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- Individualità
e generalizzazione
nella psicologia della personalità:una base teorica per la valutazione e la ricerca in personologia Robert R. HoltProfessor of Psychology Emeritus, New York University Prima parte di tre partiVai alla Seconda
parteVai alla Terza
parte (Bibliografia)Go to the English version: Part1, Part 2, Bibliography
Introduzione di
Paolo Migone Alcuni mesi fa nelle varie liste di discussione vi è stato
un acceso dibattito sullo statuto scientifico della psicoterapia, in cui
molti si chiedevano se fosse più appropriato un approccio cosiddetto
idiografico (in cui l'oggetto di studio è unico [idios = particolare],
irripetibile, come nelle scienze umane) oppure nomotetico (in cui è
possibile formulare leggi generalizzabili [nomos = legge], come
nelle scienze naturali). E' per contribuire a questo dibattito che qui
viene pubblicato un lavoro classico su questo argomento, scritto da Robert
Holt nel 1962, allo scopo di mostrare come questo problema sia già
stato affrontato in passato all'interno di una importante tradizione di
ricerca. L'argomento infatti non è affatto nuovo, e stupisce come esso
continui a suscitare animosi dibattiti senza una facile soluzione, anzi, è
proprio questo che lo rende interessante. Questo dibattito era già molto vivo negli Stati Uniti negli anni '40 attorno alla questione
della personologia (la psicologia della personalità), e Holt fu
appunto testimone in prima persona di quel clima culturale. Allora Holt era
allievo di Gordon Allport, il famoso studioso della personalità e
acceso sostenitore del modello idiografico. Ribellandosi al maestro, Holt
prese posizioni opposte, argomentando che il metodo ideografico deve essere
semplicemente abbandonato e utilizzato solo per scopi artistici, non scientifici. I
vari passaggi logici della sua polemica argomentazione sono esposti nel
lavoro che qui viene pubblicato, uscito per la prima volta sul Journal of Personality,
1962, 30, 3: 405-422, subito divenuto un classico e ripubblicato più
volte (in italiano fu tradotto sul Bollettino di Psicologia Applicata,
1963, 57/58: 3-24). La versione qui pubblicata non è quella
originale del 1962, ma quella del 1978 pubblicata nell'opera di Holt in due volumi
Methods in Clinical Psychology: Assessment, Prediction and Research (New York: Plenum, 1978), a cui sono state aggiunte varie modifiche e
note a cura dell'autore, che riflettono anche le modificazioni successive
dels uo pensiero. Si può dire quindi che questa sia una nuova
edizione di questo classico della psicologia. Vengono pubblicate inoltre due
premesse: la prima è stata scritta nel 1998 apposta dall'autore per
questa edizione di POL.it, e la seconda (anch'essa lievemente modificata) fu
pubblicata nel libro del 1978 prima citato. Ringraziamo la casa editrice Organizzazioni
Speciali (O.S.) di Firenze per la edizione italiana, e la rivista Journal
of Personality per la edizione inglese, che ci hanno accordato i
permessi di pubblicazione. Io ho curato la traduzione delle due premesse e
delle parti nuove all'interno dell'articolo, di cui ho anche migliorato la
traduzione in più punti. Questo articolo, che esce in versione sia
italiana che inglese, è il sesto documento pubblicato nell'area
"Psicoterapie" di POL.it. Qualche parola infine su Robert Holt, che peraltro è già
conosciuto al lettore italiano perché molte delle sue opere sono
state tradotte. Holt è noto in Italia soprattutto per il suo lavoro
nel campo della ricerca teorica in psicoanalisi, che occupò una
fase successiva della sua vita di ricercatore, quando entrò nel
prestigioso gruppo di David Rapaport. Qui, con la meticolosità e
tenacia di cui era dotato, nonché con la straordinaria guida di
Rapaport (uno dei principali teorici nella storia della psicoanalisi),
intraprese uno studio accurato della metapsicologia psicoanalitica; anche
in questo caso, soprattutto dopo la morte di Rapaport, quando Holt ne
divenne il successore nella guida del gruppo, arrivò a prendere
posizioni molto critiche nei confronti della metapsicologia freudiana. Tra le
altre cose, fece molto lavoro anche nel campo della testistica psicologica (curò
ad esempio la seconda edizione, del 1968, dei Reattivi psicodiagnostici
di Rapaport, Gill & Schafer del 1945-46 [Torino: Boringhieri, 1975]).Una raccolta dei suoi scritti è contenuta nel noto libro del 1989
Ripensare Freud (Torino: Bollati Boringhieri, 1994), in cui si può
vedere tutto il suo percorso culturale, dai primi pionieristici contributi
di critica alla metapsicologia degli anni '60 fino ai lavori più recenti (per una biografia culturale di Holt e degli altri membri del
gruppo di Rapaport, con una dettagliata bibliografia, vedi il cap. 13 del
mio libro Terapia psicoanalitica [Milano: Franco Angeli, 1995]).
Un profilo culturale e biografico di Robert R. Holt può essere reperito
anche su Psychomedia, al sito http://www.psychomedia.it/pm/modther/biogr/holt-bio.htm.
Premessa di Robert Holt
a questa edizione (1998) In un libro che fece su di me una notevole impressione, Gerald
Holton (1973) notò che "nella scienza hanno sempre coesistito,
in quasi ogni periodo storico da Talete e Pitagora, coppie antinomiche di
due o più sistemi o atteggiamenti antitetici, ad esempio uno
riduzionistico e uno olistico", aggiungendo: Inoltre, è sempre esistita un'altra coppia di
antitesi o
polarità, anche se, sicuramente, l'una o l'altra era più prominente in determinati periodi - e precisamente tra, da una parte,
lo sforzo galileiano (o più propriamente archimedeo) verso la
precisione e la misurazione che purgasse la scienza pubblica e "obiettiva"
da quegli elementi qualitativi che interferiscono con il raggiungimento di un ragionevole accordo "obiettivo" tra i ricercatori, e,
dall'altra, le intuizioni, le fantasie, i sogni ad occhi aperti, e le posizioni
aprioristiche che costituiscono metà del mondo della scienza sotto forma di attività
personale, privata, e "soggettiva". La scienza è sempre
stata spinta e rimbalzata tra queste forze contrarie e antitetiche (G.
Holton, Thematic Origins of Scientific Thought: Kepler to Einstein.
Cambridge, MA: Harvard University Press, 1973, p. 375). Ma la dicotomia oggettivo-soggettivo va ben oltre i confini della
scienza stessa. Penso che il mio stesso interesse per l'approccio olistico e
soggettivo in psicologia abbia due radici principali: la mia psicoanalisi
personale, e quelli che potrebbero essere chiamati i miei interessi estetici che
vanno indietro nel tempo fino da quando ho ricordi. Alcuni dei miei primi
ricordi più vividi conservano la sensazione di meraviglia e di estasi
suscitata dalla rugiada di una mattina di primavera, dalla vista e dal profumo
di un fiore selvatico, e persino da un quadro Deco nella pubblicità
di una rivista. Le mie prime pubblicazioni furono di poesie (in riviste
letterarie al liceo e all'università). La prima riflessione che
ricordo su quella che avrebbe potuto essere la mia carriera era un
oscillare tra il voler diventare un artista (non ricordo di quale tipo) o un
astronomo. Quest'ultimo desiderio divenne abbastanza reale in un periodo nella
mia adolescenza quando contribuii a fondare un club di astronomia e
lavorai mesi per molare una lente di un telescopio. Poi scoprii altre scienze
e ne fui affascinato: la chimica, la paleontologia, la biologia, e infine
la psicologia. Il mio maestro all'università e relatore della mia
tesi, Hadley Cantril, mi fece conoscere l'entusiasmo intellettuale perla psicologia sociale e mi aiutò a scoprire l'interminabile
fascino della ricerca in psicologia. La psicologia clinica mi permise di mantenere e integrare gran
parte di questi interessi e valori. Lungo il cammino fui gratificato dal
trovare maestri e modelli di identificazione che incorporavano molto
dell'artista così pure come dello scienziato: Gordon W. Allport, Henry A.
Murray, Robert W. White, David Rapaport, e Gardner Murphy. Questi uomini
sembravano capaci, nelle loro vite, di trascendere con facilità la
scissione tra quelle che C.P. Snow chiamò le due "culture"
dell'arte e delle scienze umane, da una parte, e della scienza, dall'altra.
Naturalmente ho sperimentato il conflitto di cui scrisse Snow, e mi sono trovato
spinto in direzioni opposte dallo sforzo di cavalcare questi due diversi
cavalli simultaneamente. La comprensione sulle sottostanti unità è
venuta lentamente, anche se mi è stata di aiuto la identificazione
coi miei maestri. Un secolo fa o poco più, il conflitto sottostante alle due
diverse prospettive prese la forma di un contrasto tra approccio nomotetico e
approccio idiografico alla personalità. Non sorprende che continui a
essere riscoperto e rivisto generazione dopo generazione di psicologi e ricercatori. Anche se scrissi la prima bozza di questo scritto quasi quaranta
anni fa, mi sembra ancora degno di essere ripubblicato se può
aiutare qualche studioso, clinico, o ricercatore contemporaneo ad evitare la
cieca alleata della confusione metodologica.
Premessa di Robert Holt
alla edizione del 1978 Scrissi questo lavoro nell'anno 1960-61, anche se dentro di me lo
stavo elaborando già da una ventina d'anni. Era a tutti gli effetti
una specie di punto di partenza di tutto il mio lavoro in psicologia
clinica e in personologia; l'ho quindi voluto ristampare, con un nuovo
sottotitolo, come primo capitolo dei miei due volumi Methods in Clinical Psychology
(Holt, 1978). Con una fortunata coincidenza, questo lavoro comparve nel Journal
of Personality (1962, 30, 3: 405-422) accanto a un articolo di Allport
(1962) sullo stesso argomento. Fu per studiare con lui che Hadley Cantril
mi mandò a compiere i miei anni post-laurea ad Harvard, e sebbene,
con una specie di doloroso e imbarazzato ritiro, si difese dai miei
tentativi di idealizzarlo e di diventare il suo più fedele allievo,
Allport fu uno dei miei maestri. Assistendo ai suoi seminari sulla teoria
della personalità divenni sempre più scettico riguardo al suo
approccio di base, e quando - col suo considerevole aiuto - finii la mia tesi,
nella mia agenda avevo già pronta la traccia di un attacco alla sua
posizione metodologica. Fortunatamente, le pressioni per guadagnarmi da vivere
mi costrinsero a rimandare la stesura di questo lavoro, perché non
possedevo ancora pienamente la prospettiva storica su quei problemi che solo l'insegnamento della terapia della personalità mi avrebbe
aiutato a avere. Durante la pausa di un piacevole anno, il 1960-61, passato
nella congeniale atmosfera del Center for Advanced Study in the
Behavioral Sciences (Palo Alto, California), fui capace di dare un fresco
sguardo ai problemi e di scrivere le pagine seguenti (sono grato al Center
for Advanced Study in the Behavioral Sciences per avermi offerto l'opportunità
di compiere questo lavoro, e per una lettura critica costruttiva di una
sua precedente stesura sono lieto di ringraziare Lawrence Z. Freedman,
Jacob W. Getzels, Abraham Kaplan, George S. Klein, Harriet B. Linton, e
Gardner Murphy). Nell'articolo che accompagnava questo mio scritto, Allport
riaffermava la concezione che lui aveva seguito con una tenacia ammirevole per
tutta la sua vita professionale, quella di una psicologia della personalità
che dovrebbe dedicarsi alla comprensione di come si forma la struttura
della persona unica e individuale. Negli ultimi anni, dopo che si familiarizzò
con la teoria generale dei sistemi, assunse parte di quella terminologia e cercò di adottarne la prospettiva (Allport, 1960, 1961 cap. 23).Qui Allport (1962) proponeva un approccio morfogenetico per il
sistema che costituisce una personalità, in opposizione alla
tradizionale operazione dimensionale del riduzionismo analitico. Eppure non riuscì
a vedere che la prospettiva della teoria generale dei sistemi consisteva
in una rivoluzione kuhniana, una trasformazione fondamentale del principio
formativo col quale si potevano riconciliare molte delle tradizionali
antinomie della psicologia. Giustificava la sua fede nell'approccio molare e
strutturale alle personalità, la sua ostinata insistenza che potrebbe e
dovrebbe esistere una scienza degli individui, ma non il suo ambivalente
rifiuto polemico dell'atomismo. Parte della bellezza e del potere
dell'approccio della teoria generale dei sistemi è che essa trova un posto
appropriato per le osservazioni e le leggi sia molari che molecolari, per
entrambi i metodi analitici e sinottici, come Weiss (1969) sostiene in modo così
convincente riguardo alle scienze della vita. Da neolaureato, mi allontanai da Allport in parte perché la
sua metodologia portava a ben poco di utile. Vent'anni dopo, egli non era
ancora riuscito a produrre altro che poche tecniche con cui portare avanti
il suo programma di studio morfogenetico delle persone individuali.
Preferiva costantemente l'accoppiamento [matching] nonostante il fatto
che la ricerca che usa questo metodo non avesse portato da nessuna parte
(o almeno avesse prodotto ben poco), concludendo mestamente: "Sebbene
il metodo non ci illumini in alcun modo sulle relazioni causali, esso, per come viene utilizzato, è un buon esempio di procedimento
morfogenetico al 100%" (Allport, 1962, p. 416). Nello stesso lavoro, continua
a raccomandare molti procedimenti più utili, che in realtà si riducono solo a due: l'analisi della struttura personale di
Baldwin (1942), che è un semplice metodo statistico per identificare
attendibilmente co-occorrenze ricorrenti di contenuti tematici nelle produzioni del
paziente, e l'intervista allo scopo di individuare importanti temi, problemi, foci
strutturali, caratteristiche stilistiche, valori, o altri tratti in
una persona, a volte seguita dall'uso di scale di valutazione
generalizzate come quelle di Kilpatrick & Cantril (1960). Credo che in parte la difficoltà di Allport era la sua
personale mancanza di training clinico e di esperienza coi pazienti, una
circostanza che lo tenne sempre distante dalle personalità che lui voleva
studiare. In tutta la sua carriera, non fece mai uno studio intensivo di prima
mano su una personalità singola! L'unica apparente eccezione (Allport,
1965) fu lo studio della raccolta delle Lettere da Jenny [Letters
from Jenny], fatta dopo la morte di Jenny; Allport non la incontrò
mai. Dato che non riuscì mai a vedere la utilità delle
dimensioni che come più che un debole compromesso con la vera individualità,
Allport si rivolse solo occasionalmente al compito di cercare di trovare
dimensioni utili. Una ovvia difficoltà nel campo della personalità
è la astrattezza o la non materialità del nostro oggetto di studio, se paragonato a quello di un biologo. Quest'ultimo non ha difficoltà
ad usare un concetto come mitocondrio o cromosoma, perché questi
oggetti sono riconoscibili visivamente, avendo una distinta forma
ricorrente nonostante le loro particolari e fluttuanti configurazioni manifeste
nella cellula individuale. Quale è l'elemento corrispondente,
variabile individualmente, che contribuisce a costituire la personalità
individuale? Rispondere "il tratto" (come generalmente fece Allport) è
semplicemente sostituire il termine "elemento" con un altro
termine generico. In generale, l'approccio tradizionale è stato quello
di ricorrere nuovamente a un linguaggio non scientifico, come fece lo
stesso Allport (Allport & Odbert, 1936), accettando aggettivi
descrittivi come puntuale o dominante come equivalenti funzionali
di un organulo intracellulare (ad esempio un mitocondrio). Eppure tali
termini sono inevitabilmente interattivi: sono impressioni fatte da una
persona su un osservatore, giudizi piuttosto che percezioni, in cui è
stato dimostrato che l'orientamento del giudice gioca un ruolo importante.
A volte è più importante di quello che vi è nella
persona sotto studio, specialmente quando ci inoltriamo nelle vaste aree del
comportamento personale che sono valorizzate socialmente in modo positivo o
negativo - quello che viene chiamato effetto alone. In un certo modo, abbiamo bisogno di riuscire a dare un fresco
sguardo alle persone, senza essere accecati dal vocabolario standard dei
tratti. Credo che si possa ragionevolmente sostenere che concetti come Sé
(la esperienza riflessiva di una persona e la concezione della propria
personalità), desiderio, paura, capacità e temperamento sono
gli analoghi della fine struttura della cellula. La psicologia della personalità,
allora, dovrebbe ricercare leggi generali o generalizzazioni su relazioni
strutturali regolari tra questi elementi, che possono valere
indipendentemente dal contenuto particolare di tali termini quando vengono applicati
agli individui (sembra molto meno fruttifero cercare generalizzazioni a
livello di questi contenuti effettivi - ad esempio, i contenuti dei valori
delle persone, che sono determinati in gran parte dalla cultura). Allo
stesso modo, dubito che sarà utile procedere solo tramite studi sul
caso singolo, anche se ciò può essere un terreno
indispensabile su cui cominciare il lavoro. Possiamo perseguire scopi generali anche
mentre ci sforziamo di comprendere le vite individuali. Questo almeno è
lo spirito in cui ho sempre cercato di lavorare, sia come testista che
come ricercatore. Individualità e generalizzazione nella psicologia della personalità:una base teorica per la valutazione e la ricerca in personologia(versione modificata e aggiornata dell'articolo originale intitolato"Individuality and generalization in the psychology ofpersonality" pubblicato sul Journal of Personality, 1962, 30,
3: 405-422; trad. it: Individualità e generalizzazione nella
psicologia della personalità. Bollettino di Psicologia Applicata, 1963, 57/58: 3-24). Robert R. HoltProfessor of Psychology Emeritus, New York University
Una
delle più tenaci erbacce perenni nel campo concettuale della psicologia
è rappresentata dalla nozione che nella scienza esistano branche, tipi o
aspetti rilevanti di carattere nomotetico (tendenti alla generalizzazione)
e di carattere idiografico (tendenti alla individualizzazione). Molti
valenti e noti psicologi - specializzati soprattutto in personologia e in
psicologia della personalità - hanno citato questi termini con rispetto e
li hanno impiegati come se fossero davvero di qualche utilità
metodologica (vedi Allport, 1937a; Beck, 1953; Bellak, 1956; Bertalanffy,
1951; Colby, 1958; Dymond, 1953; Falk, 1956, Hoffman, 1960; Sarbin, 1944;
Stephenson, 1953; ma la lista potrebbe essere molto allungata). Scopo di
questo saggio è quello di esaminare le origini storiche di questi due
invadenti concetti, le loro implicazioni logiche, le ragioni per cui gli
psicologi se ne fanno fautori, e la soluzione alternativa dei problemi che
li presuppongono. Nel far ciò io nutro la speranza - indubbiamente vana
ma, per questo, non meno appassionata - di mettere in fuga questo spirito
teutonico che ha trovato dimora in gran parte della psicologia moderna
portandovi confusione. Il principale esponente della dicotomia
nomotetico-idiografica nel nostro paese è stato Gordon W. Allport (1937a,
1940, 1942, 1946, 1955), un pioniere della personologia accademica ed un
uomo che ha brillantemente chiarito molte questioni importanti in tale
campo. Su questo punto particolare cercherò di mostrare come in lui
probabilmente l'artista ha offuscato la visione dello scienziato. Il
problema di fondo su cui si arrovella Allport è abbastanza tormentoso in
se stesso: si tratta, cioè, di concepire la natura insolita della
personalità come argomento fondamentale di ricerca scientifica. Allport
non ha alcuna difficoltà ad ammettere che ogni cosa in natura è unica,
ma sostiene che le scienze naturali non si interessano alla foglia, alla
pietra o al fiume singolarmente presi. Solo la personologia, così
prosegue la sua tesi, assume come principale oggetto di studio la
personalità unica, in opposizione alla mente umana in senso generale, o
al comportamento degli organismi in senso esteso. Il resto della
psicologia si occupa delle leggi generali del comportamento e
dell'esperienza ed è pertanto di tipo nomotetico (cioè, letteralmente,
si occupa di stabilire delle leggi) [Nota1];
ciò che viene trascurato è il fatto importantissimo che ogni
personalità è differente e che pertanto deve essere studiata in modo
tale da rispettarne e cercare di coglierne l'unicità - che cioè deve
essere studiata, in breve, da una scienza idiografica (capace,
letteralmente, di rappresentare i caratteri privati o peculiari, cioè
l'individualità). Con queste due curiose parole ricavate da Windelband,
Allport descrive quelle che egli considera due branche complementari della
psicologia, entrambe indispensabili per uno studio esauriente. Nota
1: Questo èil significato generalmente accettato. Tuttavia Brunswik (1943) ha
usato il termine in un diverso significato, suscettibile di provocare
occasionalmente una certa confusione: lo ha riferito, cioè, a una scienza
basata su leggi esatte esprimibili come funzioni o equazioni,
contrapponendolo alle generalizzazioni statistiche. Entrambe queste tendenze rientrano
nella prospettiva nomotetica secondo l'accezione qui usata. Rickert ha
impiegato un termine leggermente diverso: nomologico. D'altra
parte molti insigni esponenti della personologia, da Freud a Murphy
(1947), non hanno ritenuto di alcuna utilità far ricorso ad un metodo del
genere per studiare l'individualità, e abbiamo sentito Eysenck confutare
acutamente Beck (1953) e proclamare che la psicologia dovrebbe essere
esclusivamente nomotetica. Evidentemente il tema è controverso. Precedenti storici: il movimento romantico nella scienza [Nota2] Nota
2: Nella
elaborazione di questo excursus storico mi sono basato principalmente su
Roback (1927), Allport (1937a, 1937b), Boring, (1929), Parsons (1937), Stein
(1924), Tapper (1925), Friess (1929), Klüver (1929), e sull'Encyclopedia
of the Social Sciences. Sono consapevole che parlare del movimento
romantico nella scienza significa compiere, in qualche modo, una eccessiva
semplificazione; nella storia della scienza del XIX secolo si distinguono
molte personalità e correnti che potrebbero essere caratterizzate
come romantiche, e alcune di esse sono connesse solo molto indirettamente
con il movimento qui descritto. Kant, che scriveva
nella seconda metà del Î700 e reagiva contro il riduzionismo,
rappresenta uno degli antenati, sul piano filosofico, di questo indirizzo
(che, ovviamente, potrebbe esser fatto risalire fino a Platone e ad
Aristotele, come ogni altro problema della psicologia; vedi Popper, 1957).
Sebbene non cadesse personalmente nel concetto dualistico per il quale
mente e materia sarebbero così differenti tra loro da dover essere
studiate ciascuna con metodi distinti, egli scrisse su questo tema a un
livello troppo sofisticato per i suoi seguaci. Perciò i metodi analitici
e generali della scienza naturale risultarono adatti per lo studio della
materia, mentre la mente, secondo i postkantiani, doveva essere studiata
anche secondo una metodo diverso, quello della intuizione del tutto.
Colpiti dalla unicità e dalla individualità concrete della personalità,
essi non volevano analizzarla ma afferrarla per mezzo di un immediato atto
empatico [Nota 3]. Nota
3: Devo all'amico
Abraham Kaplan la chiarificazione della posizione kantiana a proposito di
questo problema. Tuttavia nel secolo successivo
nessuno si è preoccupato di sviluppare in qualche modo questo
procedimento intuitivo nello studio della personalità; nel frattempo la
fisica e la chimica e anche alcune branche della biologia si sono andate
rapidamente sviluppando e hanno utilizzato i metodi scientifici allora in
via di elaborazione con grande successo nel loro ambito specifico. Per
prima si sviluppò la meccanica, e le leggi del moto di Newton furono
fraintese in quanto vennero concepite come fondamenti del meccanicismo e
del materialismo. In realtà, come viene sottolineato da Singer (1959), le
leggi di Newton erano del tutto astratte e non si occupavano per niente
dei corpi fisici; ma nella grande fortuna incontrata sin dall'inizio esse
furono applicate al movimento dei pianeti e furono considerate come leggi
delle masse materiali. Difficilmente sarebbe potuto accadere una cosa
diversa a causa del carattere dominante del pensiero filosofico e
scientifico del tempo. Semplicemente il mondo non era ancora pronto ad
accogliere le implicazioni teoriche delle dottrine di Newton. Anche un
grande fisico come lord Kelvin trovò "esigue e insoddisfacenti"
tutte le conoscenze fisiche che non potessero essere espresse tramite un
modello meccanico. Sebbene il carattere delle loro discipline
specifiche non lo richiedesse, anche gli studiosi di scienze naturali -
sostenuti dalle eccessive generalizzazioni dei filosofi contemporanei -
adottarono un positivismo ostinato, materialistico e meccanicistico. Si
sosteneva che tutta la realtà era ordinata secondo uno schema regolare,
osservabile, classificabile e suscettibile di essere spiegata in termini
meccanicistici; ove questi caratteri non si fossero manifestati, lì
finiva l'ambito della scienza. Ci si aspettava che i segreti stessi
della vita venissero ben presto ridotti in formule fisico-chimiche. La
conseguente rottura con la religione e con l'umanesimo sembrava essere un
risultato inevitabile del fatto di essere un buono scienziato: Ciò che non si arrivava a capire era che il
successo della scienza era dovuto alla sua fedeltà verso la pratica,
mentre il suo atteggiamento distruttivo (dei valori umanistici e culturali)
scaturiva dall'errata impostazione della sua filosofia che considerava tale
pratica come il prodotto di una concezione del mondo verso la quale essa si
trovava di fatto a contrastare in modo fondamentale (Singer, 1959, p. 420). Si
era in piena atmosfera classica, matura per la rivolta romantica che si
inaugurò nel campo della poesia alla fine del XIX secolo, dilagando
nell'ambito delle varie arti. Le scienze umanistiche sono abituate ad
assistere ad una oscillazione sistematica dal classicismo al romanticismo
e viceversa; da un'età caratterizzata dal dominio della ragione,
dell'ordine, del controllo e della chiarezza, a un'età di passioni, di
ambiguità, di libera espressione e di rivolta. Fino a un certo
punto tali movimenti vengono avvertiti anche nel campo delle scienze,
sebbene, normalmente, in modo più lento. Nella scienza riscontriamo una
differenza temperamentale fra le menti forti e quelle deboli, secondo
l'espressione di James, oppure, nel linguaggio di Boring, fra i
sostenitori del niente tranne contro i fautori del qualcosa di
più; nel XIX secolo avvenne un contrasto fra oggettivismo e
positivismo, da una parte, e soggettivismo e intuizionismo, dall'altra. I
positivisti intransigenti avevano dominato per lungo tempo, ma verso la
fine del secolo si verificò una specie di rivolta romantica nel campo
scientifico, e ciò provocò un netto orientamento verso il soggettivismo.
Indipendentemente, in due diverse regioni della Germania, Wilhelm Dilthey
a Berlino e i "sudoccidentali" Windelband e Rickert proclamarono
il primato della comprensione (Verstehen) in alcuni settori
della scienza al di sopra della quantificazione degli elementi, e ciò
avveniva nell'ambito della corrente intellettuale di cui ci occuperemo in
questa sede. Essi proposero la distinzione fra due tipi di scienza: le
Naturwissenschaften, scienze naturali, e le Geistesswissenschaften,
traduzione tedesca delle "scienze morali" di J.S. Mill. Il
secondo termine, spesso ritradotto come "scienze sociali" o
"scienze umane", significava di fatto qualcosa di molto più
complesso in quanto esso comprendeva, oltre alla filosofia e alle scienze
umanistiche, anche la storia, la giurisprudenza e, inoltre, molto di
quanto viene oggigiorno frequentemente escluso dal campo delle scienze
sociali. Nel tentativo di sviluppare due diverse metodologie per le
Naturwissenschaften e per le Geistesswissenschaften, W.
Windelband e H. Rickert effettuarono, svilupparono e resero popolare una
distinzione fra i due tipi di scienza che era stata proposta per la prima
volta da A.A. Cournot, fondatore francese dell'economia matematica [Nota 4].
Cournot, che era anche un filosofo della scienza, aveva un concetto
sofisticato del caso, e volle esaminare il ruolo da esso svolto nei vari
campi della conoscenza nel processo della loro classificazione. Nelle
scienze esatte, come egli sosteneva, sono possibili leggi precise, ma
nella storia il caso occupa un ruolo così esteso che è possibile
affidarsi solo a una disciplina di tipo probabilistico. Eduard Meyer, un
altro filosofo della storia, sostenne che ogni evento particolare
"dipende dal caso e dal libero arbitrio di cui la scienza non sa
assolutamente niente, se non che ha a che fare con la storia" (cit.
da Weber, 1949, p. 115, dall'opera di Meyer Zur Theorie und Methodic
der Geschichte, Halle, 1900). Nota
4: Si veda
l'articolo su Geistesswissenschaften nell'Encyclopedia of the Social Sciences
e Cournot (1851). Il lettore interessato ad avere un quadro riccamente
particolareggiato di questi concetti e dei loro presupposti può leggere proficuamente Popper (1957) e i capitoli XIII e XVII di Parsons
(1937). Un eccellente sommario si trova in Klüver (1929) in cui si possono trovare anche riferimenti alle opere principali di Windelband
e di Rickert. Dovrebbe essere già chiaro che qui ci
occupiamo non tanto di due termini isolati ma piuttosto di un insieme
complicato di concetti e di punti di vista metodologici. La distinzione
nomotetico-idiografica può non riuscire comprensibile al di fuori dei
contesto del movimento geistesswissenschaftliche più di quanto non
lo sia ogni singolo tratto culturale estratto dal suo ambiente culturale.
Per opportunità mi riferirò a questo complesso di idee come al movimento
romantico nella storia della scienza. La nostra prospettiva ha subìto
tanti cambiamenti così sottili e di vasta portata che è difficile per
noi considerare tali questioni con gli occhi del 1900 circa; ricordiamoci,
tuttavia, che a quel tempo il vitalismo era una dottrina viva e che le
idee di caso e di libero arbitrio [Nota 5]
erano concetti rilevanti e strettamente e connessi fra di loro. Molti
studiosi credevano che la storia venisse plasmata fondamentalmente dalle
azioni dei grandi uomini; come vedremo, il tema della relazione fra
personalità e successo è una ricorrente preoccupazione dei romantici. Nota
5: Quando scrissi
questo lavoro, condividevo il rifiuto - allora prevalente e in gran parte insensato- del libero arbitrio, accettando come autoevidente la proposizione
che esso si opponeva all'assunto, scientificamente necessario, del
determinismo. Da allora mi sono corretto: vedi Holt (1967a; 1967b; 1989, pp.
246-252). Argomentazioni simili possono essere reperite in Russell (1929),
Chein (1972), M.B. Smith (1974), Weiss (1969), e Rubinstein (1997, pp. 440 ss.). Di
fatto è vero che la storia, il genere biografico, e la critica letteraria
si interessano soprattutto di incrementare la nostra comprensione di
fatti, persone oppure opere particolari piuttosto che di considerare tutti
questi come elementi incidentali per la scoperta di leggi generali. Ma
uomini come Windelband e Rickert, partendo da questo, finirono per
dichiarare in termini radicali che tutte le discipline relative allo
studio dell'uomo e della sua attività non debbono e non possono per loro
natura generalizzare, ma hanno il dovere di dedicarsi alla comprensione di
ogni particolare e alla sua integrazione "come fattore reale causale
in un contesto reale e altrettanto concreto" (Weber, 1949, p.
135). La ripetizione della parola "reale" in questo passo
sottovaluta il concetto che solo il concreto è reale e che, quindi, le
astrazioni non debbono essere ritenute cause di eventi particolari.
Inoltre l'analisi astratta di persone o fatti specifici veniva ritenuta
fallace in quanto distruggeva la perfetta unità che costituiva l'essenza
di ogni particolare di questo tipo. Tale essenza era qualitativa, non
quantitativa, e consisteva spesso in significati verbali (opposti ai fatti
oggettivi come l'oggetto fondamentale della scienza naturale), che non
possono essere misurati ma solo interpretati. Con l'identificazione della
distinzione metodologica di Cournot e di quella da loro introdotta fra la
conoscenza dell'Essere (Sein), ottenuta nell'ambito della scienza
fisica, e la coscienza delle norme (Sollen) e il riferimento ad
esse nelle scienze culturali, Windelband e Rickert avviarono il grande
dibattito sul ruolo dei valori nella scienza. Per quanto riguarda la
psicologia, Dilthey fu l'esponente maggiore di questo movimento. Egli era
un filosofo, ammiratore di Goethe e di Schopenhauer, ribelle contro il
cristianesimo e contro Hegel, anche se influenzato dall'interpretazione
biblica di Schleyermacher. Egli intendeva rispettare le ragioni del cuore
che la mente non riuscirà mai a comprendere, e capire la vita nei suoi
termini particolari, senza volerla spiegare. In questo orientamento è
evidente l'elemento antintellettuale, e di fatto egli appartiene a quella
corrente del pensiero tedesco che fornì il sottofondo filosofico al
nazismo. Egli voleva non una riduzione dei dati in termini
fisico-materiali o idealistici, ma una penetrazione diretta nella natura
vitale delle cose interpretate come insiemi articolati. Il suo metodo era
empirico, ma in senso diverso dall'empirismo della tradizione atomistica
inglese, in quanto sottolineava l'importanza e il primato dell'unità
intera, la Strukturzusammenhang. Ovviamente egli contribuì a
preparare il terreno per la nascita della psicologia della Gestalt. Era di
natura ottimistica, a differenza di alcuni suoi successori (per esempio di
Spengler), e molto influente in Germania. Secondo il suo pensiero,
era d'importanza fondamentale per lo sviluppo delle scienze sociali e
culturali il fatto che nascesse una nuova psicologia che egli definì verstehende
Psychologie, una disciplina descrittiva che si occupasse della
conoscenza sistematica della natura della consapevolezza e della intima
unità della vita individuale, facendo altresì attenzione allo sviluppo
di essa. Tale psicologia non analizzava né si rifaceva agli elementi,
bensì alle relazioni sperimentate. Le forze unificatrici più importanti
nell'uomo erano, per Dilthey, l'intenzionalità e il carattere morale.
Egli vedeva l'intima relazione della persona con il suo ambiente sociale e
insisteva sul fatto che il carattere umano individuale rappresentava uno
sviluppo delle istituzioni, non viceversa.
Questi sono solo dei frammenti ricavati dall'ampio complesso di idee
elaborate da Dilthey, privo del resto di ordine e di sistematicità; il
suo lavoro venne riunito solo dopo la sua morte dagli amici. Ciò
nonostante esso servì a stimolare molti studiosi in diversi campi:
giurisprudenza, economia, sociologia, filosofia, genetica, storia e
psicologia.
Il più importante seguace di Dilthey nell'ambito psicologico fu
Spranger, che è noto soprattutto per l'opera Lebensformen (Spranger,
1922), tradotto come Types of Men. Anch'egli operò una netta
distinzione fra psicologia esplicativa e psicologia descrittiva,
schierandosi a favore del secondo tipo, verstehende. Verstehen, com'egli
dice, è l'attività mentale "che raggruppa gli eventi in quanto
dotati di significato in rapporto a una totalità". Egli si opponeva
all'analisi della personalità suddivisa in elementi e intendeva
mantenersi su un piano di "insiemi intelligibili". Come elemento
fondamentale nello studio dell'individualità egli suggeriva, seguendo
ancora una volta Dilthey, che i valori della persona, capaci di
determinare la direzione dei suoi sforzi, debbono essere considerati di
interesse primario.
Dilthey aveva proposto tre forme di Weltanschauung, che, secondo
lui, starebbero alla base delle personalità, caratterizzandole, così
come distinguerebbero le dottrine dei filosofi da lui studiati. Spranger
propose i suoi famosi sei tipi ideali di valori ai quali
corrisponderebbero più o meno gli effettivi valori individuali:
teoretico, economico, estetico, sociale, politico e religioso. Egli non
riconobbe la possibile determinazione culturale della sua scelta di questi
sei valori particolari, ma li fece risalire agli istinti. Ciascun tipo di
valore possiede la sua etica particolare (quello economico l'utilitarismo;
quello estetico l'armonia), e il suo particolare stile di vita in molti
modi diversi. Lo schema complessivo venne elaborato piuttosto
ingegnosamente.
Questa teoria seguiva le nuove idee in quanto sottolineava l'unità
della personalità, secondo un criterio per il quale molti dettagli del
comportamento diventano comprensibili quando veniamo a conoscere alcuni
fatti decisivi a proposito della struttura totale come, per esempio, i
valori principali verso i quali un uomo è orientato; per sottolineare il
contrasto fra la psicologia atomistica dominante e quella sua particolare,
Spranger definì quest'ultima, psicologia della Struktur. Come
teoria generale della personalità essa è viziata da incompletezza e il
suo principale motivo di interesse deriva dal fatto di aver stimolato la
produzione d'un test "carta e matita" largamente usato, l'Allport-Vernon-Lindzey
of Values che viene ancora attivamente impiegato come strumento di
ricerca.
Dopo Spranger la storia della psicologia della Struktur e del Verstehen
non ha cessato il suo sviluppo, facendo sentire la sua influenza
tuttora nel campo della personologia e possedendo ancora dei fautori in
Germania in quanto scuola. G.W. Allport ha fatto di tutto per trasferirla
nel nostro paese; ci sono poi molte figure minori ma esse non hanno dato
dei contributi significativi.
William Stern, che ha avuto qualche influenza nel campo della
psicologia, deve essere ricordato, anche se brevemente, sebbene egli
cominciasse ad occuparsi di valutazioni dell'intelligenza e il suo lavoro
sia confluito solo più tardi nell'indirizzo sopra descritto. La
distinzione nomotetico-idiografica non ha avuto nessun posto nei suoi
scritti, anche se egli subì l'influenza della Verstehende Psychologie.
Egli era ormai un pioniere ed una figura eminente nel campo della
psicologia infantile e della psicologia differenziale quando si convinse
che la psicologia convenzionale era fondata su una concezione errata. Come
psicologi differenziali, egli diceva, noi studiamo funzioni mentali
isolate, la gamma e le correlazioni delle loro variazioni, ma trascuriamo
il fatto importante che tutte queste funzioni fanno parte di esistenze
personali. Come psicologi dell'infanzia parliamo di sviluppo
dell'intelligenza e di cose simili, dimenticandoci che solo le persone crescono.
Sulla base di un simile ragionamento e fondando la sua psicologia su una
filosofia personalistica, egli si convinse che era necessario ricominciare
tutto daccapo; la psicologia doveva essere rielaborata sulla base del
concetto che la persona individuale e indivisibile è il centro di ogni
indagine psicologica. Anche la psicologia della Gestalt, con la sua
accentuazione delle totalità e il suo analogo antielementarismo, era
insufficiente, poiché "Keine Gestalt ohne Gestalter".
Stern si addentrò nella maggior parte dei problemi classici della
psicologia, come quello della percezione, arrivando alla conclusione che
non esistono problemi separati di percezione spaziale nell'udito, nella
vista, nel tatto, ecc., ma che esiste solo uno spazio unico, personale,
e che esso viene percepito attraverso qualunque mezzo appropriato. Gran
parte dei fatti che erano stati definiti nella psicologia generale di tipo
tradizionale furono rimessi in discussione con questa critica radicale.
La teoria della motivazione elaborata da Stern è di tipo complesso in
quanto comprende impulsi (tendenze direzionali), istinti (disposizioni
strumentali), bisogni, pressioni, volontà, fenomotivi e genomotivi, ecc.,
tutti raccolti in una struttura difficile e profondamente elaborata che
non è possibile riferire in questa sede. Egli non aveva una teoria della
personalità come tale; piuttosto il punto di vista personalistico
caratterizzava tutta la sua psicologia generale. C'era in lui, tuttavia,
una teoria specifica del carattere, concepito come il complesso totale
della persona considerata, dal punto di vista dei suoi atti di volontà, e
del suo tendere conscio e intenzionale. Benché stratificato, il carattere
costituisce una struttura unificata e può essere descritto per mezzo di
un certo numero di tratti, ma questo rappresenta soltanto l'inizio in
quanto in misura molto maggiore veniva sottolineata la struttura
particolare e concreta. I tratti particolari, diceva Stern, anche se
descritti in modo impreciso, sono significativi solo quando si riesce a
vedere la funzione da essi occupata nella struttura della personalità nel
suo complesso.
Sono queste le principali nozioni psicologiche nella corrente delle
idee che dettero luogo alla distinzione fra Wissenschaften nomotetiche
e Wissenschaften idiografiche e che costituirono, infine, l'ultimo
tipo di approccio ai problemi della psicologia. Forse, per quanto riguarda
la psicopatologia, bisognerebbe aggiungere il nome di Jaspers. Egli
contribuisce a stabilire la continuità fra il movimento romantico della
fine del secolo e il contemporaneo movimento di tipo
esistenzialista-fenomenologico in psicologia. Il punto di vista geistesswissenschaftliche
rappresentò una posizione ancora più di punta nelle scienze sociali
dalle quali ancora qualche influenza continua a penetrare nella
psicologia. Popper (1957) ha applicato il termine historicism ad
una delle principali correnti della sociologia, della storia e
dell'economia che si sviluppava come parte della reazione romantica contro
la metodologia positiva tipica delle scienze naturali. Nomi grandissimi
come quelli di Marx, Engels, Spencer, Bergson, Mannheim e Toynbee
rientrano nel numero degli storici e questo movimento non è affatto
tramontato ai nostri giorni, nonostante la forza degli attacchi condotti
dai positivisti logici che hanno rifiutato la logica sottostante a questa
posizione. Non mi inoltrerò a considerare questo importante gruppo di
teorici che sono stati adeguatamente sconfitti (Popper, 1957; vedi anche
Popper, 1950).
Di quale utilità furono queste idee nuove per il gruppo di psicologi
ricordati precedentemente? Gli elementi che essi ricavarono dalla rivolta
romantica furono quelli tendenti a sottolineare e a dichiarare degni di
studio, come oggetti legittimi di ricerca, la personalità, i valori, le
motivazioni e i nessi di tali fattori con la cognizione (per esempio
ideologia e percezione). A cominciare dai primi discepoli di Dilthey e
procedendo attraverso i solidi contributi di Spranger e di Stern, questi
studiosi non aderirono ad una distinzione netta fra metodi idiografici e
nomotetici e non furono favorevoli a mutare in modo sostanziale i loro
sistemi abituali di ricerca scientifica. Fra i seguaci di questo indirizzo
chi rinunciò completamente ai concetti generali, fissandosi
esclusivamente alla contemplazione intuitiva delle Gestalten, non
rientra in questo quadro; coloro che sono qui ricordati usarono i nuovi
gridi di battaglia per contribuire a modificare leggermente i loro campi
di attività e a sviluppare nuovi tipi di concetti che come tali si
trovavano sullo stesso livello di astrattezza di quelli che Dilthey e i
sudoccidentali attaccarono con tanta energia.
Si noti, per esempio, nella sintesi esposta precedentemente, la natura
generalizzante, astratta dei concetti motivazionali usati da Spranger e da
Stern: entrambi mantenevano i valori e gli istinti che erano considerati
presenti in tutte le persone. Quando costoro cessarono la loro polemica e
si rimisero al lavoro, gli esponenti della rivolta romantica posero da una
parte le loro riserve intuitive e impiegarono strumenti concettuali
metodologicamente indistinguibili da quelli della scienza cosiddetta
nomotetica. In un certo senso Stern fu quello che con maggior forza fece
il tentativo, nella sua Psychology from Personalistic Standpoint (1938),
di ricostruire tutta la psicologia dalle fondamenta; ma, a esaminarli più
da vicino, i cambiamenti da lui introdotti si rivelano di natura
prevalentemente verbale. E' giusto, per esempio, parlare di spazio
personale, ma nel far questo non venne impiegato alcun metodo di ricerca
idiograficamente personalistico. Si potrebbe persino dire che non c'è
stato nessun ulteriore sviluppo di una psicologia personalistica della
percezione, se si esclude il fatto che Stern ha contribuito a fissare
l'attenzione su nuovi tipi di variabili generalizzate desunte dallo studio
delle differenze individuali nel comportamento percettivo (vedi Klein
& Schlesinger, 1949).
Tuttavia, la sua opera ha rappresentato un'importante spinta innovativa
nella storia delle idee ed ha prodotto una utile influenza sulle scienze
del comportamento.
Ben inteso, non le ha rese di tipo idiografico, ma ha contribuito a far
rivolgere la loro attenzione su problemi di tipo nuovo o trascurati e su
nuove specie di variabili, come pure sul problema della struttura, cioè
sul modo in cui le variabili risultano organizzate. Come avviene per molte
ribellioni, questa si rivolse contro una tradizione ormai priva di senso,
solo per produrre un'altra posizione estremista che, se fosse stata presa
alla lettera, si sarebbe rivelata altrettanto inutile o anche di più.
Fortunatamente gli scienziati solo di rado prendono i loro concetti in
termini così letterali e con tale coerenza logica; soprattutto in un'età
in cui le idee del passato vengono capovolte, il contenuto rilevante di un
movimento nuovo è spesso di tipo emotivo. Nel dramma dell'esagerazione
può sostituirsi una accentuazione prevalente ma di tipo opposto e in
tempi più calmi altri uomini possono trovare una posizione consistente
dalla quale muovere in avanti [Nota6].
Nota 6: Come viene
affermato qui, il testo sembra implicare che la soluzione è un
compromesso, mentre ora sono convinto che nella frase di Ackoff (1974, cap. 4) non è
implicato altro che un cambiamento di ethos o di età. Vedi,
più oltre, la Nota 18. Certamente la psicologia
e la scienza sociale che dominarono il campo in Germania durante gli anni
1880-1890 furono inadeguati sotto molti punti di vista come metodi
scientifici per lo studio di importanti problemi umani. Ci fu un momento
in cui non solo i giudizi di valore ma anche l'interesse psicologico per i
valori vennero banditi dall'ambito scientifico. Fechner e Wundt avevano
cominciato a occuparsi di problemi che è facile lasciar cadere come
banali, limitati o lontani da ciò che l'uomo della strada pensa essere
proprio della psicologia. La psicologia sperimentale doveva prendere
quella via ed ora è possibile volgerci indietro a considerare un insigne,
lento sviluppo di metodi e di concetti che permettono attualmente gli
studi di laboratorio sulla personalità e l'analisi di alcuni dei temi
più stimolanti della vita. Ma ci si deve meravigliare se settant'anni fa
una persona che si interessava dell'uomo, vedendo in esso colui che
patisce, che soffre, che elabora ideologie - e Dilthey era tutto questo
insieme - ritenesse che il metodo scientifico classico potesse essere in
se stesso un errore? Sicuramente il mondo della conoscenza intima, delle
passioni e degli ideali era rimasto al di fuori e il movimento verstehende
rappresentò una rivolta contro questo tipo di posizione unilaterale. Il ruolo storico della psicologia differenziale
In psicologia il movimento romantico è stato avvertito soprattutto
nella personologia, cioè nella psicologia della personalità. Una ragione
di questa particolare influenza sta nel fatto che la personologia si
sviluppò nell'ambito della psicologia differenziale, cioè della
psicologia che studia le differenze individuali.
I primi sforzi per costruire una "nuova psicologia" compiuti
negli anni '90 furono rivolti a rintracciare delle generalizzazioni
empiriche e delle leggi astratte relative a certe funzioni come la
sensazione e la percezione (concetti, questi, che rappresentavano una
eredità della psicologia delle facoltà). Si trattava di ciò che Boring
ha definito la scienza della mente media, sana, adulta (e potrebbe
aggiungersi, maschile), una sottile concezione aristotelica che relegava
lo studio delle donne e dei bambini e del comportamento abnorme ed
eccezionale, in genere, a una categoria subordinata. Anche in questi
termini restavano tuttavia imbarazzanti casi di eccezioni alle leggi
generali anche quando i soggetti erano "adulti medi e sani";
perciò il campo della psicologia differenziale veniva concepito come una
specie di cestino dei rifiuti destinato ad accogliere queste fastidiose
anomalie. Dal punto di vista del più alto genere di indagine psicologica,
quella relativa allo studio delle leggi in un modo non collegato alla
psicologia differenziale, la varianza residua priva di spiegazione
continuava ad essere considerata un errore e ad essere trattata come una
materia di tipo casuale e non subordinata ad alcuna legge.
Gli psicologi che si contentavano di lavorare con la collezione degli
scarti residui dalle tavole psicologiche di tipo elevato furono
ulteriormente danneggiati dalla inquinamento dell'applicazione pratica,
poiché essi si dedicavano soprattutto ad applicare la psicologia a
problemi ordinari di vita come quelli dell'educazione infantile, della
cura degli anormali e della selezione professionale. Un'attività di
questo tipo richiedeva la predizione del comportamento e ben presto
divenne chiaro che le leggi generali fornite da una "psicologia
scientifica" lasciavano un largo margine non prevedibile;
praticamente si rendeva indispensabile fornire loro un supplemento per
mezzo di qualche tipo di conoscenza particolare che si occupasse delle
altre importanti determinanti.
Col passare del tempo gli psicologi differenziali compirono un
mutamento radicale nei loro procedimenti. In un'età in cui le differenze
individuali venivano considerate come errori - praticamente non regolate
da leggi - queste furono catalogate e misurate e vennero compiuti alcuni
tentativi per spartire la varianza in termini di sesso, di età, di gruppo
etnico e secondo altre categorie demografiche di tipo generale. Durante
gli anni '40 e '50, tuttavia, gli psicologi della personalità hanno
cominciato ad avvertire con sempre maggiore intensità che tutti i termini
di errore delle equazioni psicologiche standard costituiscono il loro
terreno di ricerca più favorevole. Differenze individuali in fenomeni
percettivi del tipo consacrato come l'errore di tempo, la valutazione
dimensionale e la costanza della forma si dimostrarono di tipo non casuale
ma riferiti in modo attendibile ad altre dimensioni delle differenze
individuali nei fenomeni cognitivi e anche nel campo non cognitivo (vedi
Gardner, Holzman, Klein, Linton & Spence, 1959).
L'errore implicito nel trattare le differenze individuali come se
fossero casuali e prive di leggi somiglia a quello compiuto dagli
scienziati del secolo scorso che concretizzarono le leggi di Newton come
proposizioni relative ai corpi meccanici. In entrambi i casi la
comprensione di determinati princìpi era in ritardo su quanto ci si
sarebbe potuto aspettare. Da un punto di vista obbiettivo le leggi che
regolano la variazione individuale nella percezione del movimento
apparente sono astratte come le leggi che riguardano il caso generale e
hanno una diversa condizione metodologica soltanto a causa della
circostanza storica che portò alla scoperta anteriore delle prime
rispetto alle seconde. Inoltre, nonostante la promessa implicita nel
titolo dell'opera di Klein & Schlesinger del 1949 (Where is the
perceiver in perceptual theory?), lo studio di questi princìpi
generali non riconduce il soggetto percipiente, la persona nel senso
sterniano, alla psicologia percettiva; si tratta semplicemente, per così
dire, di un cambiamento nell'asse di generalizzazione e non di un sistema
per diventare meno astratti rispetto alla percezione.
Fine della Prima parteVai alla Seconda
parteVai alla Terza
parte (Bibliografia)Go to the English version: Part1, Part 2, Bibliography
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