Introduzione di PaoloMigone Come si è accennato nella introduzione alla prima parte del contributodi Mauro Fornaro "Jaspers e Freud, ovvero i limiti della psicoterapiaad orientamento fenomenologico", alla pubblicazione di questo contributoè seguito un dibattito (tra il dicembre '97 e il gennaio '98) sullalista di discussione di "Psicoterapia" [PM-PT] di Psychomedia,coordinata da Marco Longo, SalvatoreManai e Paolo Migone,e anche sulla lista di "Psichiatria" [Psich-ITA] di POL-it coordinatada Francesco Bollorino. Stimolatoda alcune interesssanti questioni sollevate da Andrea Angelozzi e SalvatoreManai, Mauro Fornaro ha in seguito scritto una secondaparte del suo contributo, che del resto aveva già preannunciato,in cui parzialmente risponde anche ad alcune critiche espresse nel dibattitoa cui nel frattempo aveva partecipato. Si è preferito tenere separatele pubblicazioni del dibattito e del contributo di Formaro, in quanto quest'ultimoha un carattere più organico. In questa prima parte vengono pubblicati gli interventi critici di AndreaAngelozzi e di SalvatoreManai; nella seconda parte Mauro Fornarocon due lettere risponde separatamente a Manai e Angelozzi; e nella terzaparte Manai e Angelozzi replicano alle risposte di Fornaro. 1/12/97, Andrea Angelozzi: Ho letto con interesse lo scritto di Fornaro sui limiti della psicoterapiaJaspersiana, e mi ha suscitato alcune riflessioni che vorrei esporre. Loscritto è inevitabilmente un po' lungo e me ne scuso in anticipo. Ho studiato con affetto Jaspers, fin da quando mi sono diplomato, dopola specializzazione in psichiatria, presso la Scuola di Filosofia dellaScienza attivata negli anni '80 all'Università di Padova, dove hoavuto la fortuna di poter apprendere dal Prof. Antiseri il rispetto perla filosofia analitica e per la tradizione Popperiana e dal Prof. Penzol'amore per Nietzsche e, appunto, per Jaspers. La mia tesi di diploma era,fra l'altro, una analisi del procedere epistemologico di Freud (e secondoFreud), quale emergeva dall'intera opera freudiana; un lavoraccio enorme,che per vari motivi non ho mai pubblicato. Lo scritto di Fornaro mi suscita talune perplessità che vorreisegnalare. Premetto che mi rendo conto che la necessità di una sintesi,quale ha fatto, gli ha probabilmente limitato un maggiore addentrarsi neinumerosi punti toccati e nelle numerose prospettive che ciascuno di essiapre, costringendolo a tracciare linee generali. Premetto altresìche queste mie righe sono scritte di getto, sia per il ritrovarmi emotivamenteriportato agli anni di Filosofia della scienza, quando questi temi eranocentrali nei dibatti che si svolgevano all'Istituto, sia per intervenirein difesa di tesi alle quali sono affezionato, e che non mi sembra abbianoavuto il giusto spazio. Recentemente la Rivista Neurologia, Psichiatrae Scienze Umane ha pubblicato un mio scritto su Jaspers, dei cui concettiutilizzerò frammenti, in queste note (così ho anche il piaceredi citarmi :-)). D'altra parte in questi mesi le mie idee su Jaspers nonsono mutate. Ma cominciamo dalla questione metodologica. Jaspers dopo una breve esperienzapsichiatrica, indirizza i suoi interessi alla filosofia e attraverso questavede poi il procedere psichiatrico. Rivendica giustamente alla filosofiala possibilità ed il dovere di criticare i limiti del procederescientifico, ed in particolare due di essi. In primo luogo indica infatti i limiti propri della conoscenza scientifica,attraverso la quale non ritiene possibile comunque cogliere la interezzadell'esistenza umana e del suo senso. La filosofia opera così uncostante richiamo ai confini del conoscere, e non consente di ridurre l'uomo,nella sua totalità, a oggetto di una pura ricerca a livello delconoscere scientifico. Sempre oltre quello che si può sapere dilui, sfugge alle prese di un sapere oggettivo, presentando intrinsecamenteuna zona di mistero ed inesauribilità. "Nel conoscere - scriveJaspers - verifichiamo che vi è qualcosa ai limiti della conoscenza,che le è inaccessibile, ma che è possibile sentire solo attraversodi essa". Il secondo aspetto è la necessità di una pluralitàdei metodi del conoscere, ma anche della correttezza e della coerenza internadi ciascun metodo. In questo senso rivendica alla psicologia piùlinguaggi e più metodi, ove quello comprensivo si affianca (e nonsostituisce, come sembrerebbe sostenere Fornaro), a quello esplicativoe causale delle scienze fisiche. Jaspers sottolinea infatti il valore prospettico delle forme del sapere,ove la coscienza metodologica ci tiene pronti alle prospettive diverse,necessariamente limitate e da fondare metodicamente, di ogni conoscenza.Jaspers è cosciente che ogni metodo di conoscenza conduce ad enigmiche non sono temporanei, ma specifici per ciascun metodo del sapere, svelandofalsa ogni assolutizzazione. Conoscere l'uomo - scrive Jaspers - è come un viaggionell'oceano infinito, per scoprire dei continenti; ogni volta che ci sistabilisce su una terra o su un'isola, si imparano determinati fatti, masi elimina l'ulteriore conoscenza se si afferma di essere come al centrodelle cose; le teorie sono come altrettanti banchi di sabbia, sui qualistiamo fermi, senza poter guadagnare veramente terreno. Quindi, pur riconoscendo che la psicopatologia è strettamentelegata alla scienza naturale, indica il limite di un tale approccio nell'impossibilitàdi trasporre l'individuo in concetti. La coscienza metodologica, non potendosilimitare a illustrare semplicemente teorie, costringe, ad analizzare erendere consapevoli, i modi del sapere, il valore delle affermazioni, icriteri del loro esame, il significato conoscitivo. "La sintesi [psicopatologica]- afferma - non è come la carta di un continente, ma come le cartedelle possibilità di viaggio in esso". Il rapporto fra scienze dello spirito e della natura non mi sembra trovipertanto in Jaspers alcuna volontà di prevaricazione o assolutizzazione.E' infatti chiaro nell'affermare che l'essere umano, per essere compreso,richiede ciascuno dei vari metodi, e tuttavia non è afferrato danessuno di essi. Vi sono multiformi vie del metodo che consentono una conoscenzadi carattere scientifico, ed uniformare la scientificità su un unicopiano del sapere, restringerebbe la psicopatologia. Scienza è infatti- per Jaspers - "ogni conoscenza necessaria, universalmente valida,ricontrollabile da chiunque e fondata su meccanismi coscienti e chiarezzametodica". E questo vale anche per la psicopatologia, che resta purasolo in quanto resta scienza ed opera quindi il suo approccio all'accaderepsichico reale e cosciente, colto in un pensiero concettuale, comunicabilee sistematico. Il problema è che nel trattare con gli esseri umani, la conoscenzapsicopatologica non accetta solo l'osservazione indifferente dell'oggettività,ma si traduce in una volontà di capire e sentire ciò cheaccade realmente nell'altro, in una richiesta di comprendere e partecipare.La scienza naturale, con la quale viene in generale erroneamente identificatae limitata la scienza, è certo la base e l'elemento essenziale dellapsicopatologia, con il suo spiegare, quale conoscere i nessi causali obiettivivisti dal di fuori. Ma altrettanto essenziali sono le scienze dello spirito,con la loro diversa scientificità, ove troviamo il comprendere psicologicodetto anche spiegare psicologico, o causalità dal di dentro (similesolo nella denominazione alle vere relazioni causali, la causalitàesterna, nei confronti delle quali esiste comunque un abisso incolmabile). Ben lungi dall'escludere il valore delle scienze della natura, Jaspersnota come l'oggettività della spiegazione è in grado di coglieresolo un tipo di relazione, quella causale, in cui il lavoro scientificoprogredisce unicamente in quanto analizza, attraverso l'enumerazione, edil riferimento ai singoli elementi dispersi. Quello che sottolinea èche se si limita a ciò muore, incapace di distinguere l'essenzialedall'accessorio, affondando in una esattezza priva tuttavia di significato,in una statistica che lascia illusoriamente trovare tutto. Occorre la comprensione, ma in questo senso Jaspers vuole evitare laconfusione fra comprendere e spiegare di cui accusa Freud. Per lui, partecipazioneaffettiva non significa tuttavia conoscenza in senso scientifico: èuna fonte di intuizione, che fornisce materiale indispensabile per la conoscenza,laddove la fredda osservazione di per sé non vedrebbe nulla di essenziale.Ciò che è stato intuito, per poter aspirare a scienza, deveperò poter diventare un pensiero concettuale articolato analiticamente.Inoltre l'inferenza comprensiva, e qui troviamo un altro punto essenzialedella critica a Freud, non può pretendere valore di realtàsul singolo caso: a questo scopo occorre materiale oggettivo, punti d'appoggiotangibili. Essi non potranno mai esaurire però il singolo caso equesta incompletezza è lo spazio dell'interpretazione. Così,quanto minori sono i riferimenti oggettivi, tanto meno suscitano e sostengonola comprensione in uno specifico senso, portando all'interpretazione. Menosi comprende, più si interpreta. La comprensione indica costantementecome la ragione non si esaurisca nell'intelletto, cioè in un conoscereconcreto, ed impedisce che la spiegazione divenga totalizzante. Se il conoscerescientifico si limita dunque all'oggetto, il piano del comprendere spaziaoltre un tale orizzonte. Questo rapporto fra spiegare e comprendere è lo spazio dellacoscienza metodologica, e di quella volontà di sapere che individuail non esaurirsi delle possibilità di sapere nel conoscere concreto.Così la comprensione non rappresenta solo un altro modo del conoscere.La sua stessa esistenza, i suoi confini, gli enigmi fondamentali cui ciconduce, indicano i confini del conoscere, aprendo alla conoscenza dellimite e alla coscienza dell'essere. Nel nostro comprendere tocchiamo semprequalcosa di più estensivo nel quale sta questo comprendere, e ciascunmetodo, ciascun piano, ripropongono limiti ed enigmi fondamentali. Se alcuniaspetti sembrano privilegiare un approccio scientifico, oggettuale e causale,strettamente legato alla contemporaneità o alla frequenza, tantialtri, "proprio nel loro modo di essere sono comprensibili dalle esperienze,vissute, dalle situazioni, dai conflitti dell'individuo, ponendo una comprensibilitàdei fenomeni somatici dalle relazioni psichiche". Si noti che la conoscenzacausale non è limitata al fisico, ma entra anche nei processi psichici,ove può utilizzare i concetti della psicologia comprensiva: comprendiamoi nessi all'interno di uno stato depressivo che, non di meno, puòessere, nella sua interezza, causato da eventi biologici. La comprensibilità, da una parte costituisce solo intuizioneche deve essere trasformata in concetti scientifici, dall'altra ampliacostantemente l'orizzonte di ciò che è scientificamente appurato,sottolineando il limite di ogni scienza naturale. La comprensione si ponenel mezzo, sul confine, abolendo le assolutizzazioni a favore di una conoscenzadeterminata, anche se particolare, che procede passo a passo, ma non riescemai a possedere il tutto. La discriminazione selettiva della scientificità non appartieneal pensiero Jaspersiano. E non appare un privilegio esclusivo per le scienzedello spirito rifiutando le scienze della natura. Non so se altrettantaapertura si possa ritrovare in Freud. Ma non è questo il problema,mentre mi pare invece inquietante che la presenza delle scienze dello spiritocrei disagio. Il problema delle scienze dello spirito non appare - per fortuna - facilmenteliquidabile: Jaspers lo eredita da Dilthey e prosegue poi con von Wrigth.A mio parere prosegue tuttora nel dibattito in corso nella filosofia delmentale circa il rapporto mente-cervello, un dibattito che - concordo pienamentecon Moravia - va oltre una disputa teorica coinvolgendo più ampiorizzonti, che riguardano la nostra identità e la nostra libertà.Ebbene, non mi pare casuale che le riduzioniste e strettamente uniciste(si pensi alla scuola australiana, ma in fondo anche ai funzionalisti)in fondo riconoscano un unico metodo, quello delle scienze fisiche, giungendoperò a modelli ben difficili da difendere (come ha ampiamente mostratoSearle in tutta la sua opera). Non a caso, chi - come me - rifiuta l'imprigionamentodella mente in rigidi crani e sostiene che ridurre la mente al cervello"senza resti" nega le più chiare evidenze della cultura,della storia, della soggettività e della coscienza (ed autocoscienza)di ciascuno, spesso si trova a difendere la legittimità di piùlinguaggi, la dignità di più metodologie e, talvolta comenel caso ad esempio di Marjorie Grene, ha anche una chiara derivazioneJaspersiana. Sostenere l'adesione ineluttabile a modelli fisicalisti, come - ma forsesbaglio - propone Fornaro nella sua critica a Jaspers (il quale fra l'altroha preclusione solo per la loro assolutizzazione), mi pare francamenteindimostrata e pericolosa. Nemmeno i fisici sarebbero disposti a tanto,impelagati come sono negli infiniti problemi concettuali e filosofici (pensoad esempio alle difficoltà epistemologiche attuali o agli sviluppidelle teorie quantistiche) in cui si trovano. Devo poi confessare che trovo in qualche maniera riduttiva una criticaal pensiero fenomenologico (di cui ho molti dubbi che Jaspers possa essereconsiderato il campione) per il fatto che si limiterebbe ad esperire, inveceche entrare in profondità a interpretare nessi causali. La portatadel pensiero di Husserl è profondamente innovativa nei confrontidella scienza precedente ed è un tentativo straordinario di rifondarei fondamenti del sapere, dopo avere mostrato i limiti di fondo di quelloprecedente. Non è un caso che si richiami, sia pure con critiche,a Cartesio, in questa opera di porre fra parentesi tutto quanto possa essereoggetto di dubbio e ricercare gli elementi di base da cui si puòpartire, trovandoli in sé stesso e nel proprio esperire. Un tentativostraordinario e tutt'altro che di superficie, anche se poi non èstato portato alle estreme conseguenze metodologiche. Ed ancora, il privilegio dato al modello causale di Freud appare a mioparere discutibile sul piano epistemologico. Non capisco perchéla costruzione di qualsivoglia ipotesi causale debba essere necessariamentepiù profonda della descrizione dei fenomeni. Esistono splendidedescrizioni causali nella astrologia e nella teoria del flogisto, dellequali attualmente non sappiamo cosa farcene. E' un po' quanto rileva Jasperscirca la "interpretazione" in Freud, quando nota che èin ogni caso uno smascheramento da mascherato, falso e negativo. Mascheratoperché ritiene che, a differenza dei grandi filosofi "comprensivi"quali Nietzsche e Kierkegaard, Freud non si sveli mai e non si metta maiveramente in gioco. Falso poiché illude riducendo a presunti assoluti,su mondi di ipotesi che condurrebbero alla preistoria del singolo individuo,non solo non dimostrate, ma nemmeno probabili; che porta ad interpretaremiti attraverso miti, a razionalizzare in un costante secolarismo. Negativoperché, dei due volti possibili della comprensione, coglie solol'aspetto nichilistico negativo, che smaschera, demolisce, che non trova"niente altro che...", senza giungere all'impostazione positivache illumina, che va amorevolmente all'essere, e rappresenta lo specchioove si forma la coscienza di ciò che si è. Questo emerge in modo evidente nel diverso procedere patografico. E'affascinante leggere il modo diverso con cui Jaspers e Freud trattano idiversi autori. Qui emerge un punto centrale della critica Jaspersianaa Freud, ed è quel pericoloso pregiudizio psicologico che vuol "comprenderetutto", perdendo non solo la scientificità, ma anche il sensocritico di ciò che è il limite dello psicologicamente comprensibile.Il presupposto della determinazione universalmente significativa trasformala comprensione in comoda spiegazione causale. Questa volontà disignificato alla luce di una determinata teoria non riesce a condurre,oltre la confusione, rapporti che si intravedono non chiaramente, in unintrecciarsi di elementi eterogenei che, pur incantando con il gioco dellafantasia, non è adatto alla vera conoscenza. Queste fantasie, legatein particolare alla clinica del singolo caso, lasciano quasi credere chetutto sia possibile, ma poi finiscono con il non sapere nulla. Si notiil rispetto profondo e amorevole che traspare in certe patografie di Jaspersquali quella di Nietzsche o quella di Van Gogh, in questa volontàdi "comprendere" appunto profondamente la persona e le patografieriduttive e freddamente diagnostiche di Freud, talvolta (e qui mi rendoconto di essere forse eccessivamente cattivo) costruite su banali erroridi traduzione di frammenti biografici o su amenità come quando alleriunioni in casa Freud veniva sostenuto che Talete era stato enureticoper il privilegio dato all'acqua. E se poi vogliamo citare Popper, non possiamo limitarci al dibattitocon Habermas, ma dobbiamo allora entrare anche nella sua critica alla psicoanalisiche, a suo parere, è indifendibile come scienza della natura e salvabilesolo (nel Poscritto alla Logica della Scoperta Scientifica [1934])come "metafisica influente" alla Wilkins. In fondo Grünbaum,più che "forzare" la psicoanalisi in una alternativa,si limita ad accettare come essa si propone, scienza della natura appunto,e per giunta falsificabile in via di principio (anche se qui poi il discorsosarebbe infinito, anche se prima o poi varrebbe la pena di farlo veramente),concludendo tuttavia che è semplicemente inattendibile nelle sueconclusioni. Perché se Freud rivendica di lavorare (e spesso dicedi farlo e talvolta lo fa effettivamente) secondo il metodo delle scienzefisiche, deve accettare le regole del gioco e non c'è una sola epistemologiamoderna (da Poppper a Lakatos, da Kuhn a Laudan) in cui il metodo scientificoFreudiano (ma quale poi ?, dato che muta costantemente) salvi il proprioprocedere. Si potrebbe andare avanti a lungo (c'è ad esempio tutto il temaaffascinante di cosa diventi la psicoterapia in Jaspers), ma rischieremmodi perdere di vista il discorso principale, che è a mio parere questo:mi sembra che Jaspers sia stato descritto secondo una prospettiva che nonmette pienamente in luce la sua apertura metodologica ed il rispetto profondoper tutte le varie forme del conoscere. La critica a Freud, a mio parere,non nasce tanto perché vuole aderire alle scienze della natura,ma soprattutto perché opera mescolando in modo a suo parere inadeguatole forme del conoscere. I privilegi di un tale mescolamento infine, sonoalquanto discutibili secondo gran parte della epistemologia moderna. Viringrazio per l'attenzione. Andrea Angelozzi 4/12/97, SalvatoreManai: Seguendo l'esempio di Andrea Angelozzi, vorrei contribuire alla discussionecritica sulla "psicoterapia ad orientamento fenomenologico".Condivido nelle linee essenziali le osservazioni di Andrea Angelozzi altesto di Mauro Fornaro per cui mi limito a elencare alcuni punti a mioavviso da approfondire. 1. Innanzi tutto, l'Allgemeine Psychopathologie di Karl Jaspersè un trattato di psicopatologia generale e si muove quindi lungouna prospettiva profondamente diversa rispetto alla clinica (e quindi allapsicologia, alla psichiatria, e alla stessa psicoterapia). Lo stesso Jaspersha intitolato il primo paragrafo della sua opera "Psichiatria comeprofessione pratica e psicopatologia come scienza", delimitando findall'inizio i rispettivi campi. 2. La fenomenologia, o per meglio dire il metodo fenomenologico, haa mio avviso come radice storica addirittura un pensatore come Pirronedi Elide (365-275 a.C.), un modesto uomo che, rientrando da un viaggioin India e da un importante periodo di convivenza con i gimnosofisti, introdusseil concetto di "sospensione del giudizio" o epochènel pensiero scettico, differenziandosi quindi dagli Accademici del tempo(Pirrone non scrisse nulla, non ebbe discepoli, non fondò nessunascuola, non formulò alcuna teoria). 3. Questa propensione verso la "sospensione" del giudiziosopravvisse allo stato più o meno latente fino ai tempi di Cartesio,per riemergere in tutta la sua limpidezza nel "dubbio" elettoa sistema di indagine. Procedendo per sommi capi, proseguì poi inHegel, con la sua monumentale Fenomenologia dello spirito, finoa Husserl, fondatore della fenomenologia moderna (nella quale il pirronianoconcetto di epochè riemerge in tutta la sua drammatica potenza).E poi Heidegger, Scheler, Sartre, Merleau-Ponty, il nostro Jaspers, Minkowski,Binswanger... e decine e decine di altri nomi, sempre più in bilicotra filosofia e psichiatria. 4. Tutto questo per dire che un discorso attorno alla fenomenologia(che si ponga a metodo ad esempio di una scienza come la psicopatologia)non può non approfondirsi fino alle radici ultime del suo pensare.Non dobbiamo forse noi fare questo, dal momento che abbiamo la presunzionedi sondare i vissuti più nascosti di quelle "storie di vita"che chiamiamo "psicosi"? 5. Dal punto di vista dell'approfondimento metodologico delle scienze,e quindi anche della psicopatologia, credo sia molto utile riprendere inmano le "Meditazioni" di Cartesio e rivisitarle alla luce delpensiero husserliano (Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge).Del resto proprio Jaspers, ma anche Binswanger, e in Italia Danilo Cargnello,Bruno Callieri, Eugenio Borgna ecc. (limitandomi solo a citare alcuni psichiatridi questo indirizzo), seguendo il solco di Husserl, sembrano aver fattoproprio questo. 6. Jaspers quindi non rappresenta che uno dei punti di riferimento pergli sviluppi della fenomenologia psicopatologicamente orientata. "Psicopatologia",ripeto, e non certo "psicoterapia a orientamento fenomenologico". 7. Alla luce di un simile riesame critico dei fondamenti della psicopatologiacome scienza dell'accadere psichico, non appare sostenibile (è soloun esempio..) l'equivalenza tra "fenomeno" e "rappresentazione",essendo il secondo concetto inevitabilmente intriso di presupposti teorici.Come è possibile quindi un accostamento dei principi teorici dellapsicoanalisi ai metodi d'indagine di carattere fenomenologico? In ognicaso non sarebbe un accostamento tra teorie, ma tra una teoria (la psicoanalisiin una delle sue formulazioni) e un metodo di indagine scientifica. 8. La scientificità del metodo fenomenologico è relativaal "rigore" del suo procedere, concetto che deve essere ben distinto(ci dice Heidegger) da quello di "esattezza" (esattezza matematica,e quindi metafisica). Questa considerazione non può ormai piùstupirci, da quando le stesse scienze fisiche procedono nelle loro indaginiseguendo sempre più il "rigore" delle argomentazioni anzichél'"esattezza" delle misurazioni. Rigore, in una parola, comesistematica epochè, che non misconosce le varie teorie scientifiche,ma le mette tra parentesi, e tendenzialmente quindi le "comprende"tutte. Non è questo forse il senso della psicologia comprensivadi Jaspers? 9. L'applicazione del metodo fenomenologico alla psicopatologia puòin ogni caso arrestarsi alle estreme soglie del "fenomeno", astenendocida ogni supposizione circa "la realtà in sé" degliaccadimenti psichici e mantenere quindi uno statuto scientifico; oppurepuò "trascendere" verso metafisiche visioni di Realtà,verso i soporiferi approdi ontologici che inevitabilmente "chiudono"ciò che sembra accomunare tutti gli uomini, psichicamente malatie psichicamente sani: l'incognito e ultimo significato di essere-per-la-morte.In questo caso la stessa fenomenologia, slegandosi dall'"esistenza",diventa "pura", trascendentale, metafisica. 10. No, non credo che possa esistere una psicoterapia a esclusivo orientamentofenomenologico. Ritengo invece che il "metodo fenomenologico"possa offrire a ogni orientamento psicoterapeutico (o, meglio ancora, aogni psicoterapeuta...) un valido ausilio nell'incontro terapeutico conil paziente. Soprattutto, ho la convinzione che il metodo fenomenologico(ribadisco "metodo", in quanto non può esistere una "teoriafenomenologica") possa aiutarci a mantenere l'altro alter,senza trasformarlo più o meno consapevolmente in alienus. Molto ancora ci sarebbe da dire... Voglio qui indicare invece due indirizzidi siti che spero siano utili per approfondire lo studio dell'approcciofenomenologico alla psicopatologia (siti Web nati nel contesto degli Appuntidi Psicologia e cronicamente... in aggiornamento): FenEsiPsicopatologia, che costituisce una risorsa bibliografica in linguaitaliana per la psicopatologia fenomenologica e riporta indici e schededei vari volumi, e FenEsiEnciclopedia Virtuale, a carattere più filosofico, che èun catalogo di risorse in lingua originale. Grazie per la pazienza. Sal.
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