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Luigi Zoja, Il Gesto di Ettore — Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, pgg. 314, Euro 24,79

Sono almeno tre le scene significative che mi accompagnano da quando ha chiuso il libro di Luigi Zoja: una banda di cacciatori neolitici, carichi delle prede catturate che tornano verso il loro insediamento; Ettore vestito di elmo e corazza che, per non spaventare il figlio Astianatte, leva l’Elmo, si china a prendere in braccio il bambino ed elevandolo verso il cielo, rivolge agli dei la preghiera: "Zeus e voi altri dei, rendete forte questo mio figlio. E che un giorno, vedendolo tornare dal campo di battaglia, qualcuno dica "E’ molto più forte del padre".; e infine l’immagine sconsolata e sconsolante di un padre silenzioso e distratto immerso nelle immagini propinate dalla televisione e dimentico della moglie e dei figli, che una delle pazienti di Zoja lapidariamente definirà come "un cretino".

Nel suo studio Zoja affronta il tema dell’evoluzione storica, culturale e soprattutto psicologica della figura del padre e della crisi che questa sta attraversando quanto meno nelle società occidentali.

Prima di tutto è importante rilevare che il padre non è una figura naturale, originaria nella specie umana. Quanto possiamo capire dallo studio dei nostri cugini primati, come orango, scimpanzé e gorilla, lascia supporre che agli albori dell’umanità, le femmine avessero una funzione qualitativa, dato il numero limitato dei discendenti che ognuna di esse poteva generare, mentre era propria dei maschi una funzione quantitativa che era però prerogativa dei più forti, gli unici che si accoppiavano con le femmine del branco. Molto seccamente Zoja ci ricorda che la vita della maggior parte dei nostri pro-genitori maschi era caduca quanto quella di una foglia di insalata e aveva, per quanto riguardava la continuità della specie, lo stesso valore dei loro spermatozoi: nulla,essendo essi un vicolo cieco sulla strada della vita.

E’ comunque nell’orizzonte preistorico che possiamo far risalire due delle caratteristiche della nostra specie: il bisogno di sapere e il bisogno di raccontare. "La forma di vita individuale che chiamiamo psiche" (pag. 37) si è modellata nel corso di un’evoluzione lunga centinaia di migliaia di anni, ma è da uno "sprazzo" di tempo che essa lascia tracce quali l’arte, che noi non ci stanchiamo di interrogare.

Ci fu un giorno in cui i maschi "si accordarono, non come aveva supposto Freud, per aggredire il patriarca che monopolizzava le femmine, ma al contrario, per smettere di aggredirsi: per spartirsi le femmine secondo una regola. Le ricostruzioni dell’antropologia dicono proprio questo: le regole più elementari delle società più semplici e antiche hanno a che fare con la spartizione delle donne". (pag. 39)

La nascita delle coppie, non necessariamente monogamiche, il lavoro psichico che preludeva la caccia, il desiderio di ritornare dalle femmine e dai cuccioli, la nostalgia hanno in qualche modo permesso la nascita di quello che noi chiamiamo padre. La profonda separazione tra i compiti tra i sessi nacque dunque agli albori della storia umana, giustificata allora dalla cura della prole e dalla necessità di procacciarsi il cibo. I primi raccoglitori e coltivatori furono di certo femmine, così che i piccoli alla fine ricevevano cibi di originale vegetale dalle madri e carni dai padri.

In epoca più recente è il mito di Ulisse e dell’eterno ritorno che ci parla della nostalgia del guerriero e del desiderio di costruire un futuro, della progettualità che è una delle caratteristiche fondamentali del ruolo paterno. Nei miti omerici l’uomo non è rappresentato solo dal feroce Achille che combatteva per la gloria, ma anche da Ettore che combatteva per salvaguardare la sua famiglia e la sua città.

Al mito appartiene anche l’età d’oro del matriarcato, verità non dimostrabile in alcun modo in quanto non abbiamo prove oggettive, ma immagini e manufatti che ci lasciano però capire quanto la figura della madre abitasse profondamente nella psiche dei patriarchi. Di matriarcato possiamo quindi parlare in termini di realtà psicologica piuttosto che storica: "quei corpi di donna così fecondi…raccontano certamente di una fantasia di gravidanza. Di una fissazione della mente attorno al produrre, generare, nutrire". (pag. 72)

Nel Neolitico la mente era dominata dal mitologema della fecondità. Come ci dice Zoja la generazione non era affidata più alla sola natura, ma soprattutto alla mente. La nostra vita spirituale nacque quando cominciammo a porci domande e a circondare di devozione il momento della nascita e quello della morte, quando cominciammo a porci domande sulla nostra esistenza prima della nascita e dopo la morte.

Per continuare la nostra esplorazione della costruzione del padre, dobbiamo necessariamente occuparci della culla della civiltà occidentale, cioè della Grecia antica, i cui miti ci parlano ancora oggi. "Per l’uomo occidentale, l’orizzonte storico del padre è greco". (pag. 77)

Rispetto alle radici giudaico-cristiane e alle forti influenze che pure l’Islam ebbe sulla nostra civiltà, e alla importanza di Roma quale fondamento ancora vivo dell’Occidente, Zoja ha scelto di dare più spazio alla Grecia perché facendo una storia psicologica il suo percorso si interessa più di simboli che di concetti, più di miti e meno di ragione. È dalla Grecia classica che abbiamo ereditato le immagini mitiche e tra esse il mito del padre, immagine che abitano la psiche di tutti gli abitanti dell’occidente, "che hanno formato lo strato profondo del nostro mondo immaginale". (pag. 78)

Gli antichi dei Greci erano profondamente diversi dal dio unico giudaico-cristiano in quanto hanno una origine, raccontata da Esiodo nella Teogonia, e sono soggetti alla volontà del destino cui devono sottomettersi così come devono fare gli uomini. È interessante vedere, proprio nei miti della nascita, come alle Grandi Madri neolitiche, venne sostituita la figura di Zeus, forte e furbo, che dopo avere inghiottito la dea Metis, partorì dalla testa la figlia che questa portava in grembo: Atena la figlia divina già vestita delle armi. Il nuovo re degli dei aveva creato il genitore unico e si era procurato un’alleata insuperabile, una dea maschilista che proteggerà solo i maschi vincenti.

Sposando poi Demetra, dea della produzione dei campi, e Mnemosine dea delle memoria, con la quale generò le Muse tutrici delle arti, Zeus "aveva steso la sua autorità sulle principali qualità della vita, incluse quelle che avevano per emblema una divinità femminile" . (pag. 86)

Le origini del patriarcato erano dunque ben radicate nella mente degli uomini.

Zoja concentra quindi la sua attenzione sulla figura di Ettore, centrale nel suo studio proprio perché portatrice di quel famoso gesto che abbiamo già incontrato e anche perché è proprio il dialogo tra Ettore e Andromaca a fondare il canone dell’amore che non si piega e non si discute. Con l’Iliade iniziano l’epica e la letteratura dell’Occidente.

È con la morte atroce di Ettore sbranato dai cani e dagli avvoltoi che riconosciamo "la possibilità di regressione dalla responsabilità all’istinto, e la dissoluzione del progetto paterno". (pag. 101)

Non a caso poi la figura mitica più pregnante che ancora abita i nostri sogni e le nostre narrazioni è quella di Ulisse, il primo eroe complesso e contraddittorio, il cui pensiero palleggia fra due sponde contrapposte dell’anima, fra la mente e il cuore.

"In Ulisse la memoria non è sigillo d’archivio, ma flusso di creazione che avanza; non registra quello che è morto, ma alimenta ciò che è sospeso, che è vitale completare e a cui è essenziale ritornare…. È con l’autoeducazione che Ulisse chiede al suo cuore di sopportare la vista dei Proci che invadono la sua casa, che hanno inizio confronto e dialogo interiore come base per poesia, narrazione introspettiva moderna e psicologia". (pagg. 104-106)

E’ il viaggio di Ulisse verso casa che ci mostra la nascita della responsabilità familiare e insieme a questa la capacità di scegliere, "riepiloga con la forza della sofferenza e della contraddizione la comparsa della figura paterna e il codice delle sue fedeltà". (pag. 111)

L’Odissea è dunque custode della memoria dell’affermazione del padre e del profondo e lacerante squilibrio tra il mondo del padre e quello della madre.

Alla madre viene assegnato il ruolo di vaso, contenitore, terreno da arare, il ruolo generatore del grembo materno viene ferocemente negato al punto tale che solo ai padri verrà dato ruolo dominante nelle tragedie. L’unica madre che ha un ruolo preponderante non a caso è Medea, una madre che ha ucciso i propri figli.

Fu dunque nell’antica Grecia che si attivò "quel pregiudizio di superiorità maschile che ha percorso tutto l’Occidente sino a penetrare la psicanalisi". (pag. 134). Le figure femminili che abitano le narrazioni epiche sono madri risplendenti finché domina la luce ma diventano madri pericolose e demoniache non appena calano le tenebre. La dicotomia tra una donna angelica e una infernale non abbandonerà più l’immaginario occidentale, basta pensare alle dark ladies dei film noir del ventesimo secolo e all’enfasi del culto mariano data da papa Giovanni Paolo II. Alla donna è dato essere o madre o prostituta.

Zoja sostiene che alla base di questa ruolizzazione della figura femminile sta un problema psichico della mente maschile. È il maschio che non è riuscito a conciliare in sé la figura del padre e quella del donatore di sperma e ha quindi tenuto distinte non solo nella sua psiche ma anche nella vita sociale la donna madre che accudisce il figlio e la donna non madre, sempre disponibile all’incontro sessuale. Accelerando bruscamente, anche per limiti di spazio, sulla parte del libro che Zoja dedica a modernità e decadenza - e alla lettura della quale certamente rimando - voglio concentrarmi ora sulla parte conclusiva del libro e cioè sull’ultimo scorcio del ventesimo secolo che ha visto entrare in crisi i ruoli tradizionali, consolidatisi lungo tutto il periodo della modernizzazione, cioè a partire dalla Rivoluzione francese e dalla rivoluzione industriale della seconda metà del diciottesimo secolo.

Dobbiamo prendere in considerazione alcuni elementi per arrivare a comprendere l’attuale crisi della figura paterna. Prima di tutto le due guerre mondiali che hanno richiesto un impegno produttivo esterno alla famiglia anche alle donne, mettendo quindi in discussione le basi della famiglia patriarcale e borghese. Inoltre la devastazione e lo sterminio causati da queste due guerre hanno accelerato un processo di disincanto che hanno portato al mondo laico moderno. "La guerra non era più un inebriante dio pagano, ma statistica e tecnologia della strage". (pag. 195)

La fine della prima guerra mondiale con la conseguente crisi economica, la rivoluzione russa, la fine di quattro grandi imperi, la nascita della comunicazione di massa, spianarono la strada alla nascita dei totalitarismi fascista e nazista con l’affermazione di due figure profondamente, nonostante le apparenze, anti-paterne: Mussolini e Hitler, che richiamavano più la figura del guerriero inebriato che era Achille che non quella del difensore della patria e della famiglia che erano Ettore, Ulisse ed Enea, e che avevano comunque compreso la nostalgia di un’autorità paterna che era in costante e lento declino.

Hitler però non fu padre in quanto dedicò la sua vita alla politica e al perseguimento dei suoi crudeli obiettivi e Mussolini, benché abbia generato cinque figli legittimi e numerosi illegittimi, fu un padre sostanzialmente assente. Le grandi dittature del ventesimo secolo ci hanno lasciato un’immagine paterna simile a quello di Crono divoratore dei propri figli, guidato dall’impazienza e non del progetto, atteggiamento che fu, secondo Zoja, una delle cause psicologiche della sconfitta dei dittatori.

Sarà comunque al termine della seconda guerra mondiale che la ormai appannata immagine paterna entrerà nella fase conclamata di crisi che perdura tuttora. Ciò è accaduto soprattutto grazie alle critiche che il movimento femminista ha mosso ai ruoli tradizionalmente assegnati a uomini e donne.

Il suffragio universale, l’alfabetizzazione di massa, il controllo delle nascite, l’ingresso nel mondo produttivo hanno radicalmente cambiato l’immagine di sé che le donne avevano e i loro ruoli sociali e familiari. Una critica così radicale non poteva non travolgere anche la fragile identità maschile.

Inoltre nelle società post-moderne il primato della tecnica, che condiziona ogni aspetto della vita politica, sociale ed economica ha ulteriormente spostato la dislocazione del potere che ora non è più nelle sole mani dei politici.

I cambiamenti di professione nelle singole vite e da una generazione all’altra sono stati, in tutto l’Occidente, più numerosi e vistosi nel Novecento che in tutta la storia precedente. I padri, tranne eccezioni nelle classi agiate e intellettuali non trasmettono più la professione ai figli, e sono costretti a dedicare la maggior parte del loro tempo al lavoro. Significative e sconsolanti sono le statistiche che ci dicono quanti minuti, si badi minuti, i padri dedicano ai figli nelle società occidentali: per i padri americani si parla di sette minuti al giorno. Inoltre la crisi del modello familiare patriarcale, la maggior liberta e indipendenza economica femminile, hanno fatto si che la tenuta dei matrimoni e la loro durata media siano considerevolmente diminuite. Uno studio fatto su proiezioni per i nati nel 1980, prevedeva che oltre il 70% dei bambini di famiglia bianca e il 94% di quelli di famiglia nera si sarebbero ritrovati con un genitore solo. Un altro dato degno di nota è che il 79% dei padri americani, dieci anni dopo il divorzio o non paga più gli alimenti o è semplicemente scomparso. In ogni caso la miseria della famiglia è sempre correlata all’assenza del padre.

Il risultato psicologico di questa assenza sociale e ed economica è tale che ne risente anche chi prima soffriva a causa dei mali del patriarcato.

"I padri rassicuravano la psicologia collettiva. Nell’immaginario collettivo, la loro presenza era la presenza della responsabilità". (pag. 245)

L’idea che abbiamo del padre resta in ogni caso una costruzione della cultura e Zoja sostiene che le figure dei nuovi padri primari che accudiscono in vece della madre i figli, spesso mancano il loro ruolo nella fase successiva, quella nella quale dovrebbero occuparsi di insegnare ai figli a stare nella società e a rapportarsi con gli altri.

"Il nuovo padre depone le vesti, che sono quanto la società, la metafisica e la storia hanno deposto su di lui. Va verso una nudità oceanica, intima e libera come la simbiosi. La società ha deciso di spogliare Ettore perché non spaventi il bambino. Quest’ultimo non avrà più paura: ma avrà ancora un padre?" (pag. 259)

"Nell’assenza di padre dell’oggi, una delle poche certezze che abbiamo è la necessità di continuare a discuterne e a cercarlo perché i peggiori mali psichici non derivano tanto da come si affronta un problema, quanto dal non esserne consci". (pag. 298)

Zoja chiude il suo studio ammettendo di non avere suggerimenti per uscire dalla crisi, ma ribadendo la necessità della ricerca e la continuità della memoria, ciò che ci permette di uscire dal non-tempo per entrare nel tempo, per riappropriarci cioè delle nostre capacità progettuali e della fiducia in un futuro diverso e di un diverso cammino.

 

Elena Petrassi

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