| TERAPIA FAMILIARE SISTEMICA Nell'incontro con un sistema familiare cerchiamo di focalizzare non solo gli scambi interattivi, ma la "visione del mondo" portata dalla famiglia e dai singoli membri. Per visione del mondo si intende ciò che emerge da premesse di idee, fantasie, valori, emozioni, affetti che, evidentemente, hanno un peso sostanziale nella costruzione della storia di ogni famiglia. E' proprio su questa storia che il terapeuta interviene, certo non con l'intento di trasformarla, ma di rileggerla, insieme al sistema familiare con una punteggiatura alternativa. Il termine punteggiatura sta ad indicare il modo in cui un osservatore organizza sequenze di eventi e di comportamenti. Ciò determina, quindi, il significato e la valutazione a questi attribuiti. Le ipotesi formulate dai terapisti servono quindi a organizzare i dati e i significati assegnati agli eventi da parte dei familiari; tuttavia esse non hanno carattere di spiegazione, ma di punteggiature costruite con la famiglia all'interno del processo terapeutico stesso. La tecnica con cui il terapeuta conduce il colloquio sistemico poggia sul principio della circolarità delle sequenze di eventi. Le cosidette domande circolari, cioè il chiedere ad una persona di esprimere il proprio punto di vista circa la relazione e le differenze tra gli altri membri familiari, rendono evidenti la struttura delle relazioni presenti nel sistema familiare, aldilà dei significati attribuiti ai comportamenti. L'intervista circolare favorisce il processo di ipotizzazione sopra citato, perchè costringe ognuno, famiglia e terapisti, ad impegnarsi in letture alternative, a mettere in dicussione premesse che si credono fondanti, ad immaginare nuovi possibili percorsi. Tuttavia, utilizziamo anche domande dirette più indicate anche nei casi in cui sia necessario costruire un rapporto empatico e di fiducia con il paziente (cosa quasi inevitabile in situazioni di psicosi). La nostra posizione nei confronti del nucleo familiare risponde al principio della neutralità terapeutica. Ovviamente essere neutrali non coincide con il rifiuto al coinvolgimento con il sistema: un terapeuta asetticamente distante, spettatore anaffettivo di scambi comunicativi è nella realtà improponibile. Il terapeuta deve essere empatico e può allearsi con parti del sistema, ciò che non deve dimenticare è che si muove in un contesto familiare, pertanto deve assicurare, globalmente, a tutti i membri familiari la stessa qualità della relazione. La posizione di neutralità è allora inquadrabile in una più ampia cornice etica, che impone il rispetto delle norme di valore e dei principi della famiglia e dei suoi membri, essendo il compito di un terapeuta il comprendere e non il giudicare. In sostanza, e per riassumere, abbiamo parlato di una ricerca costante di letture alternative degli eventi familiari, per costruire premesse più funzionali, sia per il paziente che per i suoi familiari. Il terapeuta suggerisce ipotesi alternative in grado di porre sotto revisione le ipotesi esplicative portanti della famiglia. Le ipotesi introdotte dal terapeuta possono anche essere scartate dal nucleo familiare. Ciò che più importa è fornire implicitamente un approccio alla soluzione dei problemi che insegni ai familiari a considerare una gamma più ampia di possibili significati per comprendere ed affrontare gli eventi della loro vita. Gli strumenti più utilizzati nel nostro approccio sono: Reframing, Prescrizioni, Interventi Paradossali, Connotazione Positiva, Metacomunicazione e Uso di Metafore. Collegato al più generale progetto educativo, vi è il lavoro (più esplicitamente portato avanti nelle sedute) di revisione dell'assunto familiare che tutto debba partire ed essere ricondotto al paziente. Sfidare la centralità del sintomo nell'orizzonte familiare non è certo facile, ma costituisce punto di partenza e obiettivo di fondo per la terapia familiare. Già dalle prime fasi dei nostri incontri familiari, ciò che intendiamo comunicare è che siamo i terapeuti di una famiglia che soffre, nella realizzazione della propria dimensione di vita . Ogni familiare è portatore di disagio e sofferenza, così come ognuno concorre ad "ingarbugliare" le vicende familiari, cercando la soluzione più giusta ai problemi. Non a tutte le famiglie, infatti, viene consigliata una terapia familiare. E, allo stesso tempo, non tutte le nostre terapie familiari si sviluppano allo stesso modo. Un criterio determinante nella scelta del tipo di intervento da effettuare con la famiglia è sicuramente l'aspetto acuto o cronico del quadro sintomatologico. E' evidente che una malattia in fase acuta possa avere, da un punto di vista dell'intervento terapeutico, una prognosi più favorevole. Una situazione acuta permette un accesso più immediato ai patterns disfunzionali su cui si è innestato il comportamento patologico; l'intervento mira ad un cambiamento sostanziale della configurazione familiare, tale per cui venga meno la funzione "adattiva" del sintomo. In una situazione ormai cronicizzata, invece, le possibilità di produrre cambiamenti sui cosidetti "giochi familiari", così come sulla patologia del paziente, sono più limitate. Il nostro intervento ha lo scopo, allora, di migliorare il sistema di comunicazione dei familiari in modo che alcuni patterns relazionali, che sicuramente non hanno determinato il sintomo, ma possono concorrere a sostenerlo o ad esasperarlo, vengano abbandonati. Si tratta certamente di un cambiamento che non porta ad una ritrutturazione profonda dei significati, delle regole e della struttura delle relazioni familiari. D'altro canto questo cambiamento, più circoscritto e superficiale, può concorrere allo strutturarsi di un clima emotivo familiare più equilibrato riducendo anche sensibilmente lo stato di disagio del paziente. In altre situazioni, pur ravvisando l'indicazione di una terapia familiare, non riusciamo a lavorare in termini propriamente psicoterapeutici. E' il caso di quelle famiglie che pur essendo ingaggiate e portando una richiesta di aiuto, non danno il "nulla osta" all'esplorazione psicoterapeutica. In questi casi optiamo per interventi più vicini al counselling o agli incontri di supporto, fornendo lo stesso alla famiglia un contesto di maggior contenimento e più personalizzato che non quello dei gruppi per familiari. Le sedute di terapia familiare hanno una cadenza in genere mensile, ma siamo flessibili alla valutazione di un accorciamento dei tempi qualora se ne ponga la necessità, così come ad un allungamento dell'intervallo tra le sedute, soprattutto nelle fasi conclusive. Di preferenza convochiamo, nelle fasi iniziali, il nucleo familiare al completo: ciò consente di avere un raggio di osservazione più ampio delle dinamiche familiari; tuttavia ci capita anche di lavorare con parti del sistema familiare, a causa della difficoltà (o del rifiuto) espresse da qualche membro a partecipare alle sedute. Un discorso a parte merita la scomposizione del nucleo familiare operata dai teraputi stessi, che possono decidere, dopo un certo numero di sedute, di proseguire con un sottosistema (più facilmente quello della coppia genitoriale), ponendo una indicazione di terapia individuale per il paziente. Tali divisioni generazionali possono prevedere anche la terapia congiunta dei due sottosistemi (quello della coppia e quello dei fratelli) da parte degli stessi terapeuti. Riassumendo, il percorso della terapia familiare può differenziarsi, a seconda della configurazione del quadro patologico, della struttura familiare, della fase di ciclo di vita della famiglia, ma anche dei bisogni dei singoli membri, in più possibilità:
- trattamento psicoterapeutico a tutto il nucleo familiare o a quei membri che ne diano la propria disponibilità
- trattamento di un sottosistema familiare ed invio parallelo in terapia individuale del paziente (o altra forma di terapia);
- trattamento separato di sottosistemi
BibliografiaCommenti e richieste possono essere inviati al Unità di Consulenza e Terapia Familiare I Clinica Psichiatrica Università degli Studi di Milano (E-mail: c.bressi@imiucca.csi.unimi.it)
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