| Il caso di Alberto D. Cosenza: I - Il dispositivo Il caso che vi presento riguarda un ragazzo di 28 anni, Alberto, che vedo da circa tre anni e mezzo, nel quadro di un'esperienza di lavoro di sostegno psicologico a domicilio attivata su alcuni casi di psicosi in collaborazione con Carlo ViganŽ e Luigi Colombo. Si tratta quindi du un'esperienza di equipe privata di lavoro in ambito clinico, caratterizzata dal comune riferimento dei suoi operatori ad un'orientamento di marca psicoanalitica. Alberto À seguito da me e Colombo nel lavoro domiciliare una volta alla settimana ciascuno, e da ViganŽ in studio settimanalmente per oltre due anni, fino al momento in cui Alberto prese la decisione, espressa pubblicamente in uno dei nostri incontri periodici con lui ed i suoi genitori, di porvi fine almeno temporaneamente. . Le scansioni del lavoro sui casi e l'emergenza del materiale clinico vengono da noi elaborati collettivamente in una riunione d'equipe con cadenza mensile. Un altro momento importante nella nostra modalita' di lavoro consiste in un'incontro, anch'esso di cadenza mensile, con Alberto ed i suoi genitori. Nel caso di Alberto, il nostro lavoro si inserisce all'interno di una rete di rapporti con strutture che gia' si occupano di lui a differenti livelli. Infatti, parallelamente all'inizio del nostro intervento, nel luglio del '95 Alberto aveva iniziato anche a frequentare a Milano un centro diurno per reinserimento ed avviamento al lavoro di ex tossicodipendenti, che ha cessato di frequentare da qualche mese, senza essere riuscito ad ottenere, dopo una serie di tentativi falliti, un'occupazione lavorativa. La cura farmacologica viene seguita da una psichiatra del Centro Psicosociale di zona che lo ha preso in carico a partire dal marzo del '95, su segnalazione di un collega del NOT, e che tuttora lo segue. Si tratta di una congiuntura, quella che si gioca nella prima meta' del '95, importante nella storia di Alberto. Si tratta infatti di un momento che fa da spartiacque tra la sua precedente identita' di tossicodipendente, e la sua nuova identita' di malato psichiatrico, simbolizzata dal passaggio della sua presa incarico dal NOT al CPS. Proprio all'interno di tale congiuntura, durante la sua ultima permanenza in una comunita' per tossicodipendenti tra gennaio e marzo '95, si sono infatti manifestati quegli episodi dissociativi acuti che hanno determinato lo spostarsi delle competenze del suo caso nell'ambito della psichiatria. Alberto ha iniziato fin dall'eta' di 14 anni a fare uso di sostanze psicotrope, e dall'89 À passato ad un consumo massiccio di eroina; da allora, e per circa una decina di anni ha condotto una vita marcata dai segni della tossicomania. All'eta' di 17 anni interrompe la scuola di perito meccanico che stava frequentando, ed inizia a condurre uno stile di vita da deviante, frequentando i gruppi di drogati e di spacciatori. Quando abbiamo iniziato a vederlo, nel giugno del '95, aveva da qualche mese smesso di fare uso di droga e passava le sue giornate senza uscire da casa. La nostra esperienza cono Alberto si À attivata a partire da una domanda di sua madre a ViganŽ affinch» si facesse carico di qualcosa, del figlio, che non riguardava tanto la sua tossicodipendenza, quanto l'emergere di fenomeni che facevano presumere, cos¦ gli avevano detto gli psicologi della SAMAN che lo avevano seguito, l'esistenza di una patologia di tipo psichiatrico. Da qui À partita l'idea e l'iniziativa di attivare anche per Alberto, quella forma di intervento gia' da noi attivata in altre situazioni, implicante anche un lavoro di assistenza psicologica domiciliare e di accompagnamento che ha coinvolto anche me e Colombo. Inizialmente, l'idea di mettere in campo due operatori per il lavoro domiciliare fu dettata da ragioni pratiche, legate alla nostra esigua disponibilita' di tempo rispetto alle richieste del ragazzo e dei familiari; in seguito, tuttavia, ci rendemmo presto conto della fecondita' con Alberto di tale operazione. Infatti, la presenza di due operatori diversi ha permesso a noi di costruire l'intervento domiciliare rendendo l'investimento emotivo di Alberto su ciascuno di noi piò ripartito e tollerabile facilitando i nostri movimenti nella relazione con lui, ed a lui ha consentito di costruire nell'intervento terapeutico una differente orientazione del suo discorso, calibrata in modo specifico con ciascuno di noi a seconda di ciŽ che siamo giunti a rappresentare per lui. In termini piò concreti, Alberto parla piò diffusamente di alcune cose con me, di altre con il mio collega, a seconda dei differenti tratti specifici che ha voluto riconoscere in ciascuno di noi, fornendo in tal modo a noi del materiale clinicamente utile per le nostre »quipe mensili, in cui ricomponiamo le differenti sequenze di discorso che Alberto intrattiene con ciascuno di noi. A differenza di ViganŽ, che occupava nella relazione con Alberto il posto asimmetrico di colui rispetto al quale egli doveva provare a dire qualcosa di soggettivo rispetto alla propria sofferenza, io e Colombo ci siamo posizionati rispetto alla relazione con lui in una modalita' piò simmetrico-speculare, piò "debole", giungendo a condividere con lui non solo esperienze di parola, ma anche esperienze pratiche come l'andare al cinema o al ristorante. II - Il contesto Alberto vive in un piccolo appartamento di due locali insieme a sua nonna, un'anziana signora madre della madre, in un quartiere di Milano situato tra il centro urbano e la periferia ovest della citta'. E' nato e vissuto tutta la vita nel palazzo nel quale vivevano le famiglie dei suoi genitori prima che essi si sposassero e che, dopo una decina di anni dalla nascita di Alberto, si separassero. Due piani sopra l'appartamento in cui vive oggi Alberto c'À l'appartamento in cui vive suo padre, uomo intorno ai cinquant'anni, dirigente di una compagnia di assicurazioni spesso in viaggio per lavoro, che dopo la separazione dalla moglie ha avviato da anni una relazione con un'altra donna, pur rifiutando l'idea di un altro matrimonio ed anche di una convivenza. Vive insieme al figlio maggiore, fratello di Alberto, Luca, ritenuto da entrambi i genitori il figlio "buono" di contro alla sregolatezza incontrollabile di Alberto. La madre invece, donna di eta' intorno ai 45 anni, responsabile del personale di una azienda del settore elettrico, dopo la separazione dal marito, ha vissuto dapprima per alcuni anni sola in un monolocale ed À in seguito andata a vivere, ormai da diversi anni, col suo nuovo uomo, un medico piò giovane di lei, in un appartamento del centro storico. III - L'incontro con Alberto La prima volta che andai a trovare Alberto a casa sua, nel giugno del '95, mi venne incontro con un sorriso piuttosto impersonale ed uno sguardo fisso. Ci eravamo gia' sentiti telefonicamente il giorno prima per accordarci sull'orario del mio arrivo, e la madre aveva gia' provveduto ad informarlo sulle ragioni dei nostri futuri incontri con lui. Attendeva il mio arrivo. Dopo esserci presentati, mi fa accomodare e si offre di prepararmi un caffÀ. Gli domando come si sente, e lui comincia a parlarmi di qualcosa che a iniziato a manifestarsi nella sua vita da un po' di mesi e che lo ha, a suo dire, trasformato. Giovanni mi parla cioÀ di qualche cosa che lui ha vissuto come uno spartiacque tra una prima fase della sua esistenza, ed una seconda nella quale ora si sente immerso. Un punto di discontinuita' che gli sta cambiando radicalmente la vita. "Non so bene cosa mi À successo, mi dice. E' da un po' di tempo che ho dei problemi col linguaggio corporeo. Quando mi trovo con gli altri non riesco piò a capire i segnali che loro mi mandano. E' per questo che À da un mese che non esco piò di casa. Solo andare in un bar a prendere un caffÀ mi manda in confusione. Non capisco nello sguardo degli altri se c'À un messaggio rivolto a me oppure no!". Questo À quanto mi dice con un linguaggio piuttosto forbito e impersonale, di cui colpisce la scansione rallentata delle parole. Gli domando allora come era la sua vita prima che lui avesse questo problema legato al linguaggio corporeo. "Prima ero un ragazzo sveglio, furbo, ribelle. Uno che ci sapeva fare. Sono scappato diverse volte dalla comunita' SAMAN per andare a farmi, e alla fine non hanno piò voluto tenermi. Prima di entrare in comunita', uscivo tutte le sere di notte con la mia macchina e andavo in discoteca tutte le sere, e mi procuravo la roba rubando gli stereo delle macchine e rivendendoli. Frequentavo tutti i giri di spacciatori e di tossici del Giambellino e di quarto Oggiaro (zone periferiche degradate di Milano) e tutti ancora si ricordano di me. Ora invece non esco piò di casa. Non vado piò in discoteca da tanto tempo. Non frequento piò i giri di droga. Non posso piò usare la macchina. Il mio corpo À bloccato. Mi guardo allo specchio e i miei occhi sono spenti!". Alberto mi descrive il punto di rottura che ha segnato l'impasse della sua vita come una metamorfosi che lo ha trasformato improvvisamente in qualcosa di "altro" da un tossicomane come credeva di essere; qualcosa di diverso dagli altri tossicodipendenti che vedeva nelle comunita' o nel centro diurno che frequentava. Gli chiedo se À stato informato sulle ragioni degli incontri che lui avra' con me e gli altri componenti dell'»quipe e se À d'accordo sul fatto che ci incontriamo. "Ho bisogno di ricostruire la mia personalita' che si À rotta", mi dice "Parlare con voi mi puŽ aiutare a rimettere insieme, piano piano, la mia personalita'". L'esigenza di Alberto sembra essere quella di una riparazione di qualcosa che si À rotto, qualcosa che introduca un ordine nella disarticolazione del suo linguaggio corporeo, qualcosa che riporti una unita' alla frammentazione che lo attraversa. IV - La congiuntura di scatenamento Nei successivi incontri, Alberto ricostruisce con ciascuno di noi, a partire dalle nostre domande, i frammenti di quanto avvenuto nel periodo della sua crisi in comunita', permettendocene una messa in ordine successiva nelle nostre riunioni d'»quipe. Ci dice che i fenomeni allucinatori che si sono verificati allora (vedeva peni che si muovevano lungo le pareti della stanza, e diceva di essere lui ad accendere e spegnere le luci interne alla comunita' con la forza del pensiero) si sono dopo un episodio omosessuale intercorso tra lui ed un tossicodipendente piò grande, Enrico, noto per essere un "femminiello", uno che offre prestazioni sessuali agli uomini a pagamento. Una fellatio praticata da Enrico ad Alberto in comunita' scatena in lui la crisi psicotica che portera' al suo ricovero, ed in seguito al suo affido allo psichiatra del CPS, che iniziera' a trattarlo nei primi tempi col Melleril ed il Talofen, per poi stabilizzare dopo sei mesi, per lungo tempo, la terapia farmacologica con il Moditen. Interrogato da me su che cosa aveva provato per quel ragazzo, dice di essere stato conquistato dalla sua gentilezza e dalle sue attenzioni, e di avere sentito per lui "una specie di innamoramento", paragonabile a quello che provava per Lucia, la sua prima fidanzata. A conferma di ciŽ, la madre mi confidŽ a suo tempo che in quel periodo Alberto le aveva domandato di fare inviare a Enrico da parte sua un mazzo di rose rosse. Qualcosa di intollerabile nell'ambiguita' sessuale di Enrico e di s» stesso ha incrinato nell'esperienza di Alberto quell'equilibrio stabilizzatore che l'eterosessualita' della sua vita di coppia, prima nel rapporto con Lucia, durato dai 17 ai 26 anni, subito dopo il rapporto con Consuelo, tuttora in corso seppure con grandi difficolta', avevano contribuito a stabilire. V - Lo snodarsi dell'intervento e le crisi di Alberto Per circa tre anni, dal '95 a oggi, intervento terapeutico con Alberto si À strutturato attorno ai tre poli costituiti dal centro diurno, in cui trascorreva, seppure in modo discontinuo le mattine ed i pomeriggi dei giorni feriali oltre che alcune riunioni serali; dal nostro intervento a domicilio e in studio; dal riferimento psichiatrico mensile al CPS. Alberto in questi tre anni tendenzialmente differenziava questi tre luoghi, identificando nel centro diurno il luogo della regola e del dovere (dover andare tutti i giorni, in orario, partecipare alle attivita', non fare tutto quanto il centro proibisce ai suoi ospiti, trovare un'occupazione nel corso del periodo della presa in carico), nel lavoro con noi il luogo della parola, nelle visite con lo psichiatra il luogo del farmaco. La famiglia, ed in particolare la madre, hanno operato come agenti primari di costruzione di una rete tra tali interventi, entro cui inquadrare le vicissitudini di Alberto ed arginarne le manifestazioni patologiche. Nel corso di questo lungo periodo, Alberto À andato incontro a tre momenti di crisi, legati ai due nodi del rapporto con le figure femminili e con la sostanza. In concomitanza di queste crisi, il nostro intervento ha avuto modo di caratterizzarsi per lui con una sua specificita'. La prima crisi, risalente all'ottobre del '95, À consistita in un suo precipitarsi, dopo circa 10 mesi di astinenza, nel consumo di eroina. E' in seguito a questa crisi che lo psichiatra del CPS modifichera' la terapia farmacologica somministrandogli il Moditen. Se il fratello non fosse giunto a casa e non l'avesse trovato in bagno con ancora la siringa nelle vene, se avesse solo tardato di qualche minuto, sarebbe probabilmente morto di overdose. Telefona il giorno dopo sia a me che a Colombo per dire, con un topo affranto, che aveva fatto una sciocchezza, cioÀ che era tornato a farsi. L'operazione che mettiamo in atto come »quipe, ciascuno nel suo intervento singolare, À far s¦ che Alberto metta in questione l'idea, mutuata dai genitori e dagli operatori del centro diurno, secondo cui con questo atto aveva mandato all'aria tutti gli sforzi compiuti nei mesi precedenti. Il nostro intervento À consistito nel cercare di fargli mettere in parola le ragioni implicite di questo atto, cercando di mostrargli, a partire dal suo stesso discorso, che tale atto ha avuto per lui un senso che gli sfugge. Emerge cos¦ che quella noia intollerabile della sua vita da semirecluso in casa con la nonna e al centro diurno che dice averlo spinto a ricadere nell'eroina, cos¦ diversa dalla sua vita spavalda di semideviante, À stata vissuta da lui come un cedimento rispetto alla richiesta, per lui insostenibile, di un ritorno alla normalita', di un'uscita dalla droga verso un accesso al mondo del lavoro, di un passaggio simbolico che attraverso la convivenza ed il matrimonio rendesse possibile a lui soddisfare le richieste di Lucia, sua fidanzata coetanea che dall'adolescenza di Alberto ha sopportato per 8 anni, con impressionante costanza e regolarita', senza fargliela pesare, la tossicomania di lui, con uno spirito da fidanzata "crocerossina" che ha coinvolto anche i genitori di lei nel tentativo reiterato di un suo recupero. Dice che non À morto per un pelo, ma che non aveva nessuna intenzione di morire; voleva soltanto stordirsi, riprovare l'emozione del pieno godimento che l'eroina ricorda avergli fornito in passato. Alberto ammettera' con noi che non se la sente ancora di assumersi la responsabilita' di una vita coniugale con quanto essa comporta, in primis la ricerca del lavoro; e che forse questo suo atto ha avuto per lui il senso di togliersi da quella insostenibile posizione in cui gli altri (la sua famiglia, Lucia) stavano cercando di collocarlo. Gli facciamo passare il messaggio di telefonarci ogni volta che si sente in preda alla depressione e comincia a pensare alla droga. Da allora le telefonate di Alberto diverranno una scansione costante del nostro rapporto con lui, con cadenza settimanale nei periodi di maggiore tranquillita', ma persino quotidiana nei suoi momenti piò difficili. Avra' una seconda ricaduta nella droga nel maggio del '96, un anno dopo l'inizio del nostro intervento, ad un mese dal termine del suo percorso al centro diurno che avrebbe dovuto preparare il suo reinserimento lavorativo. Il giorno prima della ricaduta, la madre era partita per una settimana di vacanza con il suo uomo. Questa volta l'andamento della crisi À assai differente: fa uso di droga ripetutamente per una settimana di fila, sull'onda di un tono d'umore maniacale, ma, ci dira' lui stesso, rispetto alla crisi precedente questa volta "À stato piò attento". Uscito dalla fase tossico-maniacale, torna ad incupirsi in uno stato depressivo in cui ripropone il discorso dell'azzeramento di tutti i passi compiuti, sulla scia delle reazioni di familiari, fidanzata, operatori del centro diurno da cui sarebbe dovuto uscire in meno di un mese per iniziare a cercare lavoro. Nei differenti colloqui con noi, cos¦ come nella riunione insieme ai genitori, riemerge alla base della sua crisi l'ansia per la fine del programma di reinserimento che lui viveva come un dovere a questo punto assumersi la responsabilita' di un lavoro; ma emerge al contempo l'importanza per lui della congiuntura della partenza della madre. CiŽ che restituiamo ad Alberto ed ai genitori À comunque la differenza del modo in cui lui ha rifatto uso della sostanza, dopo un lungo periodo nel quale si À tenuto lontano dalla droga. CiŽ che mi dira' qualche giorno dopo À che questa volta la droga non gli ha dato quel piacere assoluto e stordente che provava in passato; "forse", gli feci notare, "la droga sta iniziando a perdere quella forza di attrazione che fino ad ora ha avuto su di te". Di fatto, Alberto dopo questa crisi del maggio '96 non ricadra' piò nel consumo di droga. Nell'approssimarsi dell'estate '96 avviene un evento importante nella vita di Alberto: Lucia, che ha cessato di credere nelle sue possibilita' di recupero, lo lascia, e questo evento, inizialmente molto inquietante per Alberto, finisce con l'essere arginato nei suoi effetti di perdita affettiva con una rapidita' impressionante in seguito al nascere della relazione con Consuelo, ragazza latino-americana di diversi anni piò grande di lui, che aveva iniziato a lavorare come donna delle pulizia in casa di sua nonna. Il passaggio da Lucia a Consuelo si rivelera' con l'andare del tempo traumatico per Alberto, perch» Consuelo non accetta di occupare per Alberto il posto di fidanzata "crocerossina" lasciato vuoto da Lucia. Consuelo non lascia passare ad Alberto mancanze di attenzioni nei suoi confronti, non esita a sottolineargli ciŽ che lei si aspetta da lui ed a fargli pagare le sue manchevolezze, lasciandolo ripetutamente, umiliandolo a piò riprese, facendogli perdere quella parvenza di sicurezza nel suo rapporto con le donne che la lunga relazione con Lucia aveva alimentato. Pone come condizione del proseguimento del loro rapporto il fatto che lui lavori, gli dice che vuole un uomo che gli possa dare un figlio. Dopo che per un lungo periodo ebbero rapporti sessuali senza precauzioni anticoncezionali, lei rimase incinta ma sub¦ un aborto spontaneo. Alberto visse questo evento, dopo averne preceduto gli sviluppi con una sorprendente ed incosciente accettazione, con un sospiro di sollievo, ma lei gli fece pesare in seguito il fatto di non essere neanche in grado di dargli un figlio. Prima dell'estate decide di interrompere le sedute in studio da ViganŽ, dicendo nella riunione con noi ed i genitori che non ne sentiva piò il bisogno e che voleva provare a camminare in modo piò autonomo, pur mantenendosi aperta la possibilita' di riprendere qualora ne avesse sentito l'esigenza. Forse l'asimmetria della relazione terapeutica era divenuta per lui insostenibile, al punto da spingerlo a porvi fine. Anche i tentativi di Alberto di trovare un lavoro sono risultati a tutt'oggi fallimentari: appuntamenti saltati, dimenticanze, inerzie, colloqui svolti in stato di alterazione per l'uso di sostanze psicotrope prese per l'occasione, lavori durati un giorno, al massimo una settimana. L'ultimo episodio emblematico lo ha visto protagonista del seguente evento: telefona a Colombo col cellulare per dirgli che mentre stava andando ad un colloquio di lavoro si À letteralmente cagato addosso. Legge lui stesso questo suo atto come un sintomo del suo non volerne sapere in realta' di lavorare e sottoporsi ad un regime di convivenza forzata e regolamentata da leggi prescrittive. Cerchiamo di restituire a lui ed alla sua famiglia un messaggio secondo cui non necessariamente un lavoro À quanto occorre che Alberto giunga prima o poi a trovare, quanto una qualche attivita', anche non remunerata, dalla quale egli possa trarre una forma di soddisfazione ed un effetto di maggiore stabilizzazione della sua esistenza, di cui tuttavia si fa fatica tutt'oggi a rintracciare delle coordinate concrete. Nel frattempo, Alberto ha sviluppato una forma singolare di entrata in contatto per lui col mondo esterno alla famiglia ed agli operatori che si occupano di lui. La compravendita di oggetti tecnologici (videoregistratore, stereo, ed in particolare telefono cellulare) À diventata da piò di un anno a questa parte una sua specie di occupazione quotidiana, preparata dalla consultazione della rivista "Seconda Mano", da cui trae gli annunci per entrare in contatto con gli inserzionisti degli oggetti che intende acquistare. Una pratica, questa, che da un lato gli permette di mettere un qualche ordine nelle scansioni vuote della propria quotidianita' (in particolare da quando, qualche mese fa, ha cessato di frequentare il centro diurno, tornando a trascorrere la gran parte del suo tempo a casa davanti al televisore), e dall'altro non À priva di accenti di tipo maniacale. L'ultimo momento di crisi di Alberto risale a qualche settimana fa. Dopo un litigio con Consuelo ed il suo tentativo reiterato di rimediare scrivendole una lettera d'amore e portandole un mazzo di fiori che lei ha fatto a pezzi davanti ai suoi occhi, si À precipitato a casa ed in preda all'angoscia ha ingerito un quantitativo eccessivo di farmaci chel'hanno mandato in coma per un giorno. Il giorno dopo il coma telefona e mi accoglie a casa sua per parlarmi di questo suo gesto, nel quale dice, non voleva morire, ma solo stordirsi per vincere la sofferenza. Qualche giorno prima di tale atto, erano tornate a succedergli delle cose che definisce "strane", aveva avuto la sensazione di volersi tagliare un braccio ed aveva riferito a Colombo il desiderio di "farsi ricoverare in psichiatria" per poter essere un pŽ sereno. Comincia ad articolarsi in Alberto per la prima volta l'esigenza di trovare un luogo di riferimento diverso dai luoghi per i tossicodipendenti, dove potersi in qualche modo proteggere dalle richieste per lui insostenibili che gli provengono dalla vita reale, dal rapporto con gli altri, nonch» dai pericoli autodistruttivi insiti nella sua patologia.
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