| "Outsideof a dog, a book is a man's best friend. Insideof a dog, it's too dark to read." GROUCHOMARX Zapparoli,Giovanni - Adler Segre, Eliana Viveree morire. Un modello di intervento con i malati terminali, Milano,Feltrinelli, 1997, pp. 300, £ 40.000 In questiultimi anni molti autori, psichiatri e psicoanalisti, hanno evidenziatocome in un'epoca in cui l'idea dominante è quella di prolungarela giovinezza e la vita in una condizione di piacere e di benessere, lamalattia, la vecchiaia, ma soprattutto il dolore e la morte siano fontedi orrore perché appaiono come esperienze cariche di significatiesclusivamente deprivanti e negativi. Esiste quindi antropologicamentee culturalmente nella nostra epoca, un' incapacità ad accettareil limite biologico ed esistenziale della vita umana, che rendeparticolarmente difficile il compito di rendere il più possibilesereno la parte finale dell'esistenza. Come ha osservato Norbert Eliasnel saggio La solitudine del morente (1985) uno dei problemi piùcomuni della nostra epoca è costituito dalla nostra incapacitàa prestare ai morenti l'aiuto e l'attenzione di cui hanno particolarmentebisogno nel momento in cui la possibilità dell'esistenza viene meno.Secondo questo autore, contrariamente a quanto sostiene lo storico Ariès(1977), la morte ha sempre costituito un ostacolo insormontabile per l'individuo.Il problema sociale della morte, è sempre particolarmentedifficile da risolvere, anche se le esperienze della morte possono variareda un contesto sociale all'altro, e modificarsi nella prospettiva storica.Questo testo dello psicoanalista Zapparoli, legato anche all'esperienzadei collaboratori che con lui lavorano nella funzione di orthotanasisti(orthotanasia è un concetto introdotto da Eissler in contrapposizionead eutanasia), vuole riproporre il problema dell'assistenza di malaticronici come gli psicotici o i tossicodipendenti, ma anche dei malati dicancro e di AIDS che pongono agli operatori sanitari, ai familiari problemisul piano psicologico e del comportamento di non facile soluzione. Il traitd'union che individua tra queste patologie è quello dello svilupparsinel mondo intrapsichico dei pazienti, di una area illusionale, chediviene poi modalità di accettazione del limite. In questotipo di malato, sempre dolorosamente in bilico tra la vita e la morte anchese in modi diversi, attraverso l' illusione di immortalitàpuò costituire una difesa efficace dall'angoscia della caducitàdell'esistenza. Freud stesso (1915) considerava che l'idea di immortalitàha lo scopo di ottenere la sicurezza assoluta di non dover soccombere aquelle forze distruttive che sono pronte ad ucciderci ed annientarci inmodi anche peggiori della morte. Allo stesso modo il panico avvertito inrelazione alla consapevolezza di sentirsi mortale, come pure lo sgomentodi fronte alla condizione di precarietà dell'esistenza non semprepuò essere fronteggiato efficacemente quando l'evento-morte si preannunciacome reale. Il malato terminale pone dunque una contraddizione di fondo,non facilmente affrontabile sul piano teorico, perché le personeche si trovano ad affrontare la diagnosi di una malattia incurabile, quandochiedono di essere aiutate ad affrontare la morte nelle periodo terminaledell'esistenza, ci pongono di fronte ad una realtà complessae soprattutto ci costringono ad affrontare tal compito senza poter ricorrerea tutti i mezzi che siamo soliti usare nella pratica clinica. Ma la reazionedi panico di fronte al limite è un elemento che accomuna diversigruppi di pazienti, in modo diverso, così come il bisogno difensivo,di sviluppare un'area illusionale, di conseguenza. Per questo Zapparolie collaboratori propongono per gli operatori che sono impegnati nella assistenzadei malati terminali un percorso specifico di formazione che consenta unafunzione di intermediazione tra i bisogni del morente e le necessitàdel mondo circostante.
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