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GiancarloDi Pietro, Incoronata Fasanella,  
MariaBaldascino  
Labulimia in gruppo. Indicazioni, limiti, efficacia di un'esperienza istituzionale,inPsicoterapia e Scienze Umane, Milano, Franco Angeli, anno XXXI, N. 4, 1997* 
 
PierretteLavanchy 
Ilcorpo in fame, Milano, Rizzoli, 1994* 
 

 
LA DIAGNOSICONVENZIONALE DI BULIMIA E IL CONFRONTO CON IL MODELLO  PSICODINAMICO 

* Recensione a cura di Licia Filingeri,Genova 
 

 

I criterigeneralmente accettati per la diagnosi clinica della bulimia nervosa sonodue, quello europeo e quello americano. 
Il criterioeuropeo tratto secondo The ICD-10 classification of Mental and behavioural Disorders (World Health Organization,Geneva, 1992) descrive la bulimia nervosa come  una sindrome caratterizzata da ripetute spinte ad alimentarsi in eccesso ed esagerata  preoccupazioneper il proprio peso, da cui l'adozione di soluzioni estreme, che, oltrea produrre un grave calo del peso, portano ad imponenti e spesso letalidisturbi fisici.  Per unadiagnosi definitiva, si richiedono tutti i seguenti aspetti: 

  • persistente preoccupazioneper il cibo con irresistibile attrazione, e consumo di ingenti quantitàdi cibo  in un lasso brevissimo di tempo; 
  • accrescimentoponderale controllato attraverso vomito, periodi di digiuno, uso di diuretici,lassativi, clisteri; 
  • il quadro psicopatologicoconsiste nel terrore di ingrassare, e generalmente è il pazientestesso a stabilire quale deve essere il suo peso-forma. 

  • Spesso labulimia è preceduta da un vecchio episodio di anoressia nervosa,e l'intervallo tra i due episodi va da alcuni mesi ad anni. 
I criteriamericaniper la diagnosi di BulimiaNervosa come stabiliti dal DSM-IV prevedono: 
  • Ricorrenti episodidi impulso irresistibile a riempirsi - binge eating - caratterizzatosia dall'ingestione di una spropositata quantità di cibo in un temporelativamente breve, sia da un senso di mancanza di controllo sull'ingestionedel cibo nel corso dell'episodio bulimico; 
  • ricorso a praticheinappropriate per evitare di ingrassare, quali vomito autoindotto, abusodi lassativi, diuretici e clisteri, o altri medicamenti, digiuno o eccessivoesercizio fisico; 
  • sia la sovralimentazioneche gli inappropriati comportamenti compensatori avvengono mediamente duevolte la settimana, per almeno tre mesi; 
  • la valutazionedi sé è eccessivamente influenzata da forma e peso del corpo. 

  • Vengono poidescritti due principali sottotipi:  
    a)sottotipo con condotte di svuotamento (uso frequentedi vomito, purghe e clisteri)  
    b)sottotipo senza condotte di svuotamento (la persona usa altricomportamenti impropri di compenso, come il digiuno o l'esercizio fisicoeccessivo). 
Il modellopsicodinamico di Pierrette Lavanchy 

Contrappostoa questo criterio puramente descrittivo, il modello psicodinamico del disturbo,di cui uno degli esempi più recenti ed originali è costituitodall'analisi psicodinamica dei motivi narrativi della bulimia, propostida Pierrette Lavanchy. 
L'autriceci propone una definizione di bulimia descrivendola come un  impulsoa mangiare, sottolineando la modalità comunicativa del sintomobulimico, cui viene attribuita una specifica traduzione verbale: Ho un vuotoinfinito (motivo narrativo della crisi bulimia); mi riempio e misvuoto (motivi del binomio ingestione/eliminazione); faccio ilvuoto (motivo dell'eliminazione).  
Il vuotodella bulimia è un vuoto che spopola il mondo e che annientapure il soggetto: quasi più un "essere" il vuotoche non "sentire" il vuoto.  L'eliminazione drasticadel cibo attraverso il vomito quindi mira a realizzare il vuoto, e questovuoto infinito, con le due varianti devo riempirmi a tutti i costie niente può saziarmi è al centro del motivo dellacrisi bulimica, sempre pronto ad emergere, nella sua duplice configurazione:non tollero di essere piena e non posso tollerare ciòche ho preso, esigenze inderogabili per mantenere il controllo di sè,in cui emergono sensi di colpa ed usurpazione connessi sia all'ingestionedel cibo che al godimento della vita stessa. 
Altro temainteressante di questa lettura della bulimia mi pare l'individuazione dipossibili "copioni", quali quello delle persone  che mangiano persolitudine, noia, disperazione; quello di coloro che, sotto la spinta ditrattamenti psicofarmacologici antidepressivi, che però accresconol'appetito, senza permettere controllo, riprendono a sovralimentarsi; quellodelle persone che mangiano, ma poi vomitano per non aumentare di peso. 
Focalizzandogli aspetti psicologici relativi  all'assunzione delle peculiari responsabilitàche si individuano nei due gruppi, le bulimiche che vomitano e quelle chenon vomitano, l'Autrice coglie un nesso a mio parere assai pregnante delledinamiche sottese a questa patologia: la persona bulimica non sa cosadeve volere, teme di conformarsi e confondersi con l'universo materno,cosicché la trasgressione serve a rafforzare il senso di separazione,benché rimanga intenso il conflitto tra la spinta all'emancipazionee il bisogno  di compiacere, tra l'affermazione ambiziosa e il sensodi fallimento, da cui il motivo faccio e disfo: perpetuarsidi accettazione e rifiuto del vincolo, senza mai il diritto di riuscire. 

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GiancarloDi Pietro e Incoronata Fasanella, ricercatori pressola Clinica psichiatrica dell'Università degli Studi di Napoli, eMaria Baldascino, specialista in Psichiatria, propongono una recente esperienzaclinica istituzionale di terapia di gruppo per la bulimia, traendone considerazioniteoriche e cliniche. 
Dopo un breveexcursus sui principali lavori sulla bulimia nervosa ad iniziare dallaprima diagnosi  (G.Russell, 1979), ed aver ricordato come l'orientamentocognitivo-comportamentale sia quello più frequentemente adottatonelle terapie di gruppo con pazienti bulimiche, si precisa che si ècontemporaneamente  delineata anche la necessità di un trattamentointegrato, così da consentire, insieme alla guarigione del disturboalimentare, la risoluzione delle sottese problematiche intrapsichiche erelazionali, spiegando la scelta di formare due gruppi in base a finalitàeuristiche relative sia alla ricerca di modalità più soddisfacentiper questo tipo di pazienti, sia alla identificazione di un setting digruppo idoneo al lavoro in un servizio pubblico 
I gruppisono stati seguiti anche da un internista. 
Riguardola composizione dei gruppi e il setting, gli Autori hanno proceduto inquesto modo: affinché i due gruppi risultassero omogenei per patologia,dopo aver sottoposto le pazienti che rientravano nei criteri diagnosticidel DSM-IV nei suoi due sottotipi (con e senza condotte di eliminazione)ad una prima intervista individuale ad orientamento diagnostico (con somministrazione di Eat-40 ed Edi-2), hanno escluso i casi con serie complicanzemediche e gravi  disturbi della personalità. 
Il modelloterapeutico scelto è stato quello di  un gruppo poco direttivo,orientato in senso  psicodinamico, ma abbastanza flessibile in rispostaai bisogni dei singoli membri, con la conduzione di due terapeuti, uno con funzione di leader, l'altro fluttuante tra osservazione ed un ruolopiù attivo. 
II primogruppo, aperto, cioè con un numero variabile e non fissodi partecipanti (quello che , a consuntivo, si rivelerà il piùadeguato a queste pazienti), ha avuto una durata  di 7 mesi, per un'oraalla settimana; hanno partecipato mediamente 12 pazienti, età media23 anni, livello culturale medio-superiore o universitario, durata mediadella  patologia 4,2/5 anni. Il secondo gruppo, chiuso, anch'essocon incontri settimanali di un'ora, era composto  da 6 pazienti, etàmedia 20 anni, livello culturale medio-superiore o universitario, duratamedia della  malattia 2,6 anni: è durato due mesi. 
Segue ladescrizione dell'esperienza di gruppo, a partire dai primi incontri, connotati da un elevato livello di ansia,  enfatizzazione del problema alimentare e negazione di altre problematiche, ma anche da un tranquillizzantevissuto di condivisione,  accettazione e sostegno, fino all'individuazionedi  due gruppi, le pazienti con vomito e  quelle senza, le sovrappeso,e le normopeso. Si accenna poi al fatto che  le comunicazioni sono a breve termine diventate stereotipate, portando a una situazione di stallo. 
Questi primipassaggi del resoconto clinico appaiono interessanti; tuttavia si cominciaad avvertire la mancanza di una focalizzazione sul momento clinico processualetra i membri del gruppo e con i due terapeuti , tanto più che questi, per quanto non direttivi, sono orientati in senso psicodinamico. 
Gli Autorinel resoconto clinico riferiscono dello stile di comunicazione stereotipato,della situazione di stallo, ma non fanno cenno né al transfertné al controtransfert, momenti centrali di ogni trattamento (adesempio riferiscono che i membri iniziano ad interagire reciprocamente,senza spiegare dal punto di vista psicodinamico cosa accade, o formularealmeno un'ipotesi). Così  per gli attacchi al settingnon forniscono spiegazioni su cosa avviene  tra i membri del gruppoe i terapeuti. Forse questo ha a che fare col fatto che le pazienti utilizzanosolo il sintomo come come mezzo espressivo? Come avviene il successivo,importante passaggio dalla descrizione dei sintomi alle problematiche eai vissuti connessi? Ci sarebbero dunque diversi passaggi da comprenderemeglio, anche se è chiaro che il processo innescato funziona: infatti,poco più oltre, apprendiamo che le difficoltà sottese aldisordine alimentare si riflettono nelle interazioni di gruppo stimolandocosì le pazienti a considerare anche la valenza relazionale delproprio disturbo. Questoè un punto nodale, ma ancora una volta scarsamente illuminato dagliAutori. 

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Una notasulla metodologia sui casi clinici riportati  
in letteratura 

Il pensieromi corre ad un pregevole studio di Fabiano Bassi (FabianoBassi, L'uso del materiale clinico nella letteratura psicoanalitica.1 - Il panorama teorico. 2 - Una ricerca, in Psicoterapia e ScienzeUmane, N. 2-3 , Milano, Franco Angeli, 1997) in cui troviamo delle osservazioniimportanti su aspetti dei resoconti clinici:  

    Nonsi racconta quasi mai di quel che il terapeuta pensa  
    esente, se si diverte, se si stufa, se si distrae, se pensa ai fatti suoio agli articoli che sta preparando; non si dice se il paziente gli/le stasimpatico o antipatico, se gli/le era più simpatico o antipaticotempo addietro, se gli/le piace fisicamente o se lo/la disgusta o in qualchemodo lo/la infastidisce. 
    Nonmi si racconta come si sono accordati per il pagamento, quanto costa unaseduta...
Purtroppo, ildato conclusivo della ricerca di Bassi è sconfortante, giungendoa considerare come insufficiente una larga quota degli articoli cliniciche compaiono nella letteratura psicoanalitica: sono molto reticenti sulleinformazioni riguardo quanto avviene in un caso, senza mai mettere in discussionela distorsione dei dati. Gli Autori ci lasciano quindi in preda ad alcuniinterrogativi: i resoconti clinici influiscono in modo sostanziale sulvalore epistemologico della psicoanalisi?  
La rispostadi Bassi, a differenza di altre voci in proposito, non è per fortunatotalmente pessimistica: resoconti clinici migliori dello standard attualehanno una loro validità come corredo di affermazioni teoriche, afini didattici e di confronto tra posizioni teoriche differenti. 
Tornandoallo studio dei terapeuti di Napoli, ci viene  poi presentata la conclusione,positiva, degli incontri di gruppo, specie quelli del gruppo aperto(che soddisfa una richiesta di servizio continua,  ponendo meno problemiriguardo il problema dell'abbandono, anche se crea  maggiori ostacoliad una evoluzione del gruppo stesso): in esso ansia di separazione e diperdita, di abbandono e solitudine vengono elaborate (peccato che non civenga detto come) , si riscontrano un migliorato adattamento socio-familiaree capacità di insight,  soprattutto si cerca di connotarela conclusione della terapia come uno stadio di un processo evolutivo:le pazienti, infatti, dovranno continuare da sole il lavoro interpretativointrapreso durante il gruppo e utilizzare costruttivamente le risorse apprese 
Anche nelcolloquio individuale con uno dei conduttori del gruppo, si evidenziano miglioramento  sintomatologico, ed attenuazione dei sentimenti diinadeguatezza e autosvalutazione.  Vengonoposti a questo punto, da parte degli Autori, degli interrogativi: se attribuireil miglioramento agli effetti della terapia o  ad altri fattori, consideratala non facile valutazione dei risultati raggiunti, legata molto alla soggettiva valutazione delle pazienti, che a fine terapia tendono  a sopravvalutareil gruppo, ricordandone soprattutto le  valenze positive.  
Ciononostante- a detta degli Autori - le informazioni ottenute rappresentanodei dati preziosi sul processo  terapeutico, suggerendo che il gruppo,che assume pure l'aspetto di un oggetto  transizionale, risponde adalcune esigenze e funzioni importanti per queste pazienti, quali contattoe  condivisione, incoraggiando  le partecipanti a rivelarela vergogna segreta dei propri sintomi in uno  spazio fisico ementale in cui è possibile esprimere le proprie idee irrazionalisul cibo e sul corpo, ed è facilitato il riconoscimento diaspetti oscuri e contraddittori della personalità, e quindila costruzione  di importanti strutture interne che permettono diabbandonare i  sentimenti di unicità e di solitudine concui i sintomi erano vissuti, per accrescere la stima di sé e far fronte ai problemi affrontati fuori dal gruppo, e conseguentementedi riconoscersi come persone, scoprendo che il sintomo costituisce soloun problema comune di persone diverse. 

In chiusura,sono chiariti  alcuni dati, come il fatto di svolgersi in una strutturapubblica, nato anche da esigenze organizzative oltre che da premesse teoriche,e come ciò non  renda praticabile un modello di settingmutuato da quello psicoanalitico. Inoltre, dato che la proposta ditrattamento è partita dagli operatori, viene riconosciuto che ladecisione di partecipare al gruppo e il setting possono non essere aderentiai modelli interni individuali delle pazienti e che la selezione è stata poco rigida per evitare di avere poche pazienti. 
Le difficoltàpiù marcate insorte nel corso del trattamento sono individuate dagliAutori in passività e dipendenzafrequenza irregolaredrop-out, punti diffusamente descritti  dal puntodi vista teorico, ma senza che purtroppo sia dato avvertire come la presenzae gli interventi dei terapeuti abbiano giocato su tutto questo.  
Peccato davvero! 
Gli Autoriavvertono infine che restano aperte delle questioni correlate al fenomenodell'abbandono, e non si sono individuati i fattori predittivi della rispostaalla terapia di gruppo. 
 

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