Disturbo mentale , alcolismo, tossicodipendenze: dalla parte del volontario (L'esperienza delle Comunità del Centro di Accoglienza don Vito Sguotti di Carbonia) di Antonio Cesare Gerini (Relazione introduttiva sul tema: Alcolismo e malattia mentale - Esperienze a confronto - esposta il 15 Dicembre 1998 all'assemblea del volontariato in occasione dell'inaugurazione del Sasol Point n°9 del Centro di Servizio per il Volontariato Sardegna Solidale.)
5) SULLA STRADA Il Centro di Accoglienza che accoglie nelle sue Comunità disturbati mentali, alcolisti e, in misura molto minore tossicodipendenti, li accoglie e assiste secondo quel modo di essere non professionalizzato di cui sin qui si è parlato. Li accoglie non in virtù del loro disturbo psicotico o della loro alcol-dipendenza, ma li ospita perché essi stanno nella stessa situazione di bisogno in cui si trovano gli altri ospiti del Centro. Se donna perché in difficoltà con la maternità, sia che essa sia sana o ammalata. Oppure perché si trova per la strada. Il Centro di Accoglienza infatti ha fatto questa scelta, si collocarsi "sulla strada": è ciò che proviene da essa a determinare il suo modo di operare (non è il caso qui di addentrarsi nelle sue metodologie di lavoro). E sulla strada abbiamo scoperto esserci disturbati di mente, alcolisti, tossicodipendenti, ovviamente insieme a numerose persone molto povere. L'accoglienza dunque è data perché sono persone bisognose e non perché "pazienti o ammalati". E' ovvio che il disturbato mentale, che entra nella comunità in quanto persona bisognosa e non in quanto paziente psicotico, non per questo finisce di essere tale. Porta all'interno della comunità gli stessi problemi che egli porterebbe se fosse ricoverato in ambiente professionalizzato, oppure in famiglia. Questi problemi dunque si affrontano, e si affrontano in modo serrato, perché tali comportamenti possono coinvolgere anche altri ospiti, il vicinato, ecc. Luogo non professionalizzato non significa luogo senza metodo di lavoro. Anzi l'individuazione del metodo di lavoro, la sua messa a punto e perfezionamento richiede riflessioni continue. Ma i problemi che pone un disturbato vengono però affrontati come vengono affrontati quelli degli altri ospiti (almeno sin dove si può; dove non si può più diventa vitale il rapporto con un luogo professionalizzato sollecito. In questo senso valido aiuto è sempre stato il Servizio Psichiatrico di Carbonia) . Non è sicuramente il farmaco o un modello psicoterapico (anche se farmaco o psicoterapia non sono esclusi) il primo e più importante intervento che si effettua su quelle persone. IL CASO Come esempio, in conclusione, voglio portare il caso di un ospite del Centro di Pronto Intervento maschile. Esaminato sotto il profilo professionalizzato si tratta di un paziente affetto da un Disturbo Schizofrenico di tipo Disorganizzato, che si oppone decisamente a ogni tipo di terapia e che vive allo stato di barbone, pur avendo una casa e dei familiari disposti ad aiutarlo. Più volte è stata fatta richiesta, dai familiari, al Servizio Psichiatrico competente di intervenire, con ricovero o altro, ma mai ciò ha sortito effetti di sorta. Non per colpa del Servizio di Psichiatria ma per l'impossibilità della situazione. Vivendo come barbone, che creava tra l'altro non pochi problemi in città con le sue stramberie, e ricadendo pertanto nella sua sfera di "competenza assistenziale, è stato contattato il Centro di Pronto Intervento. Qui si è immediatamente fatto condurre di buon grado, essendo quello un luogo che non gli chiedeva di farsi curare, ma soltanto un alberghetto. Gli piaceva molto, infatti, andare a mangiare e dormire nel suo alberghetto. Così, in quel nuovo ambiente, ha incominciato anche a lavarsi facendosi la doccia, cosa che non faceva da anni, a farsi tagliare le unghie, a cenare insieme agli altri ospiti, a guardare per qualche minuto la televisione e a sedersi col giornale in mano di tanto in tanto sfogliandolo. E tutto ciò avveniva senza che questo mondo non professionalizzato, che lo assisteva, facesse nulla di particolarmente tecnico o faticoso, ma soltanto assecondandolo, al momento opportuno suggerendo, a volte anche dolcemente forzando, ma giocando sostanzialmente sul gradimento che manifestamente mostrava di questa sua nuova situazione. Gli operatori che lo accudivano, non avevano strumenti tecnici e raffinate metodiche psicoterapiche o impostazioni farmacologiche complesse su cui appoggiarsi, ma soltanto il loro buon senso; il buon senso comune e una grande disponibilità ad ascoltare, eventualmente, figure professionalizzate prudenti non smaniose di imporre la loro visione delle cose. Oggi, dopo due anni di ospitalità, durante i quali si è instaurato anche un rapporto positivo nei confronti del locale Servizio Psichiatrico (dove è stato ricoverato per una polmonite!), lui, esaminato sotto il profilo professionalizzato, risulta essere sempre uno schizofrenico disorganizzato e si oppone ancora alle cure psico-farmacologiche così come si opponeva prima. Però non lo si vede più in giro per la città, con la bottiglia di birra in mano e in preda a mille stramberie; passa una parte della sua giornata a casa dei familiari che hanno potuto riprendere un filo di rapporto con lui e quotidianamente lo portano a pranzo da loro. E' decisamente più pulito, non è stato estirpato dal suo contesto sociale, conduce così la sua vita, la sua vita schizofrenica, in modo più dignitoso, senza necessità di farmaci o psicoterapie (non foss'altro perché fermamente li rifiuta), in compenso però è molto bisognoso che chi si rapporta a lui lo faccia con una robusta dose di sano buon senso comune. |