LO STATO DELL'ARTE DELLA TECNICA PSICOANALITICA a cura di Marianna Bolko e Alberto Merini
Contributi inglesi: J. Bowlby, D. Meltzer Psicoterapia e Scienze Umane, 1986, XX, 3: 253-260 La terapia psicoanalitica alla luce della teoria dell'attaccamento
Storicamente
la teoria dell'attaccamento si è sviluppata a partire dalla teoria
psicoanalitica delle relazioni oggettuali, ed ha molto in comune specialmente
con le idee di Winnicott, Fairbairn e Guntrip. Essa porta
avanti queste idee in due aree principali:
Principi di psicopatologia e di sviluppo della personalità La teoria dell'attaccamento considera la capacità di instaurare forti legami emotivi con particolari individui come una componente di base della natura umana, già presente in nuce nel neonato e che continua attraverso la vita adulta fino alla vecchiaia. Durante l'infanzia e la fanciullezza i legami sono verso i genitori (o con sostituti genitoriali), ai quali il bambino si rivolge per cercare protezione, aiuto e assistenza. Durante lo sviluppo normale dell'adolescenza e della vita adulta questi legami permangono, ma hanno come complemento nuovi legami, comunemente di natura eterosessuale. Sebbene lo stimolo della fame e quello sessuale a volte giochino un ruolo importante in tali relazioni, il legame esiste di per se stesso ed ha una sua propria funzione di sopravvivenza, e precisamente di tipo protettivo. Così secondo la teoria dell'attaccamento, i legami sono considerati non subordinati né derivanti dallo stimolo della fame e da quello sessuale. Ugualmente, il pressante desiderio di assistenza e di sicurezza in situazioni di avversità non viene visto come infantile, come implica invece la teoria della dipendenza. Invece, la capacità di instaurare legami con altri, a volte nel ruolo di colui che cerca assistenza, e a volte nel ruolo di chi la offre, viene considerata una importante caratteristica della salute mentale e di un efficiente funzionamento della personalità. Di regola,
il comportamento caratterizzato dalla ricerca di assistenza viene mostrato
da un individuo più debole e meno esperto nei confronti di un altro
considerato più forte e/o più saggio. Un bambino, o un adulto
nel ruolo di colui che cerca assistenza, si mantiene nel raggio di azione
di colui che offre assistenza, e il grado di vicinanza dipende dalle circostanze:
onde il concetto di comportamento di attaccamento. L'offrire assistenza,
che è il principale ruolo dei genitori e che è complementare
al comportamento di attaccamento, viene considerato alla stessa stregua
del cercare assistenza come una componente di base della natura umana (Bowlby,
1984).
La seconda area alla quale la teoria dell'attaccamento presta particolare attenzione è il ruolo dei genitori nel determinare lo sviluppo del bambino. Esistono oggi sempre maggiori e convincenti prove che la modalità di attaccamento sviluppata da un individuo durante gli anni dello sviluppo - infanzia, fanciullezza e adolescenza - è profondamente influenzata dal modo col quale i suoi genitori (o altre figure genitoriali) lo trattano. Queste prove derivano da un grande numero di studi sistematici, molti dei quali longitudinali: per esempio gli studi sullo sviluppo sociale ed emotivo durante i primi cinque anni di vita, iniziati da Ainsworth (in corso di stampa), e notevolmente ampliati da Main e Sroufe; gli studi sugli effetti del lutto nei bambini, per esempio di Raphael (1983) e di Brown e Harris (1978); gli studi catamnestici sui bambini allevati nelle istituzioni; e così via. Tra le pubblicazioni più recenti vanno ricordate quelle di Bretherton e Waters (in corso di stampa) Emde e Harmon (1984), Stern (1985), Rutter (1981), e Bowlby (1982, 1984, 1985). Oggi siamo riusciti a identificare in modo attendibile tre principali modalità di attaccamento, e con esse le condizioni delle famiglie che le promuovono. Una prima modalità è la modalità di attaccamento sicuro, nella quale l'individuo è fiducioso che il suo genitore (o figura genitoriale), sarà disponibile, sensibile e di aiuto nel caso egli andasse incontro a situazioni avverse o terrorizzanti. Con questo tipo di rassicurazione, il bambino si sente coraggioso nelle sue esplorazioni del mondo circostante. Questa modalità è promossa da un genitore, nei primi anni in particolare dalla madre, con l'essere prontamente disponibile, sensibile ai segnali del suo bambino e capace di rispondergli amorevolmente quando egli cerca protezione e/o sicurezza. Una seconda
modalità è quella dell'attaccamento ansioso-ambivalente,
nella quale l'individuo non è sicuro che il genitore sarà
disponibile, o sensibile, o di aiuto in caso di bisogno. A causa di questa
insicurezza, egli è soggetto a manifestare angoscia di separazione,
tende ad essere sempre avvinghiato alla madre (clinging), ed è
ansioso nelle sue esplorazioni del mondo. Questa modalità è
causata da un genitore che è disponibile e di aiuto in certe occasioni,
ma non in altre, nonché da separazioni e specialmente da minacce
di abbandono usate a scopo di controllo.
Questo è
perché il modo con cui un genitore tratta un bambino, nel bene o
nel male, tende a continuare immodificato, e anche perché ogni modalità
tende a perpetuarsi. Così un bambino sicuro di sé è
un bambino più felice e più gratificante quando ci si prende
cura di lui, e anche meno esigente di uno ansioso. Un bambino ansioso-ambivalente
invece tende ad essere piagnucoloso e appiccicoso; mentre un bambino ansioso-evitante
si tiene a distanza e tende a tiranneggiare gli altri bambini. In ciascuno
di questi casi il comportamento del bambino ha buone probabilità
di stimolare una risposta sfavorevole dal genitore, cosicché si
instaurano dei circoli viziosi.
Più
passa il tempo, comunque, più la modalità di attaccamento
diventa una caratteristica del bambino stesso, il che significa che questi
tenderà ad imporla nelle nuove relazioni, quali quelle con un insegnante
o con una madre adottiva.
Questi modelli poi regolano il modo con cui egli si sente nei confronti dei genitori e di se stesso, con cui egli si aspetta che ciascuno di loro lo tratti, e con cui egli si comporterà verso di loro. L'esperienza mostra che questi modelli dei genitori e di sé nella interazione, una volta costruiti, hanno un'alta probabilità di essere presi per veri, e le modalità di interazione a cui portano diventano abituali e in gran parte inconsce. Essi così tendono a permanere invariati persino quando l'individuo si trova di fronte a circostanze del tutto differenti. Una cosa che influenza fortemente la loro persistenza è il comportamento di un genitore il quale, non avendo fornito per qualunque motivo al figlio una assistenza adeguata e sicura, distorca la realtà affermando che la causa di tutti gli attriti tra lui e il figlio risiede nelle deficienze del figlio stesso, e che i genitori di per se stessi non hanno alcuna colpa. Quando questo messaggio viene dato a un bambino con tutta l'autorità di un genitore e ripetutamente durante gli anni dell'infanzia, inevitabilmente il bambino cresce con una immagine di se stesso falsamente negativa. Portati avanti nella vita adulta, questi falsi modelli possono condurre a interazioni con potenziali amici o amanti, le quali, siccome sono basate su assunzioni inconsce ed errate, con tutta probabilità provocano fraintendimenti, fallimenti e sofferenze. Principi di psicoterapia La teoria
della psicopatologia e dello sviluppo della personalità appena descritta
può essere usata per guidare ciascuna delle tre principali forme
di psicoterapia analitica oggi esistenti: la terapia individuale, familiare
e di gruppo. In questa sede io parlerò solo della prima.
Sebbene durante
il trattamento vi sia un rapido passaggio tra un compito e l'altro
e si facciano collegamenti tra di essi, può essere utile considerarli
uno alla volta. Il ruolo dell'analista nel fornire al paziente una base
sicura è analogo a quello di una madre che fornisce al suo bambino
una base sicura. L'analista cerca di essere attendibile, sensibile e attento
e, per quanto gli è possibile, di vedere il mondo attraverso gli
occhi del paziente, cioè di essere empatico. Nello stesso tempo
egli è consapevole che il paziente, a causa delle sue avverse esperienze
passate, può credere che l'analista non sia degno di fiducia, ma
invece fraintendere o equivocare quello che l'analista dice o fa. Tra le
molte difficoltà che un paziente può avere nel collaborare
al trattamento vi è l'aspettativa che l'analista lo respingerà,
lo umilierà, lo punirà o lo abbandonerà o che lo sfrutterà.
In questa breve esposizione che ho fatto, vari analisti riconosceranno aspetti che sono a loro molto familiari, anche se spesso chiamati con nomi diversi. L'alleanza terapeutica è equivalente a una base sicura, un oggetto interno è un modello rappresentazionale di una figura di attaccamento, la ricostruzione è l'esplorazione dei ricordi del passato, la resistenza (a volte) è la profonda riluttanza a disobbedire ad antiche ingiunzioni a non parlare, provenienti dai genitori. Tra le differenze vi è l'enfasi posta sul ruolo dell'analista come compagno per il proprio paziente nella esplorazione di se stesso e delle sue esperienze, e meno sull'analista che fornisce interpretazioni al paziente. Il paziente viene incoraggiato a vedere che, con aiuto e supporto, può scoprire da solo la vera natura dei modelli che guidano i suoi pensieri, sentimenti e azioni e che, esaminando la natura delle sue esperienze precedenti con i genitori o con i sostituti genitoriali, egli capirà cosa lo ha portato a costruire quei modelli ora attivi all'interno di lui. Un compito ulteriore per il paziente è quello di riconsiderare l'adeguatezza di quei modelli per le situazioni nelle quali al presente si trova e per le esperienze che egli ora può avere, e di modificare i modelli nei modi che egli ritiene ora i più appropriati. Una parte
del lavoro dell'analista è quella di permettere al paziente di avere
pensieri che gli erano stati in precedenza proibiti dai suoi genitori,
di provare sentimenti in precedenza disprezzati e di considerare la possibilità
di compiere azioni in precedenza giudicate imperdonabili. Un'altra parte
del lavoro dell'analista è di assistere il suo paziente nel ricordare
terrorizzanti o disturbanti eventi dei suoi primi anni di vita, aprendo
nuove possibilità alla luce della sua conoscenza dei comportamenti
dei genitori che egli ora sa che contribuirono a creare i problemi per
i quali soffre. Per essere a conoscenza di tutte quelle nuove informazioni
che stanno rendendosi disponibili, grazie a sistematici studi longitudinali.
Sfortunatamente, molti analisti oggi non solo ignorano i risultati di queste
ricerche, ma non sono neanche a conoscenza della loro esistenza. Inoltre,
a causa della lunga tradizione psicoanalitica secondo la quale viene data
molta enfasi al ruolo della fantasia, fino alla virtuale esclusione dei
fatti reali della vita, molti analisti sono prevenuti dall'accettarli quando
ne vengono a conoscenza.
Bibliografia Ainsworth M.D.S. (in corso di stampa), The Salmon Lectures. Bulletin of the New York Academy of Medicine. Bowlby J. (1969), Attachment and Loss. Vol. 1: Attachment. London: Hogarth Press. 2a ed.: Pelican Books, 1984. (Trad. it. della 1a ed.: Attaccamento e perdita. Vol. 1: L'attaccamento alla madre. Torino: Boringhieri, 1972). Bowlby J. (1973), Attachment and Loss. Vol. 2: Separation: Anxiety and Anger. London: Hogarth Press. (Trad. it.: Attaccamento e perdita. Vol. 2: La separazione dalla madre. Torino: Boringhieri, 1975). Bowlby J. (1980), Attachment and Loss. Vol. 3: Loss: Sadness and Depression. London: Hogarth Press. (Trad. it.: Attaccamento e perdita. Vol. 3: La perdita della madre. Torino: Boringhieri, 1983). Bowlby J. (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi. Milano, Cortina. Bowlby J. (1984), Carig for the young: influences on development. In: R.S. Cohen, B.J. Cohler, S.H. Weissman (eds.), Parenthood: a psychodynamic perspective. New York: The Guilford Press. Bowlby J. (1985), The role of Childhood esperience in cognitive disturbance. In: M.J. Mahoney, A. Freeman (eds.), Cognition and psychotherapy New York: Plenum. Bretherton I., Waters, E., eds. (in corso di stampa), Growing points in attachment theory and research. Monograph of the Society for Research in Child Development. Brown G.M., Harris, T. (1978), The social origins of depression: a study of psychiatric disorder in women. London: Tavistock Pubblications. Emde
R.N., Harmon, R., eds. (1984), Continuities and discontinuities in development.
New York: Plenum Press.
Rutter M. (1981), Maternal deprivation reassessed. 2nd ed. Harmondsworth, Penguin. Stern D. (1985). The Interpersonal World of the Infant. New York: Basic Books (trad. it.: Il mondo interpersonale del bambino. Torino: Bollati Boringhieri, 1987).
Psicoterapia e Scienze Umane, 1986, XX, 3: 260-269 Riflessioni sui mutamenti nel mio metodo psicoanalitico Donald Meltzer (Broadlands Road, London N6 4AN, UK)Potrei forse
cercare di delineare in modo più personale quello che io considero
l'impatto delle idee di Bion sul mio stile di vita, sulla mia visione del
mondo (modello della mente, struttura della storia, evoluzione delle organizzazioni
politiche, ruolo dell'artista nella comunità natura della psicoanalisi
in quanto oggetto ecc.)
Riandando
al passato, penso che un ruolo importante lo abbia avuto il lavoro sull'autismo,
con la sua elaborazione del concetto di dimensionalità; la elevata
sensibilità estetica di molti bambini autistici era così
evidente che non si poteva fare a meno di chiedersi se la loro carenza
evolutiva non fosse fondata su processi diretti a eludere l'impatto con
la bellezza del mondo. Lo smantellamento dei sensi e la bidimensionalità
sembravano metodi molto delicati per ottenere ciò senza fare violenza
all'oggetto, sia esternamente che internamente. Il processo di smantellamento
dei sensi era comunque troppo massiccio, troppo simile ad un assassinio
dell'anima per far luce sul problema. Ma la bidimensionalità comportava
domande affascinanti. In un primo momento sembrava che questo appiattimento
del mondo del significato fosse ovvio, come se la riduzione del significato
risultasse in un naturale impoverimento degli affetti. Le idee di Bion
suggerivano il contrario e cioè che un sistema che limita la intensità
degli affetti produce un indebolimento del significato. Se le cose stavano
così, allora l'orientamento bidimensionale verso il mondo sarebbe
una difesa contro l'impatto con l'oggetto in quanto capace di suscitare
emozioni. Ma in che modo avveniva ciò?
Allo stesso
modo venivano messe in dubbio precedenti affermazioni legate al disegno
tracciato da Melanie Klein circa la posizione schizo-paranoide e la posizione
depressiva. Esther Bick aveva chiarito i processi identificatori legati
alla bidimensionalità (identificazione adesiva) in modo tale che
risultava possibile ipotizzare l'esistenza di una organizzazione della
mente che precede la posizione schizo-paranoide, il che rafforzerebbe l'assunzione
di una sequenza genetica con una forte logica interna, collocando la posizione
depressiva a un livello di esperienza più sofisticato. Ma la formulazione
kleiniana dei fattori che operano per mettere in moto l'istinto epistemofilico
non sembrava del tutto soddisfacente. Il fatto che la Klein non avesse
fatto distinzione tra curiosità invadente e sete di conoscenza,
quali fattori dell'interesse del bambino piccolo per l'interno del corpo
della madre, indeboliva l'edificio concettuale. La complessità
implicita era scoraggiante, ma ogni accoglimento delle idee di Bion sembrava
esigerla. Mi sovvenne di Melanie Klein la quale, in un convegno, ad alcuni
che avevano criticato le sue argomentazioni, rispose che non era lei a
rendere le cose difficili: esse lo erano in se stesse. Naturalmente la
psiche umana è la cosa più complessa che ci sia nell'universo.
E ci deve essere un limite oltre il quale la madre, studiandosi, non riesce
a penetrare i propri misteri. Forse il mistero stesso è un aspetto
molto importante della sua essenza.
L'orientamento in termini di «campo», che accetta livelli molteplici di funzionamento simultaneo e più o meno integrato e che sembra provocare la domanda «come» e non solo «quando», è il livello mentale chiamato a operare per sovrapporsi al livello meramente neurofisiologico. L'approccio di Bion al problema, nel presumere che la prima operazione sarebbe la creazione di pensieri i quali, in seguito, richiedono un apparato per pensarli (manipolarli, usarli) sembra essere il punto cruciale di rottura con l'implicazione tradizionale secondo la quale il pensare è precedente in quanto funzione, e genera pensieri. Ciò gli ha reso possibile la creazione della Griglia e il passaggio all'esame delle Trasformazioni attraverso le quali il pensiero inizia a utilizzare i pensieri. Oltre a questo, gli ha fornito una struttura per considerare i falsi pensieri, le bugie, i fraintendimenti, la non-verità, le concezioni errate, la propaganda, il cinismo. Se a ciò si aggiunge il grande passo di opporre l'emozione alla anti-emozione (positiva e negativa, L, H, K) disponiamo di un nuovo abaco per pensare sul pensare. La possibilità di considerare quello che è il mentale come «livello» e che esso venga «chiamato in causa» mediante la focalizzazione dell'attenzione sulla emotività stimolata da una esperienza, concede una nuova libertà alle nostre riflessioni sul problema. E non è solo il chiarimento semantico che ravviva l'atmosfera in quanto spazza via la tradizionale preoccupazione primaria per la logica e, quindi, per la matematica e la linguistica come nostra suprema fonte di informazione, dal tempo dei Greci fino al Tractatus. Il concetto «vuoto» di funzione alfa è la nostra chiave nuova. Ma la serratura cui si adatta è anch'essa spostata: questo è il punto cruciale. Siamo stati tratti in inganno dal nostro confondere la creazione di oggetti estetici come opera eccezionale di un genio altamente evoluto con la percezione della bellezza-del-mondo, che Wordsworth affermò essere insita nelle «nuvole di gloria» (Wordsworth W., Ode on Intimations of Immortality) che prende corpo nella mentalità dei bambini e nella loro disponibilità allo «splendore nell'erba» (Wordsworth W., ibidem). Se il poeta avesse inseguito il problema della perdita di codesta sensibilità, anziché accettare la facile spiegazione, di tipo sociologico in sostanza, secondo la quale «prendendo e consumando saccheggiamo le nostre facoltà» (Wordsworth W., Sonetto), sarebbe stato in grado di riconoscere con maggiore chiarezza la natura della sofferenza che questa sensibilità porta come conseguenza. In modo simile l'attenersi alla formulazione freudiana circa la dualità degli istinti ha indotto Melanie Klein soltanto ad aggirare il problema e giustificare la evidente ambivalenza implicita nell'istinto epistemofilico, basandosi sulla frustrazione. Questo atteggiamento risulta abbastanza sorprendente, se si considera che ella sapeva benissimo che un livello ottimale di dolore psichico (frustrazione, persecuzione, invidia, ecc.) è necessario allo sviluppo, poiché è indotto da un conflitto sopportabile. Ho descritto la prima volta che intravvidi il problema nel saggio La comprensione della bellezza; ma non potei afferrare ciò che mi era balenato davanti agli occhi, come invece ha potuto fare Hannah Segal nel suo famoso saggio sull'estetica. E così riunirono la chiave della funzione alfa e la serratura della bidimensionalità, che trova una metafora adeguata. L'area problematica che la chiave della formazione simbolica doveva aprire era l'enigma circa l'interno e l'esterno dell'oggetto estetico. Il suo potere di provocare l'emozionalità fu raggiunto solo dalla sua capacità di generare angoscia, dubbio, diffidenza. Mentre le qualità sensuali dell'oggetto estetico potevano essere percepite con un certo grado di sicurezza, le sue qualità interne, essendo infra-sensibili e sovra-sensuali, non davano altrettanta garanzia. Qui era necessario che l'osservazione fosse collegata al pensiero e al giudizio e il giudizio dipendeva fortemente, per la sua fermezza, dall'esperienza. Perché era sicuramente nell'uguaglianza o nella disparità tra questo esterno e interno dell'oggetto che suscita soggezione e meraviglia, che risiedeva la sua utilità per il bene o per il male. Ma l'esperienza che il neonato ha del mondo è pressoché nulla. Come può egli pertanto esercitare tale giudizio? Egli non può: può solo attendere per vedere cosa accadrà in seguito. Questo sarebbe
dunque il contesto nel quale l'assenza dell'oggetto provoca il proprio
impatto cruciale, mettendo alla prova la tempra del soggetto. Bion ha definito
questo problema dell'oggetto assente come «oggetto assente come persecutore
presente», in relazione allo «spazio in cui si trovava l'oggetto»,
forse anche implicitamente includendovi «gli spiriti delle qualità
dipartite» di Berkeley. Questi «tempi che mettono le anime
degli uomini alla prova» (Paine T., Common sense) e scoprono il «Il soldato dell'estate»
(Paine T., ibidem) nelle profondità, devono essere infinitamente più stressanti
per il bambino se ci ricordiamo del loro impatto su Otello e Leonte, e
La belle dame sans merci (Keats J., La belle dame sans merci).
Nel definire in tal modo il problema fondamentale delle relazioni estetiche e nell'affermare che la relazione estetica con il mondo è lo stimolo originario a pensare, abbiamo adottato una posizione compatibile con una teoria di campo che è anche intrinsecamente genetica. Ciò consente di rapportarci a valori con un approccio puramente mentale svincolato da speculazioni biologiche, cosa che la differenziazione tra posizione schizoparanoide e depressiva, con il suo fondamento negli istinti di vita e morte, non riesce a fare. Mentre la questione della sofferenza psichica e della sua sopportabilità non perde affatto la sua risonanza clinica come arbitro della forza dell'Io, viene introdotto un nuovo fattore nella dinamicità del conflitto. La fiducia, espressa in unità tempo-speranza, parlando in modo schematico, sembrerebbe avere radici qualitative nella ricchezza dell'esperienza estetica a cui segue la separazione. E questa ricchezza può essere sicuramente rintracciata nell'elemento di reciprocità della comprensione della bellezza. Perché il bambino deve essere tenuto come un oggetto estetico della madre affinché l'esperienza del loro amoreggiamento riecheggi tra loro e aumenti di intensità. Un siffatto
fondamento, che ci consente di concepire il «come» della chiamata
in causa della capacità di pensiero simbolico, il prodotto della
misteriosa funzione alfa, ci libera più o meno dal doverci preoccupare
troppo per il «quando». Che il «quando» avvenga
prima o dopo la nascita, esso deve comunque avere luogo. E se questo legame
di reciprocità è il suo elemento essenziale, il suo inizio
può variare largamente nel tempo. Ma, purtroppo, dobbiamo riconoscere
che esso potrebbe non verificarsi affatto, come nei bambini che paiono
non raggiungere l'adattamento post-natale o i bambini il cui apparato neurofisiologico
non risulti essere sufficientemente complesso da potere raggiungere il
livello estetico di risposta. Il bambino autistico e il bambino che non
si sviluppa possono percepire ciò e ribellarsi contro il suo ascendente.
Per la pratica clinica risulta però più importante il corollario;
cioè che le operazioni difensive che la psicoanalisi è particolarmente
adatta a seguire possono, nella maggior parte dei casi o, forse, in tutti,
essere viste come delle mosse contrastanti l'impatto dell'oggetto estetico.
Indubbiamente
la prima è più importante modificazione consiste in una diminuzione
dell'importanza dell'esattezza della interpretazione, forse addirittura
in una complessiva diminuzione della urgenza di interpretare. Per conto,
l'attenzione si sposta in avanti, per così dire, in direzione dell'interazione,
del rapporto dal quale le idee interpretative emergono. Il modello contenitore-contenuto
attribuisce nuovo valore alla ricettività e al tenere nella mente
dell'analista la situazione dinamica del transfert-controtransfert. Ma
forse affermare questo, come se l'analista fosse il contenitore, non coglie
il fatto che sono il reciproco adeguamento dell'attenzione e degli atteggiamenti
dell'analista e della tendenza a collaborare del paziente a formare e suggellare
il contenitore, fornendogli il grado di flessibilità e di robustezza
necessaria in ogni momento.
Questa immagine
del compito verbale dell'analista, cioè di gettare una luce di comprensione
da un vertice all'altro, modifica straordinariamente l'atmosfera della
comunicazione, diminuendo le aspettative autoritarie del paziente e condividendo
la responsabilità tra entrambi i membri del «gruppo di lavoro»
a due.
Ciò
contiene delle implicazioni di vasta portata per il transfert e il contro-transfert,
poiché ha stabilito un oggetto che non è confinato - in termini
freudiani - nelle limitazioni inerenti alle «particolarità»
dell'analista: la sua età, il suo sesso, il suo aspetto fisico,
gli avvenimenti conosciuti circa la sua situazione di vita, i suoi valori,
la sua concezione politica, ecc. Infatti ciò apre la via alla formazione
di un oggetto che il terapeuta e il paziente possono esaminare insieme
da una certa distanza; così come si indietreggia dinanzi alla maggior
parte dei dipinti per consentire alla composizione di colpirci, indi si
fa un passo avanti per apprezzare i colpi di pennello e la tecnica dell'artista.
È in
questo senso che la esteriorizzazione dell'organizzazione narcisistica
del paziente, con individui e con gruppi, viene sottoposta a un esame più
preciso, perché il fondamento del giudizio non deve per forza basarsi
solo sul valore. È vero che lo spostamento della base del giudizio
di valore, da criteri morali o etici a criteri di sviluppo (ciò
che spesso significa sospendere il giudizio) attenua l'asprezza degli interventi
dell'analista circa le relazioni a base narcisistica, dal momento che il
suo atteggiamento manca di una base dimostrabile, fuorché per quanto
riguarda i sogni. Ma quando le modalità di pensiero e le vie della
comunicazione possono essere sottoposte anch'esse a esame, è spesso
possibile dimostrare i deficit nella qualità del pensiero. Questo
è chiaro soprattutto quando è in discussione un coinvolgimento
di tipo Gruppo di assunto di base, ma anche nella gang formata da uno o
più conoscenti, possono essere spesso dimostrate le funzioni che
«legano in modo sbagliato» la Griglia negativa (la «fantasia
mimica» di Milton) (Milton J., Il paradiso perduto). Questa via di ricerca sui processi della
comunicazione nel gruppo è di certo una aggiunta di Bion al nostro
equipaggiamento per indagare sull'attività del narcisismo. Tale
ricerca raggiunge il massimo della chiarezza nelle aree perverse della
personalità le quali prosciugano la vitalità dei rapporti
oggettuali. E qui la formulazione di Bion sui legami emotivi, positivi
e negativi, getta una luce splendente.
Il concetto di Griglia negativa e il riconoscimento da parte di Bion del fatto che la conoscenza della verità è indispensabile per costruire bugie efficaci (bugie verso se stessi come verso gli altri) ci ha fornito un potente strumento per esaminare il contenuto e le operazioni degli attacchi cinici contro la verità. Mentre non ho mai riscontrato l'utilità della Griglia per la contemplazione analitica, come suggeriva Bion, il suo formato rivela invece, con grande chiarezza, gli spostamenti dei livelli di astrazione e le affermazioni paradossali che accompagnano questi. Ciò porta a una maggiore abilità nell'esame delle funzioni difensive e di evasione nell'uso ambiguo del linguaggio, così come nei difetti nelle operazioni logiche, nelle pseudo-quantificazioni, nelle false equazioni, nelle similitudini spurie. Questi strumenti riuniti per esaminare i processi di pensiero e di comunicazione conferiscono all'analista una posizione assai più forte di prima nella battaglia per strappare le strutture infantili al dominio o all'influenza di parti distruttive della personalità che organizzano raggruppamenti narcisistici o di assunti di base, sia internamente che nel mondo esterno. Infine, dobbiamo esaminare l'importante questione della nostra definizione privata e corporativa di psicoanalisi e le sue implicazioni per i nostri metodi di lavoro nello studio di consultazione. Non intendo riferirmi agli aspetti politici del problema, quali il definire la psicoanalisi come ciò che viene praticato dai membri della Società psicoanalitica, o il requisito «cinque-volte-la-settimana» o i setting extra-istituzionali e così via. Queste definizioni locali riguardano problemi politici locali e non sono di interesse scientifico. I problemi importanti sono di definizione privata e di presentazione pubblica ai colleghi. La nostra definizione privata deve fondarsi essenzialmente su due pilastri, il metodo e il processo che esso mette in moto. Quasi tutti in questo campo saranno d'accordo sul fatto che l'essenza del metodo consiste nell'esame accurato e nella descrizione del transfert, attraverso l'esame interno del contro-transfert. C'è assai meno accordo, o necessità di accordo, per quanto riguarda la natura del processo terapeutico generato da queste operazioni. Non è impossibile che il processo vari da analista e analista, forse da paziente a paziente, in modo molto significativo. Ma tutti si troveranno d'accordo nel ritenere che ogni analista ha bisogno infine di avere formulato la sua propria concezione circa il tipo o la gamma di processi che egli considera utili in una analisi che progredisca. È chiaro che egli non può servirsi di criteri terapeutici sia osservati che riportati. Dopo tutto, non c'è alcun bisogno per gli analisti di rivendicare il monopolio dell'efficacia terapeutica. Dopo essersi
formato una simile concezione circa il tipo o la gamma di processi utili,
l'analista dovrebbe essere in una posizione tale da avere una maggiore
flessibilità nel venire incontro alle richieste dei suoi pazienti
per quanto riguarda la frequenza, la durata delle sedute, il loro scaglionamento,
il saltare le sedute, i periodi di terapia, i modi di pagamento, l'uso
del divano, il portare o spedire materiale scritto o di tipo grafico, gli
incontri con i parenti. L'accortezza può sostituire la rigidità
di stile e di metodo, quando i concetti di base personali, circa il metodo
e il processo, sono stati stabiliti attraverso l'esperienza con il singolo
paziente e la pratica in generale. Modifiche nello stile e nel metodo introdotti
dall'analista dovrebbero però venire tuttora considerate con grande
sospetto e magari evitate, salvo al fine della ricerca posta in buona fede.
(Traduzione di Morag Harris Maio e Maria Noemi
Plastino)
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