Jaspers
e Freud,
ovvero i limiti della psicoterapia ad orientamento fenomenologico
(prima parte)di Mauro
Fornaro1. Un
incontro tangenziale
E'
scontata l'importanza straordinaria dell'opera di Karl Jaspers - con il
capolavoro del 1913, Allgemeine Psychopathologie e la sua "resistenza"
tra i manuali di psichiatria più adottati (sette edizioni dal 1913al 1959). Considero qui Jaspers come campione dell'orientamento di
psicoterapia ad orientamento fenomenologico per il carattere pionieristico della
sua impostazione, tanto da diventare, notoriamente, punto di riferimento
ineludibile anche per quegli sviluppi della fenomenologia indipendenti da lui o
da lui divaricanti.
Non
si può ignorare che Jaspers sarà severamente critico verso
le psicologie fenomenologico-esistenziali: da un lato sarebbero indebite
generalizzazioni di esperienze psicologiche nell'intento di costruire
un'ontologia; dall'altro lato "quest'ontologia induce in errore, quando si
crede di aver ottenuto con essa una conoscenza fondamentale per intendere
l'uomo e tutti i fatti psicologici" (Jaspers, 1959, p. 827); Jaspers
dal canto suo non fa scuola e disprezza anzi il fatto che una dottrina
possa prevalere in forza del numero e dell'organizzazione dei seguaci, più
che non del suo intrinseco valore (cfr. la polemica in merito con la
psicoanalisi in Jaspers, 1959, pp. 822ss.).
Ciò
che colpisce è che mentre Jaspers elabora nella prima decade del
secolo la fortunata nozione di psicologia comprendente o comprensiva (verstehende
Psychologie) - originale se non proprio nei concetti che la
sottendono, però nell'applicazione alla psicopatologia -, negli stessi
anni matura la prima fase del pensiero psicoanalitico. Ebbene, è
dato assistere a un'insanabile divaricazione tra due linee di pensiero che
pur hanno in comune: a) l'opposizione al riduzionismo biologistico del
disturbo mentale, prevalso nel clima positivistico di fine '800; b) il rifiuto
di rigide classificazioni nosografiche, quali appaiono in Kraepelin e
nella psichiatria costituzionalista; c) infine un approccio alla psichicità
e al malato, che in senso lato può dirsi fenomenologico.
Insisterei
sull'approccio fenomenologico, per il quale è dato peso di realtà,
sia pure realtà psichica, a ciò che il malato
soggettivamente vive e dice di sé, in polemica con gli indirizzi psichiatrici
che riducono il vissuto, il discorso e poi le fantasie, i deliri, ecc., a
epifenomeno di un soggiacente stato morboso. Tanto i due indirizzi lo
abbracciano, quanto poi si distanziano nel ruolo ad esso riservato. Jaspers si
ferma a ciò che è immediatamente esperito, essendo inteso il
fenomeno come termine primo ed ultimo della psicologia comprendente; per Freud
invece il fenomeno, cioè il vissuto cosciente (rappresentazioni, affetti),è trampolino per interpretazioni che vanno oltre, hinter
das Bewusstsein, dietro la coscienza, scrive già nel 1898
all'amico Fliess. Ed è altresì trampolino per passare a un
approccio che, oltre a trovare un senso al sintomo, vuole "spiegare",
introducendo una concettualizzazione non direttamente riconducibile al fenomeno qual
è vissuto, bensì prossima alle impostazioni invalse in seno
alle scienze della natura. In effetti la psicoanalisi si caratterizza,
specie a partire dal 1915 coi lavori freudiani dedicati alla
metapsicologia, come l'impresa di coniugare "rappresentazione" (fenomeno) e "apparato
psichico" (teoresi), clinica e sistema, descrizione e spiegazione,
senso e causa.
Come ciò
è possibile? E' la psicoanalisi, come pensa Jaspers, una sorta dimostro - se il mostro è l'animale dell'impossibile
giustapposizione di organi eterogenei -, dal momento che pretende di coniugare
approcci incompatibili (quali appunto descrizione e spiegazione, causa e
senso, psicologia e biologia, ecc.). O invece, si potrebbe ribattere, non è
forse vero che essa addita orizzonti più ampi di conoscenza, per
quanto possano poi comportare non pochi problemi metodologici? In questo dilemma è possibile
intravedere le premesse della divaricazione e per lo meno della ricusazione jaspersiana della psicoanalisi.
Secondaria e comunque più soggetta ad opzioni metafisiche appare invece
l'altro elemento di divaricazione - per altro ricorrente un po' in tutte le
correnti di psichiatria fenomenologica -: la critica alla psicoanalisi di
avere una concezione naturalistica, quando non materialistica e
pansessualistica dell'uomo.
Per
poter cogliere appieno la divaricazione, occorre collocarla nel suo
contesto. Sono infatti all'opera due diversi paradigmi di psichicità:
una netta separazione tra l'approccio biologico e quello psicologico in
Jaspers, una più duttile e problematica dialettica in Freud. Inoltre
due diversi paradigmi di scienza: una rigida separazione tra Geistes-e Naturwissenschaften (scienze dello spirito e scienze della natura)in Jaspers, includendo la sua psicologia comprendente senz'altro tra
le prime e opponendosi ad introdurre in psicologia metodi propri delle
seconde; un'intima vocazione alla compenetrazione tra i due modelli di scienza
in Freud - nonostante la tardiva affermazione del 1933, doversi includere
la psicoanalisi tra le scienze della natura.
2. Il
fenomeno: dato primo, e ultimo
Ai fini
qui esposti, tra i testi jaspersiani occorre tener presente oltre la Psicopatologia
generale gli articoli a carattere metodologico che paiono ad essa preparatori,Die phänomenologische Forschungsrichtung in der Psychiatrie
(1912) [La direzione di ricerca fenomenologica in psichiatria] e soprattutto
Kausale und "verständliche" Zusammenhänge
(1913) [Rapporti di tipo causale e rapporti di tipo "comprensivo"].
Vi si trovano raccolte in stringente sintesi quelle idee
metodologiche, che nella successive edizioni della Psicopatologia goderanno
di qualche aggiunta solo in funzione della visione filosofica nel frattempo maturata.
Jaspers
organizza l'intera Psicopatologia secondo una linea che definirei "metodologistica". "Noi riusciamo a possedere il dato
di fatto - afferma Jaspers (1959, trad. it., p. 46) - solo attraverso il
metodo (...). Perciò una strutturazione metodologica è
anche analisi obiettiva di ciò che è, come è
per noi". Di più occorre, con accenti kantiani, "sviluppare
e ordinare le conoscenze sul filo dei metodi coi quali si acquisiscono;
conoscere il conoscimento e con ciò chiarire le cose" (1957,trad. it., p. 33).
Ebbene,
vari punti di vista coesistono in psichiatria, tutti plausibili
nell'ambito che ciascuno delimita, ma da tenere ben distinti; il punto di vista biologico
è più che legittimo a livello dei processi cerebrali, dove
ovvie e necessarie sono le spiegazioni causali; così come
all'approccio statistico è necessario l'intervento dello strumento
matematico; ecc. Quanto alla psicologia comprendente, essa fa un passo oltre la
fenomenologia in senso stretto, la quale si limiterebbe a descrivere gli stati
psichici (seelische Zustände) per come si manifestano alla
coscienza - a prescindere cioè dalla corrispondenza o meno con la realtà
fisica (parte I della Psicopatologia) -: il dato percettivo, quello
rappresentativo, quello mnestico, quello allucinato, quello delirante,
ecc.(Jaspers, 1913, pp. 160, 166; 1959, trad. it., p. 58s). La psicologia
comprendente mira, di più, a descrivere le relazioni, i nessi (Zusammenhänge)
che si istituiscono tra quegli stati, specie come derivazione dell'uno(rappresentazione, immagine, affetto, ecc.) dall'altro. Ne risulta
una comprensione essenzialmente genetica (genetische Verstehen): le
relazioni comprensibili focalizzano come un vissuto proceda dall'altro.
Si
direbbe che tali relazioni insistano sulla medesima area su cui i rapporti "dinamici"
freudiani tra rappresentazioni. Ma non vi sono per Jaspers rapporti
dinamici, perché il collegamento tra un vissuto e l'altro non è
del tipo di una relazione causale, come vuole Freud, tanto meno se
supportata da forze o energie, bensì del tipo di una affinità
tematica, di una inerenza o complicazione di significato dell'un vissuto con
l'altro (Zusammenhang dei vissuti, cioè alla lettera "pendenza
assieme"). Ad esempio, il rapporto comprensibile tra vissuto
depressivo e atmosfera autunnale consiste nel fatto che l'autunno significa un
calo, metaforicamente una depressione, dell'attività della natura,
una perdita (di luce, di foglie ecc.), e non nel fatto che i fenomeni
autunnali citati, o meglio la loro rappresentazione soggettiva, causino lo
stato depressivo. C'è una "pendenza assieme" di senso tra
autunno e depressione, della quale l'autunno è prototipo.
Il senso è
dunque da cercarsi nella connessione di significato (analogie, metafore,
metonimie) tra un'immagine, un vissuto e un altro, quali si presentano nel soggetto. La ricerca del senso incontra pertanto, e Jaspers non
ha difficoltà ad ammetterlo, dei forti limiti: non va oltre il
vissuto dato, immediato, e al più focalizza qualcosa di non ancora
notato (Unbemerkte). Inoltre nulla possiamo dire di vissuti estranei
alla nostra esperienza: così la psicosi, con i suoi vissuti di
allucinazione e di disintegrazione, resta "incomprensibile" (unverständlich)
per il medico, che il più delle volte non può averne
fatto esperienza. Questi limiti certo costituiscono un handicap in
ordine alle possibilità terapeutiche e forse un pregiudizio all'operatività
dell'approccio fenomenologico. Lo handicap è confermato dal
carattere meramente descrittivo che tale approccio vuol avere: la rinuncia alle
cause compromette le possibilità fornite da un approccio
eziopatologico a pieno campo, per il quale togliendo la causa si toglie il disturbo.
Si mira piuttosto a che il paziente comprenda il "senso" della
sua malattia e ristrutturi di conseguenza il senso del suo vivere. Così
naturalmente lo psichiatra fenomenologo si approssima al filosofo
dell'esistenza e la seduta terapeutica a un colloquio filosofico. Il che si illustra
pure con quanto accaduto in seguito: la rinuncia a penetrare più a
fondo nelle dinamiche psichiche non immediatamente evidenti della malattia
psichica grave, il demandare alla biologia (al cervello) la causa favoriscono
che lo psichiatra di orientamento fenomenologico finisca, malgré
lui, coll'adottare la terapia farmacologica come trattamento primario,
se non elettivo nei disturbi gravi.
La
proibizione ad andare oltre al fenomeno, cioè oltre al vissuto immediato, se
è un'autolimitazione, comporta altresì la ricusazione
dell'idea di uno psichismo inconscio. In effetti l'inconscio contemplato da Jasperssi qualifica da un lato come extraconscio (Ausserbewusste),
che consiste nelle componenti biologiche, ambientali; dall'altro come
l'inosservato, il non ancora notato (Unbemerkte) appunto. Se l'extraconscio
esula dai rapporti di comprensione perché non è psiche,
l'inosservato, ma già vissuto, è quanto la psicologia comprendente ha
da evidenziare. E poiché questa forma di psichicità non gode
certo di autonomia rispetto alla coscienza, essa è solo coscienza
oscura, vissuto non messo a tema. Ne consegue che la "comprensione"
jaspersiana è fermamente legata alla centralità della
coscienza: lo psichico vale in quanto coscienza, altrimenti si è
ricondotti al soma o all'ambiente.
3. L'attaccoalla psicoanalisi: un comprendere "come se"
L'inconscio
freudiano, è facile intuire, consistendo in una forma di psichicità
diversa e autonoma dalla coscienza, è impensabile entro questo
schema. Se qualcosa se ne può salvare, dovrebbe stare dalla parte
dell'extraconscio, che andrebbe studiato con altro metodo, quello della psicofisiologia. Mala psicologia comprendente è tosto ricambiata dallo
psicoanalista con una ricusazione che si direbbe preliminare, per via
appunto dell'identificazione dello psichismo col conscio (ritengo che questa
sia la ragione per cui Freud non citi pressoché mai Jaspers). Al
contrario il fenomeno, si diceva, in quanto vissuto conscio è ciò
che va oltrepassato, essendo il senso di un comportamento patologico per
lo più inconscio. E mirare a processi inconsci non è un
salto indebito dallo psichico al somatico, come insinua lo psichiatra
fenomenologico. Certo, l'inconscio nella sincronia è per definizione
inconoscibile, ma nella diacronia - cioè attraverso un processo di
associazioni più o meno lungo - si dà a conoscere al pari di
qualunque vissuto cosciente, nella forma di immagini (rappresentazioni) e
affetti presenti alla coscienza. Se vogliamo è "fenomeno" in potenza.
Il
motivo del confronto con Freud in sede metodologica, già presente
nell'articolo del 1913, ritorna coi medesimi termini nella Psicopatologia,
per restare sostanzialmente immutato nelle successive edizioni.
L'apprezzamento complessivo del pensiero freudiano, dapprima improntato a cauta
apertura, diventa in seguito piuttosto freddo. Jaspers riconosce il valore
dell'impresa psicoanalitica, quando essa fornisce conoscenze nel senso dei
rapporti di comprensione, benché Freud le ritenesse spiegazioni causali
(come si vede, la tesi di Habermas, che Freud sarebbe stato vittima di un
autofraintendimento quando reputa la psicoanalisi scienza della natura, è in
sostanza già jaspersiana). Ma l'impresa freudiana certo erra, quando
pretende di ricavare dalle relazioni comprensibili inferenze circa entità
soggiacenti alla realtà immediatamente data. In questo tentativo
della psicoanalisi, di utilizzare le relazioni comprensibili come mezzi
per pervenire a relazioni causali o peggio per attestare l'esistenza di
certi elementi come entità causanti, consisterebbe una forma ibrida
di conoscenza: il comprendere "come se" (Verstehen "alsob"). Come se, cioè, gli elementi supposti fossero
comprensibili, ovvero dei vissuti (Jaspers, 1913, pp. 166, 170; 1959, trad. it., pp. 332,552s.)
Se
questa è in sostanza la critica all'impostazione del "come se", essa a ben vedere riguarda non solo la psicoanalisi, ma
pure l'ampia gamma di autori, che sono ricorsi a termini teorici, per dar
ragione di connessioni psichiche effettivamente vissute. E' utile ricordarli
a ulteriore chiarimento della nozione di comprensione "come se".
Il pur grande Eugen Bleuler - secondo Jaspers (1913, p. 170) - farebbe
considerazioni azzardate, quando suppone un vissuto di scissione (Abspaltung)
nel soggetto, onde render conto dei nessi presenti nella fenomenologia
della dementia praecox; in generale susciterebbe perplessità
la gran serie di relazioni comprensibili individuate nelle psicosi dalla
scuola di Zurigo, Jung in testa. Non meno discutibile appare la tesi di
Charcot, quando rintracciava una correlazione tra le paralisi, le
anestesie delle isteriche e le loro grossolane rappresentazioni
anatomo-fisiologiche d el corpo, come se la correlazione fosse comprensibile, quando in realtà
non si sa se quelle rappresentazioni siano punto d'avvio del disturbo.
In altri
termini, Freud confonderebbe concetti metodologici di pertinenza di una
scienza della natura con concetti pertinenti una scienza dello spirito: lo
psichico può scaturire solo dallo psichico, ribadisce Jaspers, e la
connessione, sia essa attualmente cosciente o non ancora osservata, può
essere solo tra stati che si danno fenomenicamente. Altrimenti si ricade
nello schema naturalistico della spiegazione, dove l'un termine è
estrinseco all'altro e l'effetto può anche essere psichico, ma la causa è
comunque extrapsichica. In particolare le ricostruzioni "archeologi
che "freudiane sarebbero inattendibili, perché l'archeologo ha gli
strumenti per mostrare che esistette il pezzo mancante, non altrettanto lo
psicoanalista nella ricostruzione dei vissuti dell'infanzia, quando si avvale dei
rapporti di comprensione.
Infine
la psicoanalisi, nella misura in cui vuole raccogliere la psichicità
in una teoria unificante - mirando a spiegare alcunché con pochi
concetti, al limite con uno solo, quello di sessualità -
contravviene al carattere sempre singolare, infinitamente multiforme delle
espressioni dello psichico (Jaspers, 1959, trad. it., p. 581). Questa opposizione
alle teorie generali per altro è motivo ricorrente tra gli
psichiatri fenomenologi ed è sfociata poi, notoriamente, nei movimenti di anti-psichiatria.
In questi ultimi torna inoltre il motivo già jaspersiano della
ricusazione della teoria perché lontana dal vissuto. In effetti per
Jaspers pare non possa esservi una logica propria del vissuto, un darsi cioè
del vissuto stesso in leggi, regolarità, uniformità. Una
teoria che tenti di organizzare il vissuto, fornendone un'assiomatica e
una definizione in concetti, esula dalla comprensione; piuttosto rinvia ad altro metodo, nel quale inevitabilmente il vissuto è eluso.
Donde si inferisce il sogno segreto di ogni metodo imperniato sulla
comprensione e l'intima ragione della diffidenza per ogni forma di mediazione
teoretica: il sogno di un dire che sia ad un tempo il medesimo vivere di cui si
dice e di un vivere che sia il medesimo dire che si vive.
Fine
della Prima parte (vai alla Seconda parte)(Vai al
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Bibliografia