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Note sull’assistenza psichiatrica nel nuovo testo del Piano Socio Sanitario Lombardo 2002-2004

di Luigi Benevelli

Premessa

La giunta regionale lombarda affronta il dibattito in Consiglio regionale con un nuovo testo del piano sociosanitario 2002-2004, in alcune parti integrato, in altre completamente riscritto. Fra queste ultime spicca il nuovo capitolo dedicato alla salute mentale.
Il testo contiene affermazioni che sembrano mantenere la sanità lombarda nel servizio sanitario nazionale. In particolare:

  • l’assunzione, sia pure problematica dei LEA, e delle indicazioni della p.o. nazionale “Tutela della salute mentale 1998-2000, fa pensare che la giunta non intenda più mettere in discussione gli standard servizi/popolazione e l’assetto organizzativo dei DSM;
  • è meglio precisato il ruolo “politico” dell’ASL, che dovrebbe “concentrarsi sul governo della domanda”, definire le “priorità in termini di fabbisogno e di allocazione delle risorse”, verificare “qualità di servizi”, “facilità di informazione, prenotazione ed accesso da parte degli utenti”. Alle ASL è assegnata la “responsabilità della garanzia assistenziale e della tutela della salute di popolazioni definite negli ambiti dei Distretti socio-sanitari. L’ASL dovrebbe diventare un soggetto di “partecipazione” con il coinvolgimento delle istanze locali;
  • è interessante la parte aggiunta a pag. 68 sulla revisione dei criteri di remunerazione delle prestazioni, con riferimento, fra le altre, anche alle prestazioni psichiatriche.

Area Salute Mentale

Il fatto che il testo sia stato completamente riscritto mostra che la giunta ha dovuto prendere atto dell’impresentabilità delle sue precedenti tesi. Nella nuova elaborazione si usano, questa volta con rispetto, i termini “psichiatria di comunità”, “DSM”, “Programmazione regionale e p.o. nazionale”, iscrivendo quindi le indicazioni della nuova proposta lombarda entro tali cornici. Un’elaborazione più compiuta e dettagliata è però rinviata a un successivo “piano regionale per la salute mentale”. Questo tuttavia non spiega molte fumosità del documento, la mancanza di impegni precisi dietro singole parole talvolta anche condivisibili.

Dalla lettura del nuovo testo emergono questioni che richiedono chiarimenti e precisazioni:

si usa il termine “transizione “ per indicare i passaggi e le trasformazioni di assetto e culturali che anche i servizi di salute mentale dovrebbero percorrere. Si parte dall’affermazione che, esclusa l’area milanese, tutto quello che c’era da fare sul territorio regionale (disegno e attivazione delle Unità Operative e dei DSM, chiusura dei manicomi pubblici), è stato realizzato, ma non è chiaro verso quale nuovo assetto e cultura dei servizi si voglia andare. Si pensi solo al fatto che la locuzione “Psichiatria di comunità” vuol dire delle cose che sono lontane dalla cultura mercantile che ispira il piano lombardo nella sua prima redazione del 5 ottobre dello scorso anno;

si fa appello alla necessità di superare le “contrapposizioni ideologiche fra modelli dottrinari” e non si capisce se ci si riferisca alle posizioni neomanicomiali della Burani Procaccini o alle idee che hanno ispirato la riforma italiana;

si lamenta la scarsa relativa considerazione dell’importanza strategica di cui gode l’assistenza psichiatrica in Regione. Ma è stata la giunta Formigoni a smantellare l’Ufficio Psichiatria presso l’Assessorato alla Sanità, a non indicare, a parte la stagione della chiusura dei manicomi pubblici, ai Direttori Generali l’importanza delle attività per la salute mentale. Ed è noto che i Direttori Generali non tengono nella massima considerazione i servizi di assistenza psichiatrica, né in questi anni un Direttore Generale di ASL è mai intervenuto per promuovere e difendere i servizi di salute mentale quando contrattava con il collega dell’Azienda Ospedaliera. In realtà la Regione non conosce la situazione perché è in possesso dei soli dati che le forniscono programmi informatici da tutti riconosciuti come inadeguati a fornire un quadro attendibile. Esempio ne è che l’Assessorato alla Sanità non sa quanto si spende per la psichiatria adulti e adolescenti, e per fare che cosa, Azienda Ospedaliera per Azienda Ospedaliera;

  • il piano indica delle esigenze (politico organizzative, lavoro per progetti, coordinamento delle risorse, integrazione dipartimentale) ma, al di là del merito dei singoli aspetti, non è indicato chi ha la responsabilità di realizzare quegli obiettivi, cosa succede se le Aziende non li perseguono e non li realizzano.
  • la giunta, per il modo con cui è affronta il tema del “coordinamento delle risorse” tende a scaricare sui Comuni quanto più possibile dei costi dell’integrazione socio-sanitaria per le situazioni gravi. E appare poco credibile che abbia successo l’appello ai Comuni e ai territori perché si corresponsabilizzino, quando la scelta “ideologica” della 31/97 è stata quella di tenere fuori le comunità locali e le loro rappresentanze dal governo delle risorse della sanità;
  • fra le parti più oscure del documento è quella dedicata agli “organismi di coordinamento”. A livello di ASL, e non di Unità Operativa, DSM, Medici di Medicina generale, Comuni, Circoscrizioni, “agenzie della rete naturale”, “soggetti erogatori”, “mondo del lavoro” dovrebbero riunirsi non si capisce bene se per discutere, programmare, gestire e fare addirittura tutela separatamente o tutte queste cose insieme. Non è detto chi li debba costituire, se siano organismi volontari o meno, quali poteri abbiano, come debbano essere composti. L’impressione è che la proposta serva a indicare spazi per consentire la “libertà di scelta” nel “mercato” della salute mentale che la giunta si propone di promuovere. Non si capisce però come possa essere compatibile con tale contesto il delicatissimo e fondamentale lavoro di tutela;
  • la proposta di un nuovo sistema di remunerazione è fra le parti più interessanti anche perché frutto di verifiche sul campo e meno fumosamente “ideologico”;
  • si propone di aprire posti letto per il trattamento di pazienti in fase post-acuta in strutture ospedaliere accreditate. Pare quindi confermata la fine dell’esperienza dei CRT (una scelta che comunque andrebbe spiegata e argomentata), ma non si capisce se si punti a riconvertire letti degli “ospedali di comunità” derivati dalla cessazione delle funzioni per acuti o se si vuole che anche in Lombardia cresca un’offerta simile a quella, fra le più discutibili, dell’assistenza psichiatrica Laziale;
  • alla questione OPG è dedicata una riga, e mezza alla tutela della salute mentale in carcere.

Riguardo l’ultima questione vi è un dato che dà una misura vera, per quanto grossolana, dello stato di abbandono in cui versano molte situazioni “gravi” in regione: alla fine del 2001, i cittadini lombardi internati negli OPG, quasi la metà provenienti da Milano, erano in numero di 194. La situazione è inquietante se si considera che le persone mediamente internate in un anno negli OPG sono circa 1200: rapportando la popolazione lombarda a quella nazionale si evidenzia un indice che dà una misura del livello di funzionamento e di protezione che sanno offrire i servizi di salute mentale del più ricco e potente stato-regione della Repubblica. Si può affermare questo perché è universalmente riconosciuto in Italia che i cittadini internati negli OPG sono stati, nella quasi totalità, utenti dei servizi psichiatrici.
Il pssr deve affrontare seriamente questo drammatico problema, il che comporta non solo avere servizi di “psichiatria di comunità” seri e funzionanti, ma anche investire nelle attività per la tutela della salute mentale nelle carceri, fare la riforma della sanità penitenziaria, impegnare su questo i Direttori Generali delle ASL, se è vero che le ASL hanno compiti di promozione e tutela del diritto alla salute.


Luigi Benevelli

Rubrica realizzata in collaborazione con

Associazione Laura Saiani Consolati - BRESCIA
http://www.psichiatriabrescia.it

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