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Osservazioni sulla proposta di legge Burani-Naro

di Andrea Angelozzi

La proposta Burani - Naro mostra l’assemblaggio di temi e parti diverse che individuano varie  questioni e che, pur coabitando lo stesso testo, sono di fatto abbastanza slegate.

Le Premesse

Un primo aspetto riguarda le premesse, che sono state aggiunte nelle ultime versioni, allo scopo di integrare le due diverse proposte di legge (sulla depressione e  sulla riorganizzazione psichiatrica); la sensazione inevitabile è di qualcosa di posticcio, senza un legame effettivo con quelli che dovrebbero essere i conseguenti provvedimenti, e con un inquietante tentativo di mettere insieme, in una teoria psichiatrica normativa e semplificata, dibattiti che costituiscono il problema e la ricchezza del pensiero psichiatrico da secoli.

Gli aspetti da sottolineare sono tanti, ma al fondo possono essere ridotti a qualche concetto fondamentale

a) Il primo è la codificazione legislativa della nosologia.

E' questa che permette di affermare che 25 anni or sono "la patologia psichiatrica era la malattia manicomiale di 160 mila ricoverati" e che oggi bisogna prendersi cura anche della "depressione o i disturbi di ansia." Nel fare questa operazione, che trascura il piccolo dettaglio che la patologia psichiatrica era già allora più vasta, ma era stata appunto la legislazione a creare due psichiatrie (incapaci ambedue - in parte proprio per questa divisione - di risolvere i problemi dei pazienti),  codifica in forma rigida la nosologia ed i modi ed i luoghi della sua cura.  Da una parte gli schizofrenici (patologia nominata all'inizio e poi traslata in una generica "patologia psichiatrica"), dall'altra una non meglio definita "depressione" ed i disturbi ansiosi.

Il legislatore non viene sfiorato dalla complessità della nosografia, dal fatto che "depressione" è tante cose, che vanno dalla distimia al disturbo bipolare (in cui c'è anche la fase di eccitamento...) dalla questione delle forme di confine (dei pazienti schizoaffettivi e delle cosiddette depressioni atipiche che ne facciamo?...e del fatto che i disturbi d'ansia sono quasi sempre in comorbilità con altri aspetti? ). La questione storica non eludibile che le diagnosi non fanno parte degli oggetti dati del mondo ma hanno una loro costruzione ed una storia che è poi la loro migliore definizione,  (inutile citare Foucault, o Hacking o la stessa questione della psicosi unica), non tocca il legislatore, così come il fatto che esistano tanti altri modi della espressione patologica di cui bisogna tenere conto, basti pensare ai disturbi di personalità. Infine è una visione rigida, che scambia la persona con la patologia, identificata come qualcosa di eterno ed immutabile. La diagnosi non era mai stata così tanto da temere, tracciando drammaticamente il destino futuro del paziente!!

 

b) L'altro punto è la codificazione legislativa della patogenesi.

L'influenza ambientale "l'ipotesi sociogenetica"  viene liquidata con una semplicità disarmante, approdando a una ipotesi strettamente biologica, con il contorno del disagio esistenziale "ineliminabile". E' curioso come l'aspetto sociale, ritenuto poco influente nei destini della patologia, venga poi riscoperto come centrale nella terapia, in particolare in quanto lavoro. Non può non tornarmi alla mente la questione settecentesca dei due tipi di emarginazione, quella immorale (che non lavorava) e quella morale (che poteva essere ricondotta alla produzione). Cosi come sono suggestivi i riferimenti alla nozione di persona in quanto lavoro e produzione (che sia lavoro alienante per alienati non ha importanza), proprio dell'etica protestante (c'è lo stupendo saggio di Max Weber). E' ancor più interessante questa indefinita condizione esistenziale, posta per legge alla base dell'essere umano. Sartre non avrebbe mai osato sognare tanto!!. Per curiose associazioni mi vengono in mente gli enormi cartelli che il governo del Nepal aveva messo agli incroci (al posto dei semafori e delle indicazioni stradali) tanti anni or sono, che dicevano: "In nessun caso devi venire meno alla conoscenza del Sè".

 

3) Il terzo punto è la codifica della terapia per legge.

 In nessun altro ambito della medicina vengono definiti per legge le modalità di trattamento se non (forse) nell'ambito della somministrazione del metadone ai tossicodipendenti. In base alla diagnosi la legge apre due destini di intervento.  Per l'ammalato psichiatrico si aprono le strade dell'inserimento lavorativo perchè "non gravi sul bilancio dello stato"; si aprono strutture di ricovero "a basso costo" a gestione infermieristica e strutture residenziali in cui "i requisiti per l'accreditamento non devono imporre oneri eccessivi ed immotivati" e forme di curatela con cui vengono gestiti i "denari" da lui guadagnati, tolto il vitto e l'alloggio.

Per i depressi invece si può pensare ad un raccordo con i Medici di Medicina Generale e con i Distretti; non solo, ma occorre monitorare costi e risultati.

Queste, che sono prassi minime di funzionamento di una psichiatria che si definisca tale e che   costituiscono attualmente stile di lavoro e progettualità specifica in molte Regioni e molte strutture, vengono indicate come modalità di intervento solo per alcune patologie e non per altre, creando di fatto patologie (e pazienti) di serie A e di serie B. E' vero che la legge non dice che non bisogna fare queste cose anche per gli altri, ma perchè fissa buone prassi solo in una di esse?.

Come se non bastasse entra nello specifico della teoria della cura: la patologia è biologia e richiede trattamenti biologici; la sofferenza esistenziale (in cui rientra improvvisamente il termine "sociale") può utilizzare trattamenti psicoterapici "scientificamente validati".

Ora, queste asserzioni teoriche sulla nosologia, la eziopatogenesi e la terapia, che vengono definite "chiarezza epistemologica" non sono un (discutibile a dire poco...) lavoro presentato ad un Convegno o una rivista, ma sono la parte introduttiva ad una legge che, dopo tanti anni, da una parte afferma che la psichiatria è entrata di diritto nella medicina, dall'altra pretende di legiferare in dettaglio in materia scientifico-clinica, ed a questo scopo formula una specifica legge a parte, al di fuori della 833.

 

4) Un ulteriore punto è la valutazione che viene fatta dei Servizi esistenti e dell’uso attuale delle risorse

Emerge, come sottolineato anche nel dibattito in lista dai difensori della Proposta di Legge, la asserita rigidità applicativa del modello attuale, drammaticamente arroccato secondo taluni sulla gestione delle psicosi.

Non si capisce su quali dati si basino tali affermazioni. I dati epidemiologi che emergono dai Registri dei Casi e dai monitoraggi delle attività territoriali fatte da talune Regioni, mostrano una realtà molto più complessa.  In genere le diagnosi di schizofrenia e  disturbo delirante rappresentano un 15% della utenza, altrettanto sono i  disturbi di personalità ed un po’ meno le psicosi affettive. La parte maggiore della utenza è rappresentata dalle altre diagnosi.

La questione riguarda piuttosto le prestazioni e l’assorbimento della spesa, ove il quadro mostra aspetti diversi:  schizofrenia, disturbi deliranti e disturbi di personalità assorbono la maggior parte delle prestazioni, anche se non necessariamente nei CSM o negli Ambulatori. Riguardano soprattutto le strutture intermedie e  quelle residenziali.

Certamente, sono queste le  prestazioni che portano al maggiore assorbimento delle risorse complessive, la cui capacità tuttavia di incidere sulla operatività complessiva dipende solo dalle risorse totali disponibili. Non capisco perchè cercare di lavorare bene con i disturbi gravi sia diventata una colpa o uno spreco.... Fare altre cose bene richiede semplicemente ulteriori risorse.

Queste sono risorse sottratte alla cura dei depressi ansiosi solo in una logica di coperta troppo stretta. Viene detto che curare qualche matto costa quanto curare tanti depressi.... Quanti trapianti cuore polmone occorrono per fare il budget di un dipartimento di psichiatria? Io penso una decina.... Eppure nessuno protesta o pone una questione etica o di povertà delle risorse in merito, anzi.

I Dipartimenti hanno  alcune strutture più nettamente orientate ad alcune diagnosi (semi e residenzialità,.... fra l'altro anche molte depressioni  rientrano nelle psicosi affettive..) e alcune strutture più modulabili: CSM e Ambulatori.

La modulabilità non è un fattore che dipende  dal dirigente illuminato, che in ogni caso, se non è tale,  certo non verrà illuminato da una legge. Dipende soprattutto dalla disponibilità delle risorse, che condiziona prestazioni e possibilità di intervento.  E’ possibile che in genere i Dipartimenti attuali non vadano a crearsi spazi per altre patologie o a "intercettare casi non diagnosticati" (mi pare a metà fra X-files ed  il sistema missilistico del NORAD  :-)) ) ). Il problema è che le risorse che hanno a disposizione attualmente è stato commisurato (e in genere per difetto) solo per  determinati ambiti.

Credo poi che bisogna mettere in chiaro alcune questioni di cui si fa molta fatica a parlare. La gestione delle risorse per la psichiatria ha di fatto  agevolato il privato, e spesso come precisa scelta politica delle amministrazioni, più accentuata in questi ultimi anni. Non dimentichiamoci che in genere si mettono in conto ai budget dei DSM anche le spese delle strutture private su cui non possono esercitare alcun reale controllo. Ultimamente poi vengono erogati finanziamenti a iniziative private, sottraendoli all’ambito pubblico, per quelle che generano il sospetto di pure operazioni di facciata. Di questo non si parla, mentre si rimprovera il pubblico perché i pazienti si rivolgono al privato....

Non è un problema strutturale della legge esistente che una parte dei pazienti non possa attualmente essere efficacemente gestita dai DSM attuali; è una conseguenza delle politiche sanitarie che sono state attuate a livello nazionale, regionale o locale, come conseguenza della  minore o maggiore attenzione al problema della salute mentale e della possibilità per la psichiatria negli attuali equilibri di potere,  di  contrattare realmente i propri finanziamenti. Esistono ULSS in cui la spesa riservata alla salute mentale era 1,5%, e questo (non la legge esistente!) definisce la tipologia delle strutture e dei pazienti che possono essere seguiti. Ma non illudiamoci: non sarà un 5% segnato su una legge che vincolerà gli amministratori.

 

5) Il reperimento delle risorse

La proposta di legge fa riferimento a innovative modalità di finanziamento, ma francamente non capisco dal testo quali siano. Afferma che si risparmierà sulle invalidità e si costruiranno accordi economici con il privato, "così che il paziente non graverà più sullo stato", ma mi sembrano ipotesi vaghe e poco consistenti.  Avevano già tentato alla Salpetriere nel 1700 con la costruzione del pozzo che doveva rifornire di acqua Parigi. Era la santificazione della ergoterapia, ed è finita nel modo più ovvio: il progetto era fallito,  continuavano a scavare e nessuno si ricordava perché.

Rischiamo di passare da servizi sotto-finanziati a "doppi-servizi" sotto-finanziati, cioè diamo ai DSM ulteriori strutture senza prevedere come provvedere. Non a caso nella legge vi è questa vistosa carenza: entra in parti non di sua competenza (come le gestioni terapeutiche) ma tace nelle parti che le competerebbero (organizzazione delle strutture, standard di dotazione di personale, standard delle risorse assegnate). Viene il sospetto che l’idea di fondo sia solo di utilizzare quanto esiste, cercando di "risparmiare" sui "pazienti psichiatrici gravi" per poter dedicare maggiori risorse agli ansiosi, nella idea tutta da dimostrare che la spesa per i primi sia eccessiva. C’è tutto uno sforzo nella legge di parlare di servizi a basso costo, che poi significa, bassa assistenza e bassa qualità, arrivando al punto di mettere nero su bianco che non bisogna farsi limitare da norme troppo esigenti sull’accreditamento. Si ipotizza un finanziamento a prestazione, a piè di lista, che permetterà di creare progetti solo a breve ed orientati inevitabilmente sulle situazioni più remunerative. E poiché delle altre bisognerà comunque occuparsi l’unico esito sarà quello di occuparsene male.  Quando si passa dalla sanità come erogazione di servizi necessari,  alla sanità come modello economico imprenditoriale, sono sempre i soggetti deboli che ci rimettono. Si, è vero, le risorse sono limitate.. anche se il dubbio è che lo siano particolarmente per le cose che politicamente rendono poco. Non credo che la salute mentale della popolazione in genere trarrà vantaggio da questa nuova cultura del mentale e della salute che si propone..

6) La vastità del problema della depressione

Viene sottolineata la ampiezza del problema "depressivo ansioso", anche se non riesco a sottrarmi al ricordo che già in passato la psichiatria è diventata il luogo e la giustificazione clinica per tutto ciò che era disagio, malessere sociale, coscienza infelice. Continuo a pensare che attualmente vivere è spesso collegato al dolore, creando una condizione diversa dagli spot pubblicitari della TV, ma non certo per questo indicativa necessariamente di una patologia. Come diceva il buon Zeno Cosini “La vita, anche se duole, non è una malattia”.  Credo che attualmente ci sia un gran malessere, prodotto dalle condizioni alienate ed alienanti del vivere sociale, dei modi di produzione, della qualità dei rapporti umani.  Mi viene alla mente la modalità con cui la cultura psicologistica di Elthon Mayo ha convinto a lungo operatori e manager che se vi erano problemi di malessere sul lavoro o burn-out,  questo era legato ai problemi psicologici personali dei dipendenti e non a cattive organizzazioni del lavoro costruite per calpestare le persone per il profitto di pochissimi.

Credo che sia uno dei misfatti più gravi di certa cultura psichiatrica sia quello di pretendere di conoscere la soggettività più dei diretti interessati e di dover forzare stati che si illude di capire in griglie fasulle.  Come anche di prestarsi a voler convincere gli interessati che il malessere che avvertono per le condizioni alienanti in cui si trovano a vivere è solo patologia che va curata.

Tante depressioni post partum, tanto per citare uno degli argomenti trainanti per i fautori della proposta, sono solo lo specchio della difficoltà con cui le madri si trovano, sempre più sole, a gestire un bambino. Funziona di più ridefinire un buon riferimento familiare o poter contare su una assistenza domiciliare ad hoc, che partire in quarta con l’apparato psichiatrico.

Distinguerei la clinica dalla omologazione del pensiero e degli umori e soprattutto dalle spinte delle case farmaceutiche, così abili a creare patologie e a sottolineare la drammatica incidenza di alcune….

E’ stato segnalato che i disturbi mentali in genere incidono per il 12% fra le cause di inabilità e morte nel mondo (e quindi a rigore richiederebbero il 12% delle risorse.....).

Non credo che la soluzione di un problema così vasto sia la trasformazione dell’universo in DSM  o la riforma dei DSM con le due linee di intervento ed i TSO prolungati. E neppure che sia quello di trattare male talune patologia per fare finta di prendersi interamente carico di altre (male anche queste, se con le stesse risorse…).  Per affrontare gli aspetti realmente clinici del problema, occorre che la psichiatra (con i suoi dilemmi…aiutano a imparare a pensare) sia una parte essenziale del corso degli studi in medicina e che via sia un ruolo centrale svolto dai Medici di Medicina Generale.

Occorrerebbe creare una nuova cultura della salute mentale in medicina e nella società in generale, una cultura "non alienata", che non passa  certo  per le banalizzazioni neurobiologiche pseudoscientifiche sancite nella premessa della legge né  per la loro conseguenza implicita di prescrivere tanti, tanti psicofarmaci.

La organizzazione

Se entriamo nella organizzazione indicata dalla proposta di legge, l’analisi diventa più complessa rispetto a quella delle premesse.

a) Vi è un primo aspetto formale ed è il rapporto con la sovranità che le Regioni hanno in materia sanitaria.

 Talune hanno peraltro già espresso, in maniera formale o informale, che sono soddisfatte del modello che stanno attuando e che non intendono cambiarlo, avvalendosi a questo scopo delle proprie prerogative in merito. La sovranità organizzativa si ferma tuttavia nel momento in cui devono dare risposta alle specifiche necessità poste da ambiti ove la competenza spetta al potere centrale. Questo è il caso ad esempio delle norme sulla limitazione della libertà personale per motivi di cura. In questo  sono obbligate a seguire le direttive nazionali e devono pertanto adeguare le strutture per darne esecuzione. Al di là quindi della autorità delle regioni in materia sanitaria, l’impianto attuale della legge è in grado di costringere le Regioni a mutamenti radicali nella propria organizzazione.

 

b) L’altro aspetto, a questo punto più importante, è quello dei contenuti.

Al di là delle infinite notazioni che potrebbero essere fatte, vi sono alcune linee essenziali, che a mio parere possono essere estrapolate.

b1) la puntualizzazione degli aspetti organizzativi

La legge incorpora aspetti organizzativi che fino ad ora erano stati materia dei Piani Sanitari e dei Progetti Obiettivo Regionali. Definire la organizzazione per Dipartimenti, la necessità di rapporti con i Medici di Medicina Generale, l’attenzione posta alle consulenze dando priorità a determinati ambiti, la scelta di puntare su un reinserimento lavorativo e le modalità con cui attuarlo, ad esempio, erano state fino ad ora materia su cui davano indicazioni i vari progetti triennali. Quale può essere il vantaggio di questo mutamento di contesto? Dubito che la incorporazione in una legge sia necessariamente più vincolante di specifiche direttive regionali. Di certo è un sistema più rigido: se uno vede i diversi Progetti Obiettivi ad esempio nella Regione Veneto, ci si può accorgere comunque di un processo dinamico, con aspetti evolutivi, la presa d’atto di difficoltà, la creazioni di soluzioni ad hoc ed una importante possibilità di interazione fra il livello tecnico e quello politico. Fissare taluni aspetti in una legge, li irrigidisce e impedisce un adeguamento alla realtà che muta e alle esigenze locali.  E non sarà certo una legge che modificherà la eventuale inerzia dei programmatori o amministratori mentre paradossalmente  renderà legittimo non fare tutto ciò che non contempla.

 

b2) Anche la incorporazione di modalità terapeutiche rende dubbiosi.

 Non c’è bisogno di una  legge che dica ai chirurghi di mettere di drenaggi nel campo operatorio. Che necessità c’è di dettagliare ad esempio l’inserimento di pazienti nelle categorie protette Questa è una prassi usuale sensata nelle situazioni ove ha una utilità riabilitativa.   Definire per legge questi aspetti, al di là delle enunciazioni di principio, è appunto non considerare in forma individuale il paziente, la sua storia e le sue specifiche necessità terapeutiche. Segnalare che quando un paziente è dimesso è bene fare una comunicazione al Medico di Medicina Generale o il  monitoraggio sistematico dei risultati devono essere  commi di legge o una ovvietà (per quanto problematica, sapendo quanto è difficile valutare gli esiti in psichiatria) delle buone organizzazioni? Qui siamo in ambiti che riguardano il miglioramento della qualità dei servizi e delle loro prestazioni, attraverso informazione e formazione, non in un settore da leggi speciali. Tutto ciò ricorda i tentativi di migliorare la produzione attraverso la rigida burocratizzazione dettagliata delle mansioni: sono prassi operative semplicemente fallimentari, perchè confondono presa in carico (terapia) con responsabilità legale (tribunale). Di questo passo arriveremo alla legge che dice che i condomini devono essere gentili fra di loro!!

 

b3) la legge stabilisce due percorsi di cura, in rapporto con la diagnosi, individuando procedure e strutture differenziate.

Nel fare questo crea raggruppamenti arbitrari, che non solo non corrispondono agli insiemi diagnostici esistenti (che cosa sono le "depressioni ansiose"?), ma scambia erroneamente diagnosi per bisogni e conseguente utilizzo. Questa confusione emerge già nelle premesse quando si parla di un modello unico di trattamento per tutte le patologie. Il fatto che il Centro di Salute Mentale sia comune, non significa che ogni paziente abbia la stessa risposta, né in termini di terapia che in ambito riabilitativo. Non solo: un CSM può articolarsi variamente.  Per fare un esempio, esistono già realtà locali in cui si è scelto di fare ambulatori specifici per talune patologie,  ambulatori decentrati fuori dal CSM inseriti nei poliambulatori distrettuali, sportelli orientati alla consulenza per il Medico di Medicina Generale. La legge attuale non vieta queste cose, che dipendono esclusivamente dalle scelte locali e dalle risorse disponibili. Stabilirle per legge non ci dice nulla delle risorse ma trasforma drasticamente in norma aspetti organizzativi tutt’altro che definiti, specie nelle conseguenze. Tanto per citare un unico aspetto, se tali divisioni possono facilitare l’accoglienza della domanda, non ci dicono ancora nulla sulla capacità di garantire una risposta.

Ritengo ingenuo pensare che i bisogni dei pazienti e la conseguente organizzazione della risposta siano strutturati per diagnosi. Non a caso i tentativi di correlare diagnosi ed utilizzazione dei servizi mostrano tutt’altro che aspetti lineari. La realtà è che la diagnosi ci dice molto poco degli specifici bisogni di quel paziente e di quale sia la risposta più sensata, che va pensata solo su una base strettamente individuale. Non è creando due percorsi rigidi che si risolve il problema della flessibilità che un servizio deve avere nel rispondere alle necessità individuali. Se poniamo il problema sul piano (di per sé errato -  lo ripeto) delle generalizzazioni diagnostiche, cosa ci fa ritenere che anche i disturbi di personalità non richiedono un loro specifico percorso. E gli anziani? E giovani pazienti con esordi psicotici?. Quanti percorsi e ambulatori bisogna creare?

La realtà è una altra: bisogna creare CSM flessibili, cosa che nessuna legge potrà fare, anche perché la flessibilità è qualcosa che bisogna coltivare negli operatori ( e, bisognerebbe ... anche nei manager). Alle leggi  (ma basta il Piano Sanitario) si chiede solo di mettere le strutture in condizioni di poter essere flessibili, fornendo gli strumenti, cioè le risorse, per non arroccarsi sulla gestione minima, che è poi quella del paziente psichiatrico grave. Anche qui, poi, quanta confusione: ci sono pazienti affetti da psicosi croniche che vivono la loro vita in modo del tutto normale e pazienti con aspetti fobici o condizioni ossessive gravemente invalidanti. Quale è quello grave per cui necessita l'approccio integrato e la riabilitazione e quello per cui è opportuna la integrazione con il medico di medicina generale?.  E soprattutto, perchè le cose che funzionano devono essere settorializzate per (improponibili) diagnosi?

 

b4) Un ulteriore aspetto riguarda il mutamento nelle strutture residenziali.

La possibilità di eseguire permanenze obbligatorie in strutture residenziali (comprese quelle destinate originalmente all'OPG) introduce due elementi snaturanti: il primo è la ripresa da parte della psichiatria di un ruolo custodialistico, allargando il proprio personale (o le proprie competenze) a quello di secondini; il secondo è la convinzione che trattamenti socioterapici o psicoterapici prolungati funzionino di per sè, indipendentemente dalla motivazione e dal contratto, per il solo fatto di essere applicati. In maniera analoga agli impacchi caldi, conta il numero degli interventi ed il tempo di applicazione.  Una tale logica cosificata della terapia emerge anche dalla ripresa del finanziamento a prestazione, suggerito dalla legge.

 

b5) Infine, vi è uno sfondo che domina, ed è la divisione non in due percorsi di cura, ma in due diversi approcci alla persona e alla sua dignità.

Il Garante non è il recupero, ma l'estrema espropriazione del ruolo del paziente come interlocutore. Ogni atto che riguarda il paziente "psichiatrico grave" (vedi sopra...) deve essere sistematicamente comunicato e concordato con altri: i familiari, il MMG, il Garante. La riabilitazione coatta del lavoro è il medesimo movimento che porta alla nomina di un curatore che amministri i "denari" guadagnati.  L'impianto complessivo non indica il tentativo di  recuperare una identità, la possibilità di una collaborazione e di costruire una reale alleanza terapeutica. Vi è al fondo una base di delegittimazione, di espropriazione (alienazione) e di violenza sul paziente, che nasce dalla diagnosi e dalla sua equiparazione implicita alla interdizione e che mi pare sia l'aspetto più grave di questa legge.

La rubrica realizzata in collaborazione con
Associazione Laura Saiani Consolati - BRESCIA

http://www.psichiatriabrescia.it


COLLABORAZIONI

Poche sezioni della rivista più del NOTIZIARIO possono trarre vantaggio dalla collaborazione attiva dei lettori di POL.it.  Vi invitiamo caldamente a farci pervenire notizie ed informazioni che riteneste utile diffondereo farconoscere agli altri lettori. Carlo Gozio che cura questa rubrica sarà lieto di inserire le notizie che gli farete pervenire via email.

     
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Carlo Gozio, psichiatra e psicoterapeuta, lavora a Brescia ed è responsabile del Centro Residenziale Terapeutico e del Centro Diurno degli Spedali Civili di Brescia.
Cura per conto dell'Associazione Laura Saiani Consolati il sito www.psichiatriabrescia.it. e le News Territorio di Pol.it

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