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Regione Lombardia

Il "Piano Regionale Salute Mentale 2003-2005"
(bozza 1 settembre 2003)

note di commento di Luigi Benevelli



Il documento di "Piano Regionale salute Mentale 2003-2005" redatto dalla Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia, è un atto di recepimento della legge regionale 31/97, del p.o. nazionale "Tutela della salute mentale 1998-2000", della legge 328/2000 di riforma dell'assistenza e si pone a completamento del percorso indicato dal pssr lombardo 2002-2004.
Al riguardo, va ricordato che la Regione Lombardia con il pssr 2002-2004 si è discostata dalle indicazioni che hanno ispirato la legge nazionale di riforma dell'assistenza del 2000 perseguendo una propria linea autonoma di revisione delle politiche di welfare nella direzione, come scrive Franco Rotelli (2002) di un "Welfare dei consumatori-utenti di aziende e organismi erogatori di prestazioni, tariffate, numerate, quantificate, acquisibili ovunque sul mercato pubblico e privato (…)". Al modello lombardo è possibile opporre"un sistema effettivo di Welfare delle autonomie, delle autonomie locali, municipale, di comunità. Un sistema cioè in cui lo sviluppo doveroso dei servizi incorpori (molto di più di quanto è avvenuto finora anche laddove essi sono stati effettivamente realizzati) protagonismo e risorse degli utenti, reti sociali, legami sociali e operi per ricrearli invece che eluderli".

Contenuti

Il Piano Regionale Salute Mentale lombardo assembla una grande varietà di contributi, elaborazioni e proposte protocolli e linee-guida, alcuni dei quali di valore, che danno corpo a un lavoro di integrazione teso a realizzare nei servizi gli assunti della "psichiatria di comunità", in una direzione quindi diversa da quella del welfare del consumatore che ispira il pssr 2002-2004. E' diffusamente sottolineata la dimensione comunitaria dei servizi, la loro declinazione nella varietà delle situazioni locali, con un forte spinta al raccordo con la medicina di base, i piani di Distretto socio-sanitario, i Piani di zona (questi ultimi figli della 328/00), la partnership di utenti, famiglie, volontariato, cooperazione sociale, le risorse locali del privato profit e non-profit.
Mi soffermerò sulle parti e le questioni, a mio avviso, più problematiche e critiche.
Gli elementi di novità e maggior interesse della proposta di piano sono i seguenti:

Il Dipartimento di Salute Mentale

Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) per essere tale, deve essere in grado di "fornire adeguati interventi ospedalieri per l'acuzie, interventi territoriali, garantendo anche l'assistenza domiciliare, e interventi riabilitativi (semiresidenziali e residenziali) secondo gli standard stabiliti dalle norme regionali del 1995, il DSM può essere o tutto pubblico, o tutto privato. Il DSM diventa un dipartimento gestionale , secondo il documento del Piano di organizzazione e Funzionamento delle Aziende Sanitarie (POFA) della regione Lombardia. Al dipartimento di tipo gestionale è attribuito un budget unico. Il DSM opera per funzioni, con il superamento della logica per strutture della programmazione regionale lombarda 1995-1997, ma anche di quella del p.o. nazionale 1998-2000; la funzione della "presa in carico" per la gestione delle situazioni gravi è differenziata da quelle dell'"assunzione in cura" e della "consulenza". Ne è a capo un Direttore, supportato da un Comitato Tecnico, e non più dalla Conferenza di Servizio.
Il Piano conferma la collocazione del DSM dentro l'Azienda Ospedaliera, ma con una forte proiezione esterna alla ricerca di un radicamento nei territori di competenza della ASL, nella sua nuova versione lombarda, dei Comuni, attraverso i Piani di Zona, fino alla famiglia e alle reti delle relazioni informali in cui sono immerse le vite quotidiane.
Il DSM opera su ambiti provinciali, su dimensioni sovrapponibili a quelle della ASL (che potrebbero quindi non corrispondere a quelle dell'Azienda Ospedaliera da cui vede assegnato il budget, da cui, pare di capire, continuerebbe a dipendere).
Il DSM si occupa della salute mentale adulti, si deve raccordare con UONPIA, SERT, servizi per disabili e anziani non autosufficienti, servizi specialistici ospedalieri, Dipartimento ASSI e Medicina di base delle ASL, altri gestori, servizi sanitari del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP). L'equipe psichiatrica svolge funzioni cliniche e terapeutiche, assistenziali, di integrazione dell'approccio multiprofessionale, di intermediazione (case management).

L'organismo di coordinamento per la salute mentale presso la ASL

Proprio in ragione della spinta verso la comunità locale, il Piano prevede l'attivazione dell' "Organismo di coordinamento per la salute mentale, da istituirsi da parte della ASL, d'intesa con le Aziende Ospedaliere che insistono sul suo territorio, coinvolgendo altri erogatori accreditati, Comuni e terzo settore. L'organismo possiede una struttura organizzativa propria, definisce un regolamento relativo sia alla composizione e rappresentanza delle diverse articolazioni, sia all'organizzazione delle attività e al calendario delle riunioni". Tale organismo diventa il vero motore delle politiche di salute mentale ("analisi dei bisogni del territorio, controllo e verifica delle attività erogate, la definizione di previsioni di spesa (budget), gli inserimenti in strutture residenziali, l'organizzazione di programmi innovativi (…), la promozione di programmi di prevenzione e di educazione e gli interventi di rilievo sociale"). Ne fanno parte il direttore del DSM e i responsabili delle strutture complesse del DSM, il direttore del Dipartimento ASSI e il Direttore del Dipartimento Servizi Sanitari di Base dell'ASL, i rappresentanti delle strutture private accreditate, delle associazioni di tutela dei malati e dei familiari, dirigenti comunali designati dalla Conferenza dei Sindaci della ASL. L'Organismo di coordinamento predispone il Piano Territoriale per la salute mentale che ha cadenza triennale, organizza annualmente la Conferenza Territoriale per la salute mentale, attiva i Tavoli a livello dei distretti socio-sanitari che a loro volta elaborano Intese Distrettuali di programma fra ASL, Aziende ospedaliere, Comuni, Associazioni, Enti riconosciuti (e fra gli esempi sono citati il Giudice Tutelare competente per territorio, i rappresentanti dei tutori dell' ordine pubblico e della polizia locale, i rappresentanti degli Istituti scolastici per le problematiche relative alle fasce di età giovanile ecc.). Come si vede, grande è l'enfasi sulla partecipazione e la integrazione di tutti i possibili soggetti delle attività finalizzate alla salute mentale. Per quanto riguarda la gestione dei possibili percorsi territoriali delle situazioni più complesse e difficili, il DSM indica un referente prescrittore/responsabile del piano di trattamento individuale.
In nome della libertà di scelta dell'utente/cliente, è possibile che un progetto di presa in carico sia assunto da un DSM diverso da quello competente per territorio. In tale caso il "gestore" ne dà notizia alla ASL che trasmette l'informazione all'Organismo di coordinamento.

La riorganizzazione dell'offerta residenziale

Un capitolo rilevante riguarda la proposta di riorganizzazione dell'offerta residenziale nella direzione della differenziazione delle Strutture Residenziali sulla base del livello di intervento terapeutico e riabilitativo da una parte e del grado di intensità dell'assistenza dall'altra. Ne consegue che:
Gli attuali CRT diventano Comunità Riabilitative ad Alta Assistenza (CRA) con una degenza della durata massima di 18 mesi per quanto riguarda l'età, possono accedere solo persone con età inferiore ai 50 anni.
Le attuali Comunità Protette ad alta protezione diventano Comunità Protette ad Alta Assistenza (CPA) con una degenza massima di 36 mesi
Le attuale Comunità Protette a Media Protezione diventano Comunità Protette a media assistenza (CPM)
Alle CPA e CPM si accede con età inferiore ai 65 anni.
Le attuali Comunità Protette a bassa protezione diventano Casa famiglia, Casa alloggio, Appartamento autonomo
Sono previste inoltre Comunità Riabilitative a Media Assistenza (

CRM), vale a dire di nuovi servizi residenziali capaci di operare a costi più bassi.
Sono adottati nuovi criteri di ammissione alle Strutture residenziali, in base alla diagnosi (escluse demenza primaria a grave ritardo mentale) ed all'età.
La nuova classificazione nasce dall'esigenza di differenziare fra di loro strutture che tendono a fare le stesse cose allo stesso modo ed anche da quella di ridurre la spesa per la residenzialità protetta. Pertanto cambiano anche i criteri di finanziamento con una quota fissa a giornata a remunerazione dell'offerta assistenziale e una quota variabile in ragione dell'intensità del progetto di trattamento.
Per ogni utente inserito in una struttura residenziale deve essere elaborato un Progetto terapeutico-riabilitativo (PTR) coerente e funzionale al Piano di Trattamento Individuale (PTI).

La bozza di piano tratta dell' intervento precoce nelle psicosi, dell'inserimento lavorativo, degli interventi per i casi di "doppia diagnosi" per i quali è necessario sviluppare un forte raccordo con i SERT, i servizi per i disabili con ritardo mentale e disturbi dello sviluppo, i servizi per gli anziani non-autosufficienti, del trattamento dei distrbi da ansia, depressione, comportamenti alimentari..
Specifici capitoli sono dedicati alla "psichiatria di consultazione" in Ospedale, alla qualità e alla promozione della qualità, alla formazione e a Carcere e OPG. Nello specifico si rimanda all'accordo quadro fra Regione Lombardia e Ministero della Giustizia dl 3 marzo 2003. Come noto, tale accordo non prevede il sostegno di nuovi finanziamenti ed affida la gestione dei problemi generali e di salute, anche mentale, della popolazione dei detenuti e degli internati all'Assessorato alla Famiglia della Regione Lombardia.
Per quanto riguarda il finanziamento, le risorse impegnate nel lavoro di salute mentale sarebbe stato il 4% del Fondo Sanitario Regionale nel 2002 e la percentuale dovrebbe salire al 4,2% per l'anno in corso. Sono previste risorse aggiuntive di 51,5 milioni di € per l'anno 2004 e di 67 milioni di € per il 2005 a sostegno delle innovazioni previste dal Piano.


Osservazioni e proposte


Premessa
Il Piano, nella sua redazione del settembre 2003, entra nel merito dei vari ambiti delle attività di salute mentale destinate alla popolazione adulta e contiene linee-guida e indicazioni molto interessanti. Il Piano riconosce che la "questione salute mentale", ma nemmeno quella "assistenza psichiatrica" che ne costituisce un rilevante capitolo, può trovare adeguate risposte entro l'Azienda Ospedaliera lombarda. Di qui la scelta di assegnare un ruolo particolarmente significativo alla nuova ASL, disegnata dal pssr 2002-2004, indicata come il soggetto che progetta e costruisce le politiche sanitarie, come l'Azienda capace di confrontarsi con le comunità locali e i loro governi e di promuovere l'integrazione fra sanità e assistenza. Ma la spinta ad attribuire compiti e funzioni decisive per il lavoro di inclusione, mantenimento ed esercizio dei diritti di cittadinanza, va oltre l'ASL e, nel caso della salute, anche mentale, in carcere e OPG, fa intervenire l'Assessorato regionale alla famiglia. Tale sforzo appare interessante, ma, per dare efficacia al lavoro dei nuovi DSM necessiterebbe di una chiara definizione dei livelli di responsabilità e di governo, a partire dalla ricostituzione dell'ufficio Psichiatria presso la Direzione Generale dell'assessorato regionale alla sanità. Di seguito le considerazioni critiche di maggiore importanza:

  • 1. Mancano i dati sulla condizione attuale delle attività di salute mentale in Lombardia
    Colpisce il fatto che manca un rendiconto chiaro, area per area, dello stato di servizi di salute mentale dopo la chiusura dei manicomi. Questo, in considerazione soprattutto dell'enfasi posta sulla dimensione "locale" e "comunitaria".
    E' vero che ogni Azienda ha il suo Direttore Generale, fiduciario della Giunta Regionale; ma è anche vero che i Direttori Generali non rispondono alle comunità locali. Frequentemente questo determina tensioni anche negli assetti dei servizi. Chi sa come stanno le cose in quella determinata area? Il sistema informativo regionale ha dei dati che si riferiscono però alle prestazioni, non ai percorsi di salute


  • 2. Il "governo" delle attività per la salute mentale
    Nella bozza di Piano, il DSM è formalmente confermato come centro di governo dell'uso delle risorse e delle competenze professionali. Ma, per fare le cose di cui è titolare, deve contrattare, confrontarsi con, rispondere a una molteplicità di soggetti (cito Direzione Generale dell'A.O. e dell'ASL, Dipartimento ASSI, Dipartimento Medicina di Base, Conferenza dei Sindaci ). Ad essi vanno aggiunti altri interlocutori con cui deve discutere e concordare percorsi e programmi di lavoro: UONPIA, SERT, UVG, servizi disabili, servizi sanitari dell'amministrazione penitenziaria e OPG, strutture operative del privato sociale e dei gestori accreditati, volontariato, associazioni, gestori dei Piani di Zona e di quelli di Distretto, Tavoli tecnici per le intese territoriali ecc..
    Esemplare al riguardo è la questione "budget" del DSM, con gli obiettivi incorporati da realizzare: esso è contrattato con l'A.O.; pertanto il Direttore del DSM ne risponde al Direttore Generale dell'A.O.; tuttavia, l'analisi dei bisogni, la verifica delle attività, la definizione delle linee strategiche, la predisposizione del Patto Territoriale per la salute, quindi il rapporto fra obiettivi, risorse, tempi, sono messe in capo all'Organismo di Coordinamento dell'ASL, di cui il DSM è solo uno dei componenti, e nemmeno il più importante.
    E' interessante notare come un documento di programmazione della Regione Lombardia, partendo dalla valutazione attenta dei problemi, finisca coll'indicare che, a partire dalle esigenze del lavoro per la salute mentale, varrebbe la pena di rimettere insieme le funzioni delle Aziende Ospedaliere e delle ASL, tornando indietro rispetto alle scelte della legge regionale 31/97, manifesto ideologico della giunta Formigoni. Ma cercare di rimettere e tenere insieme ciò che è stato diviso, senza una svolta radicale nel sistema, comporta la produzione di una enorme confusione di tavoli, trattative, protocolli, grandi difficoltà nella costruzione delle scelte e nella loro gestione efficiente.
    La confusione nasce dal fatto che non ci sono più responsabilità definite ed assegnate con chiarezza: negli scenari tratteggiati dal Piano. di quante cose e a quanti interlocutori dovrà rispondere il Direttore del DSM? Tutto questo non solo è incompatibile con una organizzazione del sistema delle responsabilità che si vuole ispirata all'aziendalismo, ma è in grado di produrre guasti gravissimi nell'efficacia del lavoro professionale. Si consideri inoltre che non esistendo una "cabina di regia" a livello dell'amministrazione regionale (si continua a ritenere non utile la ricostituzione dell'Ufficio Psichiatria presso la Direzione Generale dell'assessorato alla sanità), il compito di sbrogliare la complicata matassa è assegnato a quelli che sono i funzionari periferici della giunta regionale, ossia i Direttori Generali delle Aziende Sanitarie, e ai Sindaci. Pochissimi di questi soggetti hanno mostrato sinora attenzione e rispetto ai problemi della salute mentale.
    Per tali ragioni, la Regione dovrebbe indicare incentivi e sanzioni per chi (Direttori Generali delle A.O. e delle ASL) non ha dato corpo agli obiettivi del Piano. In caso contrario, il Piano non sarebbe vincolante per la stessa amministrazione regionale, quindi totalmente inefficace come norma di indirizzo e programmazione..

  • 3. gli ambiti territoriali
    I servizi di salute mentale che si ispirano ai principi della psichiatria di comunità per poter favorire buoni trattamenti, il lavoro di inclusione, la lotta allo stigma comunità devono essere fortemente radicati nelle realtà locali.
    Il Piano fa propria in molte parti questa "sensibilità" (ne è esempio l'enfasi sul Distretto Socio sanitario). Tutto questo richiede CPS con ambiti di riferimento che consentano e facilitino l'ascolto, l'esplorazione e la valorizzazione dei milieu di vita, la presa in carico, l'integrazione degli interventi. La proposta delle macro-aree, pare motivata dalla necessità di favorire la "libertà di scelta" amplifica invece gli ambiti territoriali e pone a riferimento delle UOP lombarde non l'A.O., ma l'ASL. Ciò comporta che quando i DSM appartengono a più A.O. che insistono negli ambiti di una sola ASL, o concordano fra di loro strategie, pratiche, scelte o si mettono in concorrenza fra di loro, salvo trovarsi tutti insieme ai tavoli dell'Organismo di coordinamento. Il rischio di caos è molto alto. Sembra insomma che questa proposta più che tentare di risolvere i problemi che ci sono, finisca col complicarli, anche in tema di azzonamenti.

  • 4. il finanziamento del Piano
    E' riconosciuto che il sistema di finanziamento in vigore sulla base delle prestazioni è incompatibile con gli obiettivi dichiarati dal Piano. Di qui l'apertura di spiragli di interessanti novità, ma non è esplicitato chi gestirà le scelte in ordine ai progetti sperimentali, chi li deciderà ( e qui ritorna la proposta di costituzione dell'Uffico Psichiatria presso la Direzione Generale dell'Assessorato alla Sanità).
    Va evitato che per quanto riguarda il "coordinamento delle risorse", si tenti di scaricare sui Comuni i costi dell'integrazione socio-sanitaria.


Diritti, qualità, formazione
La questione dei diritti di cittadinanza delle persone con disturbi mentali e delle loro famiglie andrebbe posta al centro del nuovo sistema; in elaborazioni che sono proprio di questi giorni tale assunto è pienamente recepito: costituisce il secondo obiettivo di 5 obiettivi enunciato nella proposta del documento di programma dei candidati alla lezione negli organismi direttivi della Società Italiana di Psichiatria (Bologna, ottobre 2003). La questione è stata sollevata e trattata con forza nel Forum Salute mentale (Roma 16 e 17 ottobre 2003).
Al riguardo, entrando nello specifico di ciò che accade nei servizi di salute mentale, credo che nessuno possa più permettersi di ignorare il problema delle contenzioni. Riporto per intero il capitolo della piattaforma del Forum:

La contenzione
La buona pratica non parte da un gesto generoso del medico verso la persona sofferente, gesto che può essere tradito mille volte al giorno da un dolore più o meno nascosto, da una aggressività con o senza giustificazione, da una violenza che ferisce. La buona pratica è il risultato di una volontà collettiva di partire comunque dal rispetto e dalla libertà della persona che spesso proviene da una storia in cui questo rispetto e libertà sono venuti meno o non sono mai esistiti. La buona pratica cresce e si sviluppa attorno a questo nucleo centrale, da cui si dipana ogni altro intervento.
La contenzione blocca questo sviluppo nell'atto stesso che parte dal massimo dell 'umiliazione e della mortificazione della persona e ripropone la copertura della nostro incapacità ad affrontare diversamente la sofferenza e la violenza, con una risposta irresponsabile di violenza e di difesa di sé, di violenza da parte del più forte, di chi è in condizione di porre una distanza fra sé e l'altro: il ruolo, le regole, l'istituzione, il potere.
Contro tutto questo si è lottato per anni e si è dimostrato possibile perseguire altre strade con il supporto di operatori/trici formati e motivati che reggano l'impatto senza ferire, senza umiliare, con la costruzione di un ambiente e di un clima non violento, libero nel suo complesso, che fa capire come altri passi siano possibili e della stessa natura.
La contenzione blocca ogni passo successivo. Contamina e rafforza il sopravvivere di vecchie tradizioni nelle case di riposo e nei servizi per anziani, negli istituti per handicappati, nei reparti di geriatria, di medicina per facilitare l'immobilità, per preservare dal danno, alla fine per semplificare il lavoro di medici e infermieri".

La contenzione umilia chi la subisce, ma anche chi la fa.
Nelle attività di assistenza psichiatrica in epoca pre-psicofarmacologica è stato possibile occuparsi ed assistere i pazienti psichiatrici senza legarli, mentre il massiccio ingresso degli psicofarmaci nei trattamenti psichiatrici non ha eliminato le pratiche delle contenzioni e dell’isolamento né sembra aver modificato significativamente la situazione. Situazioni simili dal punto di vista clinico e dei comportamenti della persona ricoverata trovano risposta diversa a seconda dei contesti istituzionali e degli operatori. Tenere le porte dei reparti chiuse a chiave, legare le persone e tenerle in isolamento per minuti, ore, giorni, è una scelta che dipende dalle culture professionali locali, dalle caratteristiche personologiche degli infermieri e dei medici, dalle relazioni interpersonali e di potere all’interno delle squadre che si avvicendano nei turni di servizio, dai rapporti fra medici e non-medici negli staff.
Contenzioni e isolamento costituiscono un aspetto sgradevole, di particolare asprezza, sensibilità e criticità della qualità dell’accoglienza e dei trattamenti nelle strutture di assistenza psichiatrica, una questione alla quale è opportuno portare grande attenzione. In Italia, non essendovi più l’alibi del “queste cose si facevano in manicomio”, è ancora più doveroso oggi riproporre la questione all’attenzione delle Aziende Sanitarie, degli operatori, degli utenti e delle loro organizzazioni, dei movimenti per i diritti civili.
Per far uscire alla luce del sole e per affrontare responsabilmente la “questione contenzioni" è necessario che anche la Regione Lombardia promuova una indagine per raccogliere dati su tutto il territorio circa il numero, la durata, le motivazioni delle contenzioni meccaniche e dell’isolamento, le ragioni degli infermieri e dei medici, l’esistenza o meno di regolamenti scritti adottati dal DSM o dagli SPDC, il numero e la qualità degli incidenti a carico del paziente e del personale (infortunio sul lavoro) conseguenti alla gestione della contenzione, i vissuti di chi subisce tali trattamenti.
Dall’indagine si potranno ricavare dati utili per la predisposizione di programmi di formazione di base e permanente per tutti gli operatori della salute mentale perché cessi l'uso delle contenzioni.
Dobbiamo essere consapevoli della asprezza di un argomento che, come sappiamo, non riguarda solo la storia e l’attualità dell’assistenza psichiatrica italiana: non dobbiamo dimenticare infatti, per parlare delle sole strutture sanitarie, che le contenzioni sono largamente in uso anche in altre attività di assistenza, dalle corsie degli Ospedali per acuti ai reparti di lungodegenza ed alle RSA.

La questione del contenere non riguarda i singoli casi, ma il clima più globale di intervento, le scelte e le impostazioni terapeutiche di base e, in fondo, lo stato d’animo dell’operatore. Questi, prima di tutto, deve essere non legato egli stesso: non legato a schemi precostituiti e ad abitudini rigide e tramandate; deve sapere riconoscere l'ambito del suo operare e, senza rifugiarsi nell’evitamento. Tenere le porte dei reparti chiuse a chiave, legare le persone e tenerle in isolamento per minuti, ore, giorni, è una scelta che dipende dagli ambiti strutturali (vivibilità degli spazi di vita per i pazienti e di lavoro per gli operatori, numero degli operatori) e dalle culture professionali locali, dalle caratteristiche personologiche degli infermieri e dei medici, dalle relazioni interpersonali e di potere all’interno delle squadre che si avvicendano nei turni di servizio, dai rapporti fra medici e non-medici negli staff.
La psichiatria di comunità, anche a fronte della sfida lanciata dalle proposte Burani Procaccini che ripropongono culture e armamentari di una "psichiatria correzionale" che tanti disastri ha provocato, ha oggi il dovere di porre la questione all’attenzione di Regioni, Aziende Sanitarie, operatori, utenti e loro organizzazioni, movimenti per i diritti civili: il saper "fare a meno delle contenzioni" deve diventare parametro prioritario della valutazione di qualità dei servizi e dei conseguenti riconoscimenti “aziendali” (leggi incentivazioni).

Conclusione

In una situazione generale molto difficile per tutti i sistemi di welfare, comunque caratterizzati, ritengo si debba tenere ben presente la necessità di evitare di "scassare" i servizi esistenti, di tutelarne la capacità di funzionare. Per tali ragioni, i percorsi organizzativi e gestionali indicati dal Piano Regionale sono a mio avviso molto preoccupanti.
Non possiamo permetterci di disfare i servizi a dimensione pubblica che, efficienti o meno, sono e saranno sempre per loro natura e ineludibile cultura orientati altrimenti: da un'etica pubblica e da una solidarietà che quand'anche mal praticate, li fonda comunque, ne giustifica l'esistenza e quindi non possono mai uscire definitivamente da essi pena la loro stessa autodistruzione.



Luigi Benevelli

Mantova, 20 ottobre 2003




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