S. Freud (1899), L'interpretazione dei sogni, OSF, pag. 439.
Per avvicinarci al tema della censura psichica, a come possiamo rappresentarcela con l'immaginazione, mi riferirò a un testo narrativo celebre e che mi sembra assai indicato a questo scopo.
Nel primo capitolo de I misteri di Parigi, il racconto conduce il lettore sulla soglia di una bettola dei bassifondi parigini. Nella losca locanda - ci informa il narratore - si annida l'equivalente urbano di quegli orrendi selvaggi dai sanguinari costumi che Cooper e Walter Scott hanno descritto nei loro romanzi. Lo scopo, subito dichiarato, del celebre romanzo di Eugène Sue consisterà nel "mettere sotto gli occhi del lettore" questa realtà selvaggia e misteriosa, prossima e insieme del tutto remota, per osservarla da vicino e prendere contatto con essa, avventurandosi nei covili ove dimora e manifesta i suoi usi sanguinari.
Mettere sotto gli occhi del lettore non è facile in questo caso, perché occorre vincere la grande separazione esistente tra i due mondi evocati: quello alto della gente nobile e buona, e quello basso della degradazione e del crimine senza scrupoli.
L'emblema di questa separazione lo troviamo rappresentato al termine del Capitolo I del romanzo. E' un compito della narrazione varcare l'uscio della bettola, entrare in quel mondo di marginalità e di delinquenza. La nobiltà può entrarvi solo se è travestita da miseria e in incognito, oppure il personaggio nobile e travestito da ignobile deve stare all'esterno, in prossimità della soglia. Da qui, dice il racconto, "porgendo attentamente l'orecchio, egli guardava ogni tanto nell'interno attraverso i pochi spazi lasciati dallo spesso strato di gesso con cui si è soliti appannare dal di dentro le vetrine di questa specie di taverne".
Ecco un buon esempio di apparato censurante. Qui l'ascolto è difficile, ma possibile, mentre lo sguardo all'interno è decisamente impedito dall'interno. Tutto il romanzo cercherà programmaticamente di superare questo ostacolo della visione entro il visibile stesso. La narrazione si accosterà alla realtà degradata che sta dall'altra parte, non ignorandola, né limitandosi a sbirciarla, ma cercando di rappresentarla e di avere rapporti con essa. Ciò richiederà molti espedienti, come il mantenere una distinzione precisa tra positivo e negativo, l'impiego costante di travestimenti e di trucchi da parte dei personaggi nel passaggio fra i due mondi, un'oscillazione tra confusione della trama e suo riordinamento. La cesura tra i due mondi, tra le due realtà psicologiche e sociali descritte, è assicurata da una censura che il trattamento specifico operato nel racconto dà mostra in continuazione di superare e che nello stesso tempo mantiene. Questa censura, collocata a delimitare interno ed esterno e con questo a stabilire le frontiere del visibile, è in realtà molto mobile e variabile a seconda dei punti di vista attivati dalla narrazione. Non avrebbe senso comunque affermare che I misteri di Parigi aboliscono ogni censura: ciò che viene eliminato è solo l'impossibilità di accesso dello sguardo, un primo livello della censura; ma subito fanno la loro comparsa altri espedienti narrativi che manterranno sempre una certa demarcazione tra le due realtà, mostrando così un'attività censoria che opera su più piani e in vari registri della narrazione.
I misteri di Parigi comparve nel 1842-43. Circa mezzo secolo dopo, Sigmund Freud scopre una censura attivamente operante entro il soggetto, una censura psichica inconsapevole, ma presente in ciascuno di noi. La nozione di una censura psichica ha arricchito di un significato completamente nuovo il tema della "censura" e ha al tempo stesso inaugurato la nascita della psicoanalisi (nota 1)
Vorrei esaminare alcune caratteristiche di quella grande mossa teorica e clinica che fu l'idea di censura psichica. Per effetto di questa concezione è cambiata la nostra comprensione dello psichico, l'interiorità umana ha assunto configurazioni nuove e di conseguenza nuovi giochi linguistici sono divenuti possibili. Molti fenomeni psichici normali e patologici prima incomprensibili o di oscuro significato hanno finito con l'acquistare una prospettiva del tutto inedita.
Il terreno originario al quale la censura "propriamente detta" appartiene è tradizionalmente tutt'altro. Intendiamo nella nostra lingua come "censura" un atto più o meno motivato di disapprovazione o di critica a un'idea o a un comportamento; ma è soprattutto in epoca postilluminista che viene focalizzata e criticamente isolata la censura come istituto operante nei più vari contesti della vita sociale, i problemi giuridici che essa ha sollevato e ancora solleva, il ruolo discusso che la censura palese o occulta, istituzionalmente regolata o autogestita, gioca nell'amministrazione culturale e ideologica da parte di poteri diversi e con finalità diverse, segrete o manifestamente dichiarate, tutorie o decisamente oppressive.
Conosciamo la grande varietà dei sistemi anche brutali storicamente usati per realizzare la censura, che la si nomini come tale o meno. Si va dalla pressione esercitata sull'autore, che rinuncia così a esprimersi o sopprime preventivamente parti della sua opera o del suo discorso o azione, senza che il fruitore dell'opera stessa o l'interlocutore ne sappia nulla; sino a più specifici interventi limitativi attivi esercitati dall'istanza censoria contro la volontà dell'agente, la cui parola o opera viene infine mutilata o soppressa.
A partire dall'affermarsi di un'idea liberale e umanistica dell'uomo e delle sue produzioni culturali, riconosciamo dunque una grande varietà di modi censori, voluti talora dalla stessa collettività, ma più spesso esercitati contro la volontà collettiva. La censura è in genere sempre stata ingranata con la conflittualità sociale, della quale è una tipica espressione. Il prodotto culturale circolante, quale che esso sia, può considerarsi in linea di principio come il risultato di un compromesso fra la libertà dì espressione di un singolo o di un gruppo e le forze censuranti avverse operanti in altri luoghi: in altre istituzioni o in altri punti del sistema di poteri della vita collettiva.
Poiché la censura corrente, con la licenza o i vincoli che la limitano, è una realtà che per essere intesa richiede l'evocazione di una dinamica sociale, nel Novecento ogni riferimento a tale dinamica è in qualche modo compromesso con la visione dinamica della soggettività umana sostenuta dalla psicoanalisi. Fa tuttavia parte degli atti inaugurali della psicoanalisi che la censura sociale, politica, religiosa venissero calate e per così dire precipitassero entro la concezione psicoanalitica dello psichico, divenendo suoi importanti ingredienti costitutivi
Prima di diventare un concetto teorico e un elemento del lessico della psicoanalisi, la censura che storicamente si documenta fornisce a Freud il quadro polivalente di una metafora ricca di determinazioni, un'estesa analogia, particolarmente adatta a spingersi "sino ai minimi particolari|" a configurare lo psichico (S. Freud 1899, pag 141).
Quando le immagini della censura metaforica si concreteranno in lessico, cioè nel concetto psicoanalitico di censura, il linguaggio metapsicologico che impiega la "censura" sarà sempre costretto ad attingere alle fonti politiche, giuridiche e letterarie della metafora per mettere in funzione esplicativa e configurante la censura, sia nella mente sia nella teoria con cui la psicoanalisi ne parla. Insomma la censura è in psicoanalisi una metafora potente e molto articolata. Molte delle implicazioni storicamente contraddittorie di questo termine entrano a far parte del lavoro di configurazione dello psichico e della sua necessaria messa in forma rappresentativa (cioè come immaginiamo lo psichico, come ce lo rappresentiamo "davanti agli occhi").
Pensare che certi fatti psichici si svolgono come se una censura più o meno segreta sia operante nel soggetto, ha permesso di coordinare attorno alla funzione censoria della mente una vasta serie di altri termini e temi. La psiche provvista di censura è concepita come un insieme plurimo, intrinsecamente sociale e in movimento. La realizzazione del desiderio umano, che ne rappresenta il motore, la molla che sempre ricarica il sistema, richiede l'esistenza di apparati censuranti, che possono diventare mezzi necessari di sopravvivenza e insieme fonti dei più gravi disagi della mente.
Appartiene insomma alla psicoanalisi prospettare al soggetto l'esistenza di una censura operante in lui, dagli effetti positivi e negativi sulle nostre produzioni psichiche, facendone infine un concetto molto articolato, provvisto di diverse e fondamentali funzioni chiamate a giustificare una impressionante serie di fenomeni normali e patologici.
Cercheremmo tuttavia invano nelle opere di Freud una precisa definizione di censura. La censura freudiana non è tanto un concetto teorico, quanto un'indicazione di funzionamento, chiamata a prospettare certe condizioni e certi regimi funzionali dello psichico: "
niente di più di un termine che ben si presta a designare una relazione dinamica" (Freud, 1915-17, pag. 313). Tuttavia solo una sorta di censura psichica poteva spiegare determinati fenomeni psicopatologici, e non, per esempio, certi modelli neurologici di funzionamento, come l'inibizione, l'eccitazione neurale o simili. Certo possiamo trovare "censura" in qualunque vocabolario di psicoanalisi, ma forse in certi dizionari psicoanalitici recenti potremmo addirittura non trovarvela più: per esempio non figura affatto nel dizionario kleiniano di Hinshelwood (1989). Di questa scomparsa discuterò alla fine alcuni aspetti. Se della censura non si parla più, penso che possa essersi verificato un mutamento teorico. Ma penso anche che possa trattarsi di un brutto segno: la stessa censura potrebbe essere censurata, occultata. Ciò non significa tuttavia che essa non sia in qualche modo operante.
Freud invece, dopo averla introdotta, non ha mai abbandonato la censura, e ha sviluppato tenacemente il potenziale semantico e rappresentativo di questa immagine, l'ha gradualmente precisata e perfezionata, arricchendone nel tempo il potere euristico, finendo infine per farle svolgere, accanto a tanti altri elementi, un ruolo decisivo.
La censura psicoanalitica fu immaginata all'opera non all'esterno, ma dentro il soggetto, installata in noi attraverso vie e processi complicati, certamente connessi per interiorizzazione con la cultura e la società, ma non identificabili in modo semplice con queste. Si potrebbe addirittura finire per rovesciare il discorso dell'interiorizzazione e sospettare che le censure storicamente date siano l'esteriorizzazione e l'istituzionalizzazione sociale di momenti difensivi rispetto ad angosce originarie della condizione umana.
E' un tratto caratteristico della censura psichica che di essa si sappia poco o nulla. Il soggetto, salvo nel caso di una deliberata autocensura, la ignora, non la sa scorgere subito e non è consapevole del suo operato. Della nostra censura psichica mostriamo di non sapere nulla quando ci immaginiamo del tutto liberi o vincolati solo dalle convenienze sociali o, se si preferisce, dai nostri principi morali. Ma così non è. La censura psichica appartiene cioè al genere di censure che operano segretamente, all'insaputa dei cittadini. Per poterne parlare, Freud colloca il problema sul terreno della rappresentazione: nel duplice senso della rappresentazione mentale e della rappresentazione scenico teatrale della psiche, come viene dispiegandosi nella cura psicoanalitica.
Vi sono rappresentazioni, sotto forma di pensieri, ricordi e fantasie, inaccettabili perché dolorose, e che l'Io allontana e non vuole considerare, perché suscitano ripulsa, avversione. Il tentativo di riproporle da parte di un terzo, il terapeuta per esempio, provoca resistenze, disgusto o riprovazione. L'Io le scaccia e non ne vuole sapere. In questo "non voler sapere", o semplice "non sapere", sta il primo rilevante atto della censura segreta: essa realizza un attentato affettivo alla conoscenza, alle pretese del libero pensiero. Il preteso "libero pensiero" mostra palesemente le sue difficoltà e limitazioni quando le libere associazioni del paziente non riescono a dispiegarsi e si imbattono continuamente negli ostacoli e intoppi delle resistenze. La pretesa dell'Io di un dominio conoscitivo almeno su se stesso rivela allora un limite interno manifesto. Tale limite va per Freud ricondotto all'azione di una censura operante nel soggetto stesso, una censura che agisce segretamente in nome dell'evitamento del dolore o del dispiacere.
Introdurre una censura psichica e prendere atto della sua presenza produce una serie di effetti sul modo di vedere le cose psichiche, che solo lentamente prenderanno un preciso corpo concettuale nella teoria e nella clinica.
Individuare la presenza della censura significa sollevare un mare di importanti interrogativi. Perché c'è bisogno di una censura? Chi ne trae vantaggio? Con quali mezzi, su quali oggetti psichici e su quali contenuti opera sono domande che richiedono una descrizione dell'operato della censura, una sua fenomenologia dinamica. E ancora: quali sono i rapporti tra le parti censurate e gli elementi censuranti? Come infine trattare tutta la questione è di importanza vitale per il soggetto e la sua cura.
Intanto la metafora della censura accoglie ed esaspera le ambiguità costitutive del soggetto: ogni censura serve infatti specifici interessi, e se ammettiamo la sua presenza entro il soggetto, dobbiamo anche riconoscere che l'individuo è attraversato da desideri e istanze contraddittori. Finalizzata a evitare il dolore, la censura ha un valore protettivo o difensivo per qualcuno e nello stesso tempo è causa di limitazioni a loro volta generatrici di sofferenza per qualche altro. E' il caso dell'isteria, che mostra con evidenza la presenza di desideri e timori contraddittori entro il medesimo soggetto e di parti interne alla persona in conflitto di interessi fra loro. La psicoterapia, già nel primo Freud (1896, pag. 418-419), non mira tanto a eliminare la censura, quanto a ridimensionare le angosce e i vari elementi d'ordine emotivo che motivano la presenza di queste contraddizioni e quindi gli eccessi della censura.
Ma prima ancora di essere posta a fondamento di alcuni aspetti dell'ambiguità umana, sostenere che certi fenomeni psichici sono il risultato di operazioni di censura significa affermare che la vita psichica ha direzioni e finalizzazioni specifiche anche quando queste sembrano del tutto assenti. E' questo un punto capitale dell'impostazione psicoanalitica: forse la vita dell'uomo non ha senso, ma in realtà i fenomeni mentali che più sembravano, e ancora oggi sembrano a molti sprovvisti di significato, appaiono tali perché la censura ne ha cancellato o alterato il senso che in essi preesiste e persiste, a patto di saperlo intendere. Un primo passo per questa comprensione è vedere l'insensatezza anche dei sintomi più gravi come il risultato di un'attività censoria. E' questo uno dei primi geniali pensieri che sorgono in Freud a proposito di censura. Nelle psicosi opera la "censura russa", che ne determina l'apparente incomprensibilità.
Hai mai visto [scrive in una lettera a Fliess del 22 dicembre 1897] un giornale estero dopo che è passato per la censura russa alla frontiera? Parole, interi periodi e frasi, tutti cancellati in nero, in modo da rendere incomprensibile tutto il resto. Anche nelle psicosi esiste una simile censura russa, che produce deliri apparentemente senza senso (Freud, 1887-1904, pag. 326).
L'idea espressa sommariamente in questo passo è decisamente innovativa; essa troverà un seguito preciso nell'Interpretazione dei sogni (1899). Secondo Freud, gli psichiatri avevano rinunciato troppo presto alla stabilità della struttura psichica, vedendo nelle più gravi malattie mentali l'espressione diretta di un cervello malato o alterato, che per questo cade nella confusione o nel delirio, cioè nell'insensato. Invece persino le più gravi alterazioni confusionali sono significative. Freud scorgeva all'opera nella confusione delirante
una censura che non si dà più la briga di celare la propria attività, una censura che, invece di collaborare a una rielaborazione non più scandalosa, cancella senza riguardo ciò che contesta, in modo che quel che rimane diviene incoerente. Questa censura agisce in modo del tutto analogo alla censura confinaria russa per i giornali, la quale fa pervenire i giornali ai lettori, che intende proteggere, solo dopo averne cancellato i passaggi pericolosi con spesse righe nere (Freud 1899, pag.483).
Non so come Freud avesse potuto vedere questi giornali stranieri così brutalmente censurati nella Russia zarista coeva: si tratta verosimilmente dell'occhiuta censura di Alessandro III o di Nicola I. Giro il problema agli storici della psicoanalisi e ai biografi di Freud. Quello che ora soprattutto importa è l'uso metodologico che viene fatto di quest'immagine, qualsiasi siano le sue fonti per l'autore. Usando questa metafora, Freud abbandona ogni tentativo di riferirsi a un cervello malato, e ricorre invece a un'analogia gravida di conseguenze. Il lettore, cioè il paziente stesso, e anche lo psichiatra, che la censura vuol proteggere dalla lettura di un testo pericoloso e proveniente da un territorio straniero, non vede che un discorso reso incomprensibile, una serie di frammenti confusi, intercalati da "spesse righe nere". La violenza esercitata sul testo non si applica al lettore se non in forma indiretta. Se possiamo parlare di "protezione", in un'altra prospettiva la censura opera distruggendo, insieme al testo, il legame di intesa tra mittente e destinatario della comunicazione. Ciò che importa è la reciproca articolazione dei personaggi e delle funzioni evocate, tra le quali è collocato subito lo psichiatra o lo psicoanalista, che può occupare il ruolo del destinatario, del destinatore, del censore del messaggio. Si tratta però sempre di un messaggio, e non di un'accozzaglia insignificante. Viene immaginato e proposto alla psicologia e alla clinica uno spazio inedito. Esso viene concepito come suddiviso in parti, attraversate da rapporti di forza di potere, si direbbe, dato il carattere politico della metafora - e sede di conflitti. Si tratta di parti, ruoli, personaggi intra soggettivi, in quanto sappiamo che il territorio straniero è interno al soggetto stesso e che l'alterazione subita dal testo ai confini dei due stati è estranea alla volontà del lettore. Questi deve imparare a leggere fra le righe, se vuole aggirare l'istanza censoria e accedere a una versione non mutilata o mistificata del testo. Proprio perché concepita come una pagina di giornale per quanto resa incomprensibile la sintomatologia confusionale è colta sin dall'inizio nell'ordine del linguaggio e della comunicazione. Lo spazio proposto è intra- e intersoggettivo, un immagine che, sotto la figura della censura, ingloba personaggi diversi e loro comunicazione e non comunicazione. In altri termini l'immagine della stampa censurata permette di articolare significati, di strutturare vicende d'ordine comunicativo. La posta in gioco è il senso, contrapposto al non senso apparente del disordine psicotico. A partire da Freud il delirio confuso diventa un testo alterato, vi è stato un censore e un'istanza disposta ad aggirare l'azione censoria, e così via. Il delirio dunque non è un non-senso, ma un senso ostacolato, che richiede che qualcuno ripristini il testo originario. La censura indica sia il momento in cui un significato si perde per qualcuno, sia nello stesso tempo un fattore di possibile recupero di senso, a patto che il senso non susciti timori e non venga respinta l'interlocuzione idonea al suo recupero. (nota 2) Nell'animarsi di personaggi e funzioni narrative, la presenza della censura attiva uno scarto tra il manifesto e il latente e soprattutto motiva lo scarto e gli ostacoli che pone.
La censura non opera sempre così brutalmente, come sulla stampa o anche sulla posta, dove pure possono comparire le famigerate "righe nere" (Freud 1899, pag. 139, nota del 1919).
Le attività censuranti sono le più varie e agiscono nei più diversi contesti comunicativi. Tra il cittadino e l'autorità statale, come nella Russia zarista; o tipicamente, e "senza andare a cercare lontano", nello "scrittore politico che deve dire spiacevoli verità a chi detiene il potere" (Freud 1915-1917, pag.311 e seg.) come nell'Austria asburgica e freudiana. Già riferirsi a una censura collocata a distanza è un espediente censorio, un parlare di ciò che è vicino come se si trattasse di due mandarini cinesi del Regno di Mezzo (Freud 1898, pag. 138-39).
Il riferimento al rapporto tra censura e potere può, a ben guardare, essere ulteriormente esteso alla vita sociale corrente. Tutte le volte che un'asimmetria di potere prende corpo nel rapporto fra due persone, il soggetto più debole è costretto a operazioni di dissimulazione, che esprimono in definitiva una attività censurante. Al punto che Freud dice di sé: "La cortesia di cui faccio quotidianamente uso è in buona parte una dissimulazione di questo tipo". Ciò non significa ovviamente che tutte le forme di cortesia andrebbero abolite in nome di un atteggiamento non dissimulante. E' la nostra buona educazione che rimanda a un processo di limitazione più o meno consapevole della volontà di potenza del soggetto. La sua matrice violenta non andrebbe edulcorata, perché la si ritrova puntualmente accanto alla simpatia e all'amore, sentimenti positivi che pure esistono alla base dell'educazione, al punto che anche simpatia e amore per gli altri possono diventare essi stessi censurabili.
La censura ottiene risposte che mostrano un'evidenza psicologica importante: pensieri e affetti possono avere decorsi differenti nella mente e nelle relazioni, ed entrambi possono essere censurati in modo differenziato. Scrive Freud in un passo notevole e stranamente quasi comportamentista:
Se ho rapporti verbali con una persona, dinanzi alla quale devo debbo impormi dei riguardi, mentre vorrei dirle cose ostili, è quasi più importante per me nasconderle le manifestazioni del mio stato affettivo che mitigare la formulazione dei miei pensieri. Se parlo con parole non scortesi, accompagnandole però con uno sguardo o un gesto d'odio o di disprezzo, l'effetto che ottengo su questa persona non è molto diverso da quello che otterrei se le avessi buttato in faccia senza scrupolo il mio disprezzo,. La censura mi impone dunque in primo luogo di reprimere i miei affetti, e, se sono maestro di dissimulazione, simulerò lo stato affettivo opposto, sorriderò quando dovrei essere adirato e mi fingerò affettuoso quando vorrei annientare (Freud 1899, pag.431-432).
Freud dà il massimo peso descrittivo alle tecniche di censura e ai tentativi di aggirarle: questa descrizione accurata e dettagliata è una vera specialità del discorso psicoanalitico, che mira a individuare le singole modalità dei processi censuranti in moltissime produzioni psichiche. Sono espressione di censura:
- le maschere che si assumono nella quotidianità e che finiscono per identificarsi con i nostri volti, sino a diventare inconsapevoli tratti personali; è il tema dell'ipocrisia, al quale la psicoanalisi fornisce uno spessore inedito; l'ipocrisia può essere infatti un tratto inconsapevole, spesso motivato del tutto inconsciamente;
- la soppressione di punti o parti del testo, la creazione di lacune e "oscuramenti" dei materiali. Sono questi espedienti una specialità della censura che possiamo, per esempio, trovare applicati nei materiali psichici più diversi: alle righe nere possiamo vedere sostituiti nei giornali politici gli spazi bianchi, "il candore della carta" (nota 3)di una censura preventiva che agisce in un preciso momento della composizione, prima che sia data alle stampe.
- Le deformazioni che in funzione della censura assumono, ancora preventivamente, i nostri pensieri e giudizi, spesso del tutto involontariamente. La stessa "deformazione onirica si rivela quindi, in realtà, un atto della censura" (Freud, 1899, pag. 153). Qui la cosiddetta "censura preventiva" non lascia nessun "punto vuoto", ma solo "circonlocuzioni e oscurità di espressione".
- i travestimenti talvolta grossolani, talvolta argutamente allusivi che i nostri comportamenti o discorsi, e persino le autocomunicazioni, devono subire. La censura impiega mezzi molto estesi e sofisticati, e sarà ora brutale ora ingegnosa quanto più intensa e articolata è la severità delle forze censuranti. L'ingegnosità della pressione censoria è pari alle astuzie dei mezzi impiegati per aggirarla. Ne scende che la resistenza all'interpretazione "è soltanto l'oggettivazione della censura onirica" (Freud 1915-17, pag. 314).
Si determina per via di censura il gioco tra piano manifesto e piano latente dell'esperienza, dove la ricca gamma dei processi difensivi genera uno scarto che verrà colmato dal lavoro dell'interpretazione analitica. Processi difensivi e processi censuranti si identificano. L'espressione dei nostri pensieri e affetti più tipicamente deformata dalla censura la si ha nel sogno, il quale si serve di sofisticati strumenti retorici per far perdere le tracce delle intenzioni e desideri dei pensieri che ne stanno alla base. Estendendo questo principio, Freud può dire che "sotto l'influsso della censura, la figurazione pantomimica della fantasia [nell'attacco isterico] ha subito deformazioni del tutto analoghe a quelle allucinatorie del sogno, di modo che tanto l'una che l'altro sono diventati a tutta prima impenetrabili, sia per la propria coscienza che per l'intelligenza dell'osservatore" (Freud, 1908, pag. 441).
La retorica che presiede alla formazione del sogno è in parte simile, come è noto, a quella che regola le censure discorsive e testuali, sia di scrittura che di immagine, nella vita quotidiana. Quando i miei parenti rumeni dovevano raccontare nella loro corrispondenza epistolare le proprie vicende che sarebbero state lette dalla censura del loro paese prima di essere inoltrate in Italia, essi avevano inventato un "cugino Otto", al quale ne capitavano di tutti i colori. Il cugino Otto serviva a indicare la situazione in cui versavano loro, ma a volte anche l'intera nazione. Lo scopo di questo personaggio fittizio un po' onirico, come quello di tanti altri espedienti censuranti, è rendere incomprensibili o indecifrabili i più diversi contenuti rappresentativi o affettivi inammissibili dalla censura. La censura attiva qui l'autocensura.
Precisare le procedure di censura e la struttura generale dei metodi per aggirarla o stabilire dei compromessi, sta alla base della formazione del sogno, del sintomo nevrotico e dell'attività delirante. Sistematizzare tutto questo diventa un dei compiti principali della concezione psicoanalitica, che si svilupperà fornendo risposte e congetture a partire dagli interrogativi sui fenomeni mentali posti dalla presenza della censura.
La censura freudiana, come ogni censura, esercita i suoi poteri mediante la forza, personificata variamente come "censore", "guardiano notturno" e infine, dopo che sarà "scoperto", come Super-io: essi sono gli agenti della repressione e della rimozione, i responsabili delle cosiddette resistenze, la "forza antagonista" che predomina nella vita vigile e si oppone alle spinte del desiderio inconscio, producendo reazioni delle più diverse specie. Il compromesso tra censurante e censurato conduce a una "trasmutazione di tutti i valori psichici" (Freud 1899, pag. 303)in gioco nel sogno notturno o nel sogno a occhi aperti della veglia. Mostrando al tempo stesso che i cambiamenti seguono regole di composizione e trasformazione perfettamente enunciabili.
La storia della censura conosce in psicoanalisi tre momenti: la sua creazione e la sua ascesa teorica e applicativa; il suo perfezionamento in una stabile struttura personificata, a partire dal 1922 (L'Io e l'Es), e infine una sua apparente eclissi nella psicoanalisi attuale.
Nella prima fase della psicoanalisi l'impegno di Freud fu nello specificare le innumerevoli determinazioni della censura, il suo concreto effetto sulle attività rappresentative e la sua localizzazione in vari momenti e luoghi: una topologia dinamica della censura, posta tra l'inconscio e il preconscio e quindi tra preconscio e consapevolezza. La censura psichica è segreta: essa è inconscia nel suo operare al confine, sia che accetti nel preconscio i contenuti rappresentativi inconsci, sia che operi più in superficie, decretando la visibilità delle rappresentazioni suscettibili di essere ammesse alla coscienza o all'accesso all'azione volontaria, al discorso o alla fantasia cosciente.
A partire dal 1922, il censore del sogno, il guardiano notturno del nostro sonno che veglia sulle rappresentazioni oniriche, si preciseranno in una molteplicità di istanze e personificazioni di istanze, in parte esse stesse non coscienti. All'Io, al Super-io e all'Ideale dell'io corrisponde tutta una serie di transazioni intrapsichiche tra personaggi, all'opera nel mondo interno e nella fantasia inconscia. Siamo nel teatro interiore della seconda topica, e la censura si precisa come attività specifica del Super-io, l'istanza morale la cui severità censoria può essere estrema e che può manifestarsi in tante forme. Nello scritto Censura onirica (1915-1917, pag.313) Freud aveva fatto una doppia raccomandazione:
Spero che non assumerete questo termine [censura] con un significato troppo antropomorfico e non vi figurerete il censore dei sogni come un piccolo ometto rigoroso o uno spirito che abita in uno stanzino del cervello e che da lì esercita le sue funzioni, ma nemmeno in una forma troppo localizzante, pensando a un "centro del cervello" dal quale promani questo flusso censorio, il quale verrebbe meno con il danneggiamento o l'allontanamento di questo centro.
Una teoria della censura che fosse formulata in questi termini sarebbe assurda. Tuttavia il Super-io censorio può benissimo essere rappresentato come un ometto, o più facilmente come un omaccio, o con mille altre personificazioni immaginative, come dimostrano i sogni e i deliri. E un ometto del genere può persino passeggiare nelle nostre circonvoluzioni cerebrali. Non penso al famoso homunculus dei fisiologi, ma a un vero personaggio, anzi a più personaggi che si aggirano in un paesaggio costituito da un cervello, quale appare in un certo scritto d'invenzione di Musil (1913), (nota 4) ambientato appunto nel suo cervello. Il problema sta nel riconoscere il censore all'opera nelle più varie figurazioni della fantasia e nei complicati giochi dell'interiorità.
Ma già nell'ultimo Freud si profilano nuovi scenari, nuovi sistemi di difesa che difficilmente potremmo porre a carico di una censura.
Intanto i processi di scissione dividono le istanze della personalità in parti: questa distribuzione dispersiva rende in molti casi del tutto superflua o inutile l'azione censoria. L'eliminazione degli affetti o dei pensieri aggressivi o sconvenienti non avviene più per così dire sul posto o in un punto, per rimozione, come nella classica censura, ma per proiezione a distanza o per una eliminazione che provoca dei vuoti nella significazione e la necessità di fornire al dissesto così prodotto una nuova coerenza sui generis, che colmerà le lacune con una falsa elaborazione del pensiero e dell'esperienza. Entriamo nella fase in cui il riferimento alla censura sembra diminuire, cambiare fisionomia e infine estinguersi. Nella letteratura postfreudiana odierna e meno odierna questo mi sembra un fatto evidente, del quale tuttavia non è detto ci si debba rallegrare. (nota 5) La censura finirà per essere un aspetto soltanto dei processi che interferiscono con la costituzione di un senso inconscio. Si fa strada l'idea di un inconscio non rimosso, i cui contenuti non sono prodotti dalla rimozione ad opera della censura.
Abbiamo intanto l'esperienza preverbale del bambino infans, con i suoi vissuti emotivi che non possono ancora accedere a una dimensione simbolico-rappresentativa e che tuttavia si riflettono inconsciamente nel linguaggio e nello stile dei nostri discorsi di adulti. Sono i fenomeni discorsivi che Ella Freeman Sharpe (1940) ha descritto con grande finezza in un suo famoso lavoro. Se connettiamo questi lampi di esperienza emotiva preverbale al loro scenario infantile mediante un'interpretazione, non operiamo contro una censura, ma semplicemente creiamo nuove connessioni e le condizioni che permettono finalmente all'affetto in gioco di essere accolto e "compreso". Non si tratta di svelare il rimosso inconscio che la censura ha prodotto, ma di contenere e trasformare emozioni, inventando contesti che rendono finalmente possibile l'espressione e una certa messa in scena rappresentativa.
Nelle psicosi, che inizieranno a insegnare tante novità sul funzionamento mentale, appare evidente che molti atti distruttivi del Super-io agiscono non su giornali, cioè su pensieri già formulati, ma sullo stesso processo di scrittura e di produzione del pensiero; non sul senso di un esperienza già data, ma sui moti affettivi e cognitivi che creano il pensiero, lo adeguano all'esperienza e lo fissano nelle nostre memorie, insieme mantenendolo mobile e disponibile per la comunicazione. Questi temi hanno avuto sviluppi molto vari nella psicoanalisi post-freudiana. Per tutti va menzionato il singolare "strumento" della reverie materna e analitica individuato da Bion, e che sembra porsi al di qua delle esigenze di una censura psichica. E' lecito dire che gli elementi beta possono non "alfabetizzarsi" per un intervento della censura sull'attitudine "sognante" materna? Penso che una simile proposizione potrebbe essere utilmente sviluppata sul piano immaginativo e potrebbe anche significare qualcosa, benché essa non abbia il dono della perspicuità e sembri rinviare a modelli concettuali del tutto differenti dalla censura.
Nelle psicosi e negli stati affini la censura si è andata trasformando in una generalizzata persecuzione, in un clima di minaccia e di attacco a ogni legame. L'invadenza della distruttività mette al suo servizio anche la sessualità. Così il piacere erotico perde in gran parte la sua connessione col censurabile, diventando nelle perversioni un mezzo di difesa o un salvagente finalmente innocente rispetto alla gravità dei rischi circostanti. Il Super-io, l'agente della censura, è divenuto un apparato ad alto potere distruttivo, che agisce tra l'altro contro la stessa produzione di senso, impedendo la tessitura del pensiero e la trama dell'esistenza. Orditura, tessitura richiedono una certa armonia interiore e esterna, specifici apporti affettivi dell'ambiente materno e paterno e sufficiente sostegno, nonché la protezione esercitata da scissioni favorevoli. La censura se vediamo le cose in questo modo sembra non trovare più la materia sulla quale applicarsi. La stampa dei giornali è totalmente asservita o abolita, la comunicazione squalificata. Paul Goebbels pare si compiacesse pubblicamente che nella Germania nazista non fosse necessario esercitare alcuna pressione sulla stampa, perché essa era divenuta pienamente consonante col regime.
Personalmente penso sia importante trovare un accordo tra il momento della censura e i quadri immaginativi plasticamente parlanti che la clinica ci mostra per esempio nei sogni, e che inducono a risposte dell'analista a loro volta immaginative e che prescindono da una valutazione della censura e dei suoi possibili effetti.
Oggi lo psicoanalista pensa facilmente che il punto critico della cura non stia nei guasti prodotti dalla censura e dalle relative rimozioni patogene, ritiene la censura un'evenienza relativamente accessoria e crede che le attenzioni terapeutiche vadano dirette altrove. Il roman de sauvetage della terapia deve cioè seguire e sviluppare trame differenti e altre narrazioni. Siamo attenti alle tracce delle esperienze catastrofiche, ai traumi generatori di una particolare virulenza e severità del Super-io, o di una relativa fragilità dell'Io, ai tentativi di mitigare il Super-io mediante la sua corruzione, sino alla sua negazione euforica, al predominio di una licenza interna pronta a barattare estese porzioni di esperienza e di piacere con altre mete ed esigenze, soprattutto con quelle della sicurezza e della sopravvivenza.
Lo psicoanalista d'oggi, come anche l'odierno soggetto della cura, sembrano, almeno in superficie, aver perso il rassicurante riferimento che può dare la presenza di una censura interiore e la sua individuazione. Con la censura si poteva attribuire un volto preciso alla nostra oppressione e alle sue fonti interne. Oggi lo psicoanalista è gravato da un compito forse troppo arduo: avviare un'esperienza ricostruttiva della persona nella quale, finalmente, la vecchia censura potrà riprendere ancora il suo degno posto, riaprendo così l'intero problema delle sue antiche trame: dove potranno trovare ancora un loro posto le storie d'amore censurabili e le ordinarie sofferenze dell'uomo.