no, se io ho capito bene il paziente è andato altrove e poi è tornato alla comunità dopo essere stato metadonizzato. Fa bene a richiamare la drammaticità dell'esperienza soggettiva, però bisogna tenete presente che nella rete sociale oggi, purtroppo la drammaticità si perde. Questo soggetto, prima di arrivare al Dr Giglio, avrà passato in 25 anni 25 equipe e anche la capacità di sottrarsi deriva da questo÷lui è stato attivo. Come si fa allora in una rete sociale così dispersa ed anodina, cioè insensibileal grido di dolore, a mantenere l'interrogativo che lo specializzando ci poneva? Come si fa a prendere in considerazione il caso senza cadere nell'anestesia routinaria? Uno degli strumenti è mettere il caso in una storicizzazione, costruire con lui una storia del soggetto, per iniziare a diventare sensibili al tipo di dramma che il soggetto vive. Oggi si tende a evitare di storicizzare per difesa, per non mettere l'operatore nell'imbarazzo di prendere posizione di fronte ad un dramma grosso. Oppure, semplicemente, per evitare di dare una risposta che riguarda il sé dell'operatore. Il richiamo a non lasciarsi anestetizzare dall'eroina nel modo di parlare è valido come lo è per gli psichiatri quello di non lasciarsi schizofrenizzare dal rapporto con lo schizofrenico.

Intervento dalla sala: Torna con una certa frequenza la questione della cosa sporca. Sto seguendo la tesi di una mia compagna che lavora in un centro per bambini abusati e questo è il vissuto tipico dei bambini abusati: "Io sono la cosa sporca". Chiedo se in quest'ottica tutto abbia origine nel trauma che lei ha riferito. Considerando che "è successo forse÷." Mi pare che il soggetto stia cercando attraverso la droga di ripetere il trauma e, in qualche modo, dominarlo attraverso la droga. Se questo sogno del bosco e del fango "c'era il bosco, c'era il fango, aspettavo lo spacciatore", mi sembra la stessa identica scena. Mi chiedo se questa sua richiesta di essere ascoltato così come non è stato ascoltato a suo tempo dalla madre, sia adesso rivolto a lei e il soggetto la stia mettendo alla prova perchè vuole essere ascoltato finalmente, vuole essere sollevato dallo sporco.

Dr Giglio: E' molto interessante e quest'ipotesi l'ho fatta anch'io anche perché non abbiamo avuto più modo di tornare sul "credo di essere stato violentato" perché quel colloquio ha scatenato ciò che descriveva Viganò, la paranoia, l'esser fissato in autobus, la questione del padre e tutto è partito dal fango di un sogno che lei giustamente ha ripreso. Toccare questo tasto ha innescato una serie di conseguenze che lo hanno allontanato. Io ho ascoltato, non ho fatto alcun intervento su questo punto. Ma è bastato questo per allontanarlo÷ Questa cosa mi ha coinvolto. Mi dispiace che si sia parlato di anestesia perché personalmente questo è un caso che non mi ha lasciato indifferente. L'ho seguito con impegno e mi ha coinvolto nonostante la gravità della situazione. Rispetto alla diagnosi può anche darsi che quest'eroina faccia da contenitore ad una psicosi e che quando il soggetto usa sostanze è in grado di tenere un atteggiamento che dal mio punto di vista è apparentemente nevrotico. Effettivamente non so come sarebbe strutturalmente se non assumesse alcuna sostanza. Non è chiaro per me.

Intervento dalla sala: Pensavo che questo punto della cosa sporca sia cruciale. Ci sono stati degli effetti dopo questa scoperta. Io non penso che lui la metta al posto della madre, anche se lei in un certo momento ci crede e dice: "io forse non capisco questa richiesta di aiuto da parte sua" dato che lei risponde con una assicurazione. Però qui il soggetto ci avverte: "guardate che quest'oggetto non è trattabile", almeno nel senso della nevrosi, con i poche elementi che abbiamo. Perché la madre dice contrariamente "Questo non è per te" quindi quando lei propone qualcosa di diverso si mette in una posizione che potrebbe aprire al nevrotico una certa altra via, invece lui si sottrae. Quindi questa fase di sostegno in cui l'oggetto viene trattato, ma non nel senso del "parliamone", nel senso di ciò che è accaduto, apre già una lettura diagnostica. Penso che questa "passione" diagnostica abbia a che fare con la cura, con il trattamento. Se questo oggetto non rimaneggiabile comanda la mamma e dice anche a proposito di suo padre che non è mai stato importante anche se dettava legge, e mi pare che questa serie di dati ci dica molto della sua posizione di soggetto, penso che non si possa trattare nel senso della nevrosi come rimaneggiamento della sua posizione di oggetto.

Dr Viganò: inquadrare così la diagnosi la porta su un versante molto più umano di trattabilità del transfert e dell'oggetto. C'è modo e modo di ascoltare: ascoltare il senso delle frasi oppure ascoltare l'angoscia che quest'oggetto produce e quindi tenerne conto leggendo gli avvertimenti. L'ascolto non è solo l'interpretazione. Avvertire il grido di aiuto non comporta che lui si aspettasse che la madre lo interpretasse, ma che fosse presente con il suo desiderio, che lo tenesse magari in braccio. Quindi l'ascolto è anche prendere in braccio dal punto di vista analitico-dinamico. L'ascolto non è solo la psicologia del perché e del per come, della costruzione di senso, ma è l'accoglimento della relazione che il soggetto ha con l'oggetto.

Intervento dalla sala: secondo me lo dice molto bene ciò di cui ha bisogno e la direzione in cui si potrebbe eventualmente andare quando dice: "ci sono tre possibilità÷" che poi è sempre la stessa: lui è sempre il pezzo, l'oggetto di una mamma che lo tratta in maniera molto narcisistica, che non lo vede come un oggetto staccato da sé, come un bambino che può contenere del buono e del cattivo. A mio parere è qui il messaggio: "Accoglimi non come un oggetto narcisistico, ma come un oggetto che può essere buono o cattivo, che può farsi la droga o non farsela". Mi chiedevo anche se c'era stata una certa valutazione inconscia positiva o negativa del suo farsi o del suo non farsi, perché sembra che inizialmente lui non voglia essere accolto come buono, ma come sporco, nelle sue parti cattive, perché solo così può vedere se un'evoluzione c'è. La mia diagnosi era posta come una domanda a cui ci sta chiamando a rispondere e non come un'etichetta..

Dr Freni: Io volevo riprendere la cornice del caso, cosa accade, cosa cerca. Io penso che siano vere, ma poi di fatto c'è sempre una lacuna perché lavorare così è molto impegnativo e a volte non se ne coglie il valore, la portata. Viene spontaneo al di là della diagnosi, sempre discutibile, ma fatta in base a criteri e parametri che noi utilizziamo. Quindi se gli strumenti sono le modalità difensive, i suoi strumenti, i suoi comportamenti, non vedo grosse difficoltà: scissione, proiezione, preferenza all'agire. Secondo un certo orientamento clinico si configura in un quadro borderline con un gradiente maggiore di gravità rispetto al grado di vicinanza e lontananza dai gradienti psicosi e nevrosi. La cosa che mi sembra più rilevante è invece cercare di capire chi è questo signore, dove sta andando e cosa stanno facendo i due quando parlano insieme: sono lì in una situazione surreale o c'è un progetto, un programma condiviso? Si parla, ci sono dei colloqui di valutazione, però quello che accade dopo non è chiaro come venga definito. Se è chiaro soprattutto a lui che viene lì. Mi sembra ci siano due orientamenti nella pratica: uno che tende ad accogliere in modo molto buono, rinuncia all'etichetta, di persecuzioni, di programmi terapeutici precisi; l'altro che si sta profilando come un approccio molto rigoroso in cui una pianificazione e un contratto del trattamento si ritiene essere un elemento fondante del trattamento stesso senza il quale si sconsiglia perfino di avviare il trattamento. A proposito di " Dove va la salute mentale", stiamo assistendo a pratiche che portano in direzioni molto diverse. Ad es, mentre sentivo gli interventi, ripensavo alla pratica proposta dal gruppo Kernberg sui bordelrline, dove l'indirizzo che sta prendendo sempre di più è l'importanza del contratto e dell'adesione rigorosa al patto terapeutico. Il punto è come creare le condizioni per cui un trattamento possa sussistere e possa chiamarsi tale e fino a che punto questo è vincolante per l'utente e per l'operatore. Secondo alcuni, al di fuori di questa cornice, non c'è trattamento, ci può essere un parlare strumentale al fatto che troviamo degli spunti che possano aumentare la nostra esperienza clinica e fare un seminario che ci permetta di testare la teoria clinica. Però il trattamento come possibilità di ottenere trasformazioni è già pregiudicato. Non vorrei entrare nella specificità del caso che mi sembra molto complesso; però il come va il caso dipende molto da questa centratura perché se io istituisco me come punto di riferimento del transfert, tutti i movimenti che il paziente fa, non posso non interpretarli come attacchi alla relazione di transfert, compreso il fatto che va dall'altro. Se io assumo in modo forte questo punto, la proposta del gruppo Kernberg, l'intervento non può esimersi da un'interpretazione intensiva forte, coraggiosa del transfert nei suoi aspetti negativi ma anche idealizzanti. Penso che sia opportuno costruire una cornice entro cui stiamo pensando di operare. Mi chiedevo: "cosa stanno facendo questi due: stanno facendo una terapia, stanno prolungando l'osservazione, si stanno usando reciprocamente ciascuno per scopi non dichiarati, non condivisi", perché non sembra che ci sia una psicoterapia in corso, definita come tale dai due partecipanti. Sembra che ci sia un ascolto analitico, qualche intervento analiticamente illuminato, sembra che ci sia un paziente che portando qualche sogno corrisponda con degli spunti da portare ad un analista, però tutto ciò non accade all'interno di una conduzione, di una consapevolezza di stare facendo un discorso di questo tipo. Come non è chiaro che tipo di valutazione si faccia; vorrei pensare che tutto ciò che è accaduto rientri in un'ottica del preliminare che, visto così, potrebbe portare ad un grave disturbo borderline con scissione, identificazione proiettiva, con la ragazza che si innamora dello psicologo e lui vive l'altro come rivale con cui misurarsi, ma il rivale è anche l'osservatore attuale nel qui ed ora.. il sogno è interessante perché fa vedere una scissione fra un Sé che è in grado di osservare, e questo mi sembra una cosa buona che lo qualifica come non particolarmente psicotico, ed un Sé che agisce in questa specie di intestino, luogo anale. Mi sembra che dobbiamo appellarci ad una pratica molto più rigorosa e ad una programmazione terapeutica che comprenderebbe saperne di più anche rispetto al SerT e all'integrazione del trattamento. Lavorare così è molto difficile; viviamo in questa realtà strana, che a me personalmente preoccupa, di questo fiorire di offerte dove tutto ed il contrario di tutto va bene. Sono forse gli analisti che riconoscono il rispetto per un capire psicanalitico che è una cosa che si fa con grande sforzo e che i giovani specializzandi stanno includendo a fatica ma che non è scontata come pratica. A volte lo si capisce teoricamente, intellettualmente; lo si usa in alcuni interventi per rendere il discorso più elegante, seducente, ma trasferirla nella realtà operativa quotidiana è una cosa difficilissima. Ecco perché decidere di lavorare in questo modo piuttosto che in un altro, in un caso del genere, è preliminare ad ogni discorso. Non si capisce quale sia il regolamento di questo centro diurno privato, se si basa su un patto preciso con l'utente o se sia aperto e disponibile con chiunque venga, tollerando che faccia quella piccola parte che pensa di poter fare. E' un discorso di impostazione metodologica, anche a seconda del periodo storico che un centro sta attraversando. La questione è se e come è possibile creare le condizioni reali e strutturali perché si possa mettere in atto un programma anziché un altro o se si ritiene che tutto questo non serva a niente: si fa quel che si può; il paziente va e torna, e va bene così.

Intervento dalla sala: A proposito degli ultimi interventi col paziente, egli riferisce di essere stato male e l'incapacità di adottare strategie adeguate rispetto alla propria condizione di sofferenza, di disagio, di manchevolezza e questo lo aveva fatto stare male. Interpella il terapeuta che gli parla dell'inconscio, dell'incapacità di soddisfare ogni bisogno che affiora e quindi di evitare ansietà o sentimenti di manchevolezza e fragilità; dopo di chè il paziente porta il sogno dello spacciatore e poi l'interruzione. Allora si può pensare che nell'hic et nunc il paziente dimostra di poter fare l'osservazione del proprio stato ed anche di avere un vissuto suo nei riguardi del terapeuta. Quando emerge la fragilità e la sofferenza che ne consegue, il paziente si sente alle prese con uno spacciatore, e allora va dallo spacciatore vero, non tollerando una realtà mentale, di avere una vita mentale. Io vorrei rovesciare le condizioni di Freni che propone un trattamento strutturato, di fronte ad un paziente che non tollera di avere una vita psichica. Se ci sono delle difficoltà non si può mettersi a fare il carabiniere, proprio per queste espressioni di rigetto così radicali. Io sono d'accordo sulla necessità di approntare dei modi di trattamento che tengano conto delle esigenze inevitabili; il paziente deve presentarsi, però se non è in grado di assumerlo questo va visto con il paziente stesso. Altrimenti limitiamo le libertà personali e ci illudiamo di curarli.

Dr Giglio: Questo Centro diurno è aperto da sei anni ed è stata fatta la scelta, se è stata fatta, di occuparsi di tossicodipendenti attivi; queste persone fanno uso di sostanze e ciò ha un'inevitabile ricaduta su qualunque tipo di terapia ed anche sul transfert. Si è parlato di preliminare e mi sembra che tutto il lavoro del Centro Diurno si colleghi alla clinica del preliminare che, a mio avviso, è tutto quello che si può fare con un tossicodipendente attivo. Preliminare che poi non necessariamente sfocia in una psicoanalisi; a volte può accadere che vengano inviati ad uno psicoanalista esterno al centro. Può essere un lavoro preliminare che dura anni, se non tutta la vita.

Dr. Viganò: Non lascerei troppo in sospeso la cosa perché è il tema di quest'anno. E' chiaro che si tratterà di offrire un'alternativa che non sia un'alternativa coatta, se no torniamo al manicomio, ma comunque cosa vuol dire cambiare strategia e quando, quindi la seconda fase del loro intervento ed il collegamento che questo richiede tra enti differenti, nodi diversi della rete.

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