Introduzione di Paolo Migone Questo lavoro di Eagle, così apprezzato e citato tanto da considerarsi già quasi un classico, affronta un tema importante nel dibattito psicoanalitico, un tema che spesso è stato utilizzato come un motivo per la scissione in scuole psicoanalitiche diverse: la psicopatologia origina da un conflitto intrapsichico oppure da un deficit? Secondo la prima ipotesi, propria della tradizione classica o "freudiana", trova una sua giustificazione la tecnica classica, basata ad esempio sull'uso privilegiato della interpretazione, mentre se seguiamo la seconda ipotesi (quella secondo la quale la psicopatologia origina da un deficit, una carenza, o un arresto dello sviluppo) sarebbe giustificato l'uso di tecniche più riparative o empatiche, come viene sostenuto da alcuni fautori della teoria delle relazioni oggettuali, dai seguaci della Psicologia del Sé di Kohut, e così via. Montagne di articoli e di libri sono stati scritti su questa problematica, a sostegno dell'una o dell'altra ipotesi. Qui Eagle invece fa alcune osservazioni elementari e apparentemente di buon senso, ma a mio parere molto acute e critiche verso un certo modo stereotipato di ragionare, tipico di coloro che utilizzano i cliché o gli slogan tramandati da certe scuole, o che procedono per citazioni altrui senza discuterne la fondatezza. Le argomentazioni di Eagle cercano di smascherare la falsità di questa come di altre dicotomie presenti in certi dibattiti psicoanalitici. Questo lavoro è comparso come cap. 11 del libro di Morris E. Eagle del 1984 La psicoanalisi contemporanea, tradotto dall'editore Laterza di Bari nel 1988. Il titolo inglese del capitolo (che nell'edizione originale risulta come capitolo 12) è "Developmental defect versus dynamic conflict" (in Recent Developments in Psychoanalysis. A Critical Evaluation. New York: McGraw-Hill, 1984; ristampa in paperback: Cambridge, MA: Harvard Univ. Press, 1987). Ringraziamo l'autore e gli editori McGraw-Hill di New York e Laterza di Bari per i permessi di riproduzione delle versioni sia italiana che inglese. Ho chiesto a Morris Eagle se voleva scrivere una breve premessa alla pubblicazione di questo suo scritto su POL.it, per conoscere eventuali suoi commenti o riflessioni a quindici anni dalla edizione originale. Eagle ha accettato volentieri, e la sua premessa compare qui di seguito. Premessa di Morris N. Eagle a questa edizione (1998) Sebbene questo capitolo sul conflitto e sui deficit dello sviluppo sia stato scritto più di una quindicina di anni fa, sono convinto che i temi trattati continuino ad essere rilevanti e che i punti centrali qui discussi continuino ad essere validi. Mi sembrò allora, e mi sembra tuttora, che vi sia una falsa dicotomia tra conflitti intrapsichici da una parte e arresti dello sviluppo, carenze e deficit dall'altra. In parte il motivo è che molto spesso i foci di maggiore conflitto sono, nello stesso tempo, le aree dei deficit dello sviluppo. Le teorie psicoanalitiche contemporanee hanno ampliato la nostra capacità di riconoscere i tipi di desideri e fantasie su cui le persone possono essere in conflitto. Ad esempio, le persone posso essere spinte da, ed essere in conflitto su, non solo desideri e fantasie sessuali e aggressive, ma anche desideri e fantasie che hanno a che fare con la fusione o la totale autosufficienza; ma il fatto che il mondo interno di una persona sia caratterizzato da quest'ultima (l'autosufficienza) non significa che questa persona soffra a causa di deficit piuttosto che da conflitti. Di fatto, penso che, ad esempio, si possa dire che avere conflitti riguardanti fantasie di fusione sia un modo di descrivere un deficit dello sviluppo da un punto di vista dinamico. O, per fare un altro esempio, i cosiddetti deficit strutturali della tensione interna o della regolazione degli affetti sono con tutta probabilità altamente associati a conflitti intrapsichici e ansia in particolari aree. I temi trattati in questo capitolo sono discussi anche in un articolo intitolato "I concetti di desiderio e bisogno nella Psicologia del Sé" (Eagle, 1990). Secondo un modello del deficit dello sviluppo, è più probabile che si ragioni, come fece Kohut, in termini di deprivazioni ambientali o traumi caratterizzati da bisogni evolutivi non soddisfatti che in seguito conducono a deficit, carenze e arresti. Per contro, da un punto di vista dinamico è più probabile che si ragioni in termini di desideri e fantasie che sono circondate da ansia e conflitti. In questo mio articolo del 1990 ho cercato di dimostrare che quelli che Kohut chiamò bisogni (ad esempio il "bisogno" di un rispecchiamento perfetto) sono - persino secondo la sua stessa logica - meglio compresi in termini di desideri e fantasie. Il fatto è che essere soggetti a determinati desideri e a fantasie irrealistiche, riguardo ai quali si è in conflitto e in ansia, può anche essere concepito come un deficit evolutivo. Questo deficit evolutivo è in buona parte la descrizione di quei desideri e di quelle fantasie irrealistiche da una prospettiva in un qualche modo diversa. Infine, voglio fare alcuni commenti sui concetti di arresto dello sviluppo e di presunta regressione a un presunto punto di arresto. Come ho notato nel capitolo, l'idea che nella patologia un adulto si possa "arrestare" a uno stadio che è normale per un bambino implica che un adulto patologico sia essenzialmente simile a un bambino normale (e viceversa), un assunto insostenibile che si basa su un ragionamento analogico superficiale e su un "adultomorfismo" e un "patomorfismo" dell'infanzia (Milton Klein, 1981; Peterfreund, 1978). Insostenibile è anche la connessa idea che nella patologia l'adulto regredisca a uno stato che nell'infanzia è normale e universale. Nei casi di cosiddetta regressione non c'è bisogno di postulare un andare indietro nel tempo. Piuttosto, come notano Sroufe & Rutter (1984, p. 21), "precedenti modalità di funzionamento sono attualmente disponibili e fanno parte dell'attuale adattamento dell'individuo, a volte promuovono il fit con l'ambiente, anche se in certi casi possono compromettere la crescita". Dal punto di vista del trattamento, mi sembra che, in modo abbastanza indipendente dall'esistenza e dalla entità dell'arresto, del deficit e delle carenze, si dovrebbe sempre fare attenzione al problema dinamico del contesto in cui le manifestazioni dell'arresto e del deficit si intensificano e in cui invece migliorano. Poi possiamo porci domande del tipo: quali conflittualità, ansie e difese sono insorte? Quali reazioni transferali sono state stimolate? Quali sfide di vita sono diventate prominenti? CARENZE DI SVILUPPO E CONFLITTO DINAMICO (da: La psicoanalisi contemporanea, Bari: Laterza,1988, cap. 11. Edizione originale: "Developmental defect versus dynamic conflict", in Recent Developments in Psychoanalysis. A Critical Evaluation. New York: McGraw-Hill, 1984, chapter 12; ristampa in paperback: Cambridge, MA: Harvard Univ. Press, 1987) Una caratteristica degli sviluppi recenti della teoria psicoanalitica, esemplificata nell'opera di Kohut ma presente anche in scritti di altri autori, è la forte tendenza a considerare almeno alcune classi della patologia in termini di carenza e di blocchi dello sviluppo più che in termini di conflitto dinamico. Questo è forse il connotato principale che distingue le patologie più gravi, come gli stati borderline e i disturbi della personalità narcisistica, dai "conflitti strutturali" delle nevrosi. L'idea di un blocco nello sviluppo è spesso presa alla lettera, nel senso che si afferma che gli adulti che presentano queste patologie più gravi sono caratterizzati da modalità di comportamento presumibilmente normali in una fase precedente dello sviluppo. Per esempio, secondo Kernberg (1976) il fatto che il paziente borderline continui a ricorrere alla scissione primitiva come difesa primaria indica un'incapacità dell'Io (o del Sé) di integrare il buono e il cattivo, l'amore e l'odio, conseguente al mancato superamento della fase di sviluppo nella quale forti oscillazioni affettive e valutative sono presumibilmente la regola. Kernberg afferma che la scissione primitiva cui ricorre il paziente borderline è un mezzo difensivo normale per affrontare conflitti potenziali in una fase precoce dello sviluppo, prima che si sia formata una struttura dell'Io stabile. Negli scritti di Kohut appare chiaramente in che misura la sua psicologia del Sé è una psicologia dell'insuccesso nello sviluppo e delle carenze strutturali, più che del conflitto dinamico. Kohut sostiene che per i pazienti affetti da disturbi della personalità narcisistica e per quelli che manifestano prevalentemente disturbi del Sé il tema principale da affrontare non è il conflitto intrapsichico, ma la mancanza di coesione del Sé conseguente a insuccessi nello sviluppo indotti da un trauma, come se Kohut asserisse l'esistenza di una patologia del Sé´ "libero da conflitti", che ricalca l'autonomia dell'Io "libero da conflitti". Ciò che Kohut e altri (per esempio Stolorow & Lachmann, 1980) propongono è che la nevrosi comporta soprattutto conflitti dinamici, mentre i disturbi della personalità narcisistica e altre patologie simili consistono prevalentemente in carenze strutturali che si sviluppano e possono essere considerate del tutto indipendentemente dal conflitto dinamico. Questa opposizione generale tra blocchi e carenze dello sviluppo da una parte, e conflitto intrapsichico dall'altra, è elaborata forse nel modo più completo in un recente libro di Stolorow & Lachmann (1980). Come notano questi autori, la distinzione cruciale è tra una psicopatologia che è prodotto delle difese contro il conflitto intrapsichico, e una psicopatologia che è il residuo di un blocco dello sviluppo in pre-stadi di sviluppo... (p. 5). Per esempio, in un paziente che soffre presumibilmente di un blocco dello sviluppo, l'idealizzazione e la grandiosità comportano soprattutto una "incapacità di registrare e affermare le qualità reali del Sé o degli oggetti" (p. 64), mentre per un altro paziente la grandiosità "era di natura difensiva. Serviva a negare la sua vulnerabilità e i suoi limiti realistici" (p. 84) [Nota 1]. Oppure, per fare un altro esempio, in un caso la scissione è considerata una difesa contro il conflitto intrapsichico, mentre nel paziente affetto da blocco dello sviluppo è considerata espressione di un'incapacità integrativa. Secondo gli autori, nel blocco dello sviluppo non esistono solo pre-stadi di difesa, ma anche pre-stadi di transfert e di alleanza terapeutica. Per esempio, mentre nel transfert classico il terapeuta "è vissuto come oggetto distinto [...] totale - obiettivo di affetti sostituiti e di desideri conflittuali", nei pre-stadi del transfert, il terapeuta "è predominantemente vissuto come oggetto-Sé´ arcaico prestrutturale" (Stolorow & Lachmann, 1980, pp. 173-174). Nota1: Questo, per la verità, non mi sembra un buon esempio di conflitto intrapsichico, così come è descritto nella teoria tradizionale. Dov'è infatti l'impulso istintuale che è in conflitto con l'Io e il Super-Io? Nella misura in cui la grandiosità del paziente serve "a negare la sua vulnerabilità e i suoi limiti realistici", essa sembra piuttosto rappresentare una compensazione contro la vulnerabilità del Sé più che una difesa contro il conflitto intrapsichico. [Nell'originale questa nota è numerata 56, nell'edizione italiana è numerata 58] A mio avviso questa dicotomia tra carenze strutturali e blocchi dello sviluppo da una parte, e conflitto dinamico dall'altra, non è totalmente difendibile. Vorrei indicare le ragioni di questa affermazione. In via generale, carenze strutturali e conflitto dinamico sono aspetti diversi di un insieme continuo di fenomeni, e comportano modi diversi di considerare questi fenomeni. Ciò risulta evidente nelle formulazioni freudiane, in cui le considerazioni dinamiche (vale a dire relative ai desideri, al conflitto e alle difese) non sono mai sostituite da una prospettiva strutturale. Entrambi, piuttosto, sono aspetti diversi di un unico fenomeno complesso. Così quando Freud (1940) parla di "scissione dell'Io" nel feticismo in opposizione al conflitto Es-Io nella nevrosi (conflitto che Kohut definisce un "conflitto strutturale" tra strutture intatte), egli non sta opponendo una carenza strutturale ad un conflitto dinamico. Infatti, secondo questa concezione la "scissione dell'Io" nel feticismo è altrettanto dinamicamente determinata quanto il conflitto tra Es e Io nella nevrosi; per Freud, inoltre, la nevrosi non è semplicemente un conflitto dinamico tra strutture intatte (sicché, concretamente parlando, si potrebbero ignorare le considerazioni strutturali), ma è - da un punto di vista non secondario - anche un insuccesso nello sviluppo. La presenza della nevrosi rivela, fra l'altro, una qualche componente ereditaria, costituzionale, una precedente nevrosi infantile irrisolta, la persistenza di desideri infantili, la presenza di fissazioni psicosessuali e un insuccesso dell'Io nel risolvere più adattivamente il conflitto. Se è vero che alcune persone possono essere più disturbate di altre e possono esibire un maggior grado e un ventaglio più ampio di insuccessi nello sviluppo, non ne consegue però che i temi relativi al conflitto intrapsichico siano per loro irrilevanti. In chi soffre dei cosiddetti disturbi del Sé e di blocchi dello sviluppo vi sono anche desideri e obiettivi conflittuali difensivamente dissociati dal resto della personalità a causa dell'angoscia che comporterebbero. Questi desideri e obiettivi possono incentrarsi su fantasie e temi di fusione, di inabissamento e di essere inabissati, di unione simbiotica in contrapposizione alla separazione, ecc., piuttosto che su temi prevalentemente edipici; nondimeno, essi sono desideri carichi di conflittualità. In linea generale, gli insuccessi nello sviluppo e le carenze strutturali presentano aspetti dinamici. In effetti, affermare che una persona è bloccata nello sviluppo o ha una carenza dell'Io o dei Sé significa, in parte, che alcuni desideri caratteristici (per esempio, fantasie di fusione simbiotica) sono particolarmente intensi e dominanti. Parte integrante dei traumi precoci che si ritiene abbiano portato a blocchi dello sviluppo e a carenze strutturali sono i desideri conflittuali, le aspirazioni conflittuali e altre reazioni affettive. Da un punto di vista clinico si osserva frequentemente che è proprio la persona deprivata di amore ed empatia a essere più conflittuale riguardo all'essere amata. Così, per esempio, i bambini deprivati cui viene finalmente lasciato fare ciò che vogliono (per esempio, da un assistente sociale o da un "fratello maggiore" dalle buone intenzioni) spesso reagiscono con emozioni e comportamenti distruttivi dell'uno o dell'altro tipo (in un caso che mi è familiare, la madre proibì al figlio di andare al ristorante con l'assistente sociale perché poi doveva affrontare il suo comportamento inevitabilmente distruttivo). Non è insolito vedere bambini che hanno alle spalle una vicenda di deprivazione reagire con depressione, lacrime e rabbia quando viene loro permesso qualcosa. Così pure si può osservare in pazienti adulti che hanno avuto un'infanzia difficile e deprivata la forte tendenza a istituire nuovamente condizioni di infelicità e insuccesso, non appena si è instaurato in terapia o fuori di essa un rapporto d'aiuto e di empatia. Bowlby (1981) ha descritto una paziente che non sembrava soddisfatta fino a che con le sue punzecchiature non riusciva a irritarlo. Questo bisogno di punzecchiarlo era diventato più forte dopo che lui aveva fatto un gesto che lei aveva sentito gentile. La spiegazione che aveva dato del proprio comportamento era: "Non riesco a sopportare la gentilezza". Ecco una persona che, deprivata della gentilezza, reagiva ora con ostilità a chi la trattava con gentilezza, perché´ - come osserva Bowlby - "nella sua esperienza, attaccarsi a qualcuno poteva portare solo ad un rifiuto e a ulteriori sofferenze" (p. 19). E Bowlby continua: Quando mi irritavo, qualsiasi emozione positiva lei avesse potuto sentire in risposta alla mia gentilezza era soffocata. Allora si sentiva nuovamente sicura, benché, naturalmente, terribilmente isolata (p. 19). Ciò che intendo sottolineare con questi esempi è che traumi precoci, blocchi precoci dello sviluppo e carenze strutturali precoci sono sempre accompagnati da emozioni e desideri intensi e conflittuali. Il fatto è che abbiamo reazione intense (per esempio di rabbia) di fronte a esperienze traumatiche e di deprivazione, e che siamo più conflittuali in quelle aree in cui siamo stati deprivati. Come ho osservato prima, è proprio la persona deprivata d'amore che è più conflittuale riguardo al dare e al ricevere amore. E' come se uno dei costi e delle conseguenze del trauma fosse lo sviluppare un'"allergia" alla "sostanza" stessa di cui si ha bisogno e di cui si è stati deprivati. Proseguendo l'analogia, una tale reazione allergica significa che il compito del terapeuta sarà di gran lunga più complesso del limitarsi a compensare una precedente deficienza. Un'ipotesi sussidiaria che fa parte integrante della dicotomia carenze di sviluppo-conflitto intrapsichico è che il primo gruppo di persone persegua prevalentemente la coesione del Sé, mentre il secondo sia interessato soprattutto alla gratificazione delle pulsioni (e ai conflitti in cui esse sono implicate). A me sembra invece che siano nel giusto Gedo (1979, 1980) e G.S. Klein (1976), là dove propongono che l'integrità e la continuità dell'organizzazione del Sé´ sono un obiettivo di ordine superiore per tutti, del tutto indipendentemente dalla categoria diagnostica. Nei soggetti più disturbati, che hanno tendenza a esperire quella che Kohut chiama l'"angoscia di disintegrazione", questo obiettivo è spesso perseguito a livello della pura integrità del Sé. Per altri, il perseguimento di questo obiettivo di ordine superiore assume prevalentemente la forma di un tentativo di risolvere e integrare le incompatibilità e i conflitti tra molteplici obiettivi subordinati (G.S. Klein, 1976). Se la gratificazione delle pulsioni e dei bisogni di base (che non sono limitati al sesso e all'aggressività) tende generalmente ad accrescere il Sé e la deprivazione tende a sminuirlo, il loro significato psicologico e le loro conseguenze non possono pero essere separati dai tenti di ordine superiore dell'organizzazione del Sé. Una delle conseguenze principali del conflitto interno, che comporta l'esperire come "alieni all'Io" aspirazioni e desideri collegati alle pulsioni e ai bisogni di base e il loro relegarli nell'ambito del dissociato, è sia l'incapacità di esperire la gratificazione di desideri e aspirazioni specifici, sia la frustrazione dell'obiettivo di ordine superiore dell'integrità e dell'unità dell'organizzazione del Sé. Tuttavia la frustrazione di un desiderio o bisogno specifico, in un contesto di non-conflitto, avrà conseguenze psicologiche diverse. Molte persone possono sopportare gravi frustrazioni di alcuni bisogni di base senza conseguenze psicologiche gravi se la frustrazione è esperita in un contesto compatibile con i "valori del Sé". E, come nota G.S. Klein (1976), i temi del desiderio sensuale, della gratificazione e della deprivazione sono intimamente legati ai "valori del Sé". Non vi è nessuna incongruenza logica o clinica tra il punto di vista strutturale (di cui sono esempi i concetti di blocco dello sviluppo e di carenze del Sé) e quello dinamico. L'integrazione dei due punti di vista diventa possibile una volta che si riconosca che - quali che siano il livello dello sviluppo della persona e le sue limitazioni strutturali - la risoluzione delle incompatibilità o i tentativi di risoluzione attraverso mezzi dissociativi indeboliscono l'integrità della personalità. Un altro modo per sottolineare questo punto fondamentale è affermare che una psicologia del Sé e una psicologia del conflitto dinamico sono congruenti nella misura in cui il grado di integrità del Sé è intimamente connesso alla risoluzione e all'integrazione di obiettivi e motivi incompatibili. Ne segue che, se il contenuto e la natura del conflitto possono variare, la risoluzione del conflitto tenderà ad essere terapeutica per tutti i livelli di patologia (il che non significa che altri fattori, ad esempio l'identificazione con il terapeuta, non siano anch'essi terapeutici, o che altri fattori non siano particolarmente rilevanti per alcune classi di patologia). Sin dagli scritti pre-psicoanalitici di Janet e Charcot è stato riconosciuto che sia le incompatibilità gravi, sia il ricorso alla dissociazione come soluzione di tali incompatibilità, indeboliscono la personalità. Questo punto fondamentale trova eco nelle attuali discussioni sull'impiego della "scissione" negli stati borderline. Kernberg (1975, 1976), che nei suoi scritti si è soffermato ampiamente su questo tema, afferma esplicitamente che il ricorso alla scissione tende a erodere la forza dell'Io. Ho affermato in precedenza che per la maggior parte degli autori attuali il fattore essenziale nell'eziologia delle carenze e dei blocchi dello sviluppo è un trauma precoce di un qualche tipo. Così abbiamo visto che secondo Kohut una mancanza precoce di rispecchiamento empatico e di possibilità di idealizzazione sono i principali fattori eziologici cui va addebitata la mancanza di coesione del Sé. Anche Stolorow e Lachmann, lo abbiamo osservato, collegano blocchi e insuccessi nello sviluppo a traumi e deficienze delle prime cure, ivi compresa l'assenza di rispondenza empatica, gravi incongruenze e "frequenti esposizioni del bambino a scene sessuali e aggressive affettivamente insopportabili" (p. 5). Ho già notato (e ne parlerò ancora in questo capitolo) che vi sono poche prove o nessuna a confermare queste affermazioni di natura eziologica. Voglio chiarire qui in quale misura una accentuazione dei trauma e delle carenze che ne seguirebbero rappresenta un ritorno all'accentuazione relativamente statica ed esclusivamente strutturale della psichiatria europea pre-psicoanalitica, e un abbandono delle intuizioni derivate dalla accentuazione psicoanalitica del conflitto intrapsichico. Si ricorderà che prima della psicoanalisi l'accento veniva posto sui fattori costituzionali, cui erano addebitate sia le incompatibilità a vari livelli, sia l'incapacità di risolvere queste incompatibilità in modi non patologici. Fu merito di Freud (e, in un certo senso, l'inizio della psicoanalisi) il fatto di aver sostanzialmente invertito la sequenza causale. In altre parole, non erano le debolezze costituzionali e la relativa incapacità di integrazione a generare il conflitto e la dissociazione (e dunque a indebolire ulteriormente la personalità - benché Freud desse un certo peso a tali ipotesi), ma erano le incompatibilità e il ricorso alla rimozione per risolverle a indebolire la personalità a lasciare la persona in preda ai sintomi. Al contrario, l'accento posto recentemente sui blocchi dello sviluppo e sui disturbi del Sé ricorre, seppure in un linguaggio alquanto diverso, agli stessi tipi di spiegazione dei concetti pre-psicoanalitici di Charcot e Janet. Kernberg, per esempio, si domanda se le persone caratterizzate da un'organizzazione borderline della personalità non siano intralciate da pulsioni aggressive troppo intense, costituzionalmente date. E quando non si invocano fattori costituzionali, basta semplicemente sostituire alle debolezze costituzionali e agli stati ipnoidi i più recenti fattori di blocco e di carenze, che sono considerati derivare da traumi precoci. In altre parole, ciò che è invocato nell'eziologia della patologia non sono il conflitto intrapsichico, i significati personali e le interpretazioni fantastiche di eventi reali, ma i diretti effetti di eventi reali supposti (di solito una carenza materna - per esempio una mancanza di rispecchiamento empatico - di un qualche tipo) sullo sviluppo psicologico, relativamente non mediato da fantasie e significati personali. Questo tipo di spiegazione eziologica è simile, nella forma, alla prima teoria della seduzione freudiana e alle formulazioni pre-psicoanalitiche. E' un'ipotesi di causalità diretta, da A a B, proprio come si potrebbe affermare che la mancanza di vitamina D (A) causa il rachitismo (B). In una parola, sia che si tratti del risultato dell'eredità sia che si tratti di un trauma precoce, ciò che gran parte della letteratura attuale propone come spiegazione nodale della patologia grave è che si è di fronte a un organismo con deficienze e carenze. Ho riferito altrove (Eagle, 1982) la tendenza di alcuni autori recenti i descrivere i propri pazienti così infantili e così pieni di carenze che viene da chiedersi come possano funzionare. L'esempio che utilizzavo era la descrizione che di un paziente fa Giovacchini: Entrambe le modalità visiva e uditiva erano fissate a livelli precoci post-simbolici e non erano giunte alla sintesi, come avviene nel corso dello sviluppo e dell'integrazione psichici (Giovacchini,1981, p. 422). Come accennavo in quella occasione, la sintesi delle modalità visiva e uditiva è un risultato molto precoce e primitivo. Se il signor R. non ha ottenuto questo risultato di base, come può essere in grado di funzionare? Per quanto il signor R. sia disturbato, sappiamo dalla descrizione di Giovacchini che ha un lavoro, è sposato, paga la parcella della terapia e, ingenerale, svolge molte funzioni che ci si attende dagli adulti. Come è possibile che una persona incapace di sintetizzare le modalità visiva e uditiva sia in grado di fare tutto queste cose? (Eagle, 1982, pp. 446-447). Come sottolinea Levine (1979), le concettualizzazioni in termini di blocchi dello sviluppo e di disturbi del Sé tendono a confermare le fantasie del paziente di avere effettivamente delle carenze. Aggiungerei che questo tipo di formulazioni finisce per precludere l'esame analitico di queste fantasie, ivi compresa la loro funzione difensiva e il loro ruolo nel conflitto. Questo è un aspetto particolarmente importante da sottolineare, nella misura in cui le cosiddette carenze e blocchi non sono necessariamente evidenti, ma comportano invece l'interpretazione e il giudizio teorici secondo cui alcuni comportamenti sono espressione, spesso indiretta e sottile, di carenze e blocchi dello sviluppo soggiacenti. Ne segue che se le simpatie teoriche di un terapeuta vanno in una data direzione, egli può considerare un insieme particolare di comportamenti come espressione di disturbi dei Sé e di blocchi dello sviluppo, mentre un terapeuta con diversa inclinazione teorica assegnerà a questi comportamenti un diverso significato diagnostico. Ricordo al lettore l'osservazione di Gedo (1980), prima riportata, che il repertorio di casi clinici di Goldberg (1978) è pieno di esempi di disturbi del Sé e non cita affatto i conflitti edipici, mentre nella casistica di Firestein (1978), che affronta fenomeni apparentemente simili, non c'è una sola parola sui disturbi del Sé, ma molte sui temi edipici. inoltre, come ha notato Rangell (1980), il tipo di pazienti che Kohut e i suoi seguaci definiscono affetti da disturbi della personalità narcisistica e da disturbi del Sé sono da tempo noti a molti analisti che li hanno sempre considerati nevrotici, più che appartenenti ad una categoria diagnostica a parte. Implicazioni per il trattamento della dicotomia carenze/conflitto Alla dicotomia carenze dello sviluppo/conflitto intrapsichico corrispondono accentuazioni differenti in terapia. Se si concepisce la patologia in termini di conflitto intrapsichico inconscio, di angoscia e di difese, la terapia consisterà nell'aiutare il paziente ad affrontare meglio il conflitto attraverso una maggiore consapevolezza e conoscenza di sé, e accrescendo l'ambito e il controllo dell'Io. L'obiettivo sarà esaminare desideri e conflitti infantili, angosce e difese che li circondano alla luce della realtà attuale in modo da poter scegliere consapevolmente opzioni come la rinuncia o la gratificazione. Se invece si concepisce la patologia in termini di carenze dello sviluppo, allora l'obiettivo terapeutico sarà una sorta di riparazione di questa carenza - di solito attraverso il rapporto terapeutico. Quest'ultima concezione della terapia psicoanalitica la si incontra sempre più di frequente nei dibattiti su trattamento dei pazienti più disturbati. Questa concezione non consente più di affermare che l'obiettivo principale è rendere conscio l'inconscio o allargare l'ambito dell'Io ("Dove era l'Es, deve subentrare l'Io" [Freud, 1932, p. 190] ). Sicché non si tenderà più a considerare la terapia un processo in cui gradualmente ci si appropria dei desideri che sono stati rinnegati, in cui si arriva a rivendicare come parti di sé desideri e obiettivi "alieni all'Io" fino ad ora disconosciuti (Schafer, 1976). Il rapporto paziente- terapeuta - sia esso descritto come un "ambiente di sostegno" o tale da permettere il rispecchiamento e il transfert idealizzante - aiuterà invece in qualche modo a riparare la carenza, a facilitare la costruzione di nuove strutture e la ripresa della crescita che è stata interrotta dal trauma precedente. Come affermano Stolorow e Lachmann: L'approccio di Kohut al trattamento mira a permettere che le configurazioni narcisistiche bloccate si svolgano come avrebbero fatto se il processo non fosse stato prematuramente, traumaticamente interrotto (Stolorow & Lachmann, 1980, p. 86). Quanto al loro approccio alla terapia con blocchi dello sviluppo, Stolorow e Lachmann coerentemente oppongono l'obiettivo dell'analisi del conflitto e delle difese intrapsichiche nella nevrosi all'obiettivo di promuovere "la strutturazione delle rappresentazioni del Sé" (p. 143) nei casi di blocco dello sviluppo. Quanto ai mezzi specifici attraverso i quali quest'ultima deve essere ottenuta, nella misura in cui affrontano questo argomento gli autori citano la comprensione empatica del terapeuta e la "chiarificazione empatica" del bisogno del paziente di mantenere il proprio stato arcaico, ivi compreso l'impiego del terapeuta come oggetto-Sé, allo scopo di mantenere la coesione e la stabilità del Sé. Secondo questi autori "la chiarificazione empatica da parte dell'analista del bisogno specifico del paziente di oggetti-Sè arcaici promuove la differenziazione e la strutturazione" (p. 170). In generale gli autori oppongono il conflitto intrapsichico, nel quale le esperienze precoci dalle quali ci si difende vengono analizzate nel transfert, ai blocchi dello sviluppo, nei quali vengono comprese le esperienze di cui il paziente aveva bisogno, ma che gli sono mancate. Per finire, secondo la concezione di Fairbairn (1952), la terapia aiuta il paziente a dissolvere l'investimento dell'oggetto cattivo attraverso il rapporto con l'oggetto buono rappresentato dalla relazione terapeutica. Che la terapia porti o no a tutti questi esiti desiderabili, va sottolineato che questa concezione comporta una modificazione profonda della teoria psicoanalitica della terapia. Questa modificazione, inoltre, si basa sull'errato concetto che nei blocchi dello sviluppo e nelle carenze strutturali (ammesso che siano fenomeni identificabili) il conflitto intrapsichico non sia un tema primario. Molte concettualizzazioni recenti della terapia suggeriscono che il trattamento compensi i traumi precoci e le carenze che da essi derivano. Altrove ho definito questo modello un modello della terapia secondo "compensazione delle carenze". Tuttavia, è probabile che gli effetti benefici della terapia abbiano prevalentemente a che vedere non con l'eliminazione degli insuccessi nello sviluppo e delle carenze strutturali, ma con il miglioramento degli effetti prodotti dalle angosce irrealistiche e dai conflitti irrisolti che tipicamente accompagnano qualsiasi insuccesso e carenza della persona. Inoltre - e a mio avviso si tratta di un punto fondamentale - quale che sia il livello e il grado, costituzionale o storicamente assegnato, di forza dell'Io o di coesione del Sé, il conflitto irrisolto e l'angoscia che l'accompagna indeboliscono la personalità, e la risoluzione del conflitto e una diminuzione dell'angoscia rafforzano la personalità. Per esempio, in una persona con disturbi del pensiero i fattori che tenderanno a essere più rilevanti e suscettibili di cambiamento in terapia avranno probabilmente a che vedere con il ruolo dell'angoscia e del conflitto nell'attivare c/o nell'intensificare il disturbo del pensiero e la funzione difensiva di questo sintomo. Condivido lo scetticismo di Gedo (1980) di fronte ad espressioni quali "riprendere la crescita bloccata" e all'affermazione che la psicoterapia ripari direttamente i danni dello sviluppo e le carenze strutturali - che ciò avvenga mediante "interiorizzazioni trasmutanti" o qualsiasi altro ipotetico processo. Piuttosto, come sottolinea Gedo, gli effetti di tali danni e carenze saranno migliorati più probabilmente attraverso "nuove funzioni apprese nel contesto di un rapporto umano soddisfacente e adeguato all'età" (p. 378). Per alcuni pazienti queste nuove acquisizioni consisteranno in una più efficace regolazione della tensione, nel prudente evitamento della sottostimolazione o dell'ipereccitazione dirompente, nel far emergere alla consapevolezza bisogni a base biologica non riconosciuti (per esempio i bisogni simbiotici) e nel tentare di esaudirli in maniera coerente con la propria organizzazione del Sé. Per molti pazienti, come si è già osservato, l'esperienza del terapeuta quale partner simbiotico che dà sostegno è sufficiente a ridurre l'angoscia così da permettere l'apprendimento di nuove funzioni. Tuttavia ho il forte sospetto che per tutti i pazienti l'aiuto nel riconoscere e nel risolvere i conflitti sia il mezzo principale per promuovere un maggior senso di integrità e coesione del Sé. Da adulti, non siamo semplicemente congelati in punti "di arresto" dell'infanzia. Di conseguenza non è affatto chiaro cosa si intende quando si parla di consentire alle configurazioni arrestate di svolgersi come avrebbero fatto nel corso normale dello sviluppo. Nessun processo, né fisiologico né psicologico, si svolge in un adulto come avrebbe fatto quando avevamo uno due o tre anni. Cosa può significare o a cosa può riferirsi una simile affermazione? Dopotutto, come ricorda Loewald, l'analisi degli adulti, non importa quanto dediti alla rimozione o quanto immaturi in aree importanti del loro funzionamento, è un'avventura nella quale in realtà l'analizzando non è un adulto solo dal punto di vista cronologico, e che dunque ha senso soltanto se le sue potenzialità adulte, quali si manifestano in alcune aree significative della vita, sono in evidenza (Loewald, 1979, pp. 163-64). Il fatto che, da adulti, non riprendiamo semplicemente una crescita arrestatasi in un periodo precedente non significa tuttavia che una crescita in età adulta non sia possibile. Da adulti possiamo sperimentare un approfondimento e un accrescimento della comprensione e della conoscenza di noi stessi; possiamo modificare i nostri atteggiamenti e le nostre credenze inconsce, irrazionali e sinistre; possiamo diventare più fiduciosi in noi stessi e meno afflitti dall'angoscia; possiamo imparare a perdonare di più, ad accettarci di più e a punirci di meno, e così via. Inoltre, molti di questi esiti possono seguire a una rinnovata lotta con temi legati allo sviluppo lasciati irrisolti. Ma tutti questi cambiamenti sono adeguati all'età, e si verificano nella vita adulta. Non possono - né potrebbero - costituire la ripresa di un processo di crescita caratteristico di un bambino di due o tre anni. Quanto alla "trasformazione delle configurazioni arcaiche [...] in forme più mature di regolazione dell'autostima" (Stolorow & Lachmann, 1980, p. 86), non ci viene detto in modo esatto (e nemmeno inesatto) come avvengano queste trasformazioni nel trattamento. Ci viene semplicemente detto, in generale, che il rispecchiamento empatico e la comprensione dell'analista, il suo consentire alle configurazioni arcaiche di svolgersi e la sua disponibilità quale oggetto-Sé, contribuiscono tutti a guarire i disturbi del Sé, a promuovere la strutturazione e la ripresa della crescita, a facilitare la separazione-individuazione e a trasformare il Sé e le configurazioni oggettuali arcaiche nei corrispondenti più maturi. Data l'importanza di questa affermazione, sarebbe opportuno andare al di là di queste vaghe generalizzazioni e saperne qualcosa di più sugli specifici processi psicologici che portano a tutti questi cambiamenti. Opponendo il trattamento delle nevrosi al trattamento dei blocchi dello sviluppo, Stolorow e Lachmann osservano che nel primo la ricostruzione del passato richiamerà l'attenzione del terapeuta sulle gratificazioni che il paziente desidererà ripetere nel transfert, mentre nel secondo la ricostruzione metterà il terapeuta sulla strada dei traumi che il paziente lotterà per non ripetere. Ciò che qui vorrei osservare brevemente è più ampiamente esaminato nel cap. 8 [cap. 9 nell'edizione inglese], dove ho analizzato l'opera del gruppo del Mt. Zion (ora chiamato San Francisco Psychotherapy Research Group) [Nota 2], e cioè che la forma di trattamento che Stolorow e Lachmann riservano ai blocchi dello sviluppo è, secondo il gruppo del Mt. Zion, applicabile a tutta la psicoterapia psicoanalitica. Per il gruppo del Mt. Zion, l'ipotesi che i pazienti cerchino di ripetere o di ottenere nel transfert la gratificazione di desideri infantili non è una descrizione esatta di ciò che avviene nel trattamento con qualsiasi paziente. Questi autori suggeriscono invece, e presentano notevoli prove a sostegno, l'idea che tutti i pazienti ricerchino delle "condizioni di sicurezza", un aspetto cruciale delle quali è dato dall'assicurazione che il terapeuta (o forse più esattamente, l'interazione paziente-terapeuta) non ripeterà traumi precedenti. In altre parole, ciò che Stolorow e Lachmann suggeriscono come specificamente adeguato ai blocchi dello sviluppo, dal gruppo del Mt. Zion è visto come ingrediente essenziale di ogni psicoterapia. Nota 2: Per un ulteriore approfondimento in lingua italiana sul gruppo del Mt. Zion (ora chiamato San Francisco Psychotherapy Research Group),vedi, oltre al già citato cap. 8 del libro di Eagle (1984) La psicoanalisi contemporanea, l'introduzione di J. Weiss al libro del 1986 (Introduzione al lavoro del "San Francisco Psychotherapy ResearchGroup". Psicoterapia e scienze umane, 1993, XXVII, 2: 47-65 [trad. it. del cap. 1 di: Weiss, Sampson & the Mount Zion Psychotherapy Research Group, The Psychoanalytic Process: Theory, Clinical Observation, and Empirical Research. New York: Guilford, 1986]), un articolo nell'edizione italiana di Scientific American (J. Weiss, "I processi mentali dell'inconscio", Le Scienze, 1990, 261, maggio: 68-75), commenti di H. Thomä & H. Kächele (Trattato di terapia psicoanalitica.1: Fondamenti teorici [1985]. Torino: Bollati Boringhieri, 1990, pp. 441-443), e un saggio-recensione di P. Migone sul loro lavoro complessivo (Psicoterapia e scienze umane, 1993, XXVII, 2: 123-129) con una risposta dello stesso J. Weiss (Psicoterapia e scienze umane, 1993, XXVII, 3: 145-147); si veda inoltre la traduzione del libro di J. Weiss HowPsychotherapy Works. Process and Technique (New York: Guilford, 1993) che ha una presentazione di Paolo Migone e Giovanni Liotti (Come funziona la psicoterapia, Torno: Bollati Boringhieri, 1999). Per alcuni esempi clinici della applicazione della teoria di Weiss & Sampson, riguardanti l'interruzione della terapia come situazione di test, vedi P. Migone, Terapia psicoanalitica, Milano: Franco Angeli, 1995, cap. 3, pp. 58-61, e, su Internet, i seguenti due lavori: "Riflessioni cliniche sul lavoro del Psychotherapy Research Group di San Francisco guidato da Weiss & Sampson", e "L'elaborazione della fine della terapia come intervento terapeutico". [Nota di P.M.] Affermazioni di natura eziologica e ipotesi errate sullo sviluppo Vorrei esaminare alcune ulteriori difficoltà che caratterizzano gli attuali dibattiti sui blocchi e le carenze dello sviluppo. L'accento posto sui primi periodi dello sviluppo ha condotto a sfrenate ipotesi riguardanti eventi e processi che si suppone abbiano luogo nella prima e nella seconda infanzia. Tali ipotesi sono spesso di natura eziologica oppure si riferiscono semplicemente a ciò che presumibilmente avviene nel primo sviluppo. Ciò che tutte hanno in comune è il fatto abbastanza notevole che sono completamente basate sul lavoro clinico con pazienti adulti e non fanno alcun riferimento a studi empirici con neonati e bambini, e ancor meno a prove longitudinali a lungo termine. Consideriamo, per esempio, il fatto straordinario che tutte le prove addotte da Kohut e dai suoi seguaci a sostegno dei loro concetti eziologici riguardanti i disturbi del Sé derivano da ciò che portano in trattamento persone adulte. Oppure analizziamo alcuni esempi tratti da Stolorow & Lachmann (1980). Innanzi tutto "una [...] caratteristica dell'esperienza del neonato piccolissimo è la sua incapacità di integrare o sintetizzare rappresentazioni dotate di colorazioni affettive diverse" (p. 4). Ma non si dice nulla sulla natura delle prove che portano a questa conclusione. Non ci viene detto in che modo Stolorow e Lachmann sono venuti a conoscenza della natura dell'esperienza del neonato. Vale la pena notare di passaggio che nella misura in cui esistono prove affidabili e disponibili sulle capacità cognitive del neonato, esse indicano che egli ha una capacità integrativa e di sintesi molto maggiore di quanto non suggeriscano tutte le ipotesi recenti riguardanti la scissione precoce e altre caratteristiche correlate (per esempio, vedi Stern, 1985). In secondo luogo, esaminando le carenze traumatiche delle prime cure al bambino relative all'assenza di corrispondenza empatica, a gravi incoerenze e "frequenti esposizioni del bambino a scene sessuali e aggressive affettivamente intollerabili", Stolorow e Lachmann concludono che quando traumi di questo tipo interferiscono con la strutturazione del mondo rappresentazionale, l'individuo rimane bloccato o vulnerabile a reminiscenze regressive di configurazione dell'oggetto-Sé arcaiche più o meno indifferenziate e non integrate (p. 5). Nella misura in cui si riesce a decifrare questo gergo, ciò che ci viene proposto è un'affermazione causale riguardante gli effetti delle prime esperienze sullo sviluppo successivo, senza alcuna prova. Il problema che tutti questi esempi sollevano è la natura delle prove riguardanti questi supposti eventi fattuali, a prescindere dai loro presunti effetti sullo sviluppo successivo. Nella letteratura attuale si incontrano descrizioni di deprivazioni precoci, patologia parentale, ecc. d'ogni tipo, tutte basate, come già osservato, su materiale prodotto e riferito da adulti. Ma, come avverte Rubinfine, in nessuna circostanza siamo giustificati a utilizzare le nostre 'costruzioni' fittizie creative circa le origini della patologia nel primo anno di vita a fungere da dati per la teorizzazione del primo sviluppo psicologico (Rubinfine, 1981, p. 394). Quanto ai ricordi del paziente adulto di supposti eventi precoci, ricorderò al lettore ciò contro cui metteva in guardia Freud in Ricordi dicopertura (1899), dopo aver notato che alcuni ricordi possono essere stati falsificati: Forse, va perfino messo in dubbio se abbiamo ricordi coscienti provenienti dall'infanzia, o non piuttosto ricordi costruiti sull'infanzia. I nostri ricordi infantili ci mostrano i primi anni di vita non come essi sono stati, ma come ci sono apparsi più tardi, in un'epoca di risveglio della memoria. In tale epoca i nostri ricordi infantili non emergono, come si è soliti dire, ma si formano, e una serie di motivi estranei al benché minimo proposito di fedeltà storica contribuisce a influenzare tanto la loro formazione, quanto la loro selezione (Freud,1899, pp. 452-453). Il primo degli esempi tratti da Stolorow e Lachmann che abbiamo riportato illustra anche un'altra difficoltà presente in gran parte degli scritti attuali, caratterizzati dalla tendenza a concepire la patologia adulta in termini di fasi ritenute normali nello sviluppo del neonato e del bambino. Così, nell'esempio sopra citato la difficoltà dell'adulto riguardo a valutazioni affettive positive e negative è considerata rappresentare un arresto a una fase analoga normale dello sviluppo infantile. Un modo simile di pensare è alla base del concetto di scissione di Kernberg (1975). La scissione - afferma Kernberg - è il modo normale del neonato di affrontare gli affetti positivi e negativi, data la sua limitata capacità di integrazione. E' l'impiego difensivo continuato di questa scissione - continua Kernberg - che caratterizzerà poi l'adulto borderline. Tuttavia, come sottolinea acutamente Peterfreund (1978) riferendosi a errori quali l'"adultomorfizzazione" dell'infanzia e la "tendenza a caratterizzare i primi stadi dello sviluppo normale in termini di successivi stati di psicopatologia" (p. 427), la patologia adulta non è semplicemente un persistere dei processi del neonato normale. Oppure, viceversa, il comportamento del neonato non è lo stesso né è sostanzialmente simile al comportamento patologico dell'adulto. Il neonato normale non è una versione bloccata o con carenze di un adulto completo, ma un organismo le cui reazioni sono molto adattive, data la sua capacità e il suo livello di organizzazione. Questo è forse il problema fondamentale e più grave che una concezione della patologia adulta in termini di blocchi dello sviluppo solleva. Essa perpetua l'errata convinzione che alcune patologia adulte siano sostanzialmente un "blocco", una regressione ad una particolare fase normale dello sviluppo. Si basa inoltre su vaghe analogie tra supposti stati infantili e patologia adulte, senza far luce né sull'uno né sull'altro. Consideriamo per esempio la frequente analogia istituita tra il comportamento e le emozioni narcisistiche adulte (l'esser presi da se stessi, la sensazione che tutto sia fatto per noi, una irrealistica concezione grandiosa delle proprie capacità e risultati) e il presunto narcisismo infantile. Come sottolinea Peterfreund, dato il mondo e le capacità del neonato, il suo comportamento apparentemente narcisistico è un comportamento normale e ha poche somiglianze fondamentali con quello narcisistico degli adulti, che è caratterizzato da proprie motivazioni e da propri processi. Collegare i due tipi di comportamento costituisce una superficiale analogia e una "adultomorfizzazione dell'infanzia che genera confusione" (p. 436). Tra gli altri esempi sia di adultomorfizzazione sia di quella che può essere definita "patomorfizzazione" (Milton Klein, 1981) citati da Peterfreund rientrano la caratterizzazione, da parte della Mahler (1968), della prima infanzia come fase di "autismo normale" e l'asserzione da parte di Melanie Klein (1921-58, 1932) dell'esistenza di posizioni "schizo-paranoidi" e "depressive" nell'infanzia. Un modo di pensare cosi superficialmente analogico e confuso lo troviamo anche a proposito della rimozione. Come avverte Peterfreund, quando dei sistemi biologici collassano, non ripercorrono necessariamente le fasi attraverso cui si sono sviluppati, e occorre stare attenti a considerare i prodotti di un crollo come rappresentativi di fasi dello sviluppo normale (Peterfreund, 1978, p. 439). Se si può dire che un uomo che ha subìto un incidente cerebro-vascolare, ed è pertanto incapace di parlare, soffre di afasia, non si può però affermare che egli è "nello stesso stato di un neonato di due mesi che non sa parlare". Né si può "caratterizzare un neonato normale di due mesi dicendo che è nello stato di sviluppo 'normale afasico'". Né si può dire che l'uomo che ha subìto un incidente cerebro-vascolare è "'regredito' ad uno stato precedente di 'afasia normale'" (Peterfreund, 1978, p. 439), Ciò che le recenti analisi sui blocchi dello sviluppo suggeriscono chiaramente è che il funzionamento di persone che soffrono di questo disturbo si ferma o, in appropriate condizioni precipitanti, regredisce a stati e fasi di funzionamento che erano normali in periodi precedenti dello sviluppo. Questa situazione è molto poco probabile. Anziché rispecchiare un particolare livello o stato precedente dello sviluppo, la patologia è caratterizzata da una particolare direzione disfunzionale dello sviluppo, che può avere somiglianze a vari livelli (per lo più superficiali) con quei periodi precedenti, ma che certamente non può essere equiparata ad essi, e che senz'altro comporta processi e capacità radicalmente diversi. I concetti stessi di blocco dello sviluppo e di carenze nello sviluppo, se vogliono essere teoricamente coerenti e significativi, devono essere chiariti e illustrati di per sé (per esempio, la direzione particolare di sviluppo presa in aree specifiche; la natura specifica delle "carenze" nelle funzioni dell'Io), piuttosto che basarsi su analogie superficiali e fuorvianti con periodi precedenti di sviluppo. Vorrei tuttavia sottolineare la mia convinzione che anche quando si sarà riusciti in questo si scoprirà che le considerazioni del conflitto dinamico e delle carenze strutturali non solo non sono incompatibili, ma sono semplicemente modi diversi di guardare allo stesso fenomeno generale. E veniamo all'ultimo punto per cui le attuali formulazioni dei blocchi dello sviluppo non forniscono una spiegazione esatta della natura dello sviluppo. Molte descrizioni cliniche e teoriche implicano che problemi e questioni connessi a fasi successive di sviluppo non emergono fino a quando le fasi precedenti non siano siate affrontate con successo. Il più delle volte ciò viene espresso in termini di problemi pre-edipici ed edipici. Kohut (1977), per esempio, scrive che i problemi edipici e i "conflitti strutturali" non emergono sino a quando non siano stati risolti fatti pre-edipici aventi a che fare con la coesione del Sé. A mio avviso si tratta di una concezione errata del modo in cui avviene lo sviluppo, e credo che sia contraddetta anche dall'evidenza clinica. Riguardo a quest'ultimo punto, è comune esperienza clinica osservare in pazienti con una predominanza di costellazioni pre-edipiche - siano esse chiamate disturbi del Sé, o pazienti schizoidi, o anche schizofrenici - la presenza di tipici conflitti e angosce di natura edipica (per esempio angoscia di castrazione, senso di colpa, angoscia connessa a desideri incestuosi, ecc.). In questi pazienti i conflitti edipici spesso fanno scattare - e sono saturati da - temi e problemi pre-edipici irrisolti, ma cionondimeno essi conservano la loro natura specificamente edipica (va notato che anche nei pazienti tipicamente nevrotici i temi pre-epidici sono riproposti e reintensificati in successivi periodi edipici e post-edipici - quali l'adolescenza - anche se in grado meno intenso e anche se affrontati in modo meno patologico). Il punto è che persino nei casi di carenze o di blocchi lo sviluppo psicologico non si arresta su tutti i fronti come invece suggeriscono le descrizioni e le formulazione di Kohut. Questo è un modello inesatto di come avviene lo sviluppo. Al contrario, ciò che è tipico delle persone che presentano sbocchi dello sviluppo in alcune aree è che esse sono meno attrezzate ad affrontare le successive sfide legate allo sviluppo (cioè a dire le sfide caratteristiche di fasi successive dello sviluppo) e che i temi successivi legati allo sviluppo sono pervasi in misura maggiore da temi precedenti irrisolti. Ma e anche qui si tratta di un punto cruciale - non tutto il processo di sviluppo si arresta, in attesa di una correzione della carenza o del blocco. Per esempio, negli adolescenti gravemente disturbati (siano essi considerati borderline, schizoidi o affetti da disturbi narcisistici), i temi e i problemi aventi a che fare con l'appagamento sessuale, col risveglio dei conflitti edipici, con la capacità di prossimità all'altro, le paure eterosessuali e omosessuali, l'autonomia, la scelta della carriera e così via compaiono ed emergono in primo piano. In fin dei conti, la rapida crescita fisiologica, le modificazione endocrinologiche e altre modificazioni fisiologiche, le nuove esigenze e pressioni sociali e altri cambiamenti radicali sono caratteristiche tanto degli adolescenti con disturbi del Sé che degli adolescenti normali. Di recente ho avuto in trattamento un giovane molto disturbato che reagiva con angoscia di castrazione, appena velata, ogniqualvolta dava inizio a un comportamento che poteva essere considerato da adulto e in sostituzione del padre (per esempio, su richiesta della madre, fare piccoli lavori in casa, tipicamente svolti dal padre, ma che ora poteva eseguire anche lui) e con la sensazione di essere preso in trappola ogniqualvolta il comportamento della sua ragazza poteva essere considerato una richiesta di impegnarsi in una relazione a lungo termine con lei. Ora, malgrado la sua grave patologia e i blocchi dello sviluppo, le reazioni sopracitate non sono schemi insoliti nei pazienti nevrotici, in cui capita di riscontrarli frequentemente. Non è qui che risiede la differenza fondamentale. Ciò che è caratteristico del mio paziente è il modo in cui reagiva alla propria ambivalenza e ai conflitti derivanti dal suo rapporto con la ragazza: il suo senso di dissociazione e di depersonalizzazione (vale a dire "confusione" cronica e incapacità di ricordare e riferire le cose), pensieri e paure omosessuali ossessive, un sogno ricorrente nel quale viene "massacrato" e "scivola nel nulla". Il sogno, in particolare, rispecchia la saturazione dei conflitti edipici con paure e fantasie primitive, pre-edipiche. Ricordo anche un paziente ospedalizzato, fortemente schizofrenico, che avevo in trattamento, il quale durante una seduta di terapia di gruppo annunciò improvvisamente che si sarebbe presentato volontario per un'operazione chirurgica di castrazione se questo fosse servito a guarire dalla sua malattia. Poi passò a chiarire la sua convinzione che i suoi desideri incestuosi fossero fonte e causa della sua "pazzia", che viveva questa sua pazzia come una castrazione, e che se andava direttamente al nocciolo della questione facendosi castrare sarebbe stato meglio, e sarebbe guarito. Ora, gran parte di questo materiale è chiaramente di natura edipica. Il paziente non è speciale, da questo punto di vista. Ciò che colpisce, naturalmente, è la manifesta apparizione conscia non padroneggiabile di desideri incestuosi e il collegamento diretto, non celato, tra tali desideri e le aspettative effettive (non spostate o simboliche) di castrazione. Per tornare al punto fondamentale, sia che i resoconti clinici o la patologia in termini di "carenze strutturali" siano esatti o meno, una tale concezione non è incompatibile con considerazioni di natura dinamica. L'accento posto di recente sui blocchi dello sviluppo, i disturbi del Sé, gli stati borderline e così via, hanno chiarito alcune considerazioni e aspetti della personalità e della psicopatologia che nella teoria tradizionale tendevano a essere ignorati. Così oggi siamo molto più propensi a essere consapevoli dell'importanza primaria della separazione-individuazione e delle dimensioni "narcisistiche", ivi compresa la differenziazione tra il Sé e l'altro, il grado d'integrità e di coesione del Sé, la capacità di rapportarsi all'altro in quanto altro distinto, la regolazione dell'autostima. E questo, a mio avviso, è davvero un contributo. Tuttavia questi aspetti sono probabilmente importanti per tutti, a vari gradi e in modi diversi. Potrebbe trattarsi, per esempio, di sfide relative alla separazione-individuazione in forme diverse e in periodi differenti della vita. In breve, non si può affermare che un gruppo di persone è governato da una psicologia degli scopi, delle pulsioni e del conflitto interno, mentre un altro gruppo è governato da una psicologia del Sé e dalla ricerca della coesione del Sé [Nota 3]. Come ho sostenuto, una tale direzione d'azione non può essere separata dai temi della gratificazione delle pulsioni e dei bisogni istintuali di base, e in tutte le persone l'integrità dell'organizzazione del Sé è un obiettivo di ordine superiore, perseguito a livelli diversi. Nota 3: Mitchell (1979) sostiene che questa divisione di ambiti di applicabilità rappresenta, almeno in parte, un tentativo di sfuggire all'accusa di eresia all'interno della comunità psicoanalitica attraverso la "strategia consistente nel conservare il quadro di riferimento metapsicologico della teoria delle pulsioni, creando in ambito diagnostico dei concetti ortodossi" (p. 182). Questa "forma di ecumenismo psicoanalitico" è dichiarata attraverso le "strategie di complementarità, in Kohut, il tentativo di integrare gerarchicamente i vari concetti, in Kernberg, e la designazione, da parte di entrambi, di una nuova forma di psicopatologia alla quale si applicano ora"le linee teoriche formalmente eretiche (p. 188). [Nell'originale inglese questa nota è numerata 57, nell'edizione italiana è numerata 59] Inoltre, quali che siano le carenze che ha una persona, siano esse costituzionalmente date o il risultato di traumi precoci, ciò che indebolisce ulteriormente la personalità è l'esistenza di conflitti eccessivamente intensi e diffusi, e di altre incompatibilità che, a causa della loro mancata risoluzione, minacciano il senso di coerenza e di integrità del Sé. Quest'idea è stata centrale per la psicoanalisi dai primi scritti di Freud sino alla recente "esplorazione dei elementi essenziali" o dei "fondamenti", come recita il sottotitolo del libro di G.S. Klein (1976). Inoltre, malgrado le recenti apocalittiche affermazioni, i conflitti irrisolti e le incompatibilità, nonché le difese e le angosce che li accompagnano, sono un materiale che si presta a un intervento terapeutico. In altre parole, la risoluzione e l'integrazione di scissioni irrisolte nella personalità è il mezzo terapeutico principale attraverso il quale si rafforza il Sé e si migliorano i cosiddetti disturbi del Sé. Non vi è alcun bisogno di una dicotomia, e certamente non di una dicotomia radicale, tra una psicologia dei blocchi dello sviluppo e una psicologia del conflitto dinamico o strutturale. Piuttosto, in ciascuna fase dello sviluppo si è di fronte alla necessità di integrare svariati tipi di incompatibilità, ivi comprese le incompatibilità tra modalità adattive consone alle diverse fasi. Quanto bene si affrontino questi compiti, quanto bene si riesca a integrare i propri molteplici bisogni e obiettivi, sono cose che entrambe rispecchiano e determinano la successiva qualità e integrità dell'organizzazione del Sé. Naturalmente il successo nel risolvere le incompatibilità rispecchia la capacità integrativa, la quale a sua volta è indubbiamente influenzata, come prima osservavo, dalle predisposizioni costituzionali e dalle prime esperienze. Ma è poco probabile che un insieme particolare di esperienze precoci - sia che esse consistano nella carenza di esperienze empatiche o di opportunità di idealizzazione -abbia un'influenza tanto determinante e decisiva su un fenomeno così complesso come la capacità integrativa. In ogni caso, i temi relativi al conflitto, all'organizzazione del Sé e alle funzioni dell'Io, ivi compresa la capacità integrativa, sono tutti tra loro inestricabilmente connessi. Bibliografia Bowlby J. (1981). 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