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La malattia mentale tra scienza e politica.
Intervista a Giovanni Berlinguer.
a cura di Albertina Seta.

  • INTRODUZIONE
  • La 180 , il '68 e il Pci
  • Iter istituzionale e principii della legge. Il referendum radicale, la legge Mariotti .
  • La discussione sulla malattia mentale tra compromessi e occasioni mancate
  • La 180 e l'attività dei partiti di sinistra e del sindacato
  • Problemi vecchi e nuovi nell'applicazione della legge

  • La discussione sulla malattia mentale tra compromessi e occasioni mancate

    D: Se ben ricordo, a quell'epoca si andava anche oltre la negazione dell'esistenza della malattia: nel movimento di Psichiatria democratica c'era chi vedeva nel malato psichiatrico addirittura un soggetto rivoluzionario. Non pensa che ciò abbia creato confusioni, nuocendo molto alla psichiatria?
    R: Anch'io sono convinto che la negazione dell'esistenza della malattia mentale, e la considerazione dei comportamenti anormali e patologici come una risposta alla società, o perfino come l'individuazione di strade che l'insieme della società avrebbe dovuto percorrere, è stata molto nociva. Debbo dire che Basaglia non ha mai condiviso nella sostanza queste posizioni, qualcuno lo ha criticato per non averle combattute abbastanza. Ma io, in un certo senso, lo capisco per avere io stesso avuto il problema di mantenere l'unità del partito su questi terreni, comprendo quindi che lui abbia parallelamente avuto quello di consolidare l'unità del movimento di Psichiatria democratica.
    D: Problemi di compromesso, in un certo senso. E a proposito, si è detto che la 180 è stata uno dei prodotti del compromesso storico. Cosa ne pensa? E in particolare, al di là degli accordi politici, pensa che in essa si sia realizzata per così dire una contaminazione del pensiero comunista da parte di altre posizioni ideologiche?
    R: In qualche senso la legge è un prodotto di compromesso storico, perché se non ci fosse stato in quegli anni, tra il '75 e il '78, un clima di collaborazione tra i maggiori partiti, una disponibilità all'ascolto, una tendenza a trovare soluzioni e non a cercare nemici e distruggerli, questa e altre leggi difficilmente sarebbero state approvate. Invece su questo punto, come su altri, ci fu un accordo, o una rinuncia alla belligeranza. Ci fu dunque un clima di collaborazione che sicuramente giovò all'approvazione della legge e coinvolse anche l'insieme della riforma sanitaria, tanto è vero che la legge 833 che creò il Servizio sanitario nazionale fu approvata nello stesso periodo e incorporò la 180. La Basaglia durò isolatamente solo alcuni mesi, quelli necessari per evitare il referendum e collegarla alla riforma sanitaria. Per quanto riguarda gli aspetti ideologici, il movimento basagliano respinse un'idea di semplice soccorso a dei poveretti, forse eccessivamente. Però la respinse in nome di una riforma molto più sostanziale che avrebbe potuto consolidare un'idea del comportamento umano che non fosse quella di chi si considera normale, ha il potere e non tollera che ci siano altri che si comportano diversamente da come lui vorrebbe, che è un'idea restrittiva, oppressiva.
    D: L'impressione è, comunque, che si sia persa un'occasione per approfondire il discorso sulla malattia mentale. Di malattia mentale, in definitiva, si è parlato pochissimo, ancora oggi ci ritroviamo divisi tra posizioni spiritualiste e organicismo. Perché non c'è stato modo di andare più a fondo sulla realtà psichica umana?
    R: Questo è verissimo. E bisogna dire che mentre sulla legge è stato giusto, corretto che ci fossero determinati schieramenti, perché si doveva arrivare ad alcune decisioni, sui concetti della malattia mentale, sulle sue origini, su come interpretarla, sulle forma di terapia al di là dell'istituzione manicomiale, c'è stato un dialogo tra sordi. Per responsabilità di tutti. Perché si sono manifestate, senza confrontarsi - il confronto non c'è stato per nulla - varie tendenze: da un lato, appunto, il movimento di Psichiatria democratica che rifiutava ogni colloquio con gli altri, dall'altro gli psicoanalisti che continuarono ad andare per conto proprio, ignorando quello che stava succedendo e che riguardava certamente la psiche umana, e non altro. Il terzo gruppo, la terza corrente, che era all'inizio e che è di nuovo la più forte, è l'accademia - parlo naturalmente di determinate tendenze dell'accademia - che ha continuato a fare il proprio discorso e che adesso ha riesumato l'elettroshock, il che va preso come sintomo di una certa tendenza a continuare a formare gli psichiatri secondo vecchie tradizioni, senza tenere minimamente conto dell'esperienza anti-istituzionale. La mancanza di un colloquio, non dico di una integrazione - si tratta di correnti diverse che è giusto che si esprimano con le loro identità - è stata molto nociva sul piano culturale. Non credo che ci sia in Italia nessun altra disciplina in cui c'è stata tanta sordità reciproca, non so per quali motivi. Certo anche per interessi professionali, di scuola.
    D: Questo discorso potrebbe portarci lontano. Il discorso sulla malattia mentale, forse coinvolge quello sulla natura dell'uomo.
    R: Sono convinto, infatti, che queste tre correnti fondamentali abbiano delle forti legittimità, quello che non condivido è che non si sia cercato il confronto. Non ricordo alcuna sede, forse qualcuna c'è stata, ma molto periferica, in cui queste tre correnti abbiano dialogato tra loro. Forse una delle poche è stato il convegno dell'Istituto Gramsci già citato, al quale c'erano anche psicoanalisti. Ma non poteva essere sufficiente.
    D: Probabilmente una delle forze che avrebbero dovuto rappresentare un punto di riferimento per una discussione sulla malattia mentale e sulla realtà psichica umana era proprio il Pci, e questo proprio mentre il partito attraversava una crisi, sia per i movimenti emergenti, sia a livello internazionale. Può darsi che anche per il Pci si sia trattato di un'occasione di approfondimento mancata?
    R: E' un'opinione che contiene un fondo di verità. In quella fase, e ancora di più nella precedente, il valore dell'individuo umano, della sua libertà, dell'espressione delle sue facoltà non è stato al centro dell'ideologia comunista in Italia, e questo ha ostacolato una riflessione più approfondita sulla psiche umana. Non credo che il partito avrebbe potuto o dovuto ergersi a giudice, ma avrebbe potuto facilitare il confronto su questi temi, cioè favorire il dialogo e l'approfondimento. Riflettendoci adesso, può darsi che se avessimo fatto dieci anni dopo un'altro convegno sulla psichiatria, prescindendo dall'impegno politico di riformare la legge e di cambiare le istituzioni psichiatriche, sarebbe stato molto utile.


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